Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: LauFleur    15/03/2011    12 recensioni
OS prima classificata al contest 'A spasso nel tempo' di "Twilight Fanfic Contests".
Isabella Swan e Edward Cullen, due giovani che appartengono a due mondi completamente diversi, si ritroveranno a condividere lo stesso viaggio, la stessa emozione, lo stesso destino. E il loro incontro sarà possibile grazie all'aiuto di una ragazza speciale, che per Bella rappresenta l'unico sorriso in una vita piena di umiliazioni.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rosalie Hale | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa One-Shot è stata scritta per il contest "A spasso nel tempo", indetto da "Twilight Fanfic Contests".
La storia doveva essere ambientata in una determinata epoca storica ed i protagonisti principali dovevano essere Edward e Bella.
Le votazioni sono ancora aperte, verranno chiuse il 24 Marzo. Vi consiglio di dare un'occhiata al forum, ci sono storie veramente carine!
Grazie mille a chiunque avrà voglia di leggere. 

_____________


Una parola, una vita.


Southampton, 10 aprile 1912.

Seguo a piccoli passi l'addetto ai bagagli. A testa bassa, come sono abituata a vivere.
Mi prendo il lusso di alzarla raramente, come se la mia vita fosse un bicchiere d'acqua da bere a piccoli sorsi. E a piccoli sorsi ora alzo lo sguardo. Solo per qualche timido secondo, per sbirciare le pareti, i lampadari, i tessuti. Per specchiarmi in un mondo che mi ospita, ma che non è mio.
Arriviamo davanti ad una porta di legno massiccio e scuro, che risalta a contrasto con la moquette quasi dorata. 
Il signore che mi precede si passa tra le mani un grande mazzo di chiavi ed apre la porta. Entra, trascinando parte dei bagagli. Portarli tutti insieme era un problema, il resto delle cose verranno consegnate nelle prossime ore.
Aspetta che anch'io entri nella stanza e poi se ne va, senza considerarmi. Senza il piccolo inchino a cui lo obbliga il suo mestiere, senza un cenno della testa, senza salutarmi educatamente con un "Prego, signorina", "Buona permanenza, signorina". Se ne va in silenzio perché ha capito che con me può risparmiarsi i saluti, che valgo quanto le valigie che ha lasciato sul pavimento. 
La porta si chiude ed io aspetto qualche secondo prima di guardarmi intorno.
È una suite, naturalmente. C'è un soggiorno, due guardaroba, due bagni, un ponte di passeggiata privato e tre camere da letto, di cui due matrimoniali ed una singola. E pensare che tutte queste stanze saranno a disposizone di una persona soltanto.
Sento partire l'applauso al di là delle finestre. Le urla si fanno più forti, l'entusiasmo aumenta, sento il pavimento che comincia a tremare sotto i piedi.
Non voglio partecipare ai festeggiamenti, per me non c'è niente per cui essere felice.
È soltanto un viaggio, uno dei tanti. Non ci saranno cambiamenti nelle mie giornate. Il mio lavoro richiede sempre gli stessi impegni, la stessa educazione, lo stesso rispetto. La prigione rimane sempre la stessa, sia che le sbarre siano piantate sulla terra ferma sia che galleggino in mare aperto.
Resto per qualche secondo sospesa, indecisa se continuare ad ascoltare le urla della gente che impazzisce per i motori accesi o iniziare a darmi da fare, iniziare il mio lavoro.
Decido che la prima cosa da affrontare è il cambio d'abito.
Cerco la mia piccola borsa, soffocata da tutte le altre valigie, e mi dirigo verso la mia stanza. Trovo subito quella singola ed entro, senza fare attenzione all'arredamento che mi ospiterà nei prossimi giorni. 
Mi tolgo i miseri abiti da viaggio ed indosso la camicia bianca, un lungo vestito nero ed un grembiule chiaro, intrecciato sulla schiena. Lego i capelli in una crocchia bassa, assicurandomi che sia solida e che non ci siano ciocche fuori posto.
Torno in soggiorno e faccio il punto della situazione, ripetendomi a bassa voce le prime cose da fare.
Appendere i quadri, sistemare i fiori, riempire il guardaroba.
Decido di iniziare dall'ultima opzione e, mentre mi avvicino al primo bagaglio, la porta si apre.
Indossa un lungo cappotto rosso scuro, in tinta con il rossetto. La pelliccia nera che decora il colletto riprende il colore dei suoi guanti di pelle. Sui capelli scuri, raccolti in un'acconciatura elegante, è poggiato un piccolo cappello, dal quale pendono ciuffi di piume che le dondolano davanti agli occhi.
Mi vede, accucciata in mezzo ai suoi bagagli, e gli occhi le si riempiono di quel disprezzo che ormai conosco bene.
"Non hai ancora sistemato le mie cose?" mi sputa contro. 
"Mi scusi, signorina Angela." 
E, a testa bassa, sollevo la prima valigia.


