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Autore: Lisaralin    14/03/2011    2 recensioni
Breve storia di un'immaginaria Replica Numero 3 creata da Vexen dopo Xion e Repliku. La Terza Replica è determinata a portare a termine la missione affidatale dal suo creatore, per proteggere la persona che le ha dato la vita e colui che considera come un fratello, la Replica Numero 2. Ma la realtà non è ciò che sembra, e la Replica dovrà imparare a guardare il mondo attraverso i propri occhi e a ragionare con la propria testa... anche a costo di affrontare scelte difficili.
[scritta prima di KH3D]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Riku Replica / Repliku, Vexen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Chain of Memories
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Capitolo V



“Scusami Naminé. Sono un incapace. Non sono riuscito a sconfiggerlo”.
Uno degli infiniti corridoi bianchi del Castello, non ricordo più quale piano. Numero 2 sedeva sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro e la testa tra le mani. Il rumore dei miei passi gli fece sollevare lo sguardo verso di me, occhi arrossati dalla stanchezza e forse anche dal pianto.
Corsi da lui. Finalmente. Finalmente l’avevo trovato.
“Avrei dovuto proteggerti, e invece mi sono fatto battere per ben due volte…mi dispiace. So che ti aspettavi di più da me”.
“Va tutto bene” mi inginocchiai accanto a lui e strinsi le sue mani tra le mie. Chiusi gli occhi, assaporando il calore e la forza che quel semplice contatto mi trasmetteva.
“Non sai quanto mi sei mancato…” mormorai.
“Anche tu Naminé” si liberò delicatamente dalla mia stretta e passò le dita tra i miei capelli, accarezzandoli con dolcezza.
Sospirai di sollievo. Era ancora lui: sotto la tela di ricordi ingannevoli e falsi che Naminé aveva tessuto per imprigionarlo, Numero 2 era rimasto il ragazzo premuroso e gentile di sempre. Quei piccoli gesti lo dimostravano, anche se mi faceva male sapere che non erano diretti veramente a me.
“Vedrai che la prossima volta non ti deluderò. Darò a Sora la lezione che si merita”.
“Ne sono sicura” sorrisi e gli sfiorai la fronte con due dita, raccogliendo dentro di me l’energia per evocare il mio potere. Avrei squarciato la tela di menzogne di Naminé e ricucito la trama originale dei ricordi, così Numero 2 sarebbe tornato ad essere solo e soltanto mio fratello.
Immagini di luoghi e volti che non conoscevo presero forma intorno a noi mentre ancora una volta la mia coscienza si innalzava al di sopra di tutto. Il tempo si arrestò quando afferrai la catena dei ricordi, facendola scorrere tra le mie mani come un nastro colorato, in cerca del punto da recidere, dove i ricordi falsi erano stati innestati sui veri.
Non lo trovai.
La catena eterea serpeggiava attorno alle mie braccia e al mio corpo come una creatura viva, intrecciando le sue spire in mille nodi che sembravano sfidarmi a risolvere i loro inestricabili enigmi. Vedevo immagini di un’isola circondata da uno sterminato oceano azzurro, e Sora e Numero 2 –o Riku?- che incrociavano le spade di legno rincorrendosi tra la sabbia e le onde e ridendo come pazzi. E poi la notte nera solcata da scie di stelle cadenti, lucenti come una cascata di lacrime. Naminé spaventata, Numero 2 le cingeva le spalle con un braccio, protettivo. Lei tirava fuori da una tasca il portafortuna a forma di stella e glielo regalava.
Non c’era alcuna traccia di me, o del laboratorio, o di Vexen, o di tutti i momenti che avevamo trascorso insieme…
Eppure i ricordi non potevano essere distrutti….
All’improvviso scorsi come un guizzo luminoso nel caleidoscopio dei ricordi, un frammento di immagine che attirò la mia attenzione perché sembrava fuori posto rispetto alle altre che lo circondavano. Era Vexen, ne ero sicura: lo vidi per un attimo e poi scomparve, ricoperto da un fiume in piena di immagini sconosciute.
Allora ricordai quello che avevo fatto ad Axel, e mi sentii invadere dalla disperazione.
