Piccolo avviso pre-lettura: non sono riuscita ad
inserire tutto in questo capitolo, quindi – non so se per fortuna o meno –
questo non sarà l’ultimo, ma il penultimo.
Detto questo, vi auguro buona lettura ^________^
#003 ~ Fear
*
«Sono sicuro di
farcela!»
L’entusiasmo del
ragazzo non sembra essere ricambiato dall’uomo che gli rivolge uno sguardo
scettico e preoccupato.
«Oh, andiamo!»
lo incoraggia il giovane con un inglese stentato e dall’accento straniero.
«È che mi
preoccupo per te…» spiega con un sospiro l’uomo e il ragazzo davanti a lui
sorride.
«So cosa fare,
prometto che torno» e lo sguardo che stavolta rivolge all’amico trattiene una
forza, una determinazione ed una fiducia tale che l’uomo non può fare altro che
annuire, restituendo il sorriso e stringendo con affetto a sé il ragazzo.
*
Il silenzio aveva preso possesso della stanza dove
le ultime parole di Eric si erano ormai disperse nell’aria producendo un
effetto diverso in ognuno dei presenti. Callen si voltò immediatamente verso
Nate che dal canto suo mostrava appena la sorpresa per le ultime novità.
«Ne siete certi?» chiese poi, voltandosi verso Eric
e Nell.
«Cero, G» fece quello serio «Io ho chiamato alla
concessionaria e non vedono l’uomo da giorni, mentre Nell è riuscita a
contattare uno dei genitori del campeggio e la ragazzina non solo non è con
loro, ma non aveva detto a nessuno dei suoi compagni di voler andare con loro!»
Callen sospirò: le cose si stavano complicando
secondo un ordine che gli sfuggiva.
«Avverto Kensi della situazione?» chiese Sam
prendendo il cellulare.
«No, aspetti signor Hanna: non credo sia il caso di
allarmarla senza avere delle notizie certe. Interrogate di nuovo la donna:
chiedetele della sua famiglia» consigliò Hetty e gli agenti si mossero seguiti
dallo psicologo che uscì senza dire nulla.
«Signor Beal, signorina Jones: ottimo lavoro!» si
congratulò poi la piccola donna prima di lasciare anche lei la stanza; tuttavia
sia Eric che Nell non riuscirono ad essere del tutto felici del successo: in
quei pochi minuti in cui tutta la squadra era stata nella stessa stanza, si era
avvertita una pesantezza ed una tensione
che avevano tolto loro la parola.
«Parlerà?» chiese scettica la ragazza guardando il
collega.
«L’interrogatorio di Nate, nonostante tutto, non
l’ha smossa…» si limitò ad osservare l’altro come se non stesse seriamente
ascoltando, distratto da altro.
Nell annuì, comprendendo i pensieri di Eric e tornò
al computer, raggiunta in breve
dall’altro che le rivolse un sorriso di scuse.
«Sei preoccupato per lui?» chiese la ragazza mentre
muoveva le dita sulla tastiera del computer con velocità, riferendosi allo
psicologo.
«Non l’ho mai visto così: è distante, assente, freddo. È diverso dall’ultima volta che
ha lavorato con noi: negli interrogatori, di solito, ha sempre cercato di
entrare in qualche modo in contatto, in sintonia con chi gli è di fronte, si è
sempre mostrato gentile, quasi premuroso. Non c’era nulla di quell’uomo in quest’ultimo
interrogatorio…»
«Non è… solo questo, vero…?» continuò lei, stavolta
staccando gli occhi dl monitor e cercando con gli occhi il collega; lui sospirò
con un mezzo sorriso.
«Hai preso lezioni da lui?» chiese ironico «Com’era…
quando l’hai incontrato tu per la prima volta?» continuò poi, curioso.
Nell scoppiò a ridere con un suono cristallino, che
parve quasi alleggerire l’aria tesa di quella situazione e fu un bene per Eric
che trattenne, solo per imbarazzo, un sospiro di sollievo.
