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Autore: Cicciolgeiri    13/03/2011    2 recensioni
Dimenticate tutto ciò che sapete sul mondo degli dei dell'Olimpo e calatevi nei panni di Steve Johnson, il figlio del divino Zeus, e di quelli dei suoi amici Grover Underwood, Silfide Black ed Annabeth Chase.
Ade, dopo millenni di umiliazioni e soprusi, decide di vendicarsi degli Dei dell'Olimpo attuando un terribile piano di distruzione insieme ad Eris, dea della discordia: rapire e sacrificare tutte le divinità per aumentare il suo potere.
In un mondo in cui nulla è come sembra, ce la faranno i nostri amici a salvare il mondo dalla furia di Ade?
Ma soprattutto, Steve riuscirà a capire di chi potersi fidare veramente?
Nuove avventure, antichi nemici ed impavidi eroi si intrecciano in una disperata lotta contro il tempo per la salvezza del mondo ... e dell'Olimpo.
(...)- Volete spiegarmi cosa sta succedendo? - sbottai io. Odiavo sentirmi escluso. - Che cosa sarebbero questi calzari nella foresta? -
-
Altari, babbuino! - esclamò Silfide, - sono dei templi eretti nel bosco per i nostri genitori. Una volta ogni tanto tutti noi dobbiamo farci una scampagnata nella foresta per rendere loro grazie - simulò un conato di vomito. - Sai che noia … ecco perché mi porto le tenaglie! - aggiunse perfidamente, ritrovando subito il buon umore.
- Non puoi farlo - disse Grover serio. - Hermes e gli altri dei si arrabbierebbero come ippopotami con l’ernia, lo sai -.
Lei fece schioccare la lingua con strafottenza. - Tzé, sai quanto me ne importa! - ribatté.
Io chiesi: - Cosa vuoi farci, con delle tenaglie? -
- Sopra ogni altare c’è la statua della divinità a cui è stato dedicato - spiegò Silfide. - La statua di Hermes è senza mutande, quindi ha praticamente i gioielli esposti a qualunque tipo di intemperie - ammiccò furbescamente, - e di tenaglie -.
Io la guardai stralunato.
- Mi stai dicendo che vuoi castrare la statua di tuo padre? - dissi.
Lei sghignazzò.
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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mavim
Grazie mille per i complimenti, sono contentissima che questa fic ti emozioni *__*
Silfide è una canaglietta LOL ma, è proprio per questo che il suo papà è fiero di lei, anche se voleva castrarlo U.U Ovviamente tutti noi sappiamo che Clarisse sia una bulla antipatica, ecco perché cercherò sempre di fargliele dare di santa ragione dai nostri eroi ;D
Eheheheheh … Steve è stracotto della nostra Annabeth, e sono felice che ti piacciano come coppia ^^
E’ vero, i nostri semidei hanno un segreto da nascondere … ma non posso rivelare nulla o non ci sarebbe gusto nel continuare a leggere xD
Grazie mille per questa fantastica recensione, spero che anche questo chappy sarà di tuo gusto °.°


piccolalettrice
LOL
Hai ragione xD Vabbé, dai … diciamo che mi sono presa una licenza poetica sulle chiappe di Ade
°__°
Oddio, detto così suona malissimo LOL
Comunque, grazie mille come al solito per tutti i tuoi complimenti … che mi fanno sempre troppo piacere, dato che adoro la tua ff su PJ
L’ho già letta tutta, ma voglio lasciarti una recensione ad ogni capitolo, ecco perché me la sto prendendo un po’ più comoda xD
Purtroppo non posso spoilerarti il segreto di Annabet U_U Ti toglierebbe tutta la sorpresa e noi non vogliamo che succeda, vero? *domanda retorica*
LOL – mi fa piacere che Silfide stia avendo tanto successo … se devo essere sincera, è lei il mio personaggio preferito all’interno di questa ficcy! Vorrei tanto trovare personaggi come lei nei libri che leggo, ma pare che tutti gli scrittori siano convinti che una ragazza non possa essere simpatica e discola … MASCHILISTI! *li picchia con un caduceo*
NGHNHGH Steve è un romanticone, vero? E anche Groveruccio, in fondo, lo è … anche se si da’ sempre tante arie >:D


L’aria era pesante, quasi irrespirabile. Nuvolette sulfuree aleggiavano tutt’intorno, mentre una figura alta e ammantata di nero si faceva strada nella nebbia con un incedere lento e strascicato.

Non mi resi subito conto di ciò che stava succedendo.
Sentivo la gola in fiamme, il petto pesante come se avessi Clarisse seduta addosso e sudavo freddo, scosso da violenti tremiti.

Il mantello si gonfiava e aleggiava attorno alla misteriosa figura, nonostante l’assenza di vento. Attorno a lui c’erano solo rovine di nuda roccia e desolazione per chilometri e chilometri. In quel luogo nessuno mettevo più piede da secoli e tutto, dall’ultima volta, si era raggrinzito e sgretolato, come un pezzo di carta lasciato a mollo nell’acqua.

