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Autore: Luli87    12/03/2011    13 recensioni
Dopo "Un'operazione sotto copertura", ecco un nuovo caso per Beckett e Castle. Spero di non deludere nessun lettore/lettrice, anche questa volta mi baserò molto sullo stile del telefilm: poco miele, il giusto. Un assassino, omicidi e suspance. Buona lettura!
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8. A volte non c'è un perchè.

Ore  13.00. Al distretto.

In tre diverse sale Beckett, Esposito e Ryan stavano interrogando, ciascuno separatamente, un clown alla volta. Ad ogni clown venivano poste le stesse domande, con lo stesso tono: nome, cognome, età,  dove si trovassero al momento degli omicidi di Sarah, di Tommy e di Holly, e con chi. Volevano sapere se tutti avessero un alibi e se, in particolar modo, qualcuno di loro potesse avere anche solo un movente per renderli dei possibili sospettati. Al momento la polizia non aveva niente contro di loro. Beckett aveva fatto recuperare dalla scientifica una ciocca delle loro parrucche, per confrontarle con il filo sintetico rosso trovato sulla terza scena del delitto. Inoltre, aveva fatto prendere un campione di DNA da ciascun clown, nel caso Lanie avesse trovato tracce di DNA da confrontare. Fino a che non fossero stati ottenuti dei riscontri, erano completamente liberi.
Castle camminava avanti e indietro da mezz’ora accanto alla scrivania di Kate. Aveva ascoltato due interrogatori ma nessuno dei due l’aveva colpito. Iniziava a dubitare della sua idea. Possibile che si fosse sbagliato?
Forse quei clown erano davvero innocenti, erano davvero persone serie che non avevano niente da nascondere. Insomma, un assassino di solito se colto alla sprovvista scappa, non si offre volontario ad un interrogatorio. Che cosa sapevano del killer pagliaccio? Che aveva ucciso tre bambini. Ok. Poi? Nulla. Un filo rosso, coriandoli e caramelle sulla terza vittima.
“Non ha senso. Non trovo nessuna connessione, un perché.”
Si sedette e guardò la lavagna bianca. Nessun sospetto, solo tre  visi sorridenti, tre bambini. Rick scosse la testa. Prese il telefonino e scrisse un messaggio a sua figlia.
Appena lo inviò vide Esposito uscire dalla sala degli interrogatori.
“Ehi, novità?”
“Nessuna Castle. Adesso devo verificare gli alibi di tutti, aspetto che anche Ryan e Beckett finiscano i loro interrogatori. Tu? Ti sei fatto qualche idea?”
“No, è tutto così assurdo. Non riesco a trovare un indizio, niente. Neanche quest’idea del killer pagliaccio mi convince più. Erano tutti così tranquilli, non hanno mostrato alcun segno di timore per l’interrogatorio, non hanno voluto un avvocato, non erano spaventati.”
Esposito si mise al lavoro e Castle continuò a guardare la lavagna.
Sarah, Tommy, Holly.

Beckett stava interrogando il signor Harvey.
“Signor Harvey, ha mai visto questi bambini?” gli chiese, mostrandogli le fotografie.
“Detective, vediamo tantissimi bambini ogni giorno. Agli spettacoli e anche alle prove. Questi tre non mi sembra di ricordarli comunque. La mia compagnia ed io siamo qui a New York da tre giorni.”
“Appunto, da quando sono iniziati gli omicidi.”
“Detective, noi non uccidiamo i bambini! Come glielo devo dire? Le ho detto dove mi trovavo al momento degli omicidi, con chi ero, può verificarlo anche adesso vedrà che i miei alibi reggono. Amo i bambini. Sono la mia ragione di vita! Sono un pagliaccio per professione e lo faccio per loro.”
“Sospetta di qualcuno della sua compagnia?”
“No, garantisco io per tutti i miei colleghi. Li conosco da una vita, sono persone responsabili e fidate, non torcerebbero mai un capello a un bambino. Detective glielo posso giurare!”
“Non ho bisogno di giuramenti, ho bisogno di prove. La scientifica sta analizzando le vostre parrucche, sa che se il filo trovato sul luogo del delitto corrisponde possiamo arrestarvi? Le conviene dirmi la verità.”
“Detective non so più come dirglielo. Noi facciamo questo lavoro e veniamo pagati una miseria. Ma la vera paga, ciò che ci rende felici, sono i sorrisi che questi bambini ci regalano quando gli offriamo divertimento, palloncini, zucchero filato, o quando ci vedono saltare e fare le capriole…”
Kate lo interruppe: “Palloncini! Ne ha uno qui?”
“Certo” rispose quello, togliendosi dalla tasca della giacca un filo azzurro, “So fare molte figure, ma va per la maggiore il cagnolino per le femminucce e la spada per i maschietti.” disse.
Kate prese il palloncino sgonfio e se lo strinse intorno al polso. Strinse forte. Contò qualche secondo e lasciò la presa. Osservò attentamente il segno rimastole.
Si alzò dalla sedia e corse alla lavagna bianca.
Castle nel vederla si alzò dalla sua sedia e la osservò curioso, sperando che avesse trovato qualcosa.
Beckett prese la fotografia del segno sul collo della terza vittima.
Il segno era perfettamente uguale a quello sul suo polso.
Holly era stata strangolata con un palloncino.
La pista dei clown si stava rivelando giusta.
Afferrò il telefono e chiamò Lanie: “Ti prego dimmi che hai i risultati delle analisi.”
“Beckett abbiamo un DNA. È di un uomo ma non è presente nei registri. Adesso lo confronto con quello di tutti i sospettati. Sono 15, dammi un’ora.”
“Lanie, ho trovato l’arma del delitto del terzo omicidio.”
“Cos’è?!”
“Un palloncino.”
“Ma è terribile!”
“Lo so.”
“Ma per le altre due vittime il segno è diverso. Era più grosso. Non può essere.”

