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Autore: Alchimista    14/03/2011    5 recensioni
Quando entrò nell’enorme stanza, che - più specificatamente - era il suo posto di lavoro, uno strano odore invase le sue narici. Si fermò, poggiando un leggero bagaglio a terra e ad occhi socchiusi si perse nel respirare quel profumo che non riusciva ad identificare, né aveva mai sentito.
Sapeva… sapeva di… casa.

Nate torna dall'Afghanistan, dopo una dura missione affidatagli da Hetty e rimasta segreta a tutti. Come l'avrà cambiato quel luogo di guerra? E che effetti avrà tale cambiamento sulla pericolosa missione che il team di Los Angeles si appresta ad affrontare?
Ambientata nella seconda serie, ma non è presente alcuno Spoiler e non occorre averla vista per capire ciò di cui si parla (dato che neanche chi segue la serie sa cosa è successo al povero Nate xD) Buona Lettura!
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Piccolo avviso pre-lettura: non sono riuscita ad inserire tutto in questo capitolo, quindi – non so se per fortuna o meno – questo non sarà l’ultimo, ma il penultimo.

Detto questo, vi auguro buona lettura ^________^

 

 

 

 

 

#003 ~  Fear

 

*

«Sono sicuro di farcela!»

L’entusiasmo del ragazzo non sembra essere ricambiato dall’uomo che gli rivolge uno sguardo scettico e preoccupato.

«Oh, andiamo!» lo incoraggia il giovane con un inglese stentato e dall’accento straniero.

«È che mi preoccupo per te…» spiega con un sospiro l’uomo e il ragazzo davanti a lui sorride.

«So cosa fare, prometto che torno» e lo sguardo che stavolta rivolge all’amico trattiene una forza, una determinazione ed una fiducia tale che l’uomo non può fare altro che annuire, restituendo il sorriso e stringendo con affetto a sé il ragazzo.

*

 

Il silenzio aveva preso possesso della stanza dove le ultime parole di Eric si erano ormai disperse nell’aria producendo un effetto diverso in ognuno dei presenti. Callen si voltò immediatamente verso Nate che dal canto suo mostrava appena la sorpresa per le ultime novità.

«Ne siete certi?» chiese poi, voltandosi verso Eric e Nell.

«Cero, G» fece quello serio «Io ho chiamato alla concessionaria e non vedono l’uomo da giorni, mentre Nell è riuscita a contattare uno dei genitori del campeggio e la ragazzina non solo non è con loro, ma non aveva detto a nessuno dei suoi compagni di voler andare con loro!»

Callen sospirò: le cose si stavano complicando secondo un ordine che gli sfuggiva.

«Avverto Kensi della situazione?» chiese Sam prendendo il cellulare.

«No, aspetti signor Hanna: non credo sia il caso di allarmarla senza avere delle notizie certe. Interrogate di nuovo la donna: chiedetele della sua famiglia» consigliò Hetty e gli agenti si mossero seguiti dallo psicologo che uscì senza dire nulla.

«Signor Beal, signorina Jones: ottimo lavoro!» si congratulò poi la piccola donna prima di lasciare anche lei la stanza; tuttavia sia Eric che Nell non riuscirono ad essere del tutto felici del successo: in quei pochi minuti in cui tutta la squadra era stata nella stessa stanza, si era avvertita  una pesantezza ed una tensione che avevano tolto loro la parola.

«Parlerà?» chiese scettica la ragazza guardando il collega.

«L’interrogatorio di Nate, nonostante tutto, non l’ha smossa…» si limitò ad osservare l’altro come se non stesse seriamente ascoltando, distratto da altro.

Nell annuì, comprendendo i pensieri di Eric e tornò al computer, raggiunta  in breve dall’altro che le rivolse un sorriso di scuse.

«Sei preoccupato per lui?» chiese la ragazza mentre muoveva le dita sulla tastiera del computer con velocità, riferendosi allo psicologo.

