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Autore: Vale11    15/03/2011    2 recensioni
Se il mare ti chiede di non lasciarlo dormire da solo, tu cosa fai?
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Capitan Uncino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vederlo vicino all’acqua era come assistere a una comunione: l’aveva aiutato a sciogliere i nodi e a sedersi su una sedia, gambe miracolosamente illese allungate e incrociate. Si era resa conto di quanto quell’uomo fosse fatto di mare solo quando gli aveva rovesciato sui capelli la prima mandata di acqua tiepida, scaldata sul fuoco.
Senza preavviso.
Aveva riso, quando l’aveva visto quasi saltare sulla sedia.
“Scusami. Non volevo spaventarti”
Le aveva sorriso a metà, occhi chiusi per non farci entrare l’acqua, che scivolava giù dai riccioli come se fosse nata li. Una cascata di capelli neri.
“Sei la prima donna che riesce a farmi prendere un colpo”
“Senza volerlo”
“Concesso”
Ci era voluto un po’ per riuscire a risistemare quella criniera, ma il risultato era più che soddisfacente e faceva mostra di sé sulla testa del suo ospite.
James Matthew Hook.
James.
Jas.
L’uomo fatto di mare, con onde nere fra i capelli.
 
“Fai tutto un altro effetto coi capelli puliti”
Aprì gli occhi, sentendo il sorriso nella voce della donna. Lilith, per ora. In attesa che un nome adatto a lei gli venisse in mente.
Continuò a soppesare le varie possibilità tenendo lo sguardo fisso sul soffitto, le gambe sempre stese davanti a sé, il collo appoggiato allo schienale della sedia e un telo piegato fra la spalla e il legno per non dover premere la ferita contro la spalliera. Il polso destro nascosto sotto l’avambraccio sinistro per nascondere il moncherino. Ci mise un po’ per connettere, e un altro po’ per capire cosa gli aveva detto. Si voltò verso di lei lentamente, per non provocare dolori alle ferite e fitte alla testa. Tirò su un sopracciglio.
“Che effetto faccio?”
Gli sorrise di nuovo.
“Jas, è il mio turno con le domande”
Fregato. Di nuovo.
Annuì, facendo forza sulla mano sinistra e sulle caviglie per sedersi decentemente, non osando fare leva sulla spalla. Il taglio sul braccio sinistro era molto più sopportabile del disastro che aveva combinato il suo migliore amico squamoso solo a pochi centimetri dal suo collo. E c’era sempre la febbre, a ricordargli di non potersi muovere troppo, e quella fastidiosa sensazione di non riuscire mai ad avere abbastanza aria nei polmoni.
Era un inconveniente che i marinai conoscevano bene: pneumonia. Infezione delle vie respiratorie dovuta all’acqua entrata nei polmoni. Passava da sola. Tutto passa prima o poi. Ma finchè c’è, da un gran fastidio. Il solo insieme di movimenti necessari a tirarsi su, cosa che avrebbe fatto senza pensare, lo lasciò col fiatone.
Lei parve accorgersene.
“Preferisci tornare a letto?”
“No. No, sul serio. Ho bisogno di stare un po’ in posizione verticale”
Gli sorrise, di nuovo. Fu talmente tentato di ricambiare che rischiò di tirare su tutti e due gli angoli della bocca. Ma ne tirò su solamente uno.
 
Sorrise a metà, come faceva sempre. L’altro mezzo sorriso nascosto da qualche parte. Prima o poi l’avrebbe trovato, se l’era ripromesso.
“Hai un modo strano di sorridere. O di non sorridere, a seconda dei punti di vista”
“E’ la tua domanda?”
“No”
Scosse la testa.
“E’ un’osservazione”
Lo vide annuire di nuovo, mettendosi una mano sugli occhi.
“Stai bene?”
“E’ solo mal di testa”
“Dovresti stenderti, hai la febbre”
Lo vide ghignare, labbra rosse tese sotto occhi color del mare coperti dalle dita. Riusciva a tirare su tutti e due gli angoli della bocca solo in quel caso.
 