Cercai di muovermi, ma non ci riuscii; qualcosa mi bloccava al suolo, una strana forza mi stava trascinando attraverso un banco di nebbia grigia, tra immense colonne in rovina e templi profanati.
Era un posto terribile, ogni granello di sabbia sembrava urlare la sua sofferenza, ed ogni fibra del mio corpo voleva disperatamente andar via di lì. Ma non potevo.

Ade, il dio degli inferi, si sfilò il cappuccio, rivelando una zazzera di capelli ricciuti sale e pepe ed un volto pallido e incavato. Si fermò al centro di un ampio spiazzo di pietra e levò una mano in aria: a quel gesto, la nebbia si diradò all’istante.
Sul pavimento crepato e scolorito dal tempo, faceva bella mostra di sé un enorme e complicatissimo simbolo, un pinnacolo i cui sinuosi arabeschi si rincorrevano per tutto il perimetro del luogo.

Riconobbi il mio divino zio all’istante, perché il giorno prima ne avevo visto la statua da vicino. Ma che diavolo stava facendo lì? E, soprattutto, dov’era?

Ade iniziò a misurare a grandi falcate il sigillo inciso nel pavimento ed i suoi passi risuonarono sinistramente tutt’intorno, perdendosi nella caligine che aveva fatto ala attorno a lui.
Il dio sfoderò una spada nera come l’ala di un corvo, ricurva quanto il ramo di un albero rinsecchito ed il suo urlo riecheggiò in modo spaventoso.
<< EEEEEEERIIIIIIS! >> invocò.
Poi abbassò la spada e la conficcò nel pavimento; al tocco della lama, un pezzo di sigillo, quello tracciato con colori più scuri e foschi rispetto agli altri due, che erano uno giallo ed uno azzurro, si frantumò, si spezzò e saltò in aria, esplodendo in mille schegge di fumo nero.

Il terremoto! Il terremoto! Quel posto era scosso sin dalle fondamenta, stava crollando tutto!
Mi dissi che ci sarei rimasto secco di sicuro, che qualcosa mi sarebbe piombato addosso e mi avrebbe spiaccicato come un moscerino su un parabrezza … e invece non successe nulla del genere: i detriti mi passavano attraverso senza sfiorarmi davvero, intangibili, come se fossi un fantasma o, semplicemente, non appartenessi a quel luogo.

La terra si squarciò, laddove prima c’era il sigillo nero si aprì una crepa, un’immensa voragine che avrebbe potuto inghiottire tutto da un momento all’altro. Lapilli di lava fuoriuscivano da essa, lingue di fuoco si protendevano in aria come mani pronte ad afferrare qualunque cosa …
Poi, Ade levò una mano, silenzioso. E tutto cessò.
<< Eris >> chiamò, stavolta come se stesse salutando una vecchia amica.
Dalla voragine si levò una nuvola di fumo nero, che si arrampicò in volute serpentine sino a sfiorare dolcemente il volto di Ade.

Ma sbaglio, o quella specie di miasma ci stava provando con Ade? Strizzai gli occhi per vederci meglio e, d’improvviso, mi ritrovai ad osservare la scena più da vicino e, in qualche modo, tutto mi apparve più vivido, come se un velo sottile fosse scomparso.
Tentai di muovere un passo, ma ancora non ci riuscivo.

<< Ade >> gorgogliò una voce femminile calda e suadente.
Il fumo assunse una forma più definita, disegnò le morbide curve di un corpo di donna, e, alla fine, la dea apparve, emergendo dalle ombre con un sorriso malefico dipinto sul volto meraviglioso e gli occhi gialli scintillanti come gemme.

Se avessi avuto la bocca, avrei urlato. Era la donna più bella che avessi mai visto, eppure c’era qualcosa di spaventoso e tremendamente sbagliato in lei.
Però mi sentivo come un semplice soffio di vento, senza arti, né facoltà di movimento, e dovetti rimanere lì impalato a guardare la scena.

<< Quanto tempo, Eris! >> la salutò Ade con gli occhi che scintillavano. << Sono passati secoli dall’ultima volta che ci siamo visti >>.
<< Millenni >> lo corresse lei con un broncio vezzoso. << Due, per l’esattezza >> un lampo rosso le balenò in volto.
<< Suvvia, Eris … >>la rabbonì Ade, << non ce l’avrai ancora con me per quel terribile malinteso della Guerra di Troia! >>
Eris gli girò attorno, divertendosi a dissolversi in morbide volute di fumo per poi riapparirgli sempre più vicina. Ad un soffio dal suo volto sibilò:
<< Sei stato tu a rinchiudermi sottoterra, nelle fiamme del Tartaro. Tu ed i tuoi fratelli, Zeus e Poseidone, avete voluto punirmi per aver scatenato quella Guerra. Ho passato quasi tremila anni sigillata, imprigionata, privata dei miei poteri >> gli graffiò lo zigomo con una lunga unghia scarlatta, simile a l’artiglio di una fiera, ma la ferità si rimarginò ancora prima di aprirsi.

La faccenda si faceva interessante. Non avevo idea del perché o di come stessi assistendo a quella conversazione, ma ero convinto che stesse davvero avendo luogo. Così aguzzai le orecchie, anche se non me le sentivo, deciso a non perdermi neppure una battuta.