«Non l’ho mai visto così: è distante, assente, freddo. È diverso dall’ultima volta che ha lavorato con noi: negli interrogatori, di solito, ha sempre cercato di entrare in qualche modo in contatto, in sintonia con chi gli è di fronte, si è sempre mostrato gentile, quasi premuroso. Non c’era nulla di quell’uomo in quest’ultimo interrogatorio…»

«Non è… solo questo, vero…?» continuò lei, stavolta staccando gli occhi dl monitor e cercando con gli occhi il collega; lui sospirò con un mezzo sorriso.

«Hai preso lezioni da lui?» chiese ironico «Com’era… quando l’hai incontrato tu per la prima volta?» continuò poi, curioso.

Nell scoppiò a ridere con un suono cristallino, che parve quasi alleggerire l’aria tesa di quella situazione e fu un bene per Eric che trattenne, solo per imbarazzo, un sospiro di sollievo.

«Morivi dalla voglia di chiedermelo, eh?» fece lei allusiva e per un istante i due si guardarono senza parlare «L’ho conosciuto alcuni anni fa» continuò lei, stavolta seria, persa nei ricordi «Io seguivo un corso di specializzazione all’università e lui fu invitato a tenere una lezione sulla psicologia e le sue applicazioni nella vita di tutti i giorni. Fu davvero interessante vedere come dalla routine di un ragazzo si potessero comprendere così tante cose sui suoi processi interiori. Nate mi colpì subito: c’era così tanta conoscenza nelle sue parole, così tanta competenza… eppure mostrava allo stesso tempo un sottile imbarazzo, una gentile discrezione nei confronti di chi gli era di fronte… Lo raggiunsi dopo la lezione e pranzammo insieme: parlando con lui, mi accorsi che quello che avevo percepito del suo carattere corrispondeva a realtà. Quando parlava con qualcuno non aveva alcuna paura a mostrarsi con trasparenza, a mettere tutte le carte in tavola: spingeva con semplicità a fidarsi di lui. Anche per me ora è completamente diverso. Ha sofferto…»

«G è sempre stato il motore della squadra, quello la tiene compatta e la sostiene. Senza di lui – raramente ci siamo trovati in una simile situazione – la sicurezza, la forza cade… Tuttavia anche l’assenza di Nate si sente…»

«Tutti occupiamo un posto importante nella squadra… o almeno credo…»

Eric sorrise, d’accordo con lei.

«Nate è la stabilità, l’equilibrio. Con lui non ci sono dubbi, né segreti; eppure essere un libro aperto non ti fa sentire indifeso, non è un fastidio… Sapere che lui sa è un sostegno: non ti senti solo, sai che – qualunque sia il problema – puoi bussare alla sua porta, a qualsiasi ora»

La ragazza annuì d’accordo, mantenendo il suo sorriso ed Eric tornò alla sua postazione: parlare aveva fatto bene ad entrambi, tuttavia non aveva di certo risolto il problema.

 

Quando Lisa vide entrare Sam nello stanzino in cui era rimasta dopo l’interrogatorio di Nate, fu felice che fosse tornato quell’agente: le parole d’accusa gridate dall’altro uomo rimbombavano ancora nella sua testa, scavavano solchi profondi e minacciavano di farla cadere giù.

«Come si sente?» chiese Sam e la donna ebbe l’impressione che fosse cambiato qualcosa anche in lui.

«Io… sto bene, credo» disse lei confusa: non sapeva più neanche che ora fosse, come poteva essere in grado di sapere come stava? «Quel… quell’uomo che prima… era qui…»

«Nate… non si preoccupi di lui adesso. Ascolti me: dove sono suo marito e sua figlia?»

La donna osservò per alcuni istanti Sam, perplessa.

«Mio… mio marito è in viaggio d’affari e mia figlia in campeggio, ve l’ho detto…» rispose confusa.

«Suo marito non aveva alcun impegno d’affare: non si presenta da giorni a lavoro; abbiamo anche rintracciato alcuni dei genitori che avrebbero dovuto partecipare al campeggio con sua figlia: non hanno mai visto la piccola» svelò l’agente senza alcuna riserva.

Lisa lo guardò sorpresa, sconvolta. Gli occhi sbarrati cercarono sul volto dell’uomo che le era di fronte una soluzione a quella situazione, mentre la paura le attanagliava le membra.

