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Autore: ShopaHolic    13/03/2011    3 recensioni
Estate 2009. Dopo quattro anni dall’uscita di American Idiot, i Green Day sono tornati con un nuovo album, e il tour è finalmente alle porte. Ma se le cose non andassero esattamente come erano state previste? Se un improvviso imprevisto li costringesse a rimandare la partenza, e la cosa avesse ripercussioni serie sull'animo di Billie Joe Armstrong? E se fosse l'incontro fortuito con una curiosa ragazza dal nome evocativo e dal passato misterioso, totalmente estranea al suo mondo, a portare scompiglio nella vita di tutti?
Dal capitolo 20:
«Mi rendo perfettamente conto che è sbagliato, e che è un errore essere qui adesso. Ed è anche rischioso, considerando l’accanimento mediatico che c’è su di te ultimamente, ma ci sono persone che si sono sacrificate tanto, per me, affinché io fossi felice, e pur sapendo che queste persone non approverebbero mai quello che sto facendo, io sento che è quello che voglio. Io voglio sentirmi viva e felice. E non so per quanto durerà tutto questo, ma io mi sento così, adesso, e se anche dovesse finire tutto nel giro di cinque minuti, io sarò lo stesso contenta di averlo vissuto.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Oceani di parole e pensieri che sanno di sale

 
Quando finalmente Gloria riuscì a prendere sonno, un’orgia di pensieri e ricordi e parole mai dette le ronzavano ancora nel cervello come centinaia di tarli messi lì a rosicchiare e scavare nella sua materia grigia, graffiando con forza quegli anfratti della sua mente in cui il pensiero di quella verità che le era stata nascosta le faceva stringere i denti dal dolore e desiderare di non essere mai nata.
Persa nell’incoscienza dell’essersi addormentata, un incubo terrificante la trascinò via dal suo letto per condurla in uno spazio spaventoso, immensamente grande, dove pieno e vuoto si mescolavano, dove i suoi occhi non vedevano altro che cielo e mare, e anch’essi parevano mescolarsi e unirsi in quella linea scura e sottile che lì divideva laggiù, lontana, troppo lontana, irraggiungibile.
L’oceano immenso era scuro e gelido, le inzuppava il vestito rendendolo improvvisamente stretto, e il suo peso le premeva forte sul petto rendendole difficile respirare. Le correnti marine le avvolgevano le gambe nude come un alito ghiacciato; il cielo grigio che gravava sopra di lei annunciava una tempesta imminente.
Il tempo di battere le ciglia e improvvisamente una, due, tre gocce le caddero sul viso, un ticchettio insistente si alzò intorno a lei; piccole gocce di pioggia sfidavano un oceano.
Gloria alzò lo sguardo, i suoi occhi erano quelli di un gattino spaurito mentre osservava caderle addosso quei minuscoli pezzi di cielo; i capelli erano diventati un lenzuolo scuro lungo il collo e la schiena, sudore e lacrime si confondevano, sul suo viso, con la pioggia. Non capiva né dove diavolo si trovasse né come vi fosse giunta, ma sentiva di non poter restare lì un secondo di più. C’era qualcosa, in quel posto, di tremendamente inquietante, spaventoso, come avere la consapevolezza di essere osservata, di essere studiata con attenzione in ogni sua singola mossa, di essere minuscola e indifesa come un insetto in un contenitore pieno d’acqua tra le mani di un ragazzino che si diverte a vedere affogare la creatura.
«C’è qualcuno che mi sente?» tentò di gridare con tutte le forze che aveva, ma un lamento soffocato fu l’unico suono che uscì dalle sue labbra. I suoi pensieri gridavano parole che non riusciva a pronunciare, un nodo alla gola impediva loro di uscire, le ricacciava dentro tutte quante, inesorabile, potente.
Si accorse con orrore che, allo stesso modo in cui le parole non riuscivano più a uscire fuori, anche l’aria iniziava ad arrivare ai suoi polmoni in quantità via via sempre minori, sempre più rarefatta, come se in quei pochi secondi che aveva trascorso in quel luogo avesse respirato e esaurito tutte le riserve d’aria disponibili. Come un pesce fuori dall’acqua boccheggiò disperatamente nel tentativo di ritrovare il respiro, di catturare ogni singola molecola di ossigeno che ancora fosse presente nell’atmosfera. Stava soffocando, ma quel sottilissimo filo d’aria che riuscì a respirare, apparentemente l’ultimo rimasto, sembrava non essere sufficiente a riempirle i polmoni.