<< Eris, sublime creatura >>disse Ade, fingendo risentimento, << pensi davvero che io volessi punirti? Punirti per avere portato nel mio regno così tante anime di caduti morti in battaglia? No! >> esclamò, scuotendo il capo, << mai e poi mai avrei voluto farlo! Io avrei sempre voluto ringraziarti, Eris, mia adorata, RINGRAZIARTI per essere stata l’artefice di un così ingente massacro! >> la fissò con gli occhi spalancati, infervorato. << Loro mi hanno costretto! Sono stati i miei fratelli a costringermi ad apporti il Sigillo Maledetto, perché senza tutti e tre i nostri poteri messi insieme, esso non avrebbe avuto alcun effetto! Ma io ti chiedo scusa, Eris, regina del caos, e oggi imploro il tuo perdono >>.
<< Non è nella mia natura, il perdonare >> ribatté la dea. << Io mi crogiolo nella sofferenza e nel rancore, mi nutro della pena e del dispetto. La gelosia e l’invidia sono il mio pane. Perché mai dovrei concederti il mio perdono, Ade? Perché non dovrei distruggerti, dopo ciò che mi hai fatto? >>

Già, perché? Ero teso come una corda di violino, avevo paura che la visione si spezzasse da un momento all’altro, e pregai chiunque mi venisse in mente affinché Ade rispondesse in fretta.

Ade sorrise malvagiamente, in un modo che fece tornare alla mente di Eris il perché l’avesse sempre trovato così attraente.
<< Perché voglio proporti una vendetta ben più grande, di quella che potresti ottenere distruggendo me solo. Immagina di poter spazzare via l’Olimpo intero, di dare alle fiamme ogni trono e di prosciugare del suo potere ogni divinità >>.
Eris assaporò quell’idea, succosa come una mela d’estate, ed un brivido di piacere le corse giù lungo la schiena.
<< Immagino, Ade. Sarei capace di fare tutto ciò che hai detto in un solo giorno, in un’ora, forse >> sussurrò deliziata.
<< Insieme, noi due, possiamo! >> esclamò Ade. << Aiutami a rapire tutti gli dei, Eris, ed io ti libererò dal Sigillo e ti restituirò tutti i tuoi poteri. Aiutami ad annientarli uno dopo l’altro, e insieme regneremo incontrastati su ogni cosa e su ogni essere! >>

Sentii qualcosa scattarmi nel cervello e, all’improvviso, avvertii nuovamente di possedere delle dita, dei piedi, un naso, una bocca … riacquistavo consapevolezza del mio corpo, ma la visione si faceva sempre più sfumata e confusa, come se la guardassi da dietro un vetro appannato.

Eris accarezzò i capelli di Ade.
<< Tu parli bene, Ade >> bisbigliò vicinissima al suo viso, << ma chi mi garantisce che non mi tradirai un’altra volta? >>
<< Accetti il mio patto? >> chiese lui prendendole il volto tra le mani. << Accetta, e ti scioglierò dalle tue catene, restituendoti parte dei poteri che il mio Sigillo ti aveva precluso, permettendoti di compiere la missione >>.
<< Giura che poi sarò liberà >> sibilò lei ad un soffio dalle sue labbra, << e che l’Olimpo sarà nostro >>.
<< Lo giuro >> sussurrò Ade.
E poi si baciarono.