Ci sarebbero voluti secoli. Spezzare e confondere è istintivo e facile, ma rimettere i pezzi insieme, ricostruire…dovevo cercare i frammenti dei ricordi uno per uno e ricomporli come le tessere di un puzzle, con infinita pazienza e precisione meticolosa. E se ne avessi dimenticato anche uno soltanto, Numero 2 non sarebbe mai più tornato quello di un tempo. C’era addirittura il rischio di causare danni alla sua mente….
All’inizio non mi accorsi che le immagini stavano sbiadendo, che la catena dei ricordi scompariva pian piano, un anello dopo l’altro. Quando me ne resi conto era troppo tardi.
Avevo perso la concentrazione.
“Tu…COSA MI HAI FATTO?!”
Tornai alla realtà di colpo, boccheggiando come se troppa aria mi fosse entrata tutta insieme nei polmoni dopo aver rischiato di annegare. Mi ricordò la mia nascita, quando la capsula dove riposavo si era infranta…solo che allora c’erano due braccia premurose pronte a frenare la mia caduta, ansiose di sorreggermi. Ora quelle stesse braccia mi afferrarono furiose, stringendomi i polsi fino a farmi gridare dal dolore, e una mano mi colpì con forza, scaraventandomi a terra. Caddi distesa sul lucido pavimento bianco e mi ritrovai una lama puntata alla gola.
“Tu non sei Naminé. Chi ti ha mandato qui? Cosa stavi cercando di farmi?! Perché sei entrata nella mia mente?!”
Stordita cercai di sollevarmi su un gomito, ma la lama a forma di ala di pipistrello era a pochi centimetri dal mio collo, vibrante per la rabbia che scuoteva il corpo di Numero 2.
“E’ vero, io non sono Naminé…sono la sua replica. Tu mi conosci da molto più tempo di lei, anche se l’hai dimenticato! Da qualche parte, dentro di te, il mio ricordo esiste ancora…prova a concentrarti…”
“Non c’è posto per i fantocci tra i miei ricordi! Naminé è l’unica cosa che importa!”
La lama si avvicinò fino a sfiorarmi la gola e io mi appiattii ancora di più a terra, spaventata. In quel momento sentii qualcosa graffiarmi la pelle all’altezza del fianco sinistro e automaticamente portai una mano nella tasca del mio vestito, in corrispondenza di quel punto. Le mie dita si strinsero attorno a un piccolo oggetto metallico, tagliente e affilato.
“Non siamo fantocci! Siamo creature speciali! Io e te…ci ha creati Vexen, tu sei mio fratello, la replica Numero 2!”.
A quelle parole il viso di Numero 2 fu stravolto dalla furia. Con uno scatto sollevò il braccio e io vidi la lama scintillare ferocemente al di sopra della sua testa, pronta a calare su di me. Urlai di puro terrore.
“Io non sono un fantoccio! Il mio nome è Riku!!”
Il sibilo della lama che calava, il rumore orribile e raccapricciante di carne lacerata; e poi il sangue, una corolla rosso cremisi che sbocciava sul bianco immacolato del mio abito e del pavimento.
Non era mio. Colava dal fianco di Numero 2, lì dove il kunai che avevo scagliato in quell’attimo di disperazione si era conficcato fino all’impugnatura. Era la stessa arma che aveva distrutto la mia capsula, e che avevo tenuto con me fino a quel momento dimenticandomi del tutto della sua esistenza.
“Numero 2…”
Cercando di vincere la paura mi misi in ginocchio e cercai nelle altre tasche le pozioni che avevo rubato nel laboratorio prima di scappare. Numero 2 mi fissava con gli occhi sgranati per il dolore e lo stupore, una mano premuta sulla ferita e l’altra, inerte, che a stento reggeva ancora la spada.
“Numero 2 ti prego…mi dispiace…”
“Stammi lontana, strega” sibilò a denti stretti quando cercai di porgergli la pozione. Ansimava profondamente, ma dai suoi occhi si sprigionava uno sguardo di puro odio. Lentamente, sottili filamenti di oscurità iniziarono a serpeggiare attorno al suo corpo ferito, formando ben presto una massa nera che lo circondò del tutto. Un corridoio dell’oscurità.
“Aspetta!!”
