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Autore: MrEvilside    14/03/2011    8 recensioni
Ui amava sua sorella.
[ !warning: OOC inserito per yagire!Ui, rating e "non per stomaci delicati" per morti violente e incesto ]
[ partecipante alla Clash Of The Writing Titans con prompt "death character" ]
[ main: Yui/Ui; side: Mio/Yui ]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il titolo significa "sventurato desiderio", dal greco antico, dialetto attico. Riconoscetemi la buona volontà di essermi cercata l'alfabeto greco su wikipedia.
Il termine "yagire" (da wikipedia): è un vocabolo giapponese con cui si identifica un personaggio che sia divenuto yandere in seguito ad un'esplosione di gelosia. Il termine "yandere" è quello con cui viene identificato un personaggio che all'inizio si mostra buono e gentile, ma in seguito a un qualche accadimento diventa irascibile e in alcuni casi anche psicotico.
Fanfiction d'esordio (chiamiamola così) nel fandom di K-ON!. Buona lettura!

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δυστυχς ρως

 
«Ui! Ui! UUU~I!»
A Ui era sempre piaciuto il modo in cui sua sorella chiamava il suo nome. Quando pronunciava la “u”, sporgeva le labbra all’infuori; poi, nell’aggiungere la “i”, la sua bocca si apriva graziosamente a ellisse.
«Sto arrivando, onee-chan
Malgrado la sua età, Yui non era ancora del tutto autonoma nemmeno per farsi una doccia: Ui rimaneva sempre in una delle stanze accanto al bagno, mentre lei era dentro, per poter essere in grado di soccorrerla prima possibile, se per caso ne avesse avuto bisogno.
Ui si fidava di sua sorella, tuttavia conosceva la sua tendenza a dimenticare in fretta ciò che doveva fare – l’unico particolare che non le passava mai di mente era l’ora di cena: quello, quantomeno, Ui non doveva gridarglielo da dietro la porta chiusa, sforzandosi di sovrastare il rumore di Yui che giocava con l’acqua e la schiuma.
«Onee-chan…»
Yui le dava le spalle e, china sulla vasca da bagno, stava saggiando l’acqua che la riempiva quasi del tutto con la punta delle dita.
Ui si ritrovò ad arrossire, senza sapere bene per quale motivo, nell’osservare la pelle nuda della schiena di sua sorella, le sue gambe sottili, lo scorcio dei piccoli seni che si intravvedeva da quell’angolazione, le curve armoniose dei fianchi.
«Ui, Ui!» Yui si volse a guardarla, del tutto incurante delle sue nudità, e sorrise. «Facciamo il bagno insieme, Ui! È tanto che non lo facciamo, dai!» la esortò con entusiasmo.
Turbata, Ui si sfiorò una guancia accaldata e si domandò perché vedere sua sorella nuda le causasse ogni volta una simile reazione. «Ma, onee-chan, io devo preparare la cena…» tentò d’obiettare, tuttavia Yui l’afferrò per un polso e la trascinò con sé vicino alla vasca.
«Oh, Ui, per favore! Per favore~!»
Ui adorava il modo infantile che Yui aveva di convincere gli altri.
Ui amava sua sorella – cioè, le voleva tanto bene. Così tanto che, quando Yui le aveva rivelato in tono incerto e teso di essere gay e di essere innamorata di Mio, Ui aveva accolto con delicatezza le sue parole e il loro rapporto non ne era stato affatto intaccato.
Eccezion fatta per i pranzi e le cene che Ui doveva consumare da sola, perché Yui era andata a pranzare da Mio, quelli ai quali partecipavano in tre e le notti trascorse da sola in casa perché sua sorella era stata invitata a dormire a casa Akiyama.
A Ui piaceva Mio: era dolce e intelligente e avrebbe persino potuto far promuovere Yui, se le fosse stata vicina nello studio. Al tempo stesso, però, era una ragazza estremamente timida, in grado di cadere in stato comatoso per motivi insignificanti e di rimanere in una condizione simile anche per ore e Ui proprio non riusciva a capire perché sua sorella si fosse innamorata di una così.
«Va bene, ma facciamo presto, devo andare a preparare la cena…» si arrese infine alle suppliche di Yui e prese a sfilarsi la T-shirt, colta poi da un rossore inaspettato nel rendersi conto che sua sorella l’avrebbe vista nuda e che aveva insultato Mio con le sue riflessioni.
Fare del male agli altri o pensare male di loro non faceva parte della sua natura, eppure non era la prima volta che avveniva un episodio di quel genere. Al contrario: da quando Mio e Yui si erano messe insieme, quei suoi scatti d’ira incontrollata avevano cominciato ad avvenire quasi regolarmente, in un modo che spaventava Ui.