«Morivi dalla voglia di chiedermelo, eh?» fece lei
allusiva e per un istante i due si guardarono senza parlare «L’ho conosciuto
alcuni anni fa» continuò lei, stavolta seria, persa nei ricordi «Io seguivo un
corso di specializzazione all’università e lui fu invitato a tenere una lezione
sulla psicologia e le sue applicazioni nella vita di tutti i giorni. Fu davvero
interessante vedere come dalla routine di un ragazzo si potessero comprendere
così tante cose sui suoi processi interiori. Nate mi colpì subito: c’era così
tanta conoscenza nelle sue parole, così tanta competenza… eppure mostrava allo
stesso tempo un sottile imbarazzo, una gentile discrezione nei confronti di chi
gli era di fronte… Lo raggiunsi dopo la lezione e pranzammo insieme: parlando
con lui, mi accorsi che quello che avevo percepito del suo carattere
corrispondeva a realtà. Quando parlava con qualcuno non aveva alcuna paura a
mostrarsi con trasparenza, a mettere tutte le carte in tavola: spingeva con
semplicità a fidarsi di lui. Anche per me ora è completamente diverso. Ha
sofferto…»
«G è sempre stato il motore della squadra, quello la
tiene compatta e la sostiene. Senza di lui – raramente ci siamo trovati in una
simile situazione – la sicurezza, la forza cade… Tuttavia anche l’assenza di
Nate si sente…»
«Tutti occupiamo un posto importante nella squadra…
o almeno credo…»
Eric sorrise, d’accordo con lei.
«Nate è la stabilità, l’equilibrio. Con lui non ci
sono dubbi, né segreti; eppure essere un libro aperto non ti fa sentire
indifeso, non è un fastidio… Sapere che lui sa è un sostegno: non ti senti
solo, sai che – qualunque sia il problema – puoi bussare alla sua porta, a
qualsiasi ora»
La ragazza annuì d’accordo, mantenendo il suo
sorriso ed Eric tornò alla sua postazione: parlare aveva fatto bene ad
entrambi, tuttavia non aveva di certo risolto il problema.
Quando Lisa vide entrare Sam nello stanzino in cui
era rimasta dopo l’interrogatorio di Nate, fu felice che fosse tornato
quell’agente: le parole d’accusa gridate dall’altro uomo rimbombavano ancora
nella sua testa, scavavano solchi profondi e minacciavano di farla cadere giù.
«Come si sente?» chiese Sam e la donna ebbe
l’impressione che fosse cambiato qualcosa anche in lui.
«Io… sto bene, credo» disse lei confusa: non sapeva
più neanche che ora fosse, come poteva essere in grado di sapere come stava? «Quel…
quell’uomo che prima… era qui…»
«Nate… non si preoccupi di lui adesso. Ascolti me:
dove sono suo marito e sua figlia?»
La donna osservò per alcuni istanti Sam, perplessa.
«Mio… mio marito è in viaggio d’affari e mia figlia
in campeggio, ve l’ho detto…» rispose confusa.
«Suo marito non aveva alcun impegno d’affare: non si
presenta da giorni a lavoro; abbiamo anche rintracciato alcuni dei genitori che
avrebbero dovuto partecipare al campeggio con sua figlia: non hanno mai visto
la piccola» svelò l’agente senza alcuna riserva.
Lisa lo guardò sorpresa, sconvolta. Gli occhi
sbarrati cercarono sul volto dell’uomo che le era di fronte una soluzione a
quella situazione, mentre la paura le attanagliava le membra.
«Mio Dio… Cosa sta succedendo?» balbettò con voce
impastata dal pianto, mettendosi le mani in faccia con gesto disperato.
«Ammiro la sua forza d’animo» fece Nate che a
braccia incrociate se ne stava appoggiato al tavolo, attento ad ogni movimento
della donna che osservava dallo schermo.
«Continua a mentire?» chiese G senza sapere in che
modo porsi nei confronti dello psicologo dopo la scenata di poco prima.
