9.
Il
Leopardi si deprime
-
Come?! - sbottò Debbie a bocca aperta.
- Sbattuto fuori. - ripeté Ethan avvilito, chino sul bancone, con Wolf che
miagolava a destra e a manca curiosando.
-
Ma... Ma perché? -
- Disinfestazione degli scarafaggi. Ergo, non ho un posto dove andare. - Era
talmente depresso che neanche si accorse che il gatto stava cominciando a
leccare dalla sua tazza di caffè.
- Povero Fiocco... Puoi venire a stare da me. C'è sempre posto per un ragazzo
bello e in difficoltà! - gli sorrise con fare materno alzandogli il viso e
accarezzandogli la guancia.
- Grazie, ma non vorrei essere un disturbo. Io suono e non ho orari. -
Debbie
annuì comprensiva.
- Una bella gatta da pelare, eh? -
- Meow! - protestò Wolf sentendosi messo in mezzo.
Ethan lo accarezzò con lo sguardo perso, non sapendo assolutamente cosa fare.
Quella disinfestazione era arrivata del tutto inaspettata, dopo un periodo
stupendo a dir poco, ecco che qualcosa era arrivato a squarciare il suo cielo
sereno, mandandolo in frantumi.
Si era trascinato da Debbie con tutte le sue cose, aveva sbattuto le valigie in
un angolo, erano l'unico posto in cui sapeva avrebbe ricevuto un minimo di
comprensione.
-
Beh, Fiocco, se proprio non riesci a fare a meno di suonare, per qualche sera
noi siamo anche pronti a tenerci i tappi. E di giorno invece apprezzeremo
moltissimo la tua musica. Mi piacciono le persone con talento. -
- Ma c'è anche Wolfram... E’ un gatto, ha bisogno di spazio e di silenzio. Non
hai idea di quanto noioso possa diventare se non lo si lascia in pace! -
- E perché non chiedi a Brian? Mi sembra che andiate molto d'accordo ora. O
almeno, mi può essere giunta una voce... -
-
No, assolutamente no. - mormorò lui scuotendo la testa - Lui è un uomo
indaffarato, e la sua casa è sempre in ordine, sempre pulita. Non voglio
combinargli qualche guaio, e poi non è fatto per vivere con un'altra persona.
Sarei di troppo. -
Debbie fu perplessa da quella spiegazione matura. La lasciò spiazzata.
- Beh... Con Brian ha già vissuto... -
- Ho anche un gatto, e a Brian non credo piacciano. - insistette Ethan prima di
sentire nuovamente il nome di Justin, che ultimamente meno lo sentiva e meglio
era.
-
Non posso stare tranquilla vedendo il mio Fiocco con quell'espressione
malinconica! Ok, intanto scaldati e rifocillati. E vale anche per palla di
pelo. - disse portando una ciotola con del latte per Wolfram, prima di andare a
fare una chiamata prendendo la sua agendina sotto banco.
Nonostante Ethan non volesse chiedere a Brian di ospitarlo, sembrava che dal
suo tono nascondesse in realtà il desiderio di farlo. E si era accorta di come
per la prima volta non avesse utilizzato un tono ostile nel parlare di lui.
La
cosa si stava evolvendo in fretta. Molto bene!
Il telefono squillò qualche volta prima che dall'altro capo si degnassero di
rispondere.
- Qui è l'inimitabile e stupendo Brian Kinney, chi è che cerca questa splendida
creatura? - rispose una voce a lei molto familiare.
- Smettila di menartelo e vieni subito al locale, signor Modestia è il mio
nome! - disse Debbie in tono che non ammetteva repliche.
-
Per quale motivo dovrei venire al locale ora? Sto lavorando. - rispose Brian.
In realtà non voleva uscire perché nel suo ufficio c'era una temperatura
perfetta, e l'idea di uscire per prendere la macchina non lo allettava neanche
un po’.
- Porta il tuo culetto qui, mr. Fantastic, o ti strappo l'unico coglione che ti
resta. Fiocco è stato sbattuto fuori di casa. -
A quelle parole, una
lampadina nella sua testa prese ad accendersi e spegnersi ritmicamente.