«Mio Dio… Cosa sta succedendo?» balbettò con voce impastata dal pianto, mettendosi le mani in faccia con gesto disperato.

«Ammiro la sua forza d’animo» fece Nate che a braccia incrociate se ne stava appoggiato al tavolo, attento ad ogni movimento della donna che osservava dallo schermo.

«Continua a mentire?» chiese G senza sapere in che modo porsi nei confronti dello psicologo dopo la scenata di poco prima.

«In modo quasi sfacciato: sapeva benissimo che i suoi familiari non erano dove ci aveva detto; la sua sorpresa è falsa… ma la sua disperazione… Callen, c’è qualcosa di importante che ci sta nascondendo»

Nate scattò in avanti, pronto ad entrare nello stanzino, ma G fu rapido a prenderlo per un braccio e la scena rimandò terribilmente a quella di poco prima.

«Aspetta! Hai intenzione di essere diretto come l’ultima volta? Non mi sembra che abbia avuto molto successo: le hai fatto quasi paura…»

Gli occhi dello psicologo incrociarono quelli dell’agente in uno sguardo indecifrabile, troppo intenso e poco comune il lui perché Callen potesse coglierne a pieno tutte le sfumature.

 

*

Paura. Fredda, terribile, paura, tanta da mozzare il fiato.

L’ansia blocca il respiro dell’uomo in gola e gli provoca fitte allo stomaco. Si sente come uno scolaretto alla sua prima interrogazione, ma stavolta la posta in gioco è molto più alta.

«Nervoso?» gli chiede un uomo poco più grande di lui.

«Non so.. Gli ho permesso di andare, ma non sono affatto sicuro della cosa: è tutto appeso ad un filo, lui è appeso ad un filo» dice riferendosi al ragazzo.

«Sa quello che fa» lo rassicura l’altro, la mo sguardo dell’uomo è serio e pieno di paura.

*

 

«Nate…?» chiamò G, guardandolo incuriosito e lievemente preoccupato.

Gli occhi dello psicologo, vuoti fino ad un istante prima, tornarono – così come la sua mente – in quella stanza e in quella situazione, ricambiando lo sguardo dell’agente con fare stupito.

«È tutto a posto? Stai bene? Ti sei come… incantato»

«Sì… sì è tutto a posto, tranquillo. Ci… ci parli tu con la donna, d’accordo?» sussurrò, come se la sua attenzione fosse ancora presa da qualche pensiero.

 

«Mi sento stupida. Ehi, Deeks: mi stai facendo sentire stupida!»

La voce di Kensi, flebile sussurro, si disperse nell’aria della stanza in modo tanto rapido da mettere subito in dubbio la sua esistenza, quasi non fosse mai uscita dalla bocca. Era seduta accanto al letto dell’agente che, pallido, riposava disturbato da un dolore che la faceva star male al solo pensiero. Era forte, gli aveva detto G; era forte, si era ripetuta lei mentre i minuti passavano, ma Marty non aveva aperto gli occhi e le sue condizioni di salute erano lentamente ma inesorabilmente scivolate verso il peggio, lasciando trasparire la parola “coma” come terribile e velata prospettiva.

«I dottori hanno detto che parlare con il dormiente fa bene, facilita il risveglio – lo dicono sempre, quasi fosse una procedura ordinaria; ormai non ha più alcuna sfumatura, neanche quella di apparente consolazione o almeno incoraggiamento. Non ho mai amato gli ospedali: c’è gente che dice di sentirsi al sicuro quando è qui, ma io – sarà io mio carattere da agente dell’NCIS – non mi fido a lasciarli giocare con la mia vita. Tu, invece, credo apprezzeresti: ci sono davvero delle infermiere niente male...»

La risata scappò dalla bocca di Kensi con un’ottava fin troppo alta, chiaramente isterica e triste, infinitamente triste. Gli occhi lucidi cercavano – chiedevano disperatamente – un cenno di risveglio da parte del collega che tuttavia rimaneva immobile, inchiodato al letto come una condanna.