Castle aveva ascoltato attentamente ogni parola. Aveva osservato delicatamente il polso di Kate e la fotografia del collo di Holly. Sì, erano uguali.
“L’assassino è un pagliaccio. Ormai è chiaro. Cosa fa? Attira un bambino. Perché lo strangola poi? Perché lo fa arrabbiare?” ragionò ad alta voce Rick.
“Un uomo che si traveste da pagliaccio e non sopporta i bambini, perde la pazienza e li strangola. Castle, non ha senso!”
“Lo so. Ma c’è qualcosa che ne ha?”
Ryan li raggiunse. “Ragazzi, ne verremo mai a capo?” chiese, sbuffando e sedendosi alla sua scrivania.
“Controllate gli alibi di tutti, tra poco avremo i risultati del DNA da Lanie. Se è uno di loro, non ci scapperà.” disse Beckett.

Ore 14.15 Al distretto.

Castle era affamato. Sapeva che lo erano anche Kate e tutta la squadra, ma nessuno voleva interrompere le ricerche, non ora che erano così vicini a trovare l’assassino.
Si sedette accanto a Kate, osservandola mentre finiva di controllare l’alibi degli ultimi due clown.
A tredici dei quindici clown era stato confermato l’alibi. Ne mancavano solo due. E, incredibilmente, si coprivano a vicenda.
Quindici clown innocenti.
“Ma com’è possibile? Eravamo così vicini!” disse Kate, sbattendo un pugno sulla scrivania.
Esposito le portò una tazza di caffè. “Respira Beckett, sono certo che arriveremo a una conclusione. E poi mancano i risultati del DNA. Forse qualche alibi non è poi così sicuro.”
Castle le prese una mano. “Kate, riusciremo a trovarlo.”
“Non ne sono così convinta.” rispose quella, triste, stringendogli le mani. Ma non voleva mollare. E lo sguardo rassicurante di Castle la confortò.
Li interruppe il suono del telefono.
“Dev’essere Lanie.” disse Beckett, alzando la cornetta.
“Beckett.”
Silenzio.
Dopo pochi secondi mise giù il telefono, si alzò e chiamò i suoi colleghi: “Andiamo! Una madre ha appena chiamato la polizia, ha perso la sua bambina. 6 anni, la descrizione è simile alla prima vittima.”
“A Central Park?”
“Sì, vicino allo stagno delle tartarughe, il The Pond. Andiamo, SUBITO!”

Ore 14.38. Central Park. The Pond.