«Ehi, Ui! Ehi, Ui!» la scosse Yui. «Su, sbrigati a spogliarti, perché ho freddo e ho tanta fame!» Fece per aiutarla a togliersi la maglietta, ma quando Ui tremò al suo tocco si ritrasse di scatto, come fosse stata morsa. «Oh, Ui, scusa!» chiese perdono, mortificata. «Non volevo metterti in imbarazzo, io…»
Yui non era stupida come poteva apparire: semplicemente, il più delle volte non aveva voglia di ragionare. Era pigra, non sciocca, perché quando rifletteva le sue conclusioni davano sempre mostra di intelligenza e sensibilità. Yui aveva pensato a quanto sarebbe stato difficile essere lesbica e temeva costantemente di allontanare qualcuno da sé con il suo modo di fare, che improvvisamente – se prima lo riteneva del tutto innocuo – si ritrovava a considerare sfiorante il perverso.
Avrebbe dovuto smettere persino di spogliare sua sorella. In realtà, avrebbe dovuto smettere di voler fare quello in particolare.
Smettere di volerla spogliare, di voler toccare la sua pelle morbida, di volerla abbracciare, di volerla baciare e di voler stare con lei. Anzitutto perché era disgustoso che lei desiderasse a quel modo sua sorella; in secondo luogo, perché non sarebbe stato giusto nei confronti di Mio.
Lei voleva molo bene a Mio, ma aveva ormai compreso che quell’affetto non sarebbe mai andato oltre. Le piaceva baciarla ed essere baciata da lei e il suo corpo era fresco e soffice al tatto, tuttavia Mio Akiyama non era Ui Hirasawa. Forse, aveva riflettuto una volta, si era convinta di essere innamorata di Mio per dimenticarsi di sua sorella.
«Non preoccuparti, onee-chan» la confortò Ui, per quanto le sue guance fossero adesso color porpora. «Non c’è nessun problema, davvero…» soggiunse debolmente, quando l’espressione di sua sorella non sembrò rischiararsi.
Allora, profondamente avvilita perché stava mortificando Yui senza volerlo, scelse di fare qualcosa che non aveva mai trovato la forza di fare prima.
Prima che Yui si accorgesse di essere attratta dalle ragazze, prima che, nello specifico, si accorgesse di essere attratta da Mio, prima che loro si mettessero insieme, prima che fosse troppo tardi per porre rimedio all’esitazione che Ui aveva avuto nel rivelare la verità a sua sorella.
Si sporse verso di lei e la baciò sulle labbra.
La bocca di Yui aveva il sapore delle pesche e la loro medesima consistenza; Ui godette di quel bacio, più di quanto ritenesse giusto fare, e allungò timidamente le braccia attorno al collo di Yui, che d’altra parte era pietrificata dallo stupore.
Infine Ui si ritrasse, aprì più volte le labbra, senza trovare nulla da dire, sino a ridursi a un patetico: «T-ti avevo detto… di no-non preoccuparti, onee-chan». Rimase immobile, a testa bassa, a tormentarsi le mani, consapevole di aver appena rovinato il legame che aveva faticosamente tentato di mantenere intatto, malgrado la propria divorante gelosia.
Poi Yui si piegò sotto di lei e la baciò ancora. In quel modo maldestro che era proprio di Yui, con le labbra premute contro quelle di Ui e il naso schiacciato contro il suo.
«Ui…» mormorò infine nello spezzare anche quel contatto. «Mi dispiace. Mi vuoi ancora bene, vero?» La guardava con quei suoi occhi color del cioccolato al latte, grandi e spalancati in un’espressione impaurita e speranzosa a un tempo, come quella volta in cui Ui l’aveva sorpresa con le mani invischiate nella marmellata, il cui barattolo era rovesciato sul pavimento; come fosse stata tutta colpa sua, sebbene fosse stata Ui a baciarla per prima. «Eh, Ui? Vero che non sei arrabbiata? Vero che…?»
La sorella appoggiò un indice sulle sue labbra per interromperla. «Sei innamorata di me, Yui?» domandò con estrema serietà.
In quei momenti, quando si comportava in modo tanto maturo, Yui taceva e si limitava a cenni d’assenso o di diniego, messa quasi in soggezione e colma d’ammirazione per la sorellina, come accadeva quando andavano a vedere la fioritura dei peschi e Yui li ammirava ammutolita dall’emozione.
Quando si limitò ad assentire col capo una volta, in silenzio, Ui le prese le mani e sorrise. «Anche io sono innamorata di te, onee-chan» ammise, arrossendo.
Yui la guardò meravigliata. «Davvero?»
Ui annuì ripetutamente, sorrise ancora e attirò la sorella in un abbraccio; Yui si rifugiò tra le sue braccia e appoggiò il mento sulla sua spalla, mentre Ui le accarezzava i capelli e la baciava piano sul collo.