«Se ci lasci, ti giuro che non te lo perdono, mi hai capito Deeks?!» minacciò al limite delle forze, le lacrime che ormai scendevano sottili, sfiorandole il volto.

Per brevi attimi il silenzio tornò a scandire i secondi che scorrevano.

Tutto accadde in pochi istanti. La scena passò dalla lentezza del silenzio ad una rapidità frenetica, scandita dall’allarmante suono dei macchinari che segnavano un’alterazione del battito cardiaco. Kensi sussultò, agitando gli occhi terrorizzati dal volto di Deeks a quelle linee bianche che nel monitor non la smettevano di alternarsi in modo frenetico dalle più basse alle più alte.

«Dottore! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!» gridò, la voce che faticava ad uscire per la paura.

Tutto stava andando come doveva andare, non c’era nulla di sbagliato: ogni cosa era al suo posto, la morte era al suo posto. La storia è come un enorme cerchio: tutto si ripete.

Persa, segregata nei suoi dolorosi pensieri, la ragazza si accorse appena del gruppo di medici ed infermieri che con un defibrillatore era entrato nella stanza e cercava ora di stimolare il battito cardiaco del ragazzo che andava sempre più affievolendosi. Kensi non riuscì ad opporre resistenza alla ragazza che con garbo la mise alla porta, dicendole scioccamente che andava tutto bene.

 

Il cellulare nella tasca di G vibrò, bloccando a metà l’ennesimo tentativo di convincere la donna a rivelar loro quello che stava nascondendo sulla sua famiglia e cosa c’entrasse con la morte del fratello. Quando Callen lesse il nome di Kensi sul display non pensò neanche ad uscire, ma semplicemente si allontanò dal tavolo al quale era seduto e rispose.

«Kens…» la chiamò, con accento lievemente preoccupato.

«Ha avuto un collasso; il cuore ha smesso di battere per una decina di secondi…» farfugliò lei, quasi fosse sotto shock.

«Ora come sta?» continuò lui, ora preoccupato per entrambi.

«Sono … sono riusciti a stabilizzarlo… ma è in coma… G, ho paura» confessò lei e lo stesso Callen si sentì turbato da quelle parole: Kensi non era mai stata una ragazza incline a mostrare la sua debolezza, eppure ora era talmente vulnerabile…

«Ok, vengo lì»

«No. Non occorre, G… Io… non so cosa fare, mi sento così inutile! È come giocare una partita restando in panchina, legata, senza avere altra possibilità che guardare il proprio compagno soccombere…»

Il silenzio di Callen valse molto più delle parole: cosa si poteva dire per arginare tanta paura e dolore? Istintivamente l’agente guardò verso la telecamera della stanza come a cercare attraverso di essa di raggiungere Nate che dalla sua espressione poteva immaginare il contenuto della telefonata. Forse, nonostante tutto, lui sarebbe stato in grado di aiutarla, di calmarla e farle trovare quel coraggio che il dolore stava mettendo a dura prova.

«Voi… voi avete novità?» chiese Kensi per sviare la discussione da quell’argomento.

«Non molte. Nate ha capito che la donna ci sta mentendo, ma non sappiamo ancora su cosa. Intanto il marito e la figlia non si trovano»

Nel pronunciare quelle parole, Callen aveva abbassato la voce sperando che Lisa non riuscisse a sentirlo.

«Sono scomparsi? Credi che questo abbia a che fare con la morte del sergente?»

«Credo di sì, ma finché la donna non si deciderà a parlare non potremo essere certi di nulla» si rammaricò l’agente.

Kensi rimase in silenzio, senza sapere cosa dire: c’era chiaramente qualcosa che sfuggiva loro, ma non riusciva a capire – ad immaginare – cosa fosse. L’unica risposta che riuscì a dare fu un sospiro sommesso, stanco.

«Se ci sono novità, chiama. Io farò lo stesso» concluse G, staccando la chiamata che ormai non aveva più nulla da dire.

Quante volte ancora sarebbe stata pronunciata quella frase?

Callen si voltò rapido verso la donna, muovendosi fino ad arrivarle a pochi centimetri di distanza, occhi negli occhi, nessuna possibilità di fuga.