Un’intera squadra di agenti era sparsa per tutto il parco. Central park, un posto immenso. La bambina era scomparsa da meno di mezz’ora e Kate stava parlando con la madre, Milene Hall.
Intorno a The Pond squadre di agenti erano alla ricerca della bambina.
“Ha visto qualcuno portargliela via?”
“No Detective, la prego ritrovate mia figlia!” la donna era molto provata, tremava e piangeva ininterrottamente, “vi prego ritrovate la mia Jenny!”
“Stavate passeggiando qui da sole?”
“Sì, eravamo noi due…”
“C’era qualcuno? Si ricorda di qualcuno in particolare vicino a voi?”
La donna si guardava intorno, non stava ferma un secondo.
“Sì. Sì” disse all’improvviso. “Mi è suonato il telefono, io ho risposto e mi son girata per pochi minuti. Era una mia collega infuriata. Ho lasciato la mia Jenny per pochissimo tempo, era vicino al lago e stava giocando con un uomo che faceva palloncini.”
“Può descrivermelo?”
“Non l’ho visto bene… aveva una giacca color salmone e dei jeans. E i capelli rossi, rosso fuoco.”
Kate non perse tempo. Prese la sua ricetrasmittente.
“A tutte le unità. Cerchiamo un uomo con una giacca color salmone e una parrucca rossa. Muovetevi, non abbiamo tempo da perdere!”
Poi si rivolse alla signora Milene: “Non si preoccupi, troveremo sua figlia.”

Dalla ricetrasmittente, dopo pochi secondi, una voce: “Beckett. Lo vedo. Ha la bambina! È viva!”
Esposito era corso alla ricerca della piccola Jenny. Si trovava vicino alla 65th con una decina di agenti e tenevano sotto tiro il bastardo. Non era uno dei quindici clown, ma aveva una parrucca simile a quella usate da loro. Non era vestito da pagliaccio, indossava una giacca color salmone e dei comunissimi blu jeans.
“Arrivo subito! Cosa succede Esposito?”
Beckett corse verso la 65th. Era a soli dieci minuti dal The Pond. Doveva solo attraversare un boschetto. Castle la seguì, lasciando la madre della piccola con Ryan.
“Il sospetto sembra tranquillo. Lancia coriandoli in aria e la bambina sta danzando. Ora le sta gonfiando un palloncino e… un cagnolino, ha creato un cagnolino. Glielo porge.”
Kate corse più veloce che poteva. Con la pistola in mano, pregava ad alta voce di fare in tempo a salvare quella piccola ed innocente vita.
Correva da meno di cinque minuti e vide Esposito. Quello le indicò una direzione.
La bambina e l’assassino erano seduti in una piccola distesa di erba.
“Che si fa?” chiese Esposito.
“Lo fermiamo, prima che faccia male alla piccola. Copritemi, d’accordo? Non voglio imprevisti di alcun tipo.” rispose Beckett. Poi, guardando Castle, ancora affannato dalla corsa, ordinò: “Tu resta qui d’accordo?”
Castle annuì con la testa.