«In modo quasi sfacciato: sapeva benissimo che i
suoi familiari non erano dove ci aveva detto; la sua sorpresa è falsa… ma la
sua disperazione… Callen, c’è qualcosa di importante che ci sta nascondendo»
Nate scattò in avanti, pronto ad entrare nello
stanzino, ma G fu rapido a prenderlo per un braccio e la scena rimandò
terribilmente a quella di poco prima.
«Aspetta! Hai intenzione di essere diretto come
l’ultima volta? Non mi sembra che abbia avuto molto successo: le hai fatto
quasi paura…»
Gli occhi dello psicologo incrociarono quelli
dell’agente in uno sguardo indecifrabile, troppo intenso e poco comune il lui
perché Callen potesse coglierne a pieno tutte le sfumature.
*
Paura. Fredda,
terribile, paura, tanta da mozzare il fiato.
L’ansia blocca
il respiro dell’uomo in gola e gli provoca fitte allo stomaco. Si sente come
uno scolaretto alla sua prima interrogazione, ma stavolta la posta in gioco è molto più alta.
«Nervoso?» gli
chiede un uomo poco più grande di lui.
«Non so.. Gli ho
permesso di andare, ma non sono affatto sicuro della cosa: è tutto appeso ad un
filo, lui è appeso
ad un filo» dice riferendosi al ragazzo.
«Sa quello che
fa» lo rassicura l’altro, la mo sguardo dell’uomo è serio e pieno di paura.
*
«Nate…?» chiamò G, guardandolo incuriosito e
lievemente preoccupato.
Gli occhi dello psicologo, vuoti fino ad un istante
prima, tornarono – così come la sua mente – in quella stanza e in quella
situazione, ricambiando lo sguardo dell’agente con fare stupito.
«È tutto a posto? Stai bene? Ti sei come… incantato»
«Sì… sì è tutto a posto, tranquillo. Ci… ci parli tu
con la donna, d’accordo?» sussurrò, come se la sua attenzione fosse ancora
presa da qualche pensiero.
«Mi sento stupida. Ehi, Deeks: mi stai facendo
sentire stupida!»
La voce di Kensi, flebile sussurro, si disperse
nell’aria della stanza in modo tanto rapido da mettere subito in dubbio la sua
esistenza, quasi non fosse mai uscita dalla bocca. Era seduta accanto al letto
dell’agente che, pallido, riposava disturbato da un dolore che la faceva star
male al solo pensiero. Era forte, gli
aveva detto G; era forte, si era
ripetuta lei mentre i minuti passavano, ma Marty non aveva aperto gli occhi e
le sue condizioni di salute erano lentamente ma inesorabilmente scivolate verso
il peggio, lasciando trasparire la parola “coma” come terribile e velata
prospettiva.
«I dottori hanno detto che parlare con il dormiente
fa bene, facilita il risveglio – lo dicono sempre, quasi fosse una procedura
ordinaria; ormai non ha più alcuna sfumatura, neanche quella di apparente
consolazione o almeno incoraggiamento. Non ho mai amato gli ospedali: c’è gente
che dice di sentirsi al sicuro quando è qui, ma io – sarà io mio carattere da
agente dell’NCIS – non mi fido a lasciarli giocare
con la mia vita. Tu, invece, credo apprezzeresti: ci sono davvero delle
infermiere niente male...»
La risata scappò dalla bocca di Kensi con un’ottava
fin troppo alta, chiaramente isterica e triste, infinitamente triste. Gli occhi
lucidi cercavano – chiedevano disperatamente – un cenno di risveglio da parte
del collega che tuttavia rimaneva immobile, inchiodato al letto come una
condanna.
«Se ci lasci, ti giuro che non te lo perdono, mi hai
capito Deeks?!» minacciò al limite delle forze, le lacrime che ormai scendevano
sottili, sfiorandole il volto.
Per brevi attimi il silenzio tornò a scandire i
secondi che scorrevano.
Tutto accadde in pochi istanti. La scena passò dalla
lentezza del silenzio ad una rapidità frenetica, scandita dall’allarmante suono
dei macchinari che segnavano un’alterazione del battito cardiaco. Kensi
sussultò, agitando gli occhi terrorizzati dal volto di Deeks a quelle linee bianche
che nel monitor non la smettevano di alternarsi in modo frenetico dalle più
basse alle più alte.