Stavo per gettarmi nel portale dietro a lui, ma con le ultime forze Numero 2 riuscì a evocare una magia, un proiettile oscuro che mi colpì al petto mozzandomi il respiro e mandandomi a rotolare sul pavimento. Prima di perdere i sensi vidi il kunai, sporco di sangue, cadere tintinnando a terra accanto me; poi la figura di Numero 2 fu avvolta dall’oscurità e scomparve, e io caddi nelle tenebre dell’incoscienza.
 
 
 
Anche Numero 3 è fuggita.
Mi è rimasta una sola carta da giocare, in tutti i sensi. I ricordi dell’altra parte del cuore di Sora. Non dovrebbe essere troppo difficile estrarglieli durante un combattimento. Se nemmeno questo funziona, probabilmente non ci saranno altre annotazioni su questo diario.
Ma non smetterò di combattere, finché avrò anche una sola arma a disposizione. Adesso ho anche una ragione in più per farlo, e qualsiasi cosa accada non posso fermarmi.
 
Vexen
 
 
 
Un cerchio scuro nel prato verde. Nient’altro che qualche stelo d’erba bruciato, e un vaghissimo odore di cenere nell’aria. Presto non sarebbe rimasto più nemmeno quello.
Presto sarebbe scomparsa tutta quanta la stanza, frutto dell’illusione di una carta e della magia del Castello dell’Oblio.
Non avrei avuto più nessun posto dove piangere il mio creatore.
Recarsi lì era stato un errore. Una tentazione sciocca in cui non sarei dovuta cadere. Una volta ripresi i sensi ero tornata al laboratorio per cercare qualche rapporto più dettagliato sui poteri di Naminé, e il mio sguardo era caduto immediatamente sul diario lasciato aperto sulla scrivania. Non era da Vexen, lui che teneva le sue cose in un ordine quasi maniacale. Avevo letto tutto d’un fiato, e senza neanche fermarmi a riflettere ero corsa nel luogo indicato dal diario, spinta da un presentimento cupo e irrazionale.
Capii di aver compiuto un passo falso non appena ebbi messo piede nel giardino di fronte alla vecchia villa.
Non ero sola.
Un’altra persona si trovava in prossimità del cerchio di erba bruciata, una figura incappucciata che portava gli abiti dell’Organizzazione.
“Chi sei?”.
La figura si voltò lentamente, come se la mia presenza non la sorprendesse affatto. Sollevò le mani e fece scivolare all’indietro il cappuccio, mostrandomi il suo volto.
Occhi del colore del cielo in primavera, un ciuffo di capelli d’argento che gli copriva parte del volto.
“Immagino che siamo qui per lo stesso motivo” disse tranquillamente Zexion.
“Tu…”.
Sapeva tutto di me, avrei dovuto immaginarlo. Il suo potere gli permetteva di percepire cose sconosciute a chiunque altro. Probabilmente aveva sentito il mio odore sin da quando, nel laboratorio, avevo aperto gli occhi per la prima volta.
Poiché non sembrava ostile nei miei confronti, mi avvicinai cautamente al cerchio bruciato. Mi inginocchiai e sfiorai l’erba morta con la punta delle dita, chinando la testa. Non c’era bisogno di spiegazioni. Sapevo per istinto che in quel luogo il mio creatore aveva affrontato la sua ultima battaglia…ed era morto.
Alle mie spalle anche Zexion continuava a osservare il cerchio, la sua espressione indecifrabile.
“Axel…è stato Axel…” la mia voce tremava nel pronunciare quelle parole. Sentivo un groppo alla gola che non voleva andarsene, e malgrado continuassi a ripetermi che stavo perdendo tempo, che dovevo andarmene, che quella parte del mio passato ormai era sigillata in un angolo della mia mente e non dovevo più rievocarla…malgrado questo mi venne spontaneo pensare che se avessi fatto di più che cancellare un semplice ricordo dalla mente di Axel, se l’avessi neutralizzato in qualche modo, a quest’ora Vexen sarebbe stato ancora vivo.
“E tu saresti finita nelle mani di Marluxia”. La voce di Zexion mi fece sussultare. Mi aveva letto nel pensiero.
“Ti avrebbero scoperta” continuò “E probabilmente avresti fatto una fine peggiore della sua”. Accennò con il capo al cerchio d’erba bruciata. “E’ sempre stato un suo grande difetto, buttarsi a capofitto nelle cose senza avere pazienza. A volte invece è sufficiente saper attendere, e tutto si risolve da sè”.