«Il mio collega, l’uomo che hanno sparato davanti casa sua, ha avuto una crisi, ha rischiato davvero di morire ed ora è in coma! Il minimo, il minimo che può fare è spiegarci cos’è successo, dirci tutta la verità sulla morte di suo fratello e sulla scomparsa della sua famiglia; se non vuole farlo per noi o per se stessa, lo faccia per lui che sta rischiando la vita senza neanche saperne il motivo!» disse, senza gridare e senza alcun accenno di minaccia e tuttavia tradendo dagli occhi una forza, qualcosa… qualcosa di difficile da spiegare a parole e che pure, però, giunse alla mente e al cuore di Lisa in modo finalmente risolutivo. La donna abbassò il capo mentre sparivano anche gli ultimi residui di incertezza, prese un lungo respiro e cominciò.

«È iniziato tutto dieci giorni fa. A me sembra tanto tempo, ma sono trascorsi solo dieci giorni. Rose, mia figlia, di solito torna a scuola a piedi perché è a pochi minuti da casa, ma quel giorno non è tornata. All’inizio non mi sono preoccupata: capitava che si fermasse a casa di una compagna di classe per studiare, anche se di solito avvertiva sempre prima di andare. Nel pomeriggio non avevo ricevuto ancora alcuna chiamata e decisi di provare a casa di Carol, una sua amica, giusto per star tranquilla; quando la ragazza mi disse che l’ultima volta che l’aveva vista, mia figlia stava tornando a casa normalmente, capii che era successo qualcosa. Non… non so con quale forza chiamai mio marito spiegandogli ogni cosa; lui mi disse di non avvisare nessuno e di aspettarlo a casa. Quando venne, decidemmo di non avvertire la polizia, ma di aspettare prima che eventualmente i rapitori si facessero vivi: volevamo risolvere la situazione da soli, con il minor numero di rischi»

Sam rivolse alla donna uno sguardo di biasimo che non poté sfuggirle. Lei sorrise.

«A dire cosa bisognava fare dopo che le cose sono state fatte sono bravi tutti, ma la paura di perdere la nostra unica figlia è una cosa che, credetemi, non potete immaginare»

«Creda lei a me, Lisa: sappiamo cosa vuol dire perdere una persona che si ama» la corresse G, cercando di non perdersi in tristi ricordi.

Quella lo guardò attentamente per qualche istante, come a volergli far capire qualcosa che non avrebbe avuto senso spiegare con parole; poi continuò.

«Il messaggio dei rapitori – una telefonata – arrivò alle prime ore del giorno dopo: una voce metallica diceva che avevano la nostra bambina e che l’avrebbero riportata a casa solo in cambio di due milioni di dollari; si complimentarono con noi per la saggia scelta di non aver avvisato nessuno e ci intimarono di continuare a tacere per il bene di Rose, dandoci una settimana di tempo per mettere insieme la somma richiesta. Mio marito prese subito dei giorni di permesso da lavoro e decidemmo di dire a tutti che nostra figlia era partita per il campeggio, mentre lui era fuori per un viaggio d’affari. Le banche non ci fecero molte domande e furono disposte a concederci un prestito tanto alto: sembrava andare tutto bene. Quando tre giorni dopo la telefonata mi trovai Ronald alla porta capii che la fortuna aveva appena girato a nostro sfavore: non saremmo riusciti a nascondergli a lungo la nostra preoccupazione o le piccole stranezze che si susseguivano davanti ai suoi occhi. La sera stessa gli confessammo ogni cosa: Julian, mio marito, lo scongiurò di non dire niente a nessuno, soprattutto ai suoi colleghi e superiori e lui promise il silenzio, aiutandoci anche a mettere insieme più velocemente possibile la somma richiesta. Quando i rapitori ci richiamarono per indicarci luogo ed ora dello scambio, Ron disse che sarebbe andato con mio marito e avrebbe risolto tutto – non ci furono modi per fargli cambiare idea. Qualcosa, però, deve essere andata storta… forse i rapitori si sono accorti di mio fratello, forse Ron ha cercato di arrestarli, fatto sta che… lo hanno ucciso e non hanno preso i soldi – Rose è ancora nelle loro mani. Julian è tornato a casa sconvolto e mi ha raccontato tutto poco prima del vostro arrivo»

«Quindi la sparatoria davanti a casa sua era un avvertimento…» ipotizzò G.