«Dottore! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!» gridò, la voce
che faticava ad uscire per la paura.
Tutto stava andando come doveva andare, non c’era
nulla di sbagliato: ogni cosa era al suo posto, la morte era al suo posto. La storia è come un enorme cerchio:
tutto si ripete.
Persa, segregata nei suoi dolorosi pensieri, la
ragazza si accorse appena del gruppo di medici ed infermieri che con un
defibrillatore era entrato nella stanza e cercava ora di stimolare il battito
cardiaco del ragazzo che andava sempre più affievolendosi. Kensi non riuscì ad
opporre resistenza alla ragazza che con garbo la mise alla porta, dicendole
scioccamente che andava tutto bene.
Il cellulare nella tasca di G vibrò, bloccando a
metà l’ennesimo tentativo di convincere la donna a rivelar loro quello che
stava nascondendo sulla sua famiglia e cosa c’entrasse con la morte del
fratello. Quando Callen lesse il nome di Kensi sul display non pensò neanche ad
uscire, ma semplicemente si allontanò dal tavolo al quale era seduto e rispose.
«Kens…» la chiamò, con
accento lievemente preoccupato.
«Ha avuto un collasso; il cuore ha smesso di battere
per una decina di secondi…» farfugliò lei, quasi fosse sotto shock.
«Ora come sta?» continuò lui, ora preoccupato per
entrambi.
«Sono … sono riusciti a stabilizzarlo… ma è in coma…
G, ho paura» confessò lei e lo stesso Callen si sentì turbato da quelle parole:
Kensi non era mai stata una ragazza incline a mostrare la sua debolezza, eppure
ora era talmente vulnerabile…
«Ok, vengo lì»
«No. Non occorre, G… Io… non so cosa fare, mi sento
così inutile! È come giocare una partita restando in panchina, legata, senza
avere altra possibilità che guardare il proprio compagno soccombere…»
Il silenzio di Callen valse molto più delle parole:
cosa si poteva dire per arginare tanta paura e dolore? Istintivamente l’agente
guardò verso la telecamera della stanza come a cercare attraverso di essa di
raggiungere Nate che dalla sua espressione poteva immaginare il contenuto della
telefonata. Forse, nonostante tutto, lui sarebbe stato in grado di aiutarla, di
calmarla e farle trovare quel coraggio che il dolore stava mettendo a dura
prova.
«Voi… voi avete novità?» chiese Kensi per sviare la
discussione da quell’argomento.
«Non molte. Nate ha capito che la donna ci sta
mentendo, ma non sappiamo ancora su cosa. Intanto il marito e la figlia non si
trovano»
Nel pronunciare quelle parole, Callen aveva
abbassato la voce sperando che Lisa non riuscisse a sentirlo.
«Sono scomparsi? Credi che questo abbia a che fare
con la morte del sergente?»
«Credo di sì, ma finché la donna non si deciderà a
parlare non potremo essere certi di nulla» si rammaricò l’agente.
Kensi rimase in silenzio, senza sapere cosa dire:
c’era chiaramente qualcosa che sfuggiva loro, ma non riusciva a capire – ad
immaginare – cosa fosse. L’unica risposta che riuscì a dare fu un sospiro
sommesso, stanco.
«Se ci sono novità, chiama. Io farò lo stesso»
concluse G, staccando la chiamata che ormai non aveva più nulla da dire.
Quante volte ancora sarebbe stata pronunciata quella
frase?
Callen si voltò rapido verso la donna, muovendosi
fino ad arrivarle a pochi centimetri di distanza, occhi negli occhi, nessuna
possibilità di fuga.
«Il mio collega, l’uomo che hanno sparato davanti
casa sua, ha avuto una crisi, ha rischiato davvero di morire ed ora è in coma!
