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Autore: Nerabile    15/03/2011    0 recensioni
"Ho sempre creduto che in ognuno di noi ci fossero dei semi ben piantati nel petto, che crescono solo quando l'amore
li fa germogliare. A quel tempo mi esplodevano dentro milioni di germogli, pronti a trovare quel sentimento che li crescesse
e coltivasse la pianta che avrebbe nutrito i miei giorni a venire. Così, una sogaretta nera giù per le labbra e una valigia
che con il laccio di cuoio mi segnava il palmo, attendevo sulle impronte del cemento l'arrivo del mio treno.
Il vagone che mi avrebbe portatata a Tokyo. Verso il mio destino, il mio giardiniere, il mio amore."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Intro: Hi. Questa storia nasce un po' da sentimenti provati un po' da una voglia di sperimentare un tipo di scrittura più semplice, diciamo. Non sono pienamente convinta xD Dovrebbe far parte di un ciclo di racconti, ma si vedrà. A voi.

 

 

Un'altra Tokyo
 
Tempo di neve. Non potrà mai sbiadire questa immagine, come non si estirpa una pianta che ti cresce nel cuore. 
Ho sempre creduto che in ognuno di noi ci fossero dei semi ben piantati nel petto, che crescono solo quando l'amore
li fa germogliare. A quel tempo mi esplodevano dentro milioni di germogli, pronti a trovare quel sentimento che li crescesse
Tempo di neve. Non potrà mai sbiadire questa immagine, come non si estirpa una pianta che ti cresce nel cuore. Ho sempre creduto che in ognuno di noi ci fossero dei semi ben piantati nel petto, che crescono solo quando l'amore li fa germogliare. A quel tempo mi esplodevano dentro milioni di germogli, pronti a trovare quel sentimento che li crescesse e coltivasse la pianta che avrebbe nutrito i miei giorni a venire. Così, una sogaretta nera giù per le labbra e una valigia che con il laccio di cuoio mi segnava il palmo, attendevo sulle impronte del cemento l'arrivo del mio treno. Il vagone che mi avrebbe portatata a Tokyo. Verso il mio destino, il mio giardiniere, il mio amore. Una folla di altre persone attendeva, altre storie, altri fiori. Qualcuno era appassito, qualcuno in germoglio e qualcun altro era un seme ghiacciato che aveva rinunciato all'amore e all'amore non avrebbe mai creduto, condannandosi al gelo, finché il sole non sarebbe sorto anche per lui. Una coppia si stringeva come un unico essere vicino a un pilastro scrostato, e affianco sedeva un cane tenuto mollemente al guinzaglio della ragazza distratta. Spostai lo sguardo verso le rotaie e mi strinsi al cappotto. Era un freddo tenace che mi spingeva a chiudere gli occhi. Un freddo che avevo dentro da quando il caldo si era impossessato di me. Del mio cuore. "Scusi, è occupato?" Alzai gli occhi e istintivamente tolsi una cuffietta dell'ipod. Un ragazzo mi guardava col sorriso sulle labbra, lievemente chino e già certo della risposta. "No, prego" mi affrettai, un po' imbarazzata per alcun motivo specifico. Il ragazzo si sistemò con un grazie spontaneo. Doveva avere una ventina d'anni e vestiva in modo anonimo ma con una punta di strana disinvoltura, che faceva apparire i suoi abiti qualcosa di più superfluo del normale. O forse quanto bastava e sarebbe bastato se l'umanità non fosse diventata così banale e superficiale. Aveva dei capelli troppo chiari e dei tratti troppo duri per essere interamente orientale. Soprattutto le labbra attiravano l'attenzione, perché così belle non ne avevo mai viste. In definitiva era un bel ragazzo, se solo avesse potuto attrarmi un qualunque ragazzo. "Piacere, Takami." Il suo sorriso mi spiazzò ancor più dell'eco che la sua voce improvvisa espanse nella mia mente. Quasi sobbalzai, ma mi affrettai a stringergli la mano, simulando disinvoltura. "Yumiko." Rise e provai fastidio, sentendomi scoperta e presa di sorpresa. Mi accesi una sigaretta sperando in fondo di provocargli fastidioma egli