«Dov’è ora suo marito?» chiese Sam, quasi ignorando il commento del collega e mostrando, invece, una prontezza che forse nasceva molto più dall’incapacità di riuscire a concepire in uno sguardo d’insieme tutte quelle nuove informazioni che da altro.

«Non lo so… credo sia cercando di rimettersi in contatto con i rapitori… prima che…» e pur essendo stata in grado di resistere fino a quel momento, dopo aver finito la confessione, Lisa si sciolse in lacrime di liberazione e paura per le conseguenze delle sue parole.

Nate, di fronte allo schermo, era rimasto bloccato, la mente che tentava di ordinare con lucidità le nuove informazioni. Avevano sbagliato ogni cosa! Non era la vita di Ronald a dover essere controllata, ma quella della sorella! Ecco perché non aveva trovato nulla fuori posto: semplicemente non c’era nulla che lo fosse! La situazione aveva preso una piega del tutto diversa da com’era cominciata…

 

*

La situazione ha preso una piega completamente diversa da quella che aveva previsto e a dire il vero, neanche nella peggiore delle ipotisi avrebbe pensato ad una cosa simile: quello che potrebbe succede arrivati a questo punto – quello che sta per succedere – ha la forza di paralizzarlo. Lo aveva detto sin dall’inizio che era una pazzia, che c’erano fin troppi motivi per cui sarebbe potuto andare tutto storto, ma tutti erano parsi stregati da un assurdo ottimismo al momento di decidere ed ora ne stanno pagando le conseguenze. Anzi, uno solo pagherà le conseguenze.

«Facciamo irruzione?» gli chiede una voce e l’uomo sente svariati sguardi aggrapparsi a lui come se bastasse una sua parola a sistemare tutto.

«Io… non ne sono sicuro» confessa abbassando la testa: in quel momento non è sicuro di nulla, gli occhi scuri del ragazzo come chiodo fisso nella testa.

Ad un tratto, poi, quasi quella visione gli abbia dato il pizzico di folle determinazione necessario a riprender parola, a decidere, alza lo sguardo.

«Andiamo» dice risoluto e mentre si prepara con gli altri non può fare altro che pregare un Dio, forse troppo spesso dimenticato, che tutto vada per il meglio.

*

 

«È come avere in mano un caso completamente diverso!» sbottò Sam, quando fu con G nell’altra stanza.

«Almeno sappiamo cosa ci nascondeva Lisa e perché la vita del sergente non sembrava avere macchie: quell’uomo è stato un eroe fino alla fine» osservò l’altro guardando lo psicologo che gli parve avere di nuovo lo sguardo perso nel vuoto, come quando lo aveva fermato, poco prima; tuttavia, anche questa volta, i suoi occhi tornarono vivi in pochi istanti.  

«A questo punto credo sia il caso di avvertire Hetty e forse anche Kensi: le carte in tavola sono completamente cambiate» fece infatti Nate, spostandosi dal tavolo.

«Resti tu con lei?» chiese G al partner e quando Sam ebbe annuito, seguì lo psicologo che era già uscito.

 

«Cosa ha intenzione di fare alla luce di queste nuove informazioni?»

La voce di Hetty appariva calma e fiduciosa, senza tradire neanche un minimo di quella sorpresa che pure l’aveva colta e che per qualche istante G aveva letto nei suoi occhi.

«Pensavo di entrare in qualche modo in contatto con il marito di Lisa, ma dobbiamo essere rapidi: lo scambio potrebbe essere già avvenuto»

«La moglie sa dov’è?»

«No, ma ho in mente un modo per trovarlo. Devo discutere dei particolari con Sam» fece sicuro G, con un mezzo sorriso.

«Fate attenzione» lo ammonì la piccola donna «Hai già avvertito Kensi?»