«Ui, ma… sei sicura che va bene?» sussurrò Yui nell’avvertire le mani di sua sorella sui fianchi.
Non voleva mettere Ui nei guai; non le importava di essere indicata come diversa, purché sua sorella ne rimanesse fuori. Aveva esitato tanto a metterla a parte del proprio orientamento sessuale in parte perché si vergognava di averlo scoperto a causa della sua attrazione per lei, in parte perché era atterrita dall’idea che Ui potesse ricambiare i suoi sentimenti ed essere ricoperta di vergogna per questo.
«Non vuoi, onee-chan
Yui sostenne a lungo il suo sguardo totalmente appagato, come se avessero già fatto l’amore, e comprese che la più grande gioia di Ui era sapere che lei la amava. Sarebbe stato crudele mentire a se stessa affermando di nutrire nei suoi confronti del semplice affetto fraterno e separarsi da lei; Yui non voleva.
Scelse di essere egoista.
«Ui, Ui! Facciamo il bagno insieme?» chiese nel cingerle il collo con le braccia. Le loro bocche erano nuovamente vicine e gli occhi di Ui rifulgevano di sollievo mescolato a dolce desiderio.
«Sì, onee-chan».
Ui amava sua sorella – non le voleva tanto bene; la amava profondamente.
 
«Ciao, Mio-chan, scusa se ti chiamo a quest’ora, forse starai mangiando, però…»
Yui sentiva il cuore battere, soffocante, contro la sua gola. Aveva tentato di parlare con Mio di persona, ma non aveva voluto farlo davanti alle altre ragazze.
«Yui-chan?»
Yui si stupì nel riconoscere, dall’altra parte, la voce della madre di Mio, Shiori Akiyama, incrinata e intervallata da risucchi del naso, come se stesse trattenendosi dal piangere.
«Shiori-san?» rispose, allarmata. «Shiori-san, c’è Mio-chan?» Nel suo intimo, tuttavia, aveva già capito che era accaduto qualcosa di molto grave, se Shiori si era permessa di rispondere a una chiamata destinata a sua figlia.
«Yui-chan, Mio non… non è tornata a casa… L’hanno trovata poco fa ed è… è…»
Yui non ebbe la forza di ascoltare ancora; quando le sue sinapsi reagirono, permettendo ai neuroni di trasportare l’informazione dal cervello al cuore, perse un battito e chiuse di scatto la telefonata.
Gettò il cellulare sul letto e portò una mano alla tempia, incurante dei capelli che si scompigliavano e venivano tirati con forza dalle sue dita, che si muovevano convulsamente sul cuoio capelluto. Le lacrime presero a rigare le sue guance arrossate dal pianto, mentre tra i singhiozzi invocava il nome di sua sorella, impaziente di trovare conforto nel suo abbraccio.
Ui indossava un grembiule quando accorse, un grembiule bianco sporco del rosso dei pomodori, del verde dell’insalata e dell’arancione delle carote, poiché stava preparando il pranzo. Stringeva ancora in mano uno dei grossi coltelli conservati in cucina, di quelli che usava per tagliare la carne, la cui lama era macchiata di sangue rappreso.
«Ui, Ui… Mio-chan, Mio-chan è…» Yui crollò in ginocchio, schiacciata dal peso di quella consapevolezza. Mio era morta. Non sarebbe più venuta nell’aula di musica, non avrebbe più suonato il basso né avrebbe partecipato ai loro ritiri. Mio era morta.
Ui si inginocchiò accanto a lei e le passò le braccia attorno alla vita per trarla a sé con dolcezza e permetterle di seppellire la testa nella sua spalla.
«Ui…» Yui strattonò un lembo del suo grembiule e scoppiò in un pianto ferocemente disperato.
«Volevi più bene a Mio che a me, onee-chan?» mormorò Ui al suo orecchio in tono mite. «Ieri sera abbiamo fatto l’amore e abbiamo dormito insieme, ma poi tu hai detto di voler parlare con lei… La preferivi a me, onee-chan
Ui era stanca di dover dividere sua sorella con altre persone e Yui sembrò cogliere la minaccia, malgrado i gesti dolci e la voce pacata, perché si divincolò dall’abbraccio e si ritrasse da lei.
«C-cosa stai dicendo, Ui?» biascicò, con la bocca colma di lacrime. «No-non capisco…»
Il volto di Ui era una maschera d’indifferenza che sua sorella non riconobbe; al contrario, ne ebbe timore e tentò invano di allontanarsi da lei, ma Ui la teneva stretta, sino ad affondare le unghie nella sua pelle attraverso i vestiti.