Beckett respirò profondamente. Mise la pistola al sicuro dietro la schiena e si avviò lentamente verso i due. L’uomo si accorse presto della presenza dell’estranea e richiamò l’attenzione della bambina.
“Vieni qui piccola mia” la chiamò a gran voce. La piccola, muovendosi a gattoni, si mise al sicuro tra le gambe del suo clown e lui la abbracciò forte.
Kate si avvicinò sempre di più e alzò una mano in segno di saluto.
“Salve!” disse, come se niente fosse, “Ciao piccolina, dov’è la tua mamma?” chiese, guardando negli occhi l’uomo.
Era truccato. Aveva il viso bianco, gli occhi contornati di nero e un macabro sorriso rosso dipinto intorno alla bocca. Sotto la giacca color salmone una maglietta gialla. Aveva le braccia intorno alla bambina. La piccola sorrise alla donna e disse: “Dov’è la mamma?”
Il clown intuì di essere stato scoperto. Si alzò di scatto e sollevò la bambina da terra.
“Si allontani.” disse, disorientato e confuso, guardando prima Kate e poi intorno a sé.
“Non posso. Non finchè non lascia andare la bambina.”
La piccola iniziò a piangere e a gridare il nome della mamma. L’uomo le mise una mano sulla bocca per non farla urlare troppo e indietreggiò di qualche passo.
“Se ne vada, o giuro che le faccio del male.” disse con voce tremante.
L’uomo non sembrava per niente sicuro di sé. Non sembrava un tipo crudele, brusco, malvagio: tutt’altro. Tremava, era insicuro, esitante.
“Sono la detective Kate Beckett, della polizia di New York. Signore, le ordino di lasciare andare la bambina.” Disse Kate, avvicinandosi piano di pochi passi.
L’uomo scosse la testa.
“Signore, mi dica come si chiama.”
“Le farò del male se non se ne va! Ci lasci stare, stiamo giocando!” urlò in risposta l’uomo.
La bambina piangeva e si dimenava. L’uomo cercò di tranquillizzarla.
“Sssh non urlare piccola Annie, andrà tutto bene.”
Annie? La bambina si chiamava Jenny. Forse Kate aveva sentito male.
Tirò fuori la pistola. Era ora di mettere le cose in chiaro. Non voleva spaventare la piccola ma ormai peggio di così non poteva fare.
“Lo ripeterò un’ultima volta: lasci andare la bambina.”
L’uomo in risposta mise a terra la piccola ma la tenne ben stretta per un braccio e con un gesto velocissimo tolse una piccola pistola dalla tasca interna della giacca, puntandola verso Kate.
All’improvviso intorno a Kate comparvero tutti gli agenti capitanati da Esposito, che urlò: “Metta a terra la pistola, subito!”
“NO! Andatevene!” L’uomo strillò come un pazzo. La bambina si dimenò ancora e cercò di liberarsi dalla stretta del clown.  Non ci riuscì.
Beckett fece altri passi verso di lui, abbassando la pistola, fino a posarla a terra.
“Non vogliamo che nessuno si faccia male, lasci andare la bambina e nessuno sparerà. Vede? Sono disarmata.”
L’uomo scosse la testa più volte, come fa un bambino capriccioso obbligato a fare qualcosa che non vuole.
Tremava, sussurrava parole che nessuno riusciva a sentire.
Kate si voltò verso i suoi uomini, ordinando di non sparare.
Non voleva nessuna vittima.
Poi l’uomo si chinò verso la bambina e Kate urlò: “La lasci stare!”
Ma sembrò che il clown non avesse alcuna cattiva intenzione. Le lasciò il braccio e le diede un sacchetto di caramelle. La bimba lo prese e sul suo volto comparve un sorriso.
“Posso andare dalla mamma?” gli chiese.
“Dille che mi dispiace tanto piccola Annie.” Le rispose l’uomo.
“Ma io sono J…” cercò di rispondere la piccola.
L’uomo le aveva messo una mano davanti alla bocca e le disse di non dire niente. Poi si rialzò e indicò alla bambina la donna di fronte a loro. Le prese una mano e la strinse forte. Kate, dopo aver sottolineato di nuovo  alla sua squadra di non sparare, si avviò verso di loro. Quando fu a due metri di distanza, si fermò.
“Lasci andare la bambina” gli disse.
“Non volevo uccidere nessuno” confessò l’uomo, “non sono un assassino.”  
Kate scosse la testa.
L’uomo era malato mentalmente.
Guardò la piccola: “Stai bene piccolina?”
“Sì, dov’è la mia mamma?” le chiese, agitando le caramelle che aveva in mano.
“Vedi gli uomini dietro di me? Loro ti porteranno da lei. Appena questo signore ti lascia andare.”
La bambina si voltò verso il clown: “Robert, posso andare?”

L’uomo continuava a puntare la pistola verso Kate, ma lasciò andare la mano della bambina che, appena libera, corse verso Castle. Rick era sempre rimasto vicino ad Esposito e quando vide la bambina libera, le corse incontro e la prese tra le braccia, al sicuro.
“Adesso andiamo dalla mamma, te lo prometto.” La abbracciò forte, ma continuò ad osservare la scena, preoccupato per Kate.