Il minimo, il minimo che può fare è
spiegarci cos’è successo, dirci tutta la verità sulla morte di suo fratello e
sulla scomparsa della sua famiglia; se non vuole farlo per noi o per se stessa,
lo faccia per lui che sta rischiando la vita senza neanche saperne il motivo!»
disse, senza gridare e senza alcun accenno di minaccia e tuttavia tradendo
dagli occhi una forza, qualcosa… qualcosa di difficile da spiegare a parole e
che pure, però, giunse alla mente e al cuore di Lisa in modo finalmente
risolutivo. La donna abbassò il capo mentre sparivano anche gli ultimi residui
di incertezza, prese un lungo respiro e cominciò.
«È iniziato tutto dieci giorni fa. A me sembra tanto
tempo, ma sono trascorsi solo dieci giorni. Rose, mia figlia, di solito torna a
scuola a piedi perché è a pochi minuti da casa, ma quel giorno non è tornata.
All’inizio non mi sono preoccupata: capitava che si fermasse a casa di una
compagna di classe per studiare, anche se di solito avvertiva sempre prima di
andare. Nel pomeriggio non avevo ricevuto ancora alcuna chiamata e decisi di
provare a casa di Carol, una sua amica, giusto per star tranquilla; quando la
ragazza mi disse che l’ultima volta che l’aveva vista, mia figlia stava
tornando a casa normalmente, capii che era successo qualcosa. Non… non so con
quale forza chiamai mio marito spiegandogli ogni cosa; lui mi disse di non
avvisare nessuno e di aspettarlo a casa. Quando venne, decidemmo di non
avvertire la polizia, ma di aspettare prima che eventualmente i rapitori si
facessero vivi: volevamo risolvere la situazione da soli, con il minor numero
di rischi»
Sam rivolse alla donna uno sguardo di biasimo che
non poté sfuggirle. Lei sorrise.
«A dire cosa bisognava fare dopo che le cose sono
state fatte sono bravi tutti, ma la paura di perdere la nostra unica figlia è
una cosa che, credetemi, non potete immaginare»
«Creda lei a me, Lisa: sappiamo cosa vuol dire perdere una persona che si ama» la corresse
G, cercando di non perdersi in tristi ricordi.
Quella lo guardò attentamente per qualche istante,
come a volergli far capire qualcosa che non avrebbe avuto senso spiegare con
parole; poi continuò.
«Il messaggio dei rapitori – una telefonata – arrivò
alle prime ore del giorno dopo: una voce metallica diceva che avevano la nostra
bambina e che l’avrebbero riportata a casa solo in cambio di due milioni di
dollari; si complimentarono con noi per la saggia scelta di non aver avvisato
nessuno e ci intimarono di continuare a tacere per il bene di Rose, dandoci una
settimana di tempo per mettere insieme la somma richiesta. Mio marito prese
subito dei giorni di permesso da lavoro e decidemmo di dire a tutti che nostra
figlia era partita per il campeggio, mentre lui era fuori per un viaggio d’affari.
Le banche non ci fecero molte domande e furono disposte a concederci un prestito
tanto alto: sembrava andare tutto bene. Quando tre giorni dopo la telefonata mi
trovai Ronald alla porta capii che la fortuna aveva appena girato a nostro
sfavore: non saremmo riusciti a nascondergli a lungo la nostra preoccupazione o
le piccole stranezze che si susseguivano davanti ai suoi occhi. La sera stessa
gli confessammo ogni cosa: Julian, mio marito, lo
scongiurò di non dire niente a nessuno, soprattutto ai suoi colleghi e
superiori e lui promise il silenzio, aiutandoci anche a mettere insieme più
velocemente possibile la somma richiesta. Quando i rapitori ci richiamarono per
indicarci luogo ed ora dello scambio, Ron disse che sarebbe andato con mio
marito e avrebbe risolto tutto – non ci furono modi per fargli cambiare idea.
Qualcosa, però, deve essere andata storta… forse i rapitori si sono accorti di
mio fratello, forse Ron ha cercato di arrestarli, fatto sta che… lo hanno
ucciso e non hanno preso i soldi – Rose è ancora nelle loro mani. Julian è tornato a casa sconvolto e mi ha raccontato tutto
poco prima del vostro arrivo»
«Quindi la sparatoria davanti a casa sua era un avvertimento…»
ipotizzò G.