- Arrivo. -
In
un tempo da record, stupendo persino se stesso, Brian raggiunse il locale,
parcheggiando senza tanti complimenti sopra le righe.
Quando la porta si aprì, accogliendolo con il suo scampanellio, Ethan si voltò
verso di lui e lo guardò con occhi sgranati. Di sicuro non era arrivato per un
caffè.
- L'hai chiamato! - protestò contro Debbie.
-
Fiocco, non posso lasciarti sul marciapiede al freddo! - replicò lei
apprensiva.
- Qualcuno mi spiega cosa succede? - dichiarò Brian, rassicurato dal fatto che
Ethan sembrava ancora tutto interno. Gli era venuto un colpo per quella
telefonata, aveva pensato a chissà che.
Glielo spiegarono, o meglio, fu Debbie a spiegargli la cosa, condita da
esclamazioni ed epiteti di vario genere, finendo per prendersela con gli
scarafaggi.
- E
così, mi ha messo tra le mani Wolfram e le valigie, sono venuto qui perché non
sapevo dove altro andare per il momento. - Accarezzò piano Wolfram che cercava
di sfuggire dalle sue gambe per saltare in grembo a Brian.
I primi avventori del
mezzogiorno iniziarono ad affluire, e guardavano quel micio peloso con
tenerezza, e a Wolf non dispiacque per niente. Brian sospirò sedendosi accanto
a Ethan, congiungendo le mani.
- Potresti pagarti un appartamento niente male, con dodicimila dollari. - gli
fece notare, e il ragazzo lo guardò spento.
- Dodicimila dollari finiscono in fretta se non hai un lavoro, e io devo pagare
anche l'università e i miei strumenti, mantenere il sottoscritto e Wolf. -
-
Gli ho proposto due soluzioni ma Fiocco ha la testaccia dura e le ha rifiutate
entrambe. - disse Debbie, con le immancabili mani sui fianchi.
- ... Quali? - Brian aveva un pessimo presentimento.
- Di venire da me, o stare da te! -
Ethan non aveva proprio voglia di osservare la sua reazione.
- Da me?! - replicò Brian -
Casa mia non è un albergo! -
Debbie gli diede uno stracciò addosso.
- Ma sentilo, te ne porti uno diverso ogni notte, ti scomoda così tanto
ospitare un povero ragazzo perché ne ha un disperato bisogno?! -
- No no no, non credo proprio! - interloquì Ethan - Io non posso certo starmene
in casa con questo qui! - esclamò indicando Brian.
- Questo qui?! -
- Senza offesa, ma non voglio rischiare di disturbare l'intimità tra te e le
migliaia di spermatozoi sconosciuti che girano per il tuo appartamento! -
-
Non sembrava ti sembrava dispiacere perdere i tuoi, di spermatozoi nel
mio letto, la scorsa notte! -
- Oh andiamo, era una cosa completamente diversa! - esclamò Ethan -
- E
questa mattina hai preso su e te nei sei andato allo stesso modo di tutti
quelli che insulti che mi porto a casa. Che cazzo di coeren... -
- Ma avevo lasciato Wolf senza cibo, stupido! -
-
Eh, un gatto è un gatto! - annuì Debbie convinta.
Brian le lanciò un'occhiata pessima, prima di tornare a Ethan.
- Dato che trovi che stare con me sia anti igienico, te ne puoi benissimo
andare a dormire sotto un ponte, basta che vai un po' a sud che ne trovi quanti
ne vuoi! - dichiarò, e si alzò andando alla porta.
- Dove pensi di andare?! - lo riprese Debbie.
- Vado lontano da chi non gradisce la mia compagnia. - rispose, e si bloccò
prima di mettere un piede fuori, tornando su suoi passi - Questo è il tuo
assegno. - Posò sul bancone un lungo foglietto color avorio - Decidi tu che
cazzo farne, una buona volta. - E se ne andò.
Ethan
prese lentamente l'assegno in mano guardandolo, per poi alzare lo sguardo verso
la porta. Sospirò e abbassò il viso, tenendoselo tra le mani. Gli uscì un
gemito di frustrazione.