Solo distrattamente avvertì un guizzo improvviso muoversi tra le gambe, e subito qualcosa di inconsistente, eppure dalla stretta così salda da risultare quasi dolorosa, la afferrò per le caviglie, trascinandola con forza sotto il pelo dell’acqua e poi via, sempre più giù.
Il grido che riuscì a cacciare fuori un istante prima di finire sott’acqua fu qualcosa di straziante, che risuonò nel vuoto con un’eco mostruosa, lacerante, terribile. Fu come essere trafitta da decine di lame gelate, i muscoli le si irrigidivano man mano mentre cercava con tutta se stessa di liberarsi da quelle mani invisibili che la tenevano stretta. Sentiva l’acqua arrivarle fin dentro i polmoni, il sale le ustionava la gola, gli occhi bruciavano di dolore. Attorno a sé non riusciva a vedere altro che macchie, macchie colorate dai contorni indistinti che si confondevano tra loro fino a sembrare di un solo, unico colore che Gloria non avrebbe saputo descrivere.
L’acqua era diventata densa e viscosa come olio, le sue braccia si muovevano appesantite dentro quel liquido appiccicoso e gelido, le gambe erano intrappolate in una morsa intangibile, immateriale, che  non accennava a lasciarla, che la faceva urlare e bere e tossire e poi bere ancora, in un circolo vizioso che sembrava non lasciarle scampo.
Un fischio indistinto le fece male alle orecchie, le penetrò la testa dritto fino al cervello, provocandole un improvviso e fortissimo dolore alle tempie.
Confusamente riuscì a cogliere una voce, due voci, tre voci, e poi ancora un’altra e un’altra e un’altra ancora, come se centinaia e centinaia di entità invisibili, disciolte nell’acqua come cristalli di sale, si fossero manifestate tutte allo stesso istante, contemporaneamente, emettendo suoni confusi, rumori farraginosi di parole incomprensibili. Le sentiva nelle orecchie, quelle voci, come se tutte quante provenissero dal suo interno, e gridavano, gridavano, gridavano forte. Era un bisbigliare continuo, assordante, un’accozzaglia di voci diverse, di parole sussurrate, gridate, singhiozzate. Avrebbe voluto essere in grado di ignorarle, Gloria, avrebbe voluto fingere che fossero solo frutto della sua immaginazione, un rimbombo cupo nel cervello dovuto all’acqua che le era entrata nelle orecchie, ma quelle voci gridavano troppo forte per far finta di niente, le sentiva, stavano parlando con lei, stavano cercando di dirle qualcosa. Non capiva cosa con esattezza, ma sapeva che, di qualsiasi cosa si trattasse, quel qualcosa avrebbe potuto farla tornare in superficie a respirare o farla annegare definitivamente.
«Cosa dite?» tentò di gridare riempiendosi la bocca d’acqua. Ingoiò e tossì e sentì la lingua pizzicarle come non mai, un bruciore che partiva dalla gola e le arrivava fin dentro il naso, facendole provare il desiderio di starnutire.
«Cosa diteeeee?» urlò di nuovo, con più forza. E urlò ancora e ancora, con le mani intorno alla gola che, se avessero potuto, avrebbero strappato via la pelle del collo per massaggiare e lenire la laringe, che sentiva ora come in fiamme, ogni istante più intensamente.
Poi una voce sommessa, una sola, singhiozzante, le riempì le orecchie.
E la chiamò per nome.
«Gloria.»
Lei dilatò le pupille, mille gocce acuminate le ferirono gli occhi.
«Gloria, aiutami, non riesco a capire.»
Era reale, la sentiva, era la voce di una bambina, ed era lì, era lì vicino.
«Che succede adesso? Ti prego, Gloria, ho paura...» un singhiozzo, poi un altro, un altro e un altro ancora. «Ho paura.»
Gloria cercò di dimenarsi, di guardarsi intorno: cercava quella ragazzina, forse anche lei era stata risucchiata fin laggiù, ma i suoi occhi non vedevano altro che ombre.
Ho paura anch’io... pensò mentre il pianto, il lamento di quella creatura strillava ancora così forte nelle sue orecchie.
«Taci, ragazzina!»
Un’altra voce si manifestò improvvisamente, potente, arrabbiata, aggressiva, severa, dura, facendola trasalire.
«Smettila di piangere, non serve a niente, adesso. Sei tu che l’hai voluto, sei tu che hai insistito, maledetta, tu! Cosa credevi, di essere grande abbastanza per sopportare tutto questo? Ti avevano avvertito: avresti dovuto farti gli affaracci tuoi. Sei solo una stupida ragazzina, ecco cosa sei. Perché devo portarlo io, adesso, questo fardello? Eh?»