“No, io non ci credo” risposi sollevando lo sguardo su di lui e parlando con durezza. “Il tuo modo di pensare è da vigliacchi”.
Per tutta risposta Zexion soffocò una breve risata: “Eppure anche tu l’hai abbandonato, proprio come me. Siamo più simili di quanto tu pensi, noi due. O forse…forse è stato lui a commettere gli stessi errori con entrambi”.
Cadde il silenzio. Zexion era immerso in chissà quali pensieri, forse perso tra i ricordi del passato. Avrei potuto cercare tra quei ricordi, indagare le cause che avevano reso il ragazzo dagli occhi di cielo così cinico nei confronti di colui che l’aveva cresciuto. Ma ormai non sarebbe servito a nulla, e in fondo non era la mia storia.
“Eppure...” dissi in un sussurro. “Eppure sia io che te siamo venuti qui, malgrado tutto…”
“I ricordi sono l’unica cosa che resta a noi creature senza cuore” rispose lui. “Ma dammi retta, hai fatto la scelta migliore voltando le spalle a Vexen. Così come faresti bene ad abbandonare quel fantoccio che chiami fratello e ad andartene per la tua strada. Anche lui non ha fatto che ferirti, vero?”
“Ma per te le persone non sono altro che pedine da muovere?!” dissi alzandomi in piedi e fissandolo con uno sguardo carico di sfida. “Non ti importa di nessuno?!”
“La fiducia è degli sciocchi…e dei morti. Fidati troppo, e qualcuno prima o poi ti ferirà. Te ne renderai conto anche tu, se riuscirai a non farti distruggere prima…”.
“Ma….” Tacqui, scuotendo piano la testa. Protestare non sarebbe servito a fargli cambiare idea…e dopotutto non mi importava nemmeno. Ancora una volta, questa non era la mia storia. Forse lo sarebbe potuta essere se…se le cose fossero andate in modo diverso.
“Mi dispiace per te” dissi infine, voltandomi per andarmene. “Mi dispiace davvero”. Ero sincera. “Ma non posso seguire il tuo suggerimento”.
Zexion alzò le spalle in un gesto di noncuranza. “Come desideri. Io non ti ostacolerò. Che tu riesca o meno nella tua impresa, al fine dei miei piani è del tutto indifferente”.
Senza dire altro mi allontanai dalla radura, addentrandomi tra gli alberi fino a ritrovare la porta da cui ero entrata, davanti alla quale si trovava ancora la carta con i ricordi dell’Eroe del Keyblade che avevano dato vita a quel luogo.
Quando voltai lo sguardo un’ultima volta vidi che Zexion stava ancora lì immobile, a fissare il cerchio di erba bruciata.
 
 
Ormai mi davano la nausea, quei maledetti corridoi bianchi tutti uguali: una prigione senza sbarre, un labirinto claustrofobico che si chiudeva tutto intorno a me, mi soffocava.
Vagavo senza meta, riflettevo alla disperata ricerca di una soluzione. Una parte di me, stufa di tutto, non desiderava altro che seguire il consiglio di Zexion e lasciare quel luogo per sempre, ma la misi a tacere con rabbia. Numero 2 mi aveva ferita ed era fuggito, questo era vero, ma doveva pur esserci qualcosa che potevo fare…
“Ehi! Fai attenzione!”
Una vocina che proveniva dal pavimento mi riscosse dai miei pensieri. Quando, sorpresa, guardai ai miei piedi vidi la creatura più bizzarra su cui avessi mai posato gli occhi: un esserino minuscolo dalla pelle verde. Sembrava un insetto, ma indossava abiti e scarpe come un essere umano. In una mano teneva un ombrello azzurro, anch’esso della sua taglia, e poi…
“Scusa signorina, per favore, il mio cappello…”
Lo avevo calpestato senza accorgermene. Avrei schiacciato anche il suo proprietario se non mi avesse fermata in tempo. Dispiaciuta e imbarazzata mi affrettai a raccogliere il cappello e inginocchiandomi glielo porsi, tenendolo delicatamente con due dita.
“Scusami tanto. Non ti avevo proprio visto”.
L’esserino si sistemò il cappello in testa e mi squadrò con un misto di curiosità e stupore.
“Non sarai mica…Naminé?!”