- Dovevo andare a Parigi. Perché faccio sempre le scelte sbagliate?! Non so
neanche perché sono rimasto in questo schifo! -
-
Parigi? - domandò Debbie, che ne fregò bellamente dei clienti che stava
aspettando di ordinare.
Ethan glielo spiegò alla bell'e meglio, raccontandogli di Nadir, anche di
quanto fosse figo, e dello stupido, stupidissimo rifiuto che gli aveva imposto.
- Non so cosa cavolo mi sia preso... Sono stato un pazzo! - si lamentò il
ragazzo passandosi le mani nei capelli, disperato.
- E
subito dopo sei finito nel letto di Brian. Oh santo cielo. Voi due siete più
lenti di una trama da telenovela. -
- Non... Io sono andato a letto con Brian perché in quel momento ero
sotto pressione, e poi mi aveva trascinato fino al Babylon... Insomma, lo sai
com’è, l’adrenalina, la musica, tutto il resto! - si giustificò sotto lo
sguardo sibillino di Debbie.
-
Beh, niente da ridire, Brian è un bel bocconcino... - sorrise lei con una certa
convinzione.
- No, non si tratta di questo! - Ethan sbuffò - Non è per il suo corpo,
figuriamoci, non è quello che mi attrae! E'... E' il suo modo di fare...
Il suo modo di essere che mi manda in confusione... -
-
Fiocco, è leggermente strano che ti piaccia questo di Brian. Voglio dire... E'
come se ti piacesse te stesso. Brian è il tuo gemello malefico. Siete identici.
-
- Non siamo così uguali. Io ho molto... Molto... Ecco, Brian è una persona
rigida che non sa andare oltre il suo naso e... Non abbiamo niente, niente
in comune. -
-
Beh, non direi... - Debbie cercò le parole giuste per spiegargli la situazione,
e non era affatto facile - Vedi... -
- Lascia stare... Non ho voglia di sentire niente. - Ethan scosse la testa,
alzandosi - Posso lasciare qui la mia roba e Wolf? Ho bisogno di fare una
passeggiata... - Prese il violino con sé, aveva tutte le intenzioni di staccare
la batteria.
-
Certo, Fiocco. Puoi pure andare da Brian a parlare e lasciare il tuo grazioso
micio qui. -
- Non sto andando da Brian! -
- Copriti bene, tesoro. Fa un freddo la fuori! - cantilenò Debbie cominciando
finalmente a servire i clienti, ignorando Ethan di proposito.
Il
ragazzo uscì all'aria aperta, era gelida e pungente, e lui non aveva nemmeno i
guanti, finiti chissà dove sotto la sua montagna di roba.
Camminò per qualche isolato, fino a raggiungere la zona dei parchi, guardandosi
le scarpe mentre camminava.
Poi si fermò sul marciapiede, posò la custodia a terra, ne estrasse il violino,
e si mise a suonare.
Senza volere dei soldi, non gli importavano niente in quel momento. Voleva
suonare per se stesso, per evadere. Per spaccare quel filo rosso che stava
distruggendo la sua vita poco a poco.
La
melodia che aveva scritto pensando a Brian, si sarebbe intensificata di più se
non fosse avvenuto l'incontro al locale. Sarebbe diventata la cosa più bella,
perfetta e sensuale che avesse mai scritto.
Ma in quel momento gli usciva solo un suono incredibilmente lento, che faceva
percepire la sua tristezza. Provò gran parte dei pezzi che conosceva, ma il
risultato era sempre lo stesso.
Una
grande malinconia. Una sensazione devastante, frammentaria, come polvere mossa
dal vento e trascinata lontano contro la sua volontà, stava piangendo quelle
note con tutto il cuore che gli era rimasto, quello che non gli avevano portato
via la sua padrona di casa, Nadir, i suoi genitori, Justin, un po' tutto il suo
mondo che si sgretolava portandosi via un dannato pezzo di sé.
Continuò a far scivolare l'archetto sulle corde ad occhi chiusi, non si accorse
della folla che si era creata intorno a lui, che sussurrava piano, ammirata.