«Dov’è ora suo marito?» chiese Sam, quasi ignorando
il commento del collega e mostrando, invece, una prontezza che forse nasceva
molto più dall’incapacità di riuscire a concepire in uno sguardo d’insieme
tutte quelle nuove informazioni che da altro.
«Non lo so… credo sia cercando di rimettersi in
contatto con i rapitori… prima che…» e pur essendo stata in grado di resistere
fino a quel momento, dopo aver finito la confessione, Lisa si sciolse in
lacrime di liberazione e paura per le conseguenze delle sue parole.
Nate, di fronte allo schermo, era rimasto bloccato,
la mente che tentava di ordinare con lucidità le nuove informazioni. Avevano
sbagliato ogni cosa! Non era la vita di Ronald a dover essere controllata, ma
quella della sorella! Ecco perché non aveva trovato nulla fuori posto:
semplicemente non c’era nulla che lo fosse! La situazione aveva preso una piega
del tutto diversa da com’era cominciata…
*
La situazione ha
preso una piega completamente diversa da quella che aveva previsto e a dire il
vero, neanche nella peggiore delle ipotisi avrebbe pensato ad una cosa simile:
quello che potrebbe succede arrivati a questo punto – quello che sta per
succedere – ha la forza di paralizzarlo. Lo aveva detto sin dall’inizio che era
una pazzia, che c’erano fin troppi motivi per cui sarebbe potuto andare tutto
storto, ma tutti erano parsi stregati da un assurdo ottimismo al momento di
decidere ed ora ne stanno pagando le conseguenze. Anzi, uno
solo pagherà le conseguenze.
«Facciamo
irruzione?» gli chiede una voce e l’uomo sente svariati sguardi aggrapparsi a
lui come se bastasse una sua parola a sistemare tutto.
«Io… non ne sono
sicuro» confessa abbassando la testa: in quel momento non è sicuro di nulla,
gli occhi scuri del ragazzo come chiodo fisso nella testa.
Ad un tratto,
poi, quasi quella visione gli abbia dato il pizzico di folle determinazione
necessario a riprender parola, a decidere, alza lo sguardo.
«Andiamo» dice
risoluto e mentre si prepara con gli altri non può fare altro che pregare un
Dio, forse troppo spesso dimenticato, che tutto vada per il meglio.
*
«È come avere in mano un caso completamente
diverso!» sbottò Sam, quando fu con G nell’altra stanza.
«Almeno sappiamo cosa ci nascondeva Lisa e perché la
vita del sergente non sembrava avere macchie: quell’uomo è stato un eroe fino
alla fine» osservò l’altro guardando lo psicologo che gli parve avere di nuovo
lo sguardo perso nel vuoto, come quando lo aveva fermato, poco prima; tuttavia,
anche questa volta, i suoi occhi tornarono vivi in pochi istanti.
«A questo punto credo sia il caso di avvertire Hetty
e forse anche Kensi: le carte in tavola sono completamente cambiate» fece
infatti Nate, spostandosi dal tavolo.
«Resti tu con lei?» chiese G al partner e quando Sam
ebbe annuito, seguì lo psicologo che era già uscito.
«Cosa ha intenzione di fare alla luce di queste
nuove informazioni?»
La voce di Hetty appariva calma e fiduciosa, senza
tradire neanche un minimo di quella sorpresa che pure l’aveva colta e che per
qualche istante G aveva letto nei suoi occhi.
«Pensavo di entrare in qualche modo in contatto con
il marito di Lisa, ma dobbiamo essere rapidi: lo scambio potrebbe essere già
avvenuto»
«La moglie sa dov’è?»
«No, ma ho in mente un modo per trovarlo. Devo
discutere dei particolari con Sam» fece sicuro G, con un mezzo sorriso.
«Fate attenzione» lo ammonì la piccola donna «Hai
già avvertito Kensi?»
«Stavo per farlo, ma Nate ritiene sia meglio
parlarle di persona: sta andando da lei» e con un cenno del capo Callen salutò
Hetty e si diresse verso l’uscita.