James Hook non era abituato così. Erano passati anni. Secoli. Una vita infinita dall’ultima volta che qualcuno si era preoccupato seriamente per lui. Il suo primo amico, se non l’unico che avesse mai avuto. Poi aveva conosciuto Smee, ma non era la stessa cosa. Roger. Jolly Roger, che gli aveva ispirato il nome per la sua nave. E ora anche lui non c’era. Non c’era più da anni. Strinse le palpebre, conscio di non poter essere visto.
Non sapeva come reagire quando Lilith si preoccupava per lui, quindi, e preferiva svicolare.
“Dovresti stenderti”
Ghignò. Svicolò.
“Preferisco di no”
“Come preferisci”
Tenne gli occhi chiusi aspettando la domanda, da quando avevano cominciato a giocare aveva scoperto che parlare con le gli veniva facile. Non solo. Gli faceva bene. Ma invece della domanda sentì il rumore della sua sedia che si spostava, acqua che sciabordava e i suoi passi che gli si avvicinavano. Aprì gli occhi, temendo che gli arrivasse un’altra secchiata d’acqua in testa senza preavviso, e sentì la mano di Lilith sulla sua prima che potesse spostarla da solo. Si irrigidì, come tutte le volte che veniva toccato da qualcuno, ma riuscì a calmarsi subito dopo.
Evidentemente, quella ragazza…donna coi capelli rossi se ne rese conto.
“Non mordo, capitano”
Piccato. Non c’era altro modo di descrivere il suo tono di voce. Lasciò che gli spostasse la mano.
“Lo so. Hai ragione, ti devo delle scuse”
La vide sorridere, di nuovo. Ma questo era un sorriso quasi pericoloso.
“Potrei risponderti che accetterò le tue scuse solo se tu accetterai di metterti a letto, ma ricattare le persone non è il mio passatempo preferito”
“Sono fortunato allora”
La premiò col suo mezzo sorriso e chiuse gli occhi mentre lei gli appoggiava un fazzoletto umido sulla fronte.
“Va meglio così?”
“Si. Ti ringrazio”
Fece per alzare il braccio e reggere il fazzoletto da solo, ma lei gli bloccò la mano dov’era.
“Stai fermo. Puoi prendere in giro tutti, ma non me. È meglio se non muovi troppo quella ferita se non vuoi che ci metta di più per guarire, ci penso io a tenere il fazzoletto su”
Fu tentato di risponderle male come faceva tutte le volte che qualcuno gli dava ordini, ma quando aprì gli occhi per farlo se la trovò a pochi centimetri dal viso. Non riuscì a spiccicare parola.
Era bella, non ci aveva fatto caso prima. Non bella nel senso comune del termine, di una bellezza particolare. Selvatica. Assolutamente non ricercata. Naturale, in sintesi.
Distolse lo sguardo prima che lei si potesse accorgere che la stava fissando, lo spostò sulla parete di fronte.
 
Sospirò, più tranquilla. Quell’uomo aveva davvero la testa dura. Jas aveva davvero la testa dura. Era un concentrato di orgoglio su due gambe, avrebbe avuto bisogno di riposo assoluto e si ostinava a non cedere. Non sapeva se ammirarlo o dargli una botta in testa.
“Tocca a te”
“Scusa?”
Lo guardò, presa di sorpresa. Ghignò, furbo.
“Hai detto prima che era il tuo turno con le domande, sto aspettando”
“Oh, ottimo”
Lo vide stringersi l’avambraccio destro con la mano sinistra, dovette resistere all’impulso di dirgli di stare fermo. Sarebbe stato fiato sprecato. La fissò, aspettando.
“Com’è che sei diventato un pirata, Jas?”
“Ti piace così tanto il mio soprannome?”
“Perché?”
Lo guardò aggrottando le sopracciglia.
“Lo usi spesso”
“Oh. Si. Suona bene. È adatto. Non cercare di non rispondere”
Fregato. E tre.
“Sei terribile”
Gli sorrise, tamponandogli la fronte con l’acqua fredda.
“Lo so”
 