Quando
riaprì le palpebre, sentì la gente attorno applaudirgli. Qualche donna si stava
anche asciugando gli occhi . Fino al giorno prima una reazione del genere da un
pubblico simile lo avrebbe reso euforico. Ma ora neanche quello bastava. Guardò
in basso e vide comunque dei soldi dentro la custodia. Gli raccolse e si guardò
in giro. Vide un barbone disteso su una panchina coperto da un giornale.
Si avvicinò a passo spedito e gli mise i soldi dentro al cappello che aveva a
terra.
Almeno
gli bastano per un pasto caldo. Si
disse, allontanandosi.
Dove poteva andare? Richiuse il violino nella custodia mentre la piccola folla
tornava per la propria strada. Afferrò la custodia e si infilò la mano libera
in tasca. Sentì l'assegno di Brian piegato e una lieve stretta al cuore.
Era
stata colpa della fortuna, che con una mano l'aveva aiutato e con l'altra gli
aveva tolto tutto?
Beh, era proprio una stronza.
Rabbrividì, non gli andava di tornare al locale, non aveva voglia di parlare
con nessuno che lo compatisse, non ne aveva proprio voglia, voleva solo
starsene un po' da solo.
Riprese a camminare a testa bassa, senza meta, rimuginando tra sé e sé.
Quei dodicimila dollari potevano salvargli la testa per un bel po', trovandogli
un appartamento decente e senza scarafaggi.
Ma poi come avrebbe pagato l'accademia di musica in Italia? Tanti soldi così in
un colpo solo non gli sarebbero mai più capitati, però era anche vero che se
non finiva l'università non sarebbe mai potuto andare là.
Dio, che cazzo faccio?!
Come
poteva prendere da solo una decisione così difficile?
Aveva vent’anni, e nessuno a cui chiedere un consiglio sensato. Una
volta avrebbe odiato quei pensieri, lui che era in grado di saper fronteggiare
ogni cosa, ma sentiva che in quel momento aveva solo bisogno del suo
parere. Perché se lo sentiva. Lui era una delle cause sia della sua angoscia
che del benessere in quelli ultimi giorni.
Ma doveva tornare strisciando dopo quella scenata? E sicuramente non l''avrebbe
voluto vedere. Figurarsi consigliarlo.
Doveva decidersi.
Prese una moneta dalla tasca. Al fato, almeno quella scelta poteva lasciarla.
Testa, vado da lui. Croce... Cercherò di andare avanti da solo.
La
lanciò, e chiuse gli occhi. Entrambe le possibilità lo terrorizzavano.
- Ehi, lo sai che non bisogna sprecare così i soldi? - disse una voce
improvvisamente vicinissima.
E scoprì che anche se la moneta non era caduta a terra, il fato aveva scelto
per lui.
Testa.
Riaprì
gli occhi e si girò verso la voce, guardando l'uomo con i grandi occhi scuri in
un'espressione sorpresa.
- Oh... Devo parlarti. Per favore. -
-
Per favore? Da quando sei così accomodante? -
Ethan assottigliò le labbra.
- Ci tieni così tanto a farmi incazzare?! -
Brian alzò le mani arrendevole, e si mise a camminare, facendogli un
impercettibile cenno di seguirlo. E Ethan lo fece. Anche se il fegato gli
rodeva parecchio.
-
Stamattina non volevo andare via in quel modo, ero davvero in pensiero per
Wolfram. -
Brian continuava a rimanere in silenzio - Mi dispiace per prima, al locale. -
Niente, Brian continuava a guardare fisso davanti a sé.
Stava tentando di aggiustare le cose e quello lo ignorava.
Ethan lasciò perdere, tanto
sembrava inutile, tentare la via della disperazione con uno come Brian non
serviva a niente. Cuore di pietra.
-
E’ buffo come ogni volta che ti vedo tu sia in crisi o disperato. -
- E' inquietante che ogni volta che mi volto ci sia tu, in queste situazioni.
Cosa fi facevi dietro di me?! Non eri tornato a lavoro? E' ancora orario
d'ufficio. -
-
Io sono il boss, ho gli orari che tirano a me. - replicò con superiorità
irritante - E piantala di fare l'arrogante, non sei proprio nelle condizioni. -
- E tu non sei autorizzato a tirartela tanto, neanche avessi il cazzo fatto
d'oro! -
Brian si voltò verso di lui nel mezzo della strada, fissandolo accigliato.