La bambina riprese a singhiozzare, Gloria tremò di paura.
Quella voce non stava parlando alla piccola, si stava rivolgendo a lei, stava dando a lei la colpa, la stava accusando.
Ma perché le stava dicendo questo? Chi era quella donna? Perché era così dura con lei?
E chi era quella bambina? Cosa ci facevano lì sotto?
Cosa ci faceva lei, lì sotto?
«Non ti preoccupare, Gloria, non la ascoltare. Ce la farai.» parlò improvvisamente una terza entità. Quest’ultima aveva una voce solidale, amichevole. «Io lo so che ce la farai, ci sono io qui con te. La supereremo insieme
«La supereremo.» Un’esortazione, un aiuto, una mano tesa verso di lei.
«Piantala di dire stronzate» la rimproverò la voce di prima. «Non ce la farai mai. Hai voluto volare troppo in alto, piccola idiota, ma sei caduta. Game over, Gloria. Te la sei cercata: non riuscirai ad uscirne.»
La bambina ricominciò a disperarsi.
Gloria era esausta, aveva freddo, violenti spasmi le attraversavano il corpo, i polmoni cercavano aria, da troppo tempo aveva smesso di respirare. Inconsciamente si domandò perché ancora non fosse morta, perché continuasse ad essere ancora così terribilmente cosciente di quello che stava succedendo attorno e dentro di lei.
«Devi salvarti, Gloria, devi andare via da qui. Non ti arrendere, ti prego.»
«Non pensarci nemmeno, ragazzina, tu non ti muovi da qui. Sarà tutto finito, tra poco, e questo peso sparirà per sempre, una volta per tutte.»
Non riusciva a capire, era confusa, Gloria: quelle voci parlavano tra di loro ma, nello stesso tempo, sembrava che si stessero rivolgendo a lei, proprio a lei: una le chiedeva aiuto, un’altra cercava di farla cedere, un’altra ancora la esortava a resistere. Parlavano, parlavano, parlavano senza sosta, ognuna cercava di imporsi e di sovrastare l’altra, tranne la bambina, che continuava a singhiozzare e a piangere disperatamente.
«Dov’è la mia mamma? Gloria, ho paura. Dov’è Eva? Voglio Eva...»
«Gloria, smettila di frignare, accidenti: è tutta tua la colpa. Smettila!»
«Non le dare retta, Gloria, non aver paura. Ci sono io...»
«Eva...»
La ragazza avvertì una stretta al cuore, la sensazione di cadere nel vuoto, di sgretolarsi all’istante.
Non l’aveva capito.
Non l’aveva ancora capito.
Per un attimo, un attimo solo, aveva avuto la sensazione -la speranza- di avere qualcuno, lì sotto, a cui aggrapparsi per capire cosa fare, ma nell’udire quella bambina singhiozzare il nome di sua sorella, una triste consapevolezza l’aveva colpita improvvisamente: era sola, in quel posto infernale, non c’era nessuno lì con lei che potesse aiutarla. Nonostante tutte quelle voci che le urlavano nelle orecchie, non c’era nessun altro su cui potesse contare, non c’era nessuno che piangeva, nessuno che fosse arrabbiato con lei, nessuno che le desse aiuto. Doveva aggrapparsi all’unica cosa che avesse lì sotto, se stessa, affidarsi alle sue sole forze, perché quelle voci che sentiva facevano tutte parte di lei, quelle voce erano parte di lei, era da lei che provenivano, dalla sua più profonda interiorità. Le sentiva come tanti piccoli riflessi di se stessa, come essersi improvvisamente scissa in più parti, in tanti minuscoli pezzettini, ognuno dei quali possedeva un frammento di lei, della sua persona. Ecco cos’erano tutte quelle voci: erano uno specchio, lo specchio della sua anima, la manifestazione più grande e concreta di tutto ciò che aveva dentro.
La ragazzina che piangeva era la Gloria fragile, obbediente, remissiva. Era la Gloria bambina, la Gloria dei primi anni a Berkeley, la Gloria che doveva essere cresciuta, che non riusciva a capire, che sentiva la mancanza di casa, che si sentiva protetta solo accanto a Eva.
Ma Gloria aveva molto di più dentro di sé: andando avanti con gli anni, alla bambina piccola e indifesa era subentrata l’adolescente problematica e scontrosa, improvvisamente disorientata in un mondo che non riusciva a inquadrare più con gli occhi meravigliati di una bambina, né ancora con quelli maturi di un’adulta. Era una Gloria difficile da gestire, quella: taciturna, solitaria, introversa, spesso scontrosa, costantemente in bilico tra quiete e tempesta.