Non sapeva in che pensiero fosse perso quando voltò
lo sguardo verso il bagno e attraverso la porta, chiusa solo a metà, scorse
Nate che a dorso nudo e di spalle si manteneva con forza sul lavandino, mentre
l’acqua scorreva forte. Lo psicologo se ne stava a testa bassa e i capelli
bagnati lasciavano supporre che avesse più volte messo la testa sotto il getto
freddo. G rimase a guardarlo per alcuni istanti senza riuscire a muoversi,
sorpreso da quella visione che aveva un non sapeva che di anomalo, tanto da
turbarlo. Riuscì ad avvicinarsi fino alla porta senza essere notato dall’altro
e guardò quella schiena curva e liscia che sembrava sostenere un enorme peso.
Bastarono pochi istanti per notare due particolari che fecero sussultare
Callen: all’altezza della spalla sinistra e al fianco destro c’erano due ferite
quasi del tutto cicatrizzate identiche a quelle che lui stesso portava da
quando lo avevano sparato nell’attentato di qualche anno prima.
Qualcuno aveva sparato Nate.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Rieccomi, con il mio consueto ritardo! Ah,
ma stavolta non ci ho messo tantissimo, no?! xD
Bellis Cara collega, possiedi una dote di sintesi e
una capacità di centrare i punti essenziali uniche! Ben fatto! Tranquilla, sei
stata bravissima: nessun errore e moltissime domande – alcune delle quali credo
abbiano trovato soluzione in questo capitolo. Sono felice che la storia ti stia
appassionando nonostante tu parta svantaggiata per alcune – forse non tanto
rilevanti – ignoranze: credimi, non c’è nulla che potrebbe farmi più piacere *-*
I tuoi complimenti mi fanno fare i salti di gioia, come sempre! Il tuo sostegno
è come sempre fondamentale, grazie e alla prossima!
Taila O.O è tutto così complesso da aver bisogno di
tempo?? Non oso immaginare, allora, la tua reazione dopo la lettura di questo!
^/////////////^ Ti ringrazio moltissimo per i tuoi complimenti: sono felice che
la storia risulti ben amalgamata – il mio più grande timore era che risultasse
noiosa! Nate è cambiato nel profondo e come dici tu, tutta la sua empatia è
scomparsa… sarà paura di soffrire ancora? G vorrebbe chiedergli cos’ha, ma non
sa bene da dove cominciare e aspetta un cenno dello psicologo per agire! La
reticenza di Nate a parlare di sé mi ha sempre colpito, sai.. sto pensando di
scrivere qualcosa su questo in un’altra ff, ma ora pensiamo a concludere
questa, eh! xD Deeks.. si salva? Bah.. io so essere abbastanza sadica con i
miei personaggi, sai! Spero di non averti fatto attendere molto.. alla prossima
e ancora grazie!
Misato85 Oh, anche il mio è un amore folle ed assoluto
per questa serie! E pensare che fino a pochi mesi fa neanche ne sapevo l’esistenza!
Deeks… beh, ha dato il suo contributo alla cosa xD ♥ Ti ringrazio molto
per i tuoi complimenti e spero che anche questo capitolo sia stato di tuo
gradimento! Alla prossima!
Fange69 Ok, ok: riprenditi! Come avrai già capito,
questo non è più l’ultimo capitolo, ce ne sarà ancora un altro! Sono felice che
i “miei” Callen e Nate sia stati tanto apprezzati! Sono quasi certa che
scriverò qualcos’altro sulla serie, ma con la scuola e i mille impegni, non so
né quando, né quanto lunga, sorry =( Ti ringrazio per i complimenti e spero che
anche il resto sia all’altezza! A presto!
Un grazie anche a tutti i lettori silenziosi e a coloro che seguono!
Detto questo, credo di potermi eclissare, lasciandovi alcuni
interrogativi: cosa avrà in mente G? Come evolveranno i fatti? Ce la faranno a
salvare la piccola Rose? E Nate, cosa mai gli è successo?
Tutto nello scoppiettante finale!
Baci.
Alchimista ~ ♥