- Ma senti chi parla. -
No,
così non andava. Se continuava di quel passo Brian si sarebbe rifiutato di
parlargli.
- Senti... Per favore. - Ethan congiunse le mani cercando la diplomazia dentro
di sé - Per favore. Lo sai quanto è difficile per me chiederti un
favore. Lo sai benissimo. Ma non discutiamo ora, SOLO per una volta, non
possiamo tornare in sintonia come... Come ieri? Solo per mezz'ora. Poi puoi
tornare a insultarmi, detestarmi o tutto quello che vuoi, ma adesso ho bisogno
che parliamo normalmente. -
- E
per dirmi cosa? - domandò lui guardandolo in tralice.
- Per... - Già. Perché? Che voleva dirgli? Di stare nel suo appartamento non se
ne parlava nemmeno, però... Ci teneva a non essere in pessimi rapporti con lui
- Per... Ringraziarti dell'offerta ma declinare? -
Brian alzò un sopracciglio, perplesso.
- Tu sei strano. -
- Ma sentilo... -
Si
fissarono in silenzio, poi Ethan si sciolse in un sospiro.
-
Ho solo molti dubbi, non so cosa fare. Una scelta sbagliata e il mio futuro è
segnato. - Si portò nervosamente una ciocca dietro l'orecchio - Mi accompagni
da Debbie per prendere Wolf e la borsa? Cambierò l'assegno e prenderò una
stanza da qualche parte. -
- E
la tua accademia a Stoccolma? -
- Milano! -
- Quello che è. -
- L'accademia... C'è ancora tempo prima di finire l'università, qualche mese.
Spero di riuscire a raggranellare qualcosa. -
-
Oh ecco il problema. Sempre quello. I soldi. -
- Si, sono un poveraccio, lo so. Ma... -
- Ripeti sempre che vuoi realizzare il tuo sogno, che sei indipendente e ce la
farai, però ora sei qui a non sapere dove sbattere la testa. - Brian fece
spallucce e si mise le mani in tasca - Lo sai che secondo me l'unica cosa
sensata sarebbe dovuta essere la tua partenza per Parigi. Nadir non si sarebbe
fatto problemi a farti completare gli studi. -
- E a te avrebbe fatto piacere non vedermi più in giro, vero? -
Brian alzò gli occhi al
cielo, senza rispondere.
- Sei strano, sai?! - lo rimbeccò Ethan - Ieri quando hai saputo che non sarei
partito mi hai trascinato a ballare e sembravi al settimo cielo, e poi mi hai
addirittura scopato, e adesso vorresti spedirmi lontano! - Sbuffò scuotendo la
testa, autocommiserandosi - Non ho cambiato proprio idea su di te: sei sempre
stato e rimarrai quel meschino che usa la gente e poi la butta via come se non
valesse niente. -
Ethan se ne andò frustrato e arrabbiato, deciso a filare in banca, cambiare
quell'assegno e cercarsi un appartamento decente. Avrebbe perso i soldi per
l'accademia italiana, ma li avrebbe tirati su in un altro modo.
Anche
se, ammise amaramente, le uniche offerte di lavoro le aveva ricevute da Brian.
Brian, che nonostante tutto recentemente continuava a essere uno dei suoi
pensieri fissi, che compariva sempre quando era nel momento più difficoltoso, e
nonostante si fosse ripromesso di andarci con calma e con giudizio, alla fine
le cose finivano con loro due che litigavano.
Perché continuo a volergli andare dietro?
Che situazione di merda.
Stava cominciando a rimpiangere la sua vita in Virginia, là almeno aveva i suoi
che, seppur non condividendo affatto la sua vena artistica, avrebbero potuto
aiutarlo in un momento di disperazione.
Ma lì non aveva proprio nessuno su cui potesse realmente contare...
Un'auto gli tagliò la strada, facendolo sobbalzare.
- EHI, chi cazzo t'ha insegnato a gui... - Era Brian.