A quel punto mi svegliai di soprassalto, urlando come un pazzo furioso, e balzai a sedere sul mo letto, le lenzuola aggrovigliate attorno come il bozzolo di un ragno, più sudato di un centauro che ha fatto la maratona.
<< AHHHHHHHHHHHHH! >> gridai.
Udii uno scalpiccio di zoccoli provenire dalla stanza accanto, poi Grover fece irruzione in camera mia con addosso solo il suo manto caprino.
<< Steve! >> esclamò spaventato, correndomi incontro. << Steve cosa sta succedendo? >>
Io cercai di calmarmi, ma il cuore mi batteva a mille all’ora.
Balzai giù dal letto, incapace di star fermo, ed iniziai a misurare la stanza a grandi passi, sotto lo sguardo preoccupato di Grover.
<< Ho fatto un sogno … >> iniziai affannato, << ma non era proprio un sogno … io so che ciò che ho visto stava accadendo davvero, capisci? O magari è già accaduto e non ne sapevamo niente! >> deglutii a fatica. << Ho avuto una visione, Grover! >>
Lui sussultò.
<< Cos’hai visto? >> chiese subito.
<< C’erano Ade e … e una dea … loro … lei è uscita da una specie di timbro … no, no, no! Non timbro, da un sigillo, ecco! Mio padre, Poseidone ed Ade l’avevano rinchiusa lì dopo la Guerra di Troia, perché era stato per colpa sua se era scoppiata, ma adesso Ade l’ha liberata e vogliono rapire tutti gli dei! Li vogliono uccidere per diventare i padroni dell’Olimpo! >>
Avevo urlato per tutto il tempo, a squarciagola, come se stessi parlando a Grover dal Connecticut, e lui era rimasto zitto ad ascoltare, ansante e con gli occhi fuori dalle orbite. 
<< Steve >> boccheggiò in preda al panico, << Steve, tu hai visto Eris ed Ade allearsi! >> disse. Sembrava sconvolto quasi quanto me. << Corri, dobbiamo dirlo a Chirone! >>
E, detto questo, nonostante fossimo entrambi alquanto … ehm … svestiti, mi afferrò per un braccio e mi trascinò fuori dal mio alloggio, dove avevamo deciso di stare insieme in modo che il mio Custode potesse avermi sempre sotto controllo; e mai decisione si rivelò più azzeccata!
Insieme corremmo in mezzo al bosco silenzioso, illuminato fiocamente dalle prime luci dell’alba, e ci facemmo strada per il Campo, deserto a quell’ora così impensabile, senza incontrare anima viva.
L’alloggio di Chirone era poco oltre il padiglione della mensa e, non appena lo raggiungemmo, io e Grover ci mettemmo a bussare alla porticina di legno così forte che avremmo potuto sfondarla a suon di pugni, se il padrone di casa non fosse giunto ad aprirci, assonnato e con la coda scarmigliata.
<< Steve! Grover! >> esclamò guardando prima me, poi lui. << Che cosa succede? >>
Io ed il satiro ci fiondammo dentro senza neppure aspettare un invito, praticamente travolgendo Chirone, e incominciammo a parlare tutti e due all’unisono, strillando come arpie con la raucedine.
<< Ade ha risvegliato una pazza con le unghie rosse … >>
<< … vogliono distruggere gli dei dell’Olimpo … >>
<< … stava crollando tutto, ma ad un certo punto Ade ha fatto fermare il terremoto … >>
<< … sono certo che è successo davvero … >>
<< … stavano pomiciando! >>
<< SILENZIO! >> urlò Chirone.
Grover ed io ci zittimmo all’istante.
<< Adesso mi farete la cortesia di parlare uno per volta e di smetterla di sbraitare, dato che sono le quattro del mattino! >> ci ammonì il centauro severamente. << Steve, comincia tu >>.
Io gli raccontai per filo e per segno della mia visione, di ciò che avevo visto e sentito, del Sigillo Maledetto, di Eris e del terribile piano di Ade.
Quando terminai di parlare, Chirone restò in silenzio per un istante che parve interminabile, dopodiché disse l’ultima cosa che mi sarei mai aspettato al mondo:
<< Molto bene >>.
Io e Grover rimanemmo di stucco.
<< Perdonami, Chirone >> iniziò quest’ultimo, << forse hai sonno e sei ancora mezzo rincitrullito, ma non penso tu ti sia reso conto della gravità … >> ma il centauro lo interruppe.
<< Ti sbagli, Grover >> disse con calma, << sono perfettamente conscio che ciò che ha visto Steve sia terribilmente grave, ma per il suo bene entrambi dovrete fare finta di niente >>.
Ecco che c’eravamo di nuovo: per Chirone la soluzione più adatta ad ogni problema sembrava essere quella che mia mamma chiamava “la tattica dello struzzo”, ossia quella di nascondere la testa sotto la sabbia nei momenti di difficoltà.
<< Ma, Chirone! Potrebbe scoppiare il putiferio da un momento all’altro! >> sbottai fuori di me. << Noi dobbiamo intervenire immediatamente, o l’Olimpo verrà distrutto, capisci? Gli dei verranno uccisi tutti! >>
Chirone lasciò che mi sfogassi e dessi fiato ai polmoni quanto volevo; quando, alla fine, smisi di strepitare come una scimmia urlatrice, lui parlò.