si sporse a leggere la marca e a fare un apprezzamento da esperto. Avevo il presentimento che sarebbe stato un lungo viaggio, e fuori dal finestrino il mondo rotolava veloce verso sfumature più intense della notte. Porgendomi un pacco di biscotti mi chiese se ne volessi uno, con la spontaneità di chi davvero vuol condividere qualcosa. Con una sconosciuta, per di più. "No, grazie." "Non hai bisogno di una dieta, Yumiko." "Pronunci il mio nome come se mi conoscessi da sempre." "Potrebbe essere vero." Lo guardai per un attimo, aspettando il segno di una burlata, ma, ricevendo solo quello sguardo fisso, distolsi il mio. Oltre il finestrino, l'erba tagliata dall'aria che avanzava sembrava un grumo di ricordi e rimpianti sempreverdi, illuminati dal sole che crollava al di là delle montagne appena innevate. Il verde ostinato inneggiava all'anacronistica battaglia innaturale di un essere che dovrebbe esser morto, eppure vive. Masticando i biscotti al burro, Takami, mi accorsi, guardava dritto davanti a sé. Poi si voltò, sentendo i miei occhi addosso, e guardò oltre il vetro. "Quando è nevicato, il cielo ha sempre un po' il colore della calma, non trovi?" "Guardi il cielo e non la terra?" "Bhe, la terra non cambia così velocemente." Aveva ragione... "Dove sei diretta?" "Tokyo, mi sembra ovvio." "Non così tanto" rispose fermando un attimo il corso della sua mano verso la busta di biscotti. "E cosa va a fare una come te a Tokyo?" -Una come me?- "Canti o suoni, vero?"continuò. "No, che dici?" "Però sembri una tipa cool." Arrossendo presi un'altra sigaretta e soppesai un attimo l'accendino di metallo che avevo in mano. "Grazie." "E' quello che penso. Ma non hai risposto." La fiammella uscì scintillante e il calore mi penetrò negli occhi. Il fumo che scendeva in me sembrava fluida benzina nella pancia di una grossa nave. O di un sottomarino. Sì, dentro quel ferro e quei riflessi di cielo e verde mi sentivo esattamente come sott'acqua. Soffocavo in me. "Per amore?" Lo fissai irrigidendomi. La sua risata mi turbò, per quanto bella fosse. "Ho indovinato!" disse con il tono di un bambino. "Sai, quando sono tra la gente", continuò facendosi serio "mi piace immaginare a che tipo di persona possano piacere, di chi ciascuno possa innamorarsi e chi possa invaghirsi di ognuno di loro." "E' un bel passatempo." "E' un modo per conoscere e conoscermi." "Io evito la gente, quando è troppo rumorosa. Ogni felicità mi fa sentire piccola." "Sì vede che nessuno ti ha mai completata." Sentì il mio silenzio, perché si voltò a guardarmi. "Questo non puoi saperlo" dissi aspra. "Perdonami, sono stato inopportuno?" Spensi la sigaretta a metà e chiusi per qualche secondo gli occhi. "Vado a Tokyo per amore." "Sarà contento il tuo ragazzo." "E' una ragazza" risposi, benché non fosse necessario. "Sarà contenta lo stesso." Il suono metallico di piccole esplosioni in miniatura mi fece sobbalzare. Takumi si scosse e si affrettò a estrarre il cellulare. Sorrise fissando lo schermo, che si rifletteva con i caratteri dell'emozione nei suoi occhi un po' lucidi, perennemente. "Ti aspetto, guardo la neve e penso che il mondo sia troppo lento senza te." Lesse il messaggio come se non potesse farne a meno, ad alta voce. Poi mi guardò. "Non è fantastica? E' un po' una poeta, anche se non vuole credermi quando la elogio." Era più che poesia quella, e per qualche motivo mi sferzò il cuore... "Anche io vado a Tokyo per amore" disse. "Di una bellissima ragazza." Dopo venti minuti di viaggio la mia mente si era addormentata senza che me ne rendessi conto. Fu lui a svegliarmi. "Yumiko." Mi scossi come da un lungo sonno. E in effetti mi sentivo più rilassata in quello stridore di ferro e nelle macchie balenanti di verde e blu che nel mio letto al silenzio della casa vuota. Senza lei. Il pensiero andò automatico lì, come una biglia sull'orlo del