Com’è che sei diventato un pirata?
“Perché era l’unica scelta possibile”
Vide Lilith fissarlo interrogativa, aspettando il seguito.
“In Inghilterra, se amavi il mare avevi due possibilità: la marina del regno, o imbarcarsi su una nave mercantile. In ogni caso, si tratta di dover obbedire ad ordini altrui. Non è per me. Ho provato, e non è per me. Non vivo in mare per convenienza o interessi o non saprei bene cosa. Vivo in mare per vivere in mare, perché non c’è altro posto, se così possiamo definirlo, dove potrei riuscire a vivere se non la mia nave.”
“Cosa vuol dire che hai provato?”
Chiuse gli occhi, cedendo al mal di testa e salutando con piacere il buio.
“Sono figlio di un nobile inglese. Anzi. Sono il figlio bastardo di un nobile inglese. Mi pare di avertelo già detto. Un altolocato errore di percorso, a cui non può essere riconosciuto un cognome, ma a cui non può essere negata una buona istruzione”
Prese il suo silenzio come un invito a continuare.
“Dopo il primo anno a Eton mi resi conto che non potevo stare li. Adoravo studiare, adoro tuttora leggere, ma non potevo stare li. Da quel posto escono le future generazioni di avvocati, politici e chi più ne ha più ne metta. Io volevo solo un orizzonte da rincorrere che non arrivasse mai, con la soddisfazione di seguirlo per tutta la vita. Temo di non riuscire a spiegarmi meglio.” Tirò su un angolo della bocca in un sorriso ironico.
“Gli studenti di Eton erano, perdonami, limitati. Tranne uno. Roger Davies. Era l’unico amico che avevo, lo chiamavo Jolly Roger.”
“Come la tua nave”
Annuì, gli occhi ancora chiusi.
“Come la mia nave”
“Era lui che ti chiamava Jas allora?”
“Era lui che mi chiamava Jas”
“Continua”
 
Gli tenne il fazzoletto sulla fronte seduta accanto a lui, studiandolo mentre parlava ad occhi chiusi. Era magro, coi muscoli che ci si aspetta da chi guida una nave pirata. Non esageratamente evidenti, ma si notavano ogni volta che si muoveva. Le gambe erano lunghe, e ben tornite. Ma la cosa che la lasciava a bocca aperta tutte le volte erano i suoi occhi. Di un blu talmente profondo da poter ospitare il mare intero. Ringraziò che li tenesse chiusi quando si rese conto che lo stava fissando piuttosto sfacciatamente, e che lui era senza camicia a causa dei denti del coccodrillo che l’avevano distrutta.
Non che le dispiacesse particolarmente, ma si appuntò di cucirgli qualcosa appena ne avesse avuto il tempo. Anche solo per evitare che la febbre salisse. Cercò di decidere in fretta se informarlo o meno del fatto che Peter Pan se n’era andato a Londra con la sua nave. Rimandò quando lo sentì ricominciare a parlare.
“Dopo un anno mi sono reso conto che Eton mi piaceva, ma io non piacevo a Eton, se escludiamo qualche professore. Figli di nobili, di notabili, di politici, non volevano avere molto a che fare con un figlio di nessuno, anche se si trattava di un nessuno piuttosto importante”
“Te ne sei andato per questo?”
Jas Hook scoppiò a ridere, una risata divertita, totalmente diversa da quelle che gli aveva sentito fare fino a quel momento.
“Ti sembro il tipo che se ne va perché non piace agli altri, ma belle?”
Dovette convenire che in effetti non le sembrava qual tipo di persona.
“Ho sempre avuto un carattere peculiare, se posso dirlo. Tendente allo scontro, raramente al negoziato, soprattutto sulle questioni di principio. Ho sempre portato i capelli molto lunghi, troppo per gli standard di quella scuola. E mi sono sempre rifiutato di riconoscere autorità a chi non se la meritava, a personaggi come la maggior parte degli studenti più grandi o dei capicasa. L’autorità va ottenuta guadagnandosi il rispetto, non avanzando con gli anni. Puoi immaginarti cosa vuol dire tutto questo.”
Scoppiò a ridere di nuovo, ricordandosi chissà cosa. Avrebbe voluto essere in quella scuola con lui, se avesse potuto. Cosa di cui dubitava, perchè le donne non erano sicuramente ammesse. Ma avrebbe voluto esserci, anche solo per vedere cos’aveva combinato che lo divertisse così tanto. Era sicura che, ad averlo conosciuto con la stessa età, avrebbe adorato il ragazzino coi capelli lunghi che era stato. Gli sorrise, pur sapendo che ad occhi chiusi non poteva vederla.
“Non riconoscere l’autorità di chi è abituato ad averla per diritto di nascita era disastroso, ad Eton. Significava complicarsi la vita, e complicarla ai tuoi amici. Al tuo amico, perché ne avevo uno soltanto. Significava prendere frustate un giorno si e l’altro anche, e non sto esagerando. E significava venire additato da tutti come James Matthew il Bastardo. Il mutante, a causa del colore del mio sangue. Non è esattamente normale, se ci hai fatto caso. Non è una malattia, è così da sempre, ma tant’è. Ma soprattutto significava trarre enorme soddisfazione da ogni offesa che arrivava, sapendo che avrei tratto una soddisfazione ancora più grande nel momento in cui avrei potuto vendicarmi. Intellettualmente o meno. Era l’unico modo che avevo trovato per resistere senza strozzare qualcuno, e mi piaceva. Da questo puoi dedurre che non me ne andai perché non piacevo agli altri studenti. Me ne andai perché volevo andarmene. E Jolly Roger venne con me.”
Lilith bagnò di nuovo il fazzoletto, glielo passò sulla fronte. Continuò ad ascoltare.
 