***


11 aprile 1912

"Allora, Bells?" urla dall'altra stanza. "Quanto ancora dobbiamo aspettare per questo tè?"
Al suono della sua voce, una mano trema e rischio di far cadere una tazza. La sistemo bene insieme alle altre, accanto alla zucchero e al piccolo bricco del latte. Con il vassoio tra le mani raggiungo il salotto, mentre la luce del pomeriggio entra prepotente dalle finestre, insieme al rumore del mare. Un rumore lontano per le mie orecchie, così lontanto che non sembra neanche vero.
Appoggio con cura il vassoio sul tavolino in mezzo ai divani, facendo attenzione a non far scontrare le tazze tra loro. La signorina odia questi piccoli rumori fastidiosi.
"Ecco a voi," sussurro, a testa bassa. "Chiedo scusa per il ritardo."
Angela e le sue amiche si servono senza degnarmi di uno sguardo. Sono tutte appollaiate sui cuscini, fumano sigarette incastrate in ridicoli bastoncini d'oro e chiaccherano delle loro stupidaggini preferite.
"Bells, non te ne andare." mi ordina Angela. "Almeno se avremo bisogno di qualche altra cosa non aspetteremo anni prima di riaverti qui, giusto?"
Annuisco, mi allontano fino a raggiungere il camino e resto in piedi, con la schiena che sfiora a malapena la parete di legno e lo sguardo fisso sulla moquette.
Provo ad ignorare le loro voci squillanti e mi concentro sul rumore del mare. Ma non riesco più a trovarlo.
"Allora, ragazze? Cosa facciamo questo pomeriggio?" chiede Angela, dopo aver bevuto un sorso di tè.
La ragazza con i capelli più chiari si impettisce, posa la tazza sul tavolino e, sporgendosi verso le altre con fare ammicante, dice: "Sala fumatori." Le sue amiche la guardano con aria interrogativa. 
"Mi sono informata, sarà piena di uomini." aggiunge lei, soddisfatta. E scoppiano le risatine.
Ormai le conosco tutte. So i loro nomi, so come preferiscono prendere il tè, so chi ha la risata più fastidiosa, so che aspetto hanno gli autisti che le accompagnano fino alla casa della signorina Angela.
Jessica, Leah, Alice, Lauren.
Una più insopportabile dell'altra.
Ma oggi non sono solo loro quattro. C'è anche un'altra ragazza, seduta a gambe incrociate sulla poltrona.
Hai i capelli lunghi e biondi, raccolti in una treccia che le cade sulla spalla fino ad arrivare sotto il seno. È vestita di nero, l'unica nota di colore sono le labbra carnose tinte di rosso. È bellissima, più di tutte loro messe insieme.
Sembra non dare importanza a ciò che dicono. Non si è mai intromessa nei loro discorsi, non ha mai fatto sentire la sua voce. Ogni tanto le guarda, ma il suo unico pensiero sembra essere quello di fumare.
"Avete sentito chi c'è sulla nave? Ormai è ufficiale!" squittisce Jessica, con una mano sulla bocca.
Le altre la guardano, in attesa della rivelazione. Lei sorride compiaciuta, aspetta qualche secondo prima di parlare e poi esclama: "Edward Cullen!" E i gridolini si fanno così acuti che temo che il soffitto si possa spaccare a metà.
Edward Cullen è il figlio di un famoso e potente industriale. La signorina Angela ne parla da mesi. È innamorata follemente di lui, proprio come tutte le sue amiche. E, nei loro pensieri e nelle loro chiacchere, se lo contendono con tenacia, cercando di decidere a chi spetta il diritto di finire tra le sue braccia.
La ragazza bionda è l'unica a non esultare, e tutte le altre si voltano a guardarla.
Lei tira a lungo la sigaretta, lascia che il fumo esca lentamente dalla piccola fessura formata dalle sue labbra e poi sorride. "No, grazie. Lo lascio a voi." 
Angela si indispettisce, minacciata e spiazzata dalla superiorità che quella ragazza così bella riesce a dimostrare. Si rivolge a lei, con la voce più acida del solito.
"Che c'è, Rosalie? Nemmeno lui è abbastanza per te?"
"No, Angela." risponde, con una calma nella voce e nei movimenti che non fa altro che innervosirla ancora di più. "È che non ho voglia di faticare così tanto per portarmi a letto un uomo."
La stanza, al suono delle sue parole, trabocca di scandalo. Le ragazze la guardano con gli occhi spalancati, indignate da ciò che si è permessa di dire e dai toni usati. Si lanciano occhiate a vicenda, senza il coraggio di commentare, prendendo piccoli sorsi di tè con le labbra indispettite strette intorno ai bordi della tazza.
Rosalie ha già smesso di considerarle, continua a fumare come se nella stanza non ci fosse nessun'altro.
Poi accade una cosa strana, insolita anche da parte dell'essere umano più interessante che ho incontrato negli ultimi anni: si volta e mi sorride.
Si volta, cerca me – proprio me – ed allarga le labbra fino a dedicarmi un sorriso.
Di solito si rivolgono a me per dare ordini, per lamentarsi di come li ho eseguiti, per pulire dove loro hanno sporcato. Ma mai, mai, si rivolgono a me per mostrarmi un sorriso.
Mai fino ad ora. Mai fino a Rosalie.
Imbarazzata, chino la testa e torno a guardare il pavimento, sentendo il calore che inonda le guance.
"Bells," mi chiama, ed io sono costretta a tornare a guardarla. "È così che ti chiami, vero?"
"Bella." sussurro, dopo essermi schiarita la voce. "Mi chiamo Bella."
Sulla faccia di Rosalie appare una smorfia, e si rivolge ad Angela. "E perché la chiami Bells?"
Angela diventa completamente rossa in volto, trasuda rabbia da ogni lineamento e, senza aprire bocca, cerca solidarietà nello sguardo delle altre.
"Bella," ripete Rosalie gentilmente, facendomi cenno di avvicinarmi. Allunga una mano e mi porge la tazza vuota. "Per favore, riempila con qualcosa di forte. Ne ho disperatamente bisogno."
E mi sorride un'altra volta.