dirupo. Altrettanto forte aspettavo lo schianto della mia anima sulla sua assenza. Strano che la percepissi più ora che le ero quasi vicina che in tutte quelle settimane di mancanza fisica. Eppure mi pareva la sua voce più lontana... "Com'è lei?" Mi voltai come se solo ora mi rendessi conto di lui. "Lei..." riuscii a connettere dopo qualche secondo e un sorriso mi sorse spontaneo. Lo trattenni. "E' mora." Takami rise e in quel momento, mentre si portava una lunga mano sulla bocca, mi colse una sensazione di familiarità travolgente, la stessa che avverti quando torni nel tuo luogo d'infanzia. Lo conoscevo da pochi minuti. Lo ridissi a me stessa, ma non riuscivo a prendere le distanze. "Perché ridi?" "Mi aspettavo una risposta più..:" "...intelligente?" "Profonda" precisò. Ci riflettei un attimo e solo guardando nel vuoto fuori dal finestrino, pieno di odori sigillati, trovai un filo logico. "E'bella. Come le bambine belle da farci gli occhi dolci e parlare come ebeti. Lei intontisce tanto è bella. Ha un orecchio più piccolo dell'altro, di poco, ma per questo porta sempre i capelli sciolti. Si vergogna. Allora glieli scopro per vederla arrossire. Odia il caffé, il miele, l'accostamento di rosso e bianco nella bandiera degli U.S.A. Ascolta rock, non perché le piace il rock, ma le piace ascoltarlo. Fuma solo in bagno quando è in casa." Dissi questo in un fiato e mi accorsi che mi osservava. Distolsi lo sguardo d'istinto e sentii un formicolio sinistro alle estremità, come se da esse il sangue si ritirasse per tapparmi i buchi nel cuore. La mia fantasia in quel momento era l'alleata peggiore. Takami sorrise. E nel suo sorriso pensai proprio questo: "Takami sta sorridendo." Il suo nome era già in me. Quello sconosciuto. Takami, lo sconosciuto. "E la tua?" "Un gatto." "Come? Vuoi dire...una gatta?" "No no, proprio un gatto. Di quelli che fanno miao" rispose imitando la zampata di un gattino e ridendo di sè. "E' adorabile. Profuma sempre di sé, è incredibile. Non c'è nulla che abbia il suo profumo. Nulla. Forse è così con tutti, sicuramente. Ma lei...il suo odore mi entra nella testa e nello stomaco. Quando la stringo i capelli mi grattano la pelle. Le sue labbra sanno spesso di sangue, perché è una tipa nervosa." Tacque, lo sguardo fisso nel mio. "E' mora anche lei" concluse. Non disse altro. Si rilassò sul sedile e si addormentò. Annunciarono la stazione di Tokyo. Ero rimasta sveglia per gran parte del tempo restante, a sentire il respiro di Takami. Su e giù. Su e giù. Qualche volta su, giù e poi giù, come se inciampasse in qualche residuo di sogno. Si scosse con calma, aprì gli occhi e si guardò attorno. Si stiracchiò, mentre io afferravo i bagagli. Lui non aveva questo impiccio, così aiutò me e la mia enorme valigia ad arrivare alle porte. Queste si aprirono. Nel vociare e nel chiasso di odori e sapori, Takami scese in salto gli scalini. Per la prima volta dimentico di me corse tra la sparuta folla incontro al suo volere e io lo lasciai andare, un po' amareggiata, ma col sorriso per l'ennesima prova della sua spontanea attrazione per la gioia. Lo vidi abbracciare la sua ragazza. Mora. Labbra al sangue. Gatto. Mora. Il caffè. Le sigarette. In un secondo, o forse meno, o forse molto di più, si spezzò in me ogni emozione, lasciando della mia anima un relitto senz'ossa. Cercai di capire. Cercai di afferrare il reale. Lo giuro, cercai di trovare un senso. Akiko. Oltre un pilastro. Tra le braccia di Takami. Akiko. Oltre i pilastri dei miei ricordi. Tra le mie braccia. Non scesi dal treno. Non attesi. Non indugiai. Non sarei mai scesa a Tokyo. Non avrei mai dovuto farle una sorpresa. Tornai al mio posto mentre il treno ripartiva. L'amore. L'amore c'era in me. Ma la mia pianta era morta o semplicemente ammaccata? "Treno, portami a un'altra Akiko. Treno, resistuiscimi la ragione. Treno, portami verso un'altra Tokyo."