- Sali. -
- Che? No! -
- Ethan Gold, per la prima volta nella tua vita, chiudi la bocca!
E Sali! - ripeté perentorio.
Ethan si morse il labbro inferiore e sbuffò, salendo in macchina mettendo nel
sedile posteriore la sua custodia, ormai stava diventando una cosa abituale.
- Dove andiamo? -
- Zitto. -
Andiamo bene. Il ragazzo sbuffò mettendosi la cintura, guardando la
città che prese a muoversi velocemente oltre i finestrini.
Il
viaggio continuò in silenzio, finché Ethan non riuscì a tenere la bocca chiusa.
- Si può sapere perché non mi dici mai che cosa ti passo nella testa? Non fai
che prendermi e portarmi in macchina, prendermi e portarmi in macchina come se
ti appartenessi! E non mi spieghi mai il motivo per cui sei sempre nella mia
scia! Perch... -
- Non ti ho detto... Cinque minuti fa di stare zitto?! - Il tono era esasperato
e lo sguardo puntato sulla strada.
- Non mi piace ricevere
ordini! -
- Ti ho chiesto un cazzo di favore! - sbottò irritato.
Ethan sbuffò. Dove stavano andando?
La
macchina di Brian si fermò poco dopo, davanti al locale.
- Fermo qui. - Brian scese ed entrò spedito, per tornare dopo tre minuti con la
borsa in mano e Wolfram malamente sulla spalla che si agitava eccitato di
rivedere il suo pubblicitario preferito.
Era quasi un miracolo che fosse uscito a quel tempo record evitando Debbie.
Riaprì la portiera e buttò il bagaglio nel sedile posteriore e il gatto nelle
gambe di Ethan.
-
Ehi, ma che ti prende?! - sbottò il ragazzo, ma Brian continuò a non
rispondergli, facendo finta di non averlo sentito.
Rimontò in macchina e si mise alla guida, riaccendendo il motore.
- Ti diverti ad ignorarmi?! -
Niente,
non riusciva a cavargli fuori una parola.
- Sei odioso! - sbottò accarezzando Wolf. Era agitato. Credeva di sapere dove
Brian lo stava portando, anche perché quella strada sembrava così simile a
quella presa la sera prima.
E la cosa appariva
morbosamente strana.
Rimase zitto per venti minuti, teso, fin quando non riconobbe a prima vista la
strada dove viveva Brian.
Non poteva essere.
Si fermò esattamente di fronte al palazzo del suo loft, e lì Brian scese.
-
Perché mi hai portato qui? - chiese confuso, non scendendo dalla macchina,
nemmeno quando Brian aprì la sua portiera - Non intendo scendere finché non mi
rifili una fottuta spiegazione! -
-
Veni a stare da me, ok? E adesso, scendi! - ordinò tassativo.
Ethan eseguì non senza qualche remora, portando Wolf con sé, che miagolava
piuttosto interessato dal cambio di situazione.
- Con te? ... Ma... Avevi detto che... -
- Per favore... - Brian alzò una mano senza guardarlo, sembrava che gli
costasse fatica parlare - Prendi la tua roba e vieni su. -
Ethan continuò a guardarlo un po' dubbioso, ma non se lo fece ripetere. Certe
volte Brian Kinney era strano forte.
Brian
prese una delle borse e lo precedette, il breve tragitto in ascensore avvenne
nel più completo silenzio, solo qualche sporadico scambio di occhiate.
Probabilmente al ricordo di cosa avevano fatto l'altra sera, in quell’ascensore.
Era
imbarazzante. Seriamente imbarazzante.
Quando l'abitacolo si fermò, Brian aprì le sbarre e aprì il portone
dell'appartamento, lasciando che Ethan entrasse trascinandosi addosso tutte le
valigie e robe varie, lasciando finalmente andare Wolf, che iniziò
immediatamente a curiosare a destra e a manca.