«Stavo per farlo, ma Nate ritiene sia meglio parlarle di persona: sta andando da lei» e con un cenno del capo Callen salutò Hetty e si diresse verso l’uscita.

Non sapeva in che pensiero fosse perso quando voltò lo sguardo verso il bagno e attraverso la porta, chiusa solo a metà, scorse Nate che a dorso nudo e di spalle si manteneva con forza sul lavandino, mentre l’acqua scorreva forte. Lo psicologo se ne stava a testa bassa e i capelli bagnati lasciavano supporre che avesse più volte messo la testa sotto il getto freddo. G rimase a guardarlo per alcuni istanti senza riuscire a muoversi, sorpreso da quella visione che aveva un non sapeva che di anomalo, tanto da turbarlo. Riuscì ad avvicinarsi fino alla porta senza essere notato dall’altro e guardò quella schiena curva e liscia che sembrava sostenere un enorme peso. Bastarono pochi istanti per notare due particolari che fecero sussultare Callen: all’altezza della spalla sinistra e al fianco destro c’erano due ferite quasi del tutto cicatrizzate identiche a quelle che lui stesso portava da quando lo avevano sparato nell’attentato di qualche anno prima.

Qualcuno aveva sparato Nate.

 

 

 

 

~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Rieccomi, con il mio consueto ritardo! Ah, ma stavolta non ci ho messo tantissimo, no?! xD

 

Bellis  Cara collega, possiedi una dote di sintesi e una capacità di centrare i punti essenziali uniche! Ben fatto! Tranquilla, sei stata bravissima: nessun errore e moltissime domande – alcune delle quali credo abbiano trovato soluzione in questo capitolo. Sono felice che la storia ti stia appassionando nonostante tu parta svantaggiata per alcune – forse non tanto rilevanti – ignoranze: credimi, non c’è nulla che potrebbe farmi più piacere *-* I tuoi complimenti mi fanno fare i salti di gioia, come sempre! Il tuo sostegno è come sempre fondamentale, grazie e alla prossima!

Taila  O.O è tutto così complesso da aver bisogno di tempo?? Non oso immaginare, allora, la tua reazione dopo la lettura di questo! ^/////////////^ Ti ringrazio moltissimo per i tuoi complimenti: sono felice che la storia risulti ben amalgamata – il mio più grande timore era che risultasse noiosa! Nate è cambiato nel profondo e come dici tu, tutta la sua empatia è scomparsa… sarà paura di soffrire ancora? G vorrebbe chiedergli cos’ha, ma non sa bene da dove cominciare e aspetta un cenno dello psicologo per agire! La reticenza di Nate a parlare di sé mi ha sempre colpito, sai.. sto pensando di scrivere qualcosa su questo in un’altra ff, ma ora pensiamo a concludere questa, eh! xD Deeks.. si salva? Bah.. io so essere abbastanza sadica con i miei personaggi, sai! Spero di non averti fatto attendere molto.. alla prossima e ancora grazie!

Misato85  Oh, anche il mio è un amore folle ed assoluto per questa serie! E pensare che fino a pochi mesi fa neanche ne sapevo l’esistenza! Deeks… beh, ha dato il suo contributo alla cosa xD ♥ Ti ringrazio molto per i tuoi complimenti e spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento! Alla prossima!

Fange69  Ok, ok: riprenditi! Come avrai già capito, questo non è più l’ultimo capitolo, ce ne sarà ancora un altro! Sono felice che i “miei” Callen e Nate sia stati tanto apprezzati! Sono quasi certa che scriverò qualcos’altro sulla serie, ma con la scuola e i mille impegni, non so né quando, né quanto lunga, sorry =( Ti ringrazio per i complimenti e spero che anche il resto sia all’altezza! A presto!

Un grazie anche a tutti i lettori silenziosi e a coloro che seguono!

 

Detto questo, credo di potermi eclissare, lasciandovi alcuni interrogativi: cosa avrà in mente G? Come evolveranno i fatti? Ce la faranno a salvare la piccola Rose? E Nate, cosa mai gli è successo?

Tutto nello scoppiettante finale!

Baci.

 

Alchimista  ~   

 

 

 

 

   
 
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