e coltivasse la pianta che avrebbe nutrito i miei giorni a venire. Così, una sogaretta nera giù per le labbra e una valigia
che con il laccio di cuoio mi segnava il palmo, attendevo sulle impronte del cemento l'arrivo del mio treno.
Il vagone che mi avrebbe portatata a Tokyo. Verso il mio destino, il mio giardiniere, il mio amore.
Una folla di altre persone attendeva, altre storie, altri fiori. Qualcuno era appassito, qualcuno in germoglio e qualcun 
altro era un seme ghiacciato che aveva rinunciato all'amore e all'amore non avrebbe mai creduto, condannandosi al gelo, 
finché il sole non sarebbe sorto anche per lui. Una coppia si stringeva come un unico essere vicino a un pilastro scrostato, e affianco 
sedeva un cane tenuto mollemente al guinzaglio della ragazza distratta.
Spostai lo sguardo verso le rotaie e mi strinsi al cappotto. Era un freddo tenace che mi spingeva a chiudere gli occhi.
Un freddo che avevo dentro da quando il caldo si era impossessato di me. Del mio cuore.
"Scusi, è occupato?"
Alzai gli occhi e istintivamente tolsi una cuffietta dell'ipod. Un ragazzo mi guardava col sorriso sulle labbra, lievemente
chino e già certo della risposta.
"No, prego" mi affrettai, un po' imbarazzata per alcun motivo specifico.
Il ragazzo si sistemò con un grazie spontaneo. Doveva avere una ventina d'anni e vestiva in modo anonimo ma con una
punta di strana disinvoltura, che faceva apparire i suoi abiti qualcosa di più superfluo del normale. O forse quanto bastava e
sarebbe bastato se l'umanità non fosse diventata così banale e superficiale.
Aveva dei capelli troppo chiari e dei tratti troppo duri per essere interamente orientale. Soprattutto le labbra attiravano
l'attenzione, perché così belle non ne avevo mai viste.
In definitiva era un bel ragazzo, se solo avesse potuto attrarmi un qualunque ragazzo.
"Piacere, Takami."
Il suo sorriso mi spiazzò ancor più dell'eco che la sua voce improvvisa espanse nella mia mente. Quasi sobbalzai, ma
mi affrettai a stringergli la mano, simulando disinvoltura.
"Yumiko."
Rise e provai fastidio, sentendomi scoperta e presa di sorpresa. Mi accesi una sigaretta sperando in fondo di provocargli 
fastidioma egli si sporse a leggere la marca e a fare un apprezzamento da esperto.
Avevo il presentimento che sarebbe stato un lungo viaggio, e fuori dal finestrino il mondo rotolava veloce verso sfumature 
più intense della notte.
Porgendomi un pacco di biscotti mi chiese se ne volessi uno, con la spontaneità di chi davvero vuol condividere qualcosa.
Con una sconosciuta, per di più.
"No, grazie."
"Non hai bisogno di una dieta, Yumiko."
"Pronunci il mio nome come se mi conoscessi da sempre."
"Potrebbe essere vero."
Lo guardai per un attimo, aspettando il segno di una burlata, ma, ricevendo solo quello sguardo fisso, distolsi il mio.
Oltre il finestrino, l'erba tagliata dall'aria che avanzava sembrava un grumo di ricordi e rimpianti sempreverdi, illuminati
 dal sole che crollava al di là delle montagne appena innevate. Il verde ostinato inneggiava all'anacronistica battaglia 
innaturale di un essere che dovrebbe esser morto, eppure vive.