Strinse le palpebre di nuovo, lottando col mal di testa. Ripensare a quei momenti gli faceva piacere, ma sapeva che sarebbe arrivato il capitolo di cui non voleva mai parlare. Era sempre li, dietro l’angolo, in agguato nella sua testa. Buttò la testa all’indietro, appoggiando il collo allo schienale della sedia. Stendersi ora gli avrebbe fatto piacere, ma il suo orgoglio glielo impediva. Il suo orgoglio era un problema. Gliene aveva creati molti. Ma non sarebbe stato lui, senza.
“Scappammo, e ci imbarcammo in un mercantile. Non avevamo ancora vent’anni. Ne avevamo sedici, o diciassette. Il capitano di quella nave era uno di quelli che hanno autorità senza essersela guadagnata, un vero e proprio despota, abituato a risolvere tutto con la frusta. Un elemento ricorrente, la frusta, nei miei primi vent’anni.”
Abbozzò un sorriso, lei non l’aveva ancora interrotto. Aveva ragione, era uno di quei rari esseri umani che sanno ascoltare.
“Un giorno il capitano si rese conto che dalle provviste mancavano alcune razioni. Per i viaggi in mare, soprattutto quelli lunghi, cibo e acqua vengono razionati per tutti. Capita spesso però che ai capitani tocchi sempre una parte maggiore. Quello che mancava in realtà non mancava affatto, era stato razionato in parti uguali da qualcuno, senza tener conto del suo cosiddetto rango. Era un totale incapace, non sarebbe riuscito a governare una nave nemmeno se fosse stata dentro una bottiglia. Ma quello scherzo non gli piacque, metteva in pericolo il suo prestigio maledetto. Radunò sul ponte tutti i marinai e disse che se il colpevole non fosse saltato fuori, avrebbe gettato fuoribordo un marinaio scelto a sorte. Scelse Jolly Roger. E io confessai.”
“Sei stato tu?”
Rise di nuovo, soddisfatto.
“Chi altri credi che potesse essere così incosciente da sfidare il capitano sulla sua stessa nave?”
 
“Nessuno. Solo tu”
Lo vide zittirsi. Prima si stava prendendo in giro da solo, prendendosi gioco della sua incoscienza da giovane. Incoscienza che aveva mantenuto. Ora la guardava stupito.
 
Era il modo in cui l’aveva detto. C’era stima in quelle tre parole. Si sentì la bocca secca, di nuovo.
 