<< E’ mia intenzione partire immediatamente alla volta dell’Olimpo per chiedere udienza a tuo padre Zeus >> mi disse. << Per il tuo bene, e per quello di tutto il Campo Mezzosangue, ti dico di tenere segreta la tua visione, Steve. Se siamo fortunati, Ade non si è ancora accorto che tu l’hai visto e dobbiamo sfruttare la sua ignoranza a nostro vantaggio, finché possiamo >> iniziò ad aggirarsi per il suo alloggio, raccogliendo tutte le cose utili che gli passavano sotto tiro: alla fine, si vestì in giacca e cravatta e recuperò la sua carrozzella, sulla quale si sedette nascondendo la parte da cavallo, e tornando ad assumere la forma del professor Brunner che io avevo conosciuto.
<< E’ perfettamente inutile dirvi di restare assolutamente entro i confini del Campo, dato che mi pare una cosa piuttosto ovvia da parte vostra >> ci ammonì. << Promettetemi che baderete a voi stessi, mentre sarò via, e che non farete nulla di avventato >>.
<< D’accordo, Chirone >> acconsentì Grover, ma io rimasi zitto.
Il centauro mi lanciò una di quelle sue occhiate penetranti che riuscivano a metterti sottosopra peggio di una scatoletta di fagioli avariata.
<< Va bene >> mugugnai alla fine, di pessimo umore.
Chirone annuì, soddisfatto, e si avviò fuori dal suo alloggio spingendo la sedia a rotelle.
<< Non mancherò per molto >> ci assicurò, << mentre sarò via, sarà il signor D a badare a voi >> a quelle parole, Grover ebbe un fremito e Chirone disse: << Tu hai già avuto modo di conoscerlo, vero, Grover? >>
<< S-sì, signore >> balbettò lui.
<< Ora, ai ragazzi che vi faranno alcun genere di domanda … voi non dite nulla. Non rispondete. Scappate via a gambe levate, piuttosto di lasciarvi sfuggire qualsiasi cosa riguardo a questa faccenda, intesi? >>
<< Sì >> assicurammo all’unisono.
<< Ma, Chirone >> gli feci notare io, << gli altri ragazzi potrebbero insospettirsi, vedendo che non ci sei! >>
<< Farò in modo che la voce che sono andato sull’Olimpo per organizzare la prossima gita del Campo circoli in giro >> disse. << Voi non sapete niente, non avete visto niente e stamattina vi siete svegliati terribilmente tardi >> ci indicò la porta. << Andate, svelti!  E fate in modo che non vi veda nessuno! >>
Ci cacciò fuori dal suo alloggio e noi ripercorremmo la strada verso la mia casa a ritroso, mentre lui si inerpicava giù per la collina in carrozzella, verso il suo autista Argo, che lo attendeva vicino all’uscita del campo.
Chirone gli sussurrò qualcosa concitatamente, dopodiché quello corse a preparare la macchina e, in un attimo, sgommarono alla volta dell’Empire State Building, in cima al quale stava l’Olimpo.
Ma per quanto, ancora? Se Ade ed Eris fossero riusciti nel loro intento sarebbe scomparso tutto e che fine avremmo fatto noi del Campo?
Mi costrinsi a non pensarci, ma rimettersi a letto, e soprattutto restarci, dopo tutta quell’adrenalina non fu affatto una passeggiata.
Neanche Grover riusciva a riprendere sonno, così restammo fino alle nove e mezza del mattino a fare congetture strampalate su ciò che era capitato, inventandoci le teorie più assurde; alla fine, però, non reggemmo più e decidemmo di scendere per fare colazione.
Neppure quello fu facile: camminare in mezzo agli altri ragazzi facendo finta di niente fu praticamente una tortura. Sentivo le budella attorcigliarsi ad ogni mio passo, e ad ogni istante che passava avevo paura che potesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa. Era come avere una bomba ad orologeria innescata nelle mutande: sapevo che sarebbe esplosa, ma non sapevo quando.
Grover ed io prendemmo posto al tavolo di Zeus, che era già apparecchiato di tutto punto, e nessuno, nell’allegra confusione della colazione, fece caso a noi.
Sporgendosi verso di me con la scusa di passarmi la marmellata, il satiro chiese:
<< Secondo te, perché pensi che hai avuto questa visione? >>
<< Non ne ho idea >> sussurrai io in risposta, << ma forse potrebbe avere qualcosa a che fare col fatto che ho reso omaggio all’altare di Ade, ieri >>.
Grover sgranò gli occhi e lasciò cadere il cucchiaio a terra, che emise un tintinnio molto teatrale.
<< Cosa? >> gracchiò. << Che cosa hai fatto? >>
Io mi sorpresi di quella reazione; il giorno prima, quando ero andato al simulacro di Ade, non mi era sembrata un’idea poi tanto malvagia e non credevo che avesse potuto avere alcuna ripercussione.
<< Perché l’hai fatto? >> insisté Grover.
<< Pensavo che, se avesse capito che io non sono come mio padre, avrebbe lasciato andare mia madre >> rivelai, << credevo che così facendo sarebbe stato più semplice trovare un modo civile per risolvere la situazione … >> balbettai, sentendomi improvvisamente un idiota.
Grover si passò una mano sul volto, frustrato e nervoso, e domandò: << E cos’hai fatto, esattamente, per “rendergli omaggio” >> fece le virgolette con le dita in modo parecchio acido.
<< Ho tolto qualche erbaccia dalla sua statua >> risposi io scrollando le spalle, << cioè, non mi sembra poi … >> stavo per dire che non mi sembrava poi così grave, ma Grover mi interruppe con un urlo furioso che fece zittire tutta la mensa.