Il giorno seguente, nel tardo pomeriggio, mentre sono impegnata a riordinare la stanza di Angela, sento sbattere la porta. Mi raggiunge camminando velocemente, con i capelli in disordine e il fiato corto.
Apre un armadio e lancia un mucchio di vestiti sul letto, vanificando il lavoro delle ultime ore.
"Mi devi aiutare." Mi guarda negli occhi come se fosse indemoniata. Per un attimo riesco perfino a preoccuparmi. "Devi scegliere il vestito più bello, non posso sbagliare."
Ormai conosco tutti gli abbinamenti giusti tra evento, abito e trucco. So quale vestito è giusto indossare durante un pranzo importante, quello adatto per un pomeriggio con le amiche o per una cena impegnativa. Conosco tutto quello che c'è da sapere per vestire gli altri, per vestire Angela. So come si abbinano gli abiti che non indosserò mai, so come si vive la vita che non avrò mai. Per vestire e per far vivere me non è necessario conoscere niente.
"Eravamo tutte in sala lettura," inizia a raccontare, mentre io provo gli abbinamenti, appoggiando ogni abito sul vestito che già indossa. "Abbiamo incontrato Edward ed alcuni suoi amici o colleghi, non ho ben capito. Alice si è innamorata all'istante di un biondino tutto silenzioso, sempre sulle sue. Un certo Jasper, ma non è importante." Sollevo un abito arancione, ma lei me lo prende dalle mani e lo scaraventa sul letto. Non le piace. "Quello che è importante è che c'è un'avversaria in meno. Adesso le altre sono andate al Caffè Parigino, io mi sono inventata una scusa per andarmene."
"Vuole tornare a cercare quell'uomo, signorina?" chiedo, sovrappensiero.
"Certo che voglio tornare a cercarlo! Cosa credi? Che me lo faccia soffiare da sotto il naso da quelle lì?" risponde stizzita.
Scelgo un abito di pizzo beige, con la fodera rossa. Un rosso acceso in tinta con la grande cintura di raso stretta in vita. So già quali orecchini posso abbinarci.
Glielo mostro, le consiglio sottovoce quali gioielli indossare. Con un'espressione di sufficienza, annuisce e mi ordina di aiutarla a vestirsi.
Poco dopo siamo davanti allo specchio, lei seduta sullo sgabello ed io dietro, impegnata a sistemarle i capelli. Al trucco ho già pensato, e gli anni di pratica mi hanno aiutata a raggiungere un risultato praticamente perfetto. 
"Quella Rosalie," esclama indignata, mentre le intreccio una ciocca di capelli. "La detesto! È insopportabile... una maleducata, una poco di buono. Ho anche parlato con i suoi genitori questa mattina, e mi hanno confermato i miei sospetti: è completamente fuori controllo, non riescono a gestirla."
Come spesso accade durante le mie giornate, sono costretta a mordermi la lingua e a soffocare i pensieri per non dire cose che mi rovinerebbero la vita. Per non dire quello che penso, la mia verità.
"Poco fa ha superato il limite," continua, senza aspettarsi nessun commento da parte mia. "Ha avuto il coraggio di dirmi che sono completamente pazza a tenermi intorno una come te, perché" e scimmiotta la voce per provare ad imitarla "
la sua bellezza è così disarmante che offusca la tua. Te ne rendi conto?"
Rosalie pensa questo di me? Quella donna meravigliosa ed intraprendente pensa che sono bella? Più bella della signorina Angela?
Devo sforzarmi fino a farmi venire il mal di testa per non lasciarmi andare ad un sorriso. Per non lasciar trapelare la felicità che mi sta riempiendo il petto.