«Perché non puoi amare solo me, onee-chan? Io ti amo molto più di Mio, molto più di chiunque altro potrebbe mai fare» riprese con il medesimo modo di parlare del tutto sereno, sebbene la stretta sulle braccia di Yui e lo sguardo intriso d’odio e gelosia come sua sorella non l’aveva mai visto. «Perché non vuoi restare con me e basta, per sempre?»
«M-ma cosa dici, Ui? Tu no-non volevi bene a M-Mio-chan…?» rantolò a fatica, poi si lasciò sfuggire un gemito di dolore quando la presa su di lei aumentò. «U-Ui, mi fai male…»
Ui, solitamente così attenta a ogni suo bisogno, non prestò la minima attenzione alla sua sofferenza. Fissandola, Yui dovette confessare a se stessa che sua sorella era fuori di sé. Che era stata lei a uccidere Mio, perché Yui non aveva saputo amarla come chiedeva. Aveva fallito nell’educazione della sua sorellina: non le era stata vicina nel momento del bisogno e lei era impazzita di dolore.
«Ui, mi dispiace… mi dispiace… Io ti amo, ti amo davvero e non volevo che tu fossi triste» tentò di blandirla, di placare la sua sofferenza, accarezzandole dolcemente il volto, malgrado ogni movimento del braccio le costasse diverse fitte di dolore, laddove le unghie di Ui ancora laceravano le sue carni. «Volevo parlare con Mio-chan soltanto per dirle che non volevo più stare con lei, perché… è con te che voglio stare, Ui, te l’ho detto, io ti amo… UI!»
Mentre il coltello affondava ripetutamente nella schiena di Yui, Ui rievocò il momento in cui aveva ucciso Mio. La ragazza si era trattenuta nell’aula di musica per metterla in ordine e Ui l’aveva aspettata in corridoio e le aveva infilato il coltello nel petto, tra i seni. Aveva spinto sino a udire il rumore delle ossa che si rompevano, poi aveva tirato fuori l’arma dal suo corpo e l’aveva colpita ancora e ancora, dovunque riuscisse ad arrivare.
Mio era indietreggiata, urlando e implorandola di smettere, sino alla parete, tuttavia a quell’ora la scuola era vuota e nessuno aveva sentito le sue grida.
Ui le aveva staccato di netto un braccio, che la ragazza aveva sollevato nel vano tentativo di ripararsi dagli affondi, e Mio si era accasciata contro il muro ed era crollata a sedere sul pavimento. Ui si era chinata su di lei, l’aveva guardata negli occhi e aveva visto il colore delle sue iridi che cominciava a sbiadire, perché Mio stava morendo. Allora aveva praticato un taglio nel suo collo, di modo che morisse con estrema lentezza, dissanguata, nel dolore più grande.
Infine era corsa via e aveva preso l’autobus per riuscire a precedere Yui a casa e sviare in questo modo ogni sospetto: era convinta che Mio non sarebbe stata ritrovata quantomeno sino al giorno dopo, ma si era sbagliata.
E quando aveva visto con quanta sofferenza Yui aveva accolto la perdita della ragazza, Ui aveva compreso che non avrebbe mai potuto essere l’unica persona amata da sua sorella. Ci sarebbero sempre stati altri, inutili esseri umani a frapporsi tra loro.
Adesso Yui giaceva riversa su un fianco, con la schiena lacerata dalle ferite e una pozza di sangue che si allargava sotto il suo corpo steso in una posizione innaturale. Persino nella morte si era dimostrata migliore di Mio: aveva urlato soltanto una volta il nome della sorella, poi si era limitata a osservarla, senza mai chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo, sino a che non era morta e aveva giaciuto, immobile, accanto a Ui.
Sembrava triste, considerò tra sé Ui nel ripulire il coltello sul grembiule un tempo bianco, mentre la fissava. Dispiaciuta di qualcosa, come se avesse capito che Ui non avrebbe voluto davvero che morisse e l’avesse perdonata per aver deciso di ucciderla. Ui si domandò se Yui avesse realizzato il motivo per cui l’aveva fatto, ma non l’avrebbe saputo mai.
Si mise carponi sopra il corpo di sua sorella e si abbassò su di lei per baciarla sulle labbra: erano ancora calde e morbide, com’erano state la sera prima nel posarsi ovunque su di lei – sulla bocca, sul naso, sulle spalle, sui seni, sulle cosce, tra le sue gambe.
«Ti amo, onee-chan» le disse, scostandole amorevolmente una ciocca intrisa di sangue dal volto spento. «Adesso staremo insieme per sempre e ci ameremo, lontano da tutti coloro che potrebbero farci del male. Te lo prometto». Intrecciò alle sue dita le dita di una mano, poi si piantò il coltello nel cuore con un unico movimento ad arco, a suo modo grottescamente aggraziato.
Ui amava sua sorella.
  
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