“No” risposi scuotendo la testa. “Le somiglio molto, ma non sono lei. Mi trovo in questo Castello per cercare un amico”.
“Che combinazione, anch’io! A proposito…” tenendosi il cappello con una mano e con l’ombrello sottobraccio la creaturina mi rivolse un inchino da perfetto gentiluomo. “Io sono il Grillo Parlante. Al tuo servizio, mademoiselle”. La presentazione era così buffa che mi strappò un sorriso.
“Piacere di conoscerti, Grillo. Puoi dirmi chi stai cercando? Forse posso aiutarti”.
A queste parole il Grillo si lasciò sfuggire un sospiro. “Ero con lui fino a un momento fa. Non so cosa gli sia preso, non si era mai comportato così prima. Questa storia di Naminé gli sta dando alla testa, non so più che pensare…”
Non ci fu bisogno che il Grillo completasse la frase, avevo già capito di chi stava parlando. Non poteva che essere uno degli amici dell’Eroe del Keyblade, anche se io mi ricordavo di aver visto solamente un papero e un cane con lui. Incredibile. L’avevo osservato per ore e non mi ero mai accorta della presenza del piccolo Grillo. Non potei fare a meno di pensare che Vexen non sarebbe stato felice della mia disattenzione.
“…e poi ha litigato con Paperino e Pippo, e li ha lasciati indietro! E si è messo correre così veloce che sono scivolato via dal suo cappuccio e non si è nemmeno fermato a raccogliermi…credo che non mi abbia neanche sentito”.
Mossa a compassione dal suo sguardo triste tesi una mano verso di lui, invitandolo a salire e a proseguire il cammino insieme a me. Forse in due avevamo più possibilità di ritrovare i nostri amici perduti.
“Sai, anche il mio amico non mi ascolta più. E’ cambiato, proprio come Sora” confessai al Grillo mentre camminavo. Lui, seduto sulla mia spalla, mi rivolse uno sguardo di incoraggiamento. “Ed è proprio per questo che non devi abbandonarlo! Ora più che mai lui ha bisogno di te!”.
“Lo so…” esitai, mentre le parole ciniche di Zexion mi rimbombavano nella mente. “…ma ti confesso che non so veramente cosa fare. Non so nemmeno se ormai….”
“Non pensarlo neppure!” saltò in piedi sulla mia spalla con tanta foga che per poco non gli rotolò via il cappello. “Se smetti di crederci tu allora sì che non c’è più speranza!”
“Ma come faccio, Grillo? Come faccio a farlo tornare in sé?”
“Tu gli vuoi bene, no?”
“Certo!”.
Mi sorrise. “Allora questo basta. Dimostragli il tuo affetto. Gli amici sono la nostra forza, e se tu gli resterai a fianco, costi quel che costi, sarai la sua. E allora lui capirà”.
C’era una sicurezza incrollabile nelle parole del piccolo Grillo. Una creatura minuscola e priva di qualsiasi potere, eppure, lo sentivo, dal lui si sprigionava una grande saggezza e forza d’animo. Se lui non si arrendeva, perché avrei dovuto farlo io?
Stavo per ringraziarlo per i consigli che mi aveva dato, quando da una sala poco più avanti giunsero alle nostre orecchie delle voci.
“E’ Sora!” esclamò il Grillo. “Devo andare!”
Ero quasi sicura di aver sentito anche la voce di Numero 2, ma pensai che non era il momento adatto per intervenire. Non mentre si confrontava con Sora ed era pieno di rabbia, non quando l’Eroe del Keyblade poteva vedermi e scambiarmi per Naminé con chissà quali conseguenze. Sora credeva che Numero 2 fosse il suo caro amico d’infanzia, perciò non c’erano rischi che gli facesse del male. Avrei dovuto attendere il momento opportuno…
Posai a terra il Grillo e gli feci cenno di proseguire da solo. Lui comprese, e senza fare domande mi rivolse un ultimo inchino silenzioso prima di trotterellare verso le voci alla massima velocità che le sue minuscole zampette gli consentivano. Lo guardai scomparire oltre la porta, augurandogli mentalmente buona fortuna.
Poi mi appoggiai con la schiena al muro e mi preparai ad attendere. Non so cosa avessi al posto del cuore, ma qualunque cosa fosse stava battendo all’impazzata, martellando nel mio petto come l’incudine di un fabbro.
  
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