Masticando i biscotti al burro, Takami, mi accorsi, guardava dritto davanti a sé. Poi si voltò, sentendo i miei occhi addosso,
e guardò oltre il vetro.
"Quando è nevicato, il cielo ha sempre un po' il colore della calma, non trovi?"
"Guardi il cielo e non la terra?"
"Bhe, la terra non cambia così velocemente."
Aveva ragione...
"Dove sei diretta?"
"Tokyo, mi sembra ovvio."
"Non così tanto" rispose fermando un attimo il corso della sua mano verso la busta di biscotti. "E cosa va a fare una come te 
a Tokyo?"
-Una come me?-
"Canti o suoni, vero?"continuò.
"No, che dici?"
"Però sembri una tipa cool."
Arrossendo presi un'altra sigaretta e soppesai un attimo l'accendino di metallo che avevo in mano. "Grazie."
"E' quello che penso. Ma non hai risposto."
La fiammella uscì scintillante e il calore mi penetrò negli occhi. Il fumo che scendeva in me sembrava
fluida benzina nella pancia di una grossa nave. O di un sottomarino. Sì, dentro quel ferro e quei riflessi di cielo e verde mi
sentivo esattamente come sott'acqua. Soffocavo in me.
"Per amore?"
Lo fissai irrigidendomi.
La sua risata mi turbò, per quanto bella fosse.
"Ho indovinato!" disse con il tono di un bambino. "Sai, quando sono tra la gente", continuò facendosi serio "mi piace
immaginare a che tipo di persona possano piacere, di chi ciascuno possa innamorarsi e chi possa invaghirsi di ognuno di loro."
"E' un bel passatempo."
"E' un modo per conoscere e conoscermi."
"Io evito la gente, quando è troppo rumorosa. Ogni felicità mi fa sentire piccola."
"Sì vede che nessuno ti ha mai completata."
Sentì il mio silenzio, perché si voltò a guardarmi.
"Questo non puoi saperlo" dissi aspra.
"Perdonami, sono stato inopportuno?"
Spensi la sigaretta a metà e chiusi per qualche secondo gli occhi.
"Vado a Tokyo per amore."
"Sarà contento il tuo ragazzo."
"E' una ragazza" risposi, benché non fosse necessario. 
"Sarà contenta lo stesso."  
Il suono metallico di piccole esplosioni in miniatura mi fece sobbalzare. Takumi si scosse e si affrettò a estrarre il 
cellulare. Sorrise fissando lo schermo, che si rifletteva con i caratteri dell'emozione nei suoi occhi un po' lucidi, 
perennemente.
"Ti aspetto, guardo la neve e penso che il mondo sia troppo lento senza te."
Lesse il messaggio come se non potesse farne a meno, ad alta voce. Poi mi guardò.
"Non è fantastica? E' un po' una poeta, anche se non vuole credermi quando la elogio."
Era più che poesia quella, e per qualche motivo mi sferzò il cuore...
"Anche io vado a Tokyo per amore" disse. "Di una bellissima ragazza."
Dopo venti minuti di viaggio la mia mente si era addormentata senza che me ne rendessi conto. Fu lui a svegliarmi.
"Yumiko."
Mi scossi come da un lungo sonno. E in effetti mi sentivo più rilassata in quello stridore di ferro e nelle macchie balenanti
 di verde e blu che nel mio letto al silenzio della casa vuota. Senza lei.
Il pensiero andò automatico lì, come una biglia sull'orlo del dirupo. Altrettanto forte aspettavo lo schianto della mia anima 
sulla sua assenza. Strano che la percepissi più ora che le ero quasi vicina che in tutte quelle settimane di mancanza fisica. 
Eppure mi pareva la sua voce più lontana...
"Com'è lei?"
Mi voltai come se solo ora mi rendessi conto di lui.
"Lei..." riuscii a connettere dopo qualche secondo e un sorriso mi sorse spontaneo. Lo trattenni. "E' mora."