“E poi? Che successe?”
Lo vide riscuotersi, annuì.
“Lo sai cos’è un giro di chiglia?”
“Faccio armi, non sono un marinaio”
“Un giro di chiglia è una punizione creata dagli olandesi e usata anche dagli inglesi, anche se non rientra ufficialmente nei codici di navigazione  – chiuse di nuovo gli occhi – consiste nel legare il marinaio insubordinato a una cima che dal parapetto su un lato della nave arrivava dall’altro lato passando sotto la chiglia. Pulivi la pancia della nave con la schiena, in pratica. Ovviamente nudo dalla cintola in su. Potevi morire per le ferite, visto che sullo scafo ci sono schegge, escrescenze e quant’altro, o annegato, ed erano i tuoi compagni a dover tirare la cima che ti avrebbe fatto fare il tuo giro di chiglia”
Lilith lo guardò spalancando gli occhi.
“E i tuoi compagni hanno tirato quella cima?”
“Glielo chiesi io”
 
La vide spalancare gli occhi ancora di più, se possibile. Occhi verdi. Mai visti occhi così.
“Glielo hai chiesto tu?”
Annuì, continuando a raccontare.
“Loro non volevano, erano d’accordo con me sul fatto che un razionamento iniquo non fosse giusto, ma lui teneva la pistola alla tempia di Jolly Roger, e minacciava di sparargli se non avessi fatto il giro di chiglia. Non so se l’avrebbe fatto, ma preferii non rischiare. Forse se ci fosse stato qualcun altro al posto di Roger avrei rischiato, ma non per lui. Lasciai che mi legassero, che mi tagliassero la camicia e feci il giro. Credo che sia durato pochi minuti, ma mi sembrarono anni. I miei compagni cercarono di fare il più in fretta possibile per non farmi annegare, ma così facendo mi distrussero la schiena. La sfregai contro la chiglia così violentemente da perdere sensibilità dopo pochi metri, ma quelli mi bastarono. Vedevo solo acqua insanguinata intorno. E quando il girò finì ero vivo. Non so come, ma ero vivo. E riuscii a stare in piedi davanti al capitano mentre gli altri marinai si avvicinavano per slegarmi.”
Ghignò, di un ghigno quasi animale. Scosse la testa. Riccioli neri che tagliavano l’aria.
“Non gli piacque. Affatto. Avrebbe voluto vedermi crollare sul ponte, usarmi come esempio per tutti, ma non poteva se resistevo. Ordinò che facessi un altro giro.”
Aprì gli occhi, la vide corrugare la fronte e passargli di nuovo il fazzoletto umido sul viso. Avrebbe scommesso che se si fosse trovata su quella nave avrebbe passato il capitano da parte a parte con una delle sue armi, senza tante storie. Il dolore alla testa dovuto alla luce, però, lo convinse a buttare di nuovo giù le palpebre.
“Non lo feci mai. Jolly Roger gli strappò la pistola dalle mani e gli sparò. Un colpo a bruciapelo in piena fronte, morto sul colpo. Ho parecchie ragioni per pensare che mi abbia salvato la vita, non credo avrei resistito ad un altro giro. Ci ammutinammo, in breve, nostromo compreso. Io crollai effettivamente sul ponte poco dopo aver visto Jolly ammazzare quell’idiota, solo Roger si prese cura delle ferite, gli atri avevano paura del colore del mio sangue.”
“In un modo o nell’altro, riesci a turbare le persone anche da svenuto”
Annuì, ghignando di nuovo.
“E’ una prerogativa a cui tengo parecchio”
“Quando mi ripresi Jolly mi disse che avevano deciso di eleggermi capitano. Eravamo pirati ormai, ci eravamo ammutinati, e non si tornava indietro. Avevamo fatto fuori il capitano, in Inghilterra ci aspettava la forca. Sulle navi pirata il capitano lo eleggono tutti, dal nostromo all’ultimo mozzo, e può essere destituito se non si dimostra degno. Rimasi spiazzato quando me lo disse, risposi che avrebbe dovuto farlo lui, che aveva ammazzato l’effettivo capitano. Nulla, erano irremovibili. Non riuscii a camminare per giorni, e dovetti dormire sulla pancia per settimane. L’aria salmastra era una specie di tortura aggiuntiva, fra l’altro. Sulla schiena ho ancora dei segni piuttosto interessanti.”
“Sei diventato capitano di una nave pirata a nemmeno vent’anni?”
“Cosi pare, ma belle”
 