- Bene. - disse Brian dopo qualche minuto di nervoso silenzio - Tu dormi sul
divano-letto. Solo lì, chiaro? - precisò caustico - Puoi rimanere qui,
ma ti avverto, non voglio averti tra i piedi, tu puoi suonare quando ti pare
quando io non ci sono, ma se ci provi in mia presenza, quel violino finirà
all'istante nell'unico posto dove non batte il sole. -
-
Non che mi interessi dormire in un altro posto che non sia il divano, a
differenza di un'altra persona. -
Si morse la lingua. No, non doveva essere acido, Brian in fondo lo stava
ospitando. Poteva pensare meglio al da farsi, e cosa più importante, non
sarebbe morto di freddo.
- Grazie. - sussurrò.
Brian
rispose con un mugugno, non sembrava affatto di buon'umore. Allora perché stava
facendo tutto quello per lui?
- Senti, per il tuo gatto... Trova un posto dove mettere la sua lettiera, e tienilo
d'occhio. - precisò enfatizzando le parole - Se sporca, se rompe qualcosa,
se morde un qualsiasi oggetto puoi considerarlo cibo da ristorante cinese! -
- Non ti preoccupare, lui non darà problemi. - commentò Ethan guardandosi un
po' intorno. La notte prima non aveva avuto molto tempo per dare un'occhiata al
loft. Era veramente roba da ricconi.
-
Bene. Ora sistema la tua roba e non toccare nulla di mio. - lo avvertì andando
verso il letto, buttandovi la giacca e sciogliendosi la cravatta per poi
posarla sopra. Cinque minuti dopo era in bagno ad aprire l'acqua per farsi una
doccia che sperò essere rilassante.
Perché si era portato Ethan a casa solo il suo cervello lo sapeva.
Ma in quel momento il bastardo, aveva deciso di non fornirgli nessuna risposta.
Che
cazzo gli era preso? Non poteva averlo fatto di nuovo. Dio, che cazzo, un altro
no.
Forse era stata tutta colpa delle parole di Debbie, forse era stato il suo
ordine a scatenare qualcosa nel suo cervello, forse era solo colpa del terrore
dell'invadenza di Debbie.
O forse, era stato qualcos'altro, quel maledetto, dannatissimo tarlo dentro il
suo corpo che gli martellava le tempie da un po' e che sembrava volergli dire
qualcosa ma senza parlare, gli mandava degli impulsi elettrici quando meno se
lo aspettava, facendogli fare e dire cose che non avrebbe assolutamente dovuto.
Quando
uscì dalla doccia, con solo un asciugamano legato in vita, vide che Ethan stava
trafficando in cucina. Un orrendo flashback gli balzò alla mente.
- Non ti avevo detto di non toccare nulla? -
- Non ti decidevi ad uscire e avevo un po’ di fame, ha ho pulito. Ce n'è anche
per te. - affermò persino troppo accomodante - Ho pensato alla Jambalaya, avevi
tutti gli ingredienti, ma alla fine era una rottura, troppo lunga. Spero ti
vadano un paio di spaghetti aglio e oli, cucina italiana. -
Wolfram era nel bel mezzo della stanza e alzò gli occhi dal piattino da dove si
stava gustando una scatoletta di tonno. Sembrava anche lui in attesa della
risposta di Brian.
Già la parola Jambalaya
l'aveva traumatizzato.
- No... No grazie, non ho fame. -
- Sicuro? -
- Sicurissimo. - Aveva lo stomaco contorto. Si nascose dietro i paraventi della
camera da letto, esattamente frontali a dove stava Ethan, gli faceva quasi
senso farsi vedere da lui.
Perché stava succedendo di nuovo? Che cazzo gli era preso?
Perché se n'era portato un altro in casa?
Ethan
si sedette e mangiò in completo silenzio, alzando un'occhiata verso i
paraventi. Nulla. Brian sicuramente non sarebbe uscito, e la cosa, notò che gli
procurava un lieve dispiacere. In piccole cose almeno, voleva ringraziarlo del
favore. Si mise a sistemare tutto e lavare pentola e piatto, mettendo comunque
qualcosa da parte per il pubblicitario.
Si mosse verso la camera, ma si fermò prima.