La parte più matura e adulta di Gloria, invece, si manifestava nella terza voce. Era una Gloria tutta nuova, la più giovane che fosse entrata a far parte della sua personalità, era la Gloria che, non più schiava degli sconvolgimenti adolescenziali, aveva imparato ad apprezzare anche le più piccole cose che la vita aveva da offrirle, e che non aveva più intenzione di perdere nemmeno un altro attimo della sua esistenza a litigare con il mondo. Quella era la Gloria che la gente apprezzava, la Gloria forte, coraggiosa, combattiva. Era quella parte di sé che non si sarebbe mai arresa di fronte agli ostacoli, che l’avrebbe sempre sostenuta nei momenti difficili. Era la Gloria che tante volte le aveva impedito di cadere.
A chi avrebbe dovuto dare retta, dunque?
Sarebbe stato facile alzare le mani e aspettare che qualcuno venisse a salvarla ancora, lasciarsi proteggere, fidarsi di qualcun altro e lasciare che questi scegliesse per lei, ma altrettanto facile sarebbe stato mollare definitivamente la presa, arrendersi, lasciarsi morire una volta per tutte, darla vinta al mondo intero senza fregarsene minimamente, tanto non importa sapere chi ha vinto quando il prezzo da pagare è la morte. Avrebbe potuto cercare di salvarsi, stringere i denti e impegnarsi per uscire da lì, ma per ogni ragione che trovava per sopravvivere, se ne aggiungeva irrimediabilmente un’altra per rimanere lì ed annegare.
Qual era la cosa migliore da fare? Salvarsi e affrontare a denti stretti tutte le sofferenze che la vita le avrebbe messo davanti, o cadere nel sonno eterno e non sentire più nulla, perdere tutto, le cose brutte come quelle belle?
E mentre era lì, sola, sfiancata, sospesa tra il desiderio di vivere e quello di morire, le tre parti di lei continuavano a litigare tra loro, gridavano così forte che Gloria stessa faticava a trovare un briciolo di lucidità, sconvolta com’era dalle parole che quelle entità si rivolgevano tra loro e, allo stesso tempo, rivolgevano a lei stessa.
«Dove sei, Eva?»
«Esci subito da qui.»
«Ti farai solo del male, è questo che vuoi?»
«Pensa a tutto ciò che ti perderai.»
«Pensa a tutto ciò che dovrai sopportare.»
«Voglio la mia mamma, dov’è la mia mamma?»
«Piantala, accidenti, sta zitta!»
«Mamma...»
«Reagisci, Gloria. Reagisci!»
«Vi prego, basta...» un rantolo soffocato, una supplica, una preghiera.
Questa volta era stata lei a parlare. Ma le voci sembravano non starla a sentire: la bambina continuava a piangere sempre più spaventata, le altre due continuavano a discutere in un estremo tentativo di salvarla o schiacciarla. Non capiva più nemmeno cosa si stessero dicendo, le tre voci iniziarono a confondersi in un fischio acutissimo che le trapassò il cervello da parte a parte. Disperatamente si tappò forte le orecchie -il dolore era così forte e pungente che ebbe l’impressione di sanguinare- e gridò, gridò, gridò con tutta la forza che le rimaneva per zittire le voci.

A milioni di universi di distanza anche Gloria, la vera Gloria, stava male.
Rannicchiata stretta tra le lenzuola, sentiva l’aria mancarle dai polmoni, muoveva le gambe in maniera frenetica come un uomo sott’acqua che tenta disperatamente di tornare in superficie, una patina di sudore le imperlava la fronte. Il petto si alzava e riabbassava spasmodicamente in un respiro affannato, irregolare.
Si svegliò di soprassalto con gli occhi che bruciavano e la gola secca, sentendo ancora il sapore del sale tra i denti, il cuore che le batteva fortissimo nel petto, una grande sete di aria. Un improvviso senso di vuoto dilagò nel suo stomaco mentre, rimanendo immobile, seduta tra le lenzuola sfatte, a fissare le ombre della sua stanza senza vederle realmente, e respirando finalmente tutta l’aria che riusciva a catturare, rifletteva su quello che le era appena accaduto. Era salva, era uscita da quell’incubo, ma era stato davvero un bene, per lei? Uscendo fuori da quell’oceano si era veramente salvata? Affondò la testa nel cuscino e pianse, pianse in silenzio fino a che non si fece giorno.

[Continua]

Capitolo revisionato il 09-04-12

   
 
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