Lo guardò, a metà fra lo stupore e l’ammirazione. Annuì.
“Sei una sorpresa continua, Jas. E poi mi dicevi che la rarità sono io”
“Perché è così, oserei dire”
Lilith lo fissò senza rispondere, preferendo continuare a indagare sulla questione.
“E in tutto questo tempo non sei mai stato destituito?”
Jas scosse la testa, mortalmente serio.
“Mai”
“Devi essere un capitano apprezzabile”
Lo vide stringere le labbra, fissando il pavimento.
“La miscela giusta di timore e rispetto, credo”
“James, posso farti una domanda? È una di quelle a cui puoi non rispondere”
Voltò la testa dalla sua parte, aspettandosi il peggio.
“Dimmi”
“Dov’è Jolly Roger, Jas? Perchè la tua nave si chiama come lui?”
 
Fu come se i venti che lo animavano si placassero di colpo. La guardò per qualche secondo, prima di chiudere gli occhi e stringere di nuovo le labbra, fino a trasformarle in una sottile linea rossa.
Dov’è Jolly Roger, Jas?
È morto, ed è colpa tua. E lo sai perfettamente. Non sei riuscito a trattenerlo, e lui è morto, ed è colpa tua.
Eccolo, il capitolo a cui non voleva pensare.
Sentì una mano di Lilith sul collo, ad accarezzargli i capelli sulla nuca. Stranamente non si ritrasse, non si irrigidì. Restò semplicemente immobile.
“Scusami, non avrei dovuto chiedere”
Non le diede il tempo di concludere la frase. Sputò quelle tre parole come veleno.
“E’ morto. Tifone.”
La mano di Lilith si bloccò, poi sentì le dita allargarsi fino a coprire tutta la larghezza del suo collo. Sembrava il gesto di una persona indecisa sull’opportunità di abbracciarti o meno. Non si mosse. Non gli sarebbe dispiaciuto, forse. Non ci era abituato, doveva pensarci.
 
Si pentì di averlo chiesto subito dopo averlo fatto. Era immobile, fermo. Sembrava quasi non respirare. Sembrava la corda di un arco troppo teso. Aveva l’aspetto di chi si costringe all’immobilità per non esplodere. Polvere nera al posto del cuore, insieme alla risacca. Fu tentata di abbracciarlo. Terribilmente. Ma temette che non avrebbe gradito.
Bagnò di nuovo il fazzoletto, glielo rimise sulla fronte. Alcune gocce caddero scivolandogli sul viso, gliele asciugò col dorso della mano e gli passò il braccio dietro le spalle, attenta alle ferite.
“Avanti, hai bisogno di sdraiarti”
Non oppose resistenza quando lo guidò verso il letto, teneva lo sguardo fisso davanti a sé, ma sembrava non vedesse niente di quello che lo circondava. Chissà a cosa pensava. Niente di allegro, pareva.
“Vuoi che ti prepari qualcosa? Hai fame?”
Si preoccupò quando le disse che no, non aveva fame.
“Dovresti mangiare qualcosa”
“Domani”
“Va bene. Domani”
Si sedette accanto a lui, prendendo a passargli le dita fra i riccioli. Era strano come fosse già abituata alla sua presenza, come se fosse stato li da sempre. Non le piaceva vederlo così.
“Jas, mi dispiace”
Lo vide scuotere la testa.
“Non è niente”
“Certo. Ovviamente.”
Gli sistemò di nuovo il fazzoletto umido sulla fronte, lo vide chiudere gli occhi, respirando con un po’ di difficoltà.
“Dormi, James. Ce la fai?”
Spalancò gli occhi, fissandoli nei suoi. Blu oltremare fisso nel suo verde. Gli rispose annuendo,togliendogli i capelli dalla fronte e accavallando le gambe.
“Non vado da nessuna parte”
Non smise mai di accarezzargli i capelli, ora che erano puliti doveva riconoscere che erano davvero belli. Neri, e lucidi. Continuò finchè non sentì che il suo respiro non era più laborioso, ed era diventato regolare.

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stralungo pure questo!
peto veniam, è che ho finito di scriverlo alle 2 del mattino, tornata dal lavoro.
  
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