“Signor Robert, metta giù la pistola. Dietro di me quanti agenti vede? Se mi spara, lei verrà colpito e morirà con me. Non le bastano già tre vittime? Perché li ha uccisi?” chiese Kate, immobile.
Dentro di sé stava tremando di paura. L’uomo era un malato mentale. Si vedeva. Roteava gli occhi ininterrottamente, scuoteva la testa, tremava.
“Robert, perché li ha uccisi?”
“Mi chiamo Robert Byron, detective. Mia figlia Annie è… è la bambina più bella del mondo sa?”
“Non ne dubito.” Lo interruppe Kate.
“Annie e mia moglie mi hanno lasciato. Io… io…. Io non volevo uccidere quei bambini.”
“Perché l’ha fatto Robert?”
L’uomo aveva sempre la pistola puntata verso Beckett.
Esposito e gli agenti erano pronti a sparare, al solo comando di Kate.
Castle pregava che nessuno sparasse.
“La prima bambina era uguale alla mia Annie. L’ho vista in un negozio e mi ha seguito. Era così uguale alla mia Annie. Ma mi ha fatto arrabbiare, perché non voleva stare con me. E diceva di non chiamarsi Annie. Ho preso quella corda. L’ho trovata lì nel prato. Ero molto molto molto molto molto molto molto arrabbiato…” L’uomo era sempre più agitato, alzò il tono della voce. “Poi il mattino mi ero perso, camminavo da ore e non capivo… quel bambino mi ha visto e mi ha seguito… mi prendeva in giro per la giacca… e scherzava… avevo ancora la corda tra le mani…” L’uomo iniziò a piangere. “Poi di nuovo la mia Annie… le ho regalato un cagnolino, sa sono bravo a fare i cagnolini, vuole un cagnolino?” chiese, cercando nella giacca con la mano libera un palloncino.
Kate scosse la testa. “Non voglio un cagnolino, Robert.”
“Annie ama i cagnolini. Ma poi l’ha fatto scoppiare apposta. E non si fa! NON SI FA!” L’uomo iniziò a tirarsi deboli schiaffi sul viso, continuando a ripetere “Non si fa” innumerevoli volte.
Kate voleva farlo smettere.
“Robert, metta giù la pistola. Andiamo, finirà tutto e lei...”
Ma l’uomo la interruppe: “La mia Annie e mia moglie mi hanno lasciato… L’11 Settembre del 2001. Il crollo della prima torre. Non doveva succedere. Non doveva. Non dovevano lasciarmi.” disse, con le lacrime che scendevano a fiumi dai suoi occhi. Dopo pochi secondi, l’uomo crollò sulle ginocchia.
Kate non sapeva cosa dire.
Una situazione assurda.
Un assassino di bambini, un uomo che per una tragedia del destino aveva perso completamente la testa: era diventato pazzo per aver perso la compagna di una vita e la propria figlia. In ogni bambina aveva iniziato a rivedere la sua Annie.
“Detective, non volevo uccidere quei bambini. Non volevo. Non volevo. Io non volevo...”
“Robert lo so che non voleva. Mi dia la pistola, adesso.” Gli disse, cercando di calmarlo e porgendogli una mano.
“Non voglio uccidere neanche lei.” continuò quello.
Kate annuì, avvicinando sempre di più la mano all’uomo.

Con un movimento velocissimo, Robert alzò la pistola e se la puntò alla testa.
“Chiedo scusa per ogni bambino detective, io non sono cattivo.”
“Robert non lo faccia!”
Ma le parole non servirono a niente.
Nemmeno le scuse bastarono comunque.
Un colpo secco.
PUM.
L’uomo cadde a terra, privo di sensi.
Esposito corse verso Beckett e così tutti gli agenti.
Castle strinse più forte la bambina e le coprì la testa, allontanandosi da quella orribile scena.

Beckett si chinò sul cadavere del clown. Non c’era più nulla da fare.
Suonò il cellulare.
“Beckett” rispose, alzandosi.
Esposito le aveva messo una mano sulla spalla, per darle forza.
“Kate sono Lanie. Ho tutti i risultati del DNA. L’assassino non è tra i sospettati che mi hai mandato.”
“Lo so Lanie. È... è finita.” Rispose, chiudendo la conversazione.
Esposito mise via la pistola e guardò la collega.
“La bambina è salva, non poteva finire in altro modo.”

Ore 20.00 Loft di Richard Castle.

Kate era sdraiata sul divano, ad osservare le fiamme del camino. Alexis era uscita con Ashley a mangiar cinese, mentre Martha era a teatro con amiche e attrici di vecchia data.
“Kate, è finita. Puoi tornare a respirare.” Disse Castle, sedendosi vicino a lei, facendole appoggiare la testa sulle sue gambe e accarezzandole i capelli, dolcemente.
Dopo pochi istanti di silenzio, Kate si sollevò per sedersi accanto a Rick. Gli portò le mani intorno al collo e lo baciò, prima delicata, castamente, poi in modo sempre più appassionato.
“Tu mi fai respirare Rick. Da quando sto con te riesco a vedere il lato positivo delle cose. Anche se questo caso non ha lati positivi. Robert ha raggiunto sua moglie e sua figlia, noi abbiamo salvato una bambina arrivando in tempo. Tre famiglie però sono distrutte e chissà per quanto tempo saranno chiuse nel loro dolore.” Disse, appoggiando la testa ad una spalla di Castle. “Di lati positivi non ne vedo, se non che il caso è chiuso.”
“Prometto che tra le mie braccia ti sentirai di nuovo bene Kate.” Le disse lo scrittore, prendendole il mento tra le dita e accompagnandole il viso vicino al suo. “Te lo prometto” sussurrò, guardandola negli occhi.
Appoggiarono le loro fronti l’una all’altra e si sorrisero dolcemente, prima di baciarsi di nuovo.



Tra le braccia di una persona cara, l’amore e la vita non mancheranno mai, anche tra le fiamme dell'inferno.
  
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