<< TU HAI FATTO COSA? >> ululò, balzando in piedi con tanta veemenza che per poco non ribaltò la sedia.
Non volava una mosca: gli occhi di tutti erano puntati su di noi.
Una palla di sterpi rotolò in lontananza, stile film western.
Grover, ansimante, si guardò attorno, rendendosi conto di avere usato un tono di voce davvero troppo alto e così, fingendosi piacevolmente sorpreso, disse: << Wow! Davvero hai comprato quel videogioco fichissimo, Steve? >> ridacchiò nervosamente. << Non vedo l’ora di provarlo! >> e si risedette, sprofondando con la faccia nella sua colazione.
Ci fu ancora un istante di silenzio, in cui tutti probabilmente pensarono che Grover fosse impazzito, dopodiché i semidei riattaccarono a parlare come se nulla fosse.
Quando fu sicuro che nessuno ci stesse più ascoltando, Grover abbandonò il suo pane integrale con burro di arachidi e sibilò concitato, sputacchiando saliva dappertutto:
<< Steve, non hai idea di quello che hai fatto! Quelle piante servivano per bloccare l’influenza di Ade all’interno del Campo! Come diavolo hai fatto a distruggerle? Provenivano direttamente dal Giardino delle Esperidi! >>
Io mi sentii mancare e, se non avessi avuto la sedia sotto il sedere, probabilmente sarei crollato a terra come un sacco di patate.
<< Col mio frammento di Folgore Olimpica >> gemetti.
Grover si diede una manata sulla fronte.
<< Ascolta >> mi disse, << ora io recupero qualche satiro discreto ed un paio di ninfe, d’accordo? Tu va’ in giro e procurati qualche libro sulle piante magiche, ci incontriamo all’altare di Ade tra un’ora! >>
Fece per alzarsi, ma io lo bloccai afferrandolo per un braccio.
<< Aspetta! >> esclamai. << Che cosa sta succedendo, Grover? Che significa che quelle piante bloccavano l’influenza di Ade? >>
<< Vuol dire che grazie a loro, Ade non poteva avere contatti con nessuno qui dentro >> spiegò lui, << che ad ogni sua influenza mortale era precluso l’accesso al Campo Mezzosangue. Ma adesso, nel caso in cui se ne rendesse conto, potrebbe perfino provare ad inviarci qualche mostro >>.
Deglutii a fatica: l’avevo combinata grossa.
<< Dici che avrei dovuto dirlo a Chirone? >> chiesi agitato.
Grover scosse il capo.
<< Oh, no >> rispose, << ti avrebbe ucciso, poi fatto a pezzettini e gettato le tue ceneri nel tartaro >> e, detto questo, zampettò via a massima velocità.
<< Ricorda, Steve! >> mi urlò, picchiettando con l’indice sull’orologio che aveva al polso. << Tra un’ora! >>
E sparì veloce nel bosco.
Io rimasi impietrito al mio tavolo: mi sentivo come se i figli di Ares avessero giocato a palla prigioniera con il mio intestino tenue. Ma perché nessuno mi aveva avvertito? Perché mio padre non mi aveva strillato nelle orecchie di non farlo?
Andiamo, lui era Zeus! Si sarebbe anche potuto degnare di darmi una piccola dritta, dopo tutto quel rituale che gli avevo fatto.
Qualcosa del tipo: << Ehi, figliolo: non pulire l’altare di tuo zio, o vi accopperà tutti! Stai in gamba, eh! >>
Mi passai una mano tra i capelli, senza avere idea di cosa fare: dove avrei potuto procurarmi un libro sulle piante magiche?
Poi, all’improvviso, mi venne in mente un’idea.
Lanciai uno sguardo verso il tavolo dei figli di Atena; scorsi molti occhi grigi, ma non quelli di Annabeth.
Lei non c’era: probabilmente si era svegliata presto, aveva già fatto colazione e adesso era da qualche parte ad allenarsi in vista della prossima Caccia.
Mi alzai dal mio tavolo ed abbandonai il padiglione della mensa, ignorando Clarisse che gridò qualche insulto al mio passaggio, diretto all’arena di tiro con l’arco.
Annabeth non era nemmeno lì e, per cercarla, rischiai pure di beccarmi una freccia in mezzo agli occhi.
Allora corsi a perdifiato, fino all’arena di lancio del giavellotto, poi a quella di salto con l’asta ed infine a quella di scherma, che era la più distante.
Lei era lì e combatteva come un’amazzone, i lunghi capelli scuri mossi dal vento, tenendo testa a quattro avversari contemporaneamente.
A guardarla così, mi sembrava impossibile che io, proprio io, fossi riuscito a batterla. Non poteva essere successo sul serio.
Mi riscossi dall’annebbiamento in cui il mio cervello precipitava ogni volta che posavo gli occhi su Annabeth, e corsi giù verso il centro dell’arena, saltellando da un sedile di pietra all’altro in un modo che avrebbe fatto invidia a Grover.
<< Annabeth! >> la chiamai a gran voce. << ANNABETH! >>
Lei si distrasse per un attimo e si voltò verso di me con aria sorpresa, così uno dei suoi avversari tentò di sfruttare quel momento per attaccarla a tradimento; ma Annabeth schivò la sua stoccata senza il minimo sforzo, lo disarmò con una complicata torsione del polso e lo mandò a gambe all’aria con un calcio nel petto. Quello finì addosso agli altri avversari e fece strike, facendoli schiantare tutti a terra.
Annabeth piantò con rabbia la spada a terra, come un obelisco, e si voltò per fronteggiarmi, furibonda.