Takami rise e in quel momento, mentre si portava una lunga mano sulla bocca, mi colse una sensazione di familiarità travolgente,
 la stessa che avverti quando torni nel tuo luogo d'infanzia.
Lo conoscevo da pochi minuti. Lo ridissi a me stessa, ma non riuscivo a prendere le distanze.
"Perché ridi?"
"Mi aspettavo una risposta più..:"
"...intelligente?"
"Profonda" precisò. 
Ci riflettei un attimo e solo guardando nel vuoto fuori dal finestrino, pieno di odori sigillati, trovai un filo logico.
"E'bella. Come le bambine belle da farci gli occhi dolci e parlare come ebeti. Lei intontisce tanto è bella. Ha un orecchio 
più piccolo dell'altro, di poco, ma per questo porta sempre i capelli sciolti. Si vergogna. Allora glieli scopro per vederla 
arrossire. Odia il caffé, il miele, l'accostamento di rosso e bianco nella bandiera degli U.S.A. Ascolta rock, non perché le 
piace il rock, ma le piace ascoltarlo. Fuma solo in bagno quando è in casa."
Dissi questo in un fiato e mi accorsi che mi osservava. Distolsi lo sguardo d'istinto e sentii un formicolio sinistro alle 
estremità, come se da esse il sangue si ritirasse per tapparmi i buchi nel cuore. La mia fantasia in quel momento era 
l'alleata peggiore.
Takami sorrise. 
E nel suo sorriso pensai proprio questo: "Takami sta sorridendo."
Il suo nome era già in me. Quello sconosciuto.
Takami, lo sconosciuto.
"E la tua?"
"Un gatto."
"Come? Vuoi dire...una gatta?"
"No no, proprio un gatto. Di quelli che fanno miao" rispose imitando la zampata di un gattino e ridendo di sè. "E' adorabile.
Profuma sempre di sé, è incredibile. Non c'è nulla che abbia il suo profumo. Nulla. Forse è così con tutti, sicuramente. 
Ma lei...il suo odore mi entra nella testa e nello stomaco. Quando la stringo i capelli mi grattano la pelle. Le sue labbra
sanno spesso di sangue, perché è una tipa nervosa."
Tacque, lo sguardo fisso nel mio.
"E' mora anche lei" concluse.
Non disse altro. Si rilassò sul sedile e si addormentò.
Annunciarono la stazione di Tokyo. 
Ero rimasta sveglia per gran parte del tempo restante, a sentire il respiro di Takami. Su e giù. Su e giù. Qualche volta su,
 giù e poi giù, come se inciampasse in qualche residuo di sogno. Si scosse con calma, aprì gli occhi e si guardò attorno. 
Si stiracchiò, mentre io afferravo i bagagli. 
Lui non aveva questo impiccio, così aiutò me e la mia enorme valigia ad arrivare alle porte. Queste si aprirono.
Nel vociare e nel chiasso di odori e sapori, Takami scese in salto gli scalini. 
Per la prima volta dimentico di me corse tra la sparuta folla incontro al suo volere e io lo lasciai andare, un po' amareggiata,
 ma col sorriso per l'ennesima prova della sua spontanea attrazione per la gioia. Lo vidi abbracciare la sua ragazza.
Mora. Labbra al sangue. Gatto.
Mora. Il caffè. Le sigarette.
In un secondo, o forse meno, o forse molto di più, si spezzò in me ogni emozione, lasciando della mia anima un relitto senz'ossa. 
Cercai di capire. Cercai di afferrare il reale. Lo giuro, cercai di trovare un senso.
Akiko. Oltre un pilastro. Tra le braccia di Takami.
Akiko. Oltre i pilastri dei miei ricordi. Tra le mie braccia. 
Non scesi dal treno. Non attesi. Non indugiai.
Non sarei mai scesa a Tokyo. 
Non avrei mai dovuto farle una sorpresa.
Tornai al mio posto mentre il treno ripartiva.
L'amore. L'amore c'era in me. Ma la mia pianta era morta o semplicemente ammaccata?
"Treno, portami a un'altra Akiko. Treno, resistuiscimi la ragione. Treno, portami verso un'altra




  
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