-
Brian, se stasera esci e vai al Babylon e ti porti qualcuno... Beh, immagino
non ti importi se sono sul divano. - la voce gli usciva strano - O in tal caso
come ci sistemiamo? -
Brian NON doveva andare al Babylon e portarsi qualcuno da scopare sotto i suoi
occhi. Non avrebbe sopportato a una vista così disgustosa.
Era così strano dal non trovare eccitante vedere due fare sesso dal vivo? Se
poi uno dei due era Brian con uno sconosciuto, non riusciva proprio a trovarlo
tale.
Stava succedendo qualcosa di
singolare entro le mura di quel loft, e nessuno dei due lo stava capendo bene,
c'era un sottile imbarazzo, e una sottile paura.
Andrà avanti così per molto? Si chiese Ethan. In quel caso non avrebbe
resistito a lungo. Lui odiava essere stressato, detestava vivere con qualcuno
proprio per non dover rispettare regole o parametri, anche se quell'aiuto era
come caduto dal cielo... Dannazione agli scarafaggi.
- No, stasera non vado da
nessuna parte. Ho da sistemare alcune cose al computer. - Brian uscì rivestito,
andando in cucina servendosi un bicchiere di scotch.
- Non dovresti bere una cosa del genere a stomaco vuoto. - puntualizzò Ethan.
Brian se lo scolò di un fiato.
- Sei peggio di una suocera.
-
Il ragazzo dischiuse la bocca in una piccola e perfetta "O" perché
non riusciva a dire niente. Finalmente, qualcosa prevalse.
- Questa era davvero brutta.
-
-
No, sei tu che sei un maledetto scocciatore. - replicò acido, con l'alcol che
entrava già in azione facendogli provare quella classica sensazione di
vertigine imminente.
- Allora non avresti dovuto portarmi in casa tua! - sbottò lui.
- Vuoi continuare a rinfacciarmi in eterno la mia generosità?! -
Ethan si morse la lingua, per quello non aveva scuse. Brian aveva ragione, se
l'era portato in casa nonostante non fossero affatto due anime che andassero
esattamente d'accordo.
-
No. Non posso negare che in questo periodo sto sopravvivendo solo grazie a te.
Ma... mi piacerebbe sapere perché. -
- Non ti starai facendo strane idee in testa, vero ? - No no, cazzo. La
situazione non doveva ripetersi. Non ancora.
- Mi credi davvero così deficiente? Non intendo insinuare che ci sia quel tipo
di rapporto che si sognava Justin dopo che te lo sei fatto la prima volta!
Oppure pensi a compararmi sempre con lui credendo o temendo che mi comporterò
come lui? -
Ecco,
quella era una cosa su cui riflettere.
Nonono, non se ne parlava nemmeno di ripetere le stesse cose, di vivere di
nuovo quell'esperienza. Non poteva permetterselo, non poteva davvero.
- Non dire stronzate. - rispose abbandonando il bicchiere sul bancone, andando
a infilarsi la giacca - Io esco, quindi sei autorizzato a suonare il cazzo che
ti pare. -
-
Ma non avevi detto che dovevi lavor... -
- Ho cambiato idea. - concluse Brian uscendo e chiudendo la porta facendo un
certo rumore.
- Sei... Un... - Non riusciva a trovare un insulto che riuscisse a farlo
sfogare. Si lasciò cadere sul divano, guardando fisso il pavimento, tenendosi
le mani in grembo.
La
sua vita stava prendendo una bella piega, ma nella sua testa andava tutto male.
Che cazzo stava succedendo?!
Wolf arrivò accanto a lui, pronto a consolarlo con qualche fusa. Ethan lo
accarezzò sprofondando tra i cuscini, lasciando vagare lo sguardo lungo il
soffitto.
In quello stesso appartamento ci aveva vissuto Justin, che era innamorato di
Brian. E Brian era innamorato di Justin.
Quindi lui, lì dentro, che parte si stava accingendo a fare?
Sempre più un casino.
.Continua.
Ringraziamo gentilmente tutte le donzelle che hanno messo
questa storia tra le seguite, le ricordate e le preferite, ve ne siamo molto
riconoscenti!XD
Grazie anche a chi commenta, a chi legge, a chi si ricorda
sempre di noi!U_U
Un bacio, alla prossima!