<< Non te l’ha mai detto nessuno di non urlare il nome di qualcuno mentre sta duellando con la spada? >> mi chiese bruscamente, gli occhi grigi che mandavano bagliori bellicosi, piantandomi un indice nel petto.
Io arretrai di un passo e alzai le mani in segno di resa.
<< No, in effetti no >> risposi. << Senti, Annabeth: lo so che sono una frana e non ne faccio mai una giusta, ma è successa una cosa gravissima e tu sei l’unica persona che può aiutarmi! >> dissi concitato.
La rabbia parve defluire dal volto di Annabeth, che mi fissò con la fronte aggrottata, all’erta.
<< Che cosa vuoi dire? >> domandò sospettosa.
Io la presi per un braccio (lo ammetto, sfruttai quella situazione a mio vantaggio … ma ehi! Quante altre volte nella vita mi sarebbe potuto capitare di sfiorarla senza rischiare di finire con una mano mozzata?) e la trascinai lontano dall’arena; mentre camminavamo a passo svelto le spiegai delle piante magiche che avevo distrutto, convinto di ingraziarmi Ade, ma non le dissi nulla riguardo al sogno.
<< CHE COSA HAI FATTO?! >> mi urlò in un orecchio, divincolandosi dalla mia presa. Aveva avuto esattamente la stessa reazione di Grover ed io mi sentii un verme.
<< Ehi, lo so che è stato stupido, ma … >> iniziai.
<< E’ stato stupido? >> ripeté lei mettendosi le mani sui fianchi, sarcastica. << Sai cosa significa “eufemismo”, Johnson? >> mi chiese. Io annuii, sentendomi sperduto come un bimbetto delle elementari che viene sgridato dalla sua maestra preferita. << Be’ >> proruppe Annabeth, << questo è un eufemismo! Ciò che hai fatto non è stato solo stupido, è stato semplicemente DA IDIOTI SENZA CERVELLO! Ti rendi conto che potresti farci ammazzare tutti quanti? Che cosa ti è passato per la testa, perché non ci hai parlato di questa tua brillante idea, avremmo potuto … >>
<< Be’, sai com’è >> la interruppi io, << ve la siete data tutti quanti a gambe senza degnarvi nemmeno di spiegarmi il motivo! >> esclamai arrabbiato. << Tu sei stata la prima! Se fossi rimasta, avresti potuto … >> stavolta fu lei ad interrompermi.
<< Non dirmi cosa avrei o non avrei dovuto fare! >> gridò rabbiosamente, rossa in volto. << Tu non mi conosci, hai capito, Steve? Non sai niente di me! Niente! >> scandì bene le lettere come se avesse a che fare con un povero mentecatto.
Be’, forse lo ero. Anzi, no: lo ero di sicuro.
Restammo lì, ansanti ed arrabbiati, uno di fronte all’altra per un tempo indefinito; con i pugni serrati e gli sguardi caparbiamente puntati in due direzioni diverse.
Fui io a parlare per primo.
<< Mi dispiace >> dissi in fretta, ma sinceramente.
Annabeth alzò lo sguardo ed i nostri occhi s’incontrarono.
<< Sono stato un deficiente >> mugugnai.
Lei annuì.
<< Lo penso anch’io >> disse, << ma non c’è tempo da perdere. Hai fatto bene a chiedere a me: ho un mucchio di libri utili nel mio alloggio >> ed iniziò a farmi strada verso la parte del campo dove si trovavano gli alloggi dei figli di Atena. << Seguimi! >> ordinò.
Dopo aver attraversato il Campo di corsa, giungemmo in vista di una serie di casette proprio nei pressi del poligono di lancio del giavellotto; la casa più grande, che si trovava al centro di tutte le altre, era quella di Annabeth, che era la capogruppo.
Aprì la porta ed entrammo dentro; mi ci volle qualche secondo per abituarmi all’oscurità, ma una volta che i miei occhi furono in grado di vedere, mi parve di essere finito dentro una biblioteca.
Le pareti erano letteralmente tappezzate di scaffali carichi di libri di ogni foggia e dimensione, alcuni grandi e dall’aria polverosa, altri più simili a manuali moderni, tipo “Come dimagrire in dieci mosse” o, “Diventa un leader nato e afferma la tua personalità”. Pensavo che, a causa della mia dislessia, non sarei stato capace di decifrare i titoli che spiccavano sui dorsi dei volumi e invece le lettere non si mossero quando vi posai sopra lo sguardo, perché erano tutte in greco antico o latino.
Rimasi sbalordito, mentre Annabeth si muoveva senza esitazione tra tutti quei tomi.
<< Piante magiche, hai detto? >> mi chiese. Era una domanda retorica, perché un istante dopo si arrampicò su uno degli scaffali e prese un grosso libro di giardinaggio Olimpico scritto in latino.
<< Andiamo >> ordinò, marciando impettita fuori dal suo alloggio col libro tra le braccia.
Io mi affrettai a seguirla, colpito.
Attraversammo la foresta di buona lena, affrettandoci verso la collina Nord, e per tutto il tragitto il mio stomaco non fece che brontolare, sia per l’ansia, ma anche per il fatto di trovarmi da solo con Annabeth.
Lo ammetto: non era affatto un buon momento per essere stucchevoli e lei non era di certo una ragazza sdolcinata, eppure non potevo fare a meno di lanciarle qualche sguardo, di tanto in tanto, mentre procedevamo fianco a fianco nella fitta vegetazione.
Giungemmo alla collina Nord mezz’ora dopo; normalmente sarei stato stanco morto, ma ero talmente spaventato che, nonostante avessi i piedi che pulsavano furiosamente, non me ne diedi pena e mi scapicollai insieme ad Annabeth verso l’altare di Ade, aggirando alla svelta quello di mio padre.
Lì, ad attenderci, trovai Grover, insieme ad un gruppetto di satiri che non conoscevo, ad un paio di ninfe dall’aria nervosa  … e a Silfide.
<< Che ci fa lei qui? >> esclamammo all’unisono; io rivolto a Silfide, lui rivolto ad Annabeth.
<< Annabeth ha un libro sul giardinaggio Olimpico >> spiegai io.
<< Silfide ha dei semi di edera del Giardino delle Esperidi >> disse lui.
<< … e tu l’hai combinata grossa! >> esclamò una delle ninfe, accennando a me con aria severa. << Prima ci sbrighiamo, meglio sarà! >>
<< D’accordo >> disse Annabeth con decisione. << Silfide >> disse poi, << fammi vedere quei tuoi semi, devo confrontarli con le immagini del mio libro >>.
Silfide si frugò nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori un sacchettino di tela dall’aria molto rubata; non mi veniva in mente nessun luogo, al Campo, dove poter trovare i semi di una pianta del genere … chissà dove li aveva sgraffignati?
<< Eccoli qui, capo >> fece Silfide, porgendole il sacchetto.
Annabeth lo apri e ne scrutò l’interno con aria critica; dopodiché iniziò a sfogliare velocemente le pagine del suo tomo in cerca di qualcosa.
<< Trovata >> annunciò alla fine, indicandoci il disegno di una pianta tutta attorcigliata attorno ad uno scrigno. << L’edera del Giardino delle Esperidi viene usata per bloccare sorgenti magiche ed incantesimi >> lesse svelta. << E questi sono i suoi semi >> picchiettò con la punta dell’indice su un’altra illustrazione, che raffigurava un piccolo bulbo di colore rosso acceso.
Silfide estrasse uno dei semi dal suo sacchetto e lo mise in controluce come per appurarne l’autenticità: era scarlatto come il sangue e pulsava leggermente, come un minuscolo cuore, in un modo che mi diede la nausea.
<< Pare proprio Edera Olimpica >> disse Silfide alla fine, porgendo ad uno dei satiri il piccolo seme. << Che cosa dice quel tuo librone? >> chiese ad Annabeth.
<< Qui dice che basta piantare i bulbi ai piedi di ciò che si desidera l’Edera ricopra ed ordinarle di crescere >> lesse lei, << ma solo uno spiritello della natura può farlo >>.
Grover indicò con il pollice le due ninfe.
<< Loro sono qui apposta >> dichiarò.
<< Svelti, allora, prima che ci veda qualcuno >> dissi io.
Ci mettemmo in ginocchio attorno al simulacro di Ade, tutti molto tesi, ed iniziammo a scavare a mani nude nella terra in modo da ottenere delle piccole buche in cui piantare i semi dell’Edera Olimpica.
Nonostante lavorare sentendosi lo sguardo mortifero della statua di Ade piantato sulla nuca non fosse esattamente rilassante, alla fine posizionammo i bulbi laddove avevamo scavato, poi riempimmo di nuovo le buche con la terra e Annabeth indicò le parole da recitare alle ninfe, che presero il libro ed iniziarono a cantare una sorta di nenia lugubre che a me parve più adatta per piangere la morte di un criceto, che non per far crescere delle piante.
Eppure, al suono della voce delle due creature, sottili tralci di Edera spuntarono dal suolo e si andarono ad attorcigliare attorno alla statua di Ade come serpentelli.
Più le ninfe cantavano, più i rami della pianta divennero spessi e famelici, ricoprendo in un batter d’occhio tutto il simulacro.
Quando il rito si concluse, l’altare di Ade aveva pressappoco lo stesso aspetto di prima che io mi dessi al giardinaggio e tutti emettemmo un sospiro di sollievo generale.
<< Be’ >> disse Grover, << se siamo fortunati nessuno se ne accorgerà >>.
<< Già >> assicurò uno dei suoi amici satiri, << ma, Steve: vedi di non fare mai più una cosa del genere, d’accordo? O andremo di filato a dirlo a Chirone >>.
<< D’accordo, ragazzi >> assicurai io, avvampando, << siete stati molto gentili ad aiutarci. Vi ringrazio >>.
Ma i satiri e le ninfe ci congedarono schioccando la lingua ed emettendo mugugni di disapprovazione, sparendo nel fitto della foresta senza neppure salutare.
Io mi massaggiai il collo, terribilmente a disagio.
<< Siamo sicuri che non andranno a spifferare tutto in giro? >> chiese Silfide a Grover.
<< Non preoccuparti >> le assicurò lui, crollando a sedere per terra, esausto. << Mi fido di loro, non diranno niente a nessuno >>.
A quelle parole anche io, Silfide ed Annabeth, stanchi ma sollevati, ci mettemmo seduti accanto a Grover con le spalle appoggiate al simulacro di Ade (ormai di nuovo imboscato a dovere).
<< Be’ >> dissi io, << almeno niente mostri, no? >>
<< Steve >> mi minacciò Silfide, lanciandomi uno sguardo omicida, << sta’ zitto, o giuro che ti uso per affilare la spada >>.
Se solo avessi saputo quanto mi sbagliavo ...  

  
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