Ordinando e spolverando il salotto, non posso fare meno di pensare ad Angela.
Una ragazza giovane, ricoperta di soldi, abituata a vivere nel lusso. Ma sempre sola. 
Perfino i suoi genitori fanno di tutto per tenerla lontana, sono arrivati addirittura a spedirla in mezzo all'oceano, con l'unica speranza che finalmente riuscisse a trovare marito.
L'unica compagnia che riesce ad ottenere è quella di un gruppetto di amiche false come lei e quella della sua serva. Perché è questo che sono, la sua serva. E lo sono da tanti anni, da quando ero una ragazzina, da quando mi hanno insegnato che sognare fa male. Fa male alla testa e al cuore. Perché quelli che il mondo chiama sogni, la gente come noi li conosce come illusioni. Io ne ero piena – di speranze, sogni, futuro - quando mi hanno buttata in casa di gente sconosciuta, ripetendomi che da quel giorno il mio unico pensiero doveva essere quello di ubbidire, annuire, soddisfare i bisogni delle persone che ti assicurano un tetto sopra la testa.
I miei pensieri vengono interrotti quando qualcuno bussa alla porta.
Immagino che sia Angela. Disperata, in lacrime, in cerca di attenzioni perché non è riuscita a trovare quell'uomo, o non è riuscita a parlargli, o un'altra insopportabile tragedia ha stravolto il suo mondo.
Passo le mani sul grembiule bianco, libero un respiro profondo ed apro la porta.
Mi trovo davanti Rosalie, in tutta la sua bellezza ed esuberanza.
È vestita e pettinata esattamente come ieri, ed immagino lo scandalo che ha provocato quando se ne sono accorte tutte le altre.
Dopo un attimo di sopresa, riesco a parlare. "Buonasera, signorina Rosalie." 
"Si può sapere chi è questa 
signorina? Chiamami Rosalie." sorride, ed ancora non riesco a farci l'abitudine.
"Posso aiutarla in qualche modo?" sussurro.
"Sì, sono qui proprio per questo." Mi mostra quello che stringe tra le braccia: un lungo cappotto grigio scuro. "Indossalo" mi ordina, con un tono che non ammette repliche.
"Cosa?" Sento gli occhi spalancarsi, i muscoli irrigidirsi. Non capisco cosa mi sta chiedendo, e la paura che mi pietrifica è quella di non riuscire a soddisfare il bisogno dell'unica persona che è stata gentile con me.
"Voglio che indossi questo cappotto, così nessuno noterà la divisa."
Annuisco e, sempre in piedi davanti alla porta, infilo le braccia nelle maniche, fino a sentire il tessuto morbido e profumato coprirmi dal collo alle ginocchia.
"Ti sta benissimo," afferma soddisfatta. "Ora seguimi."
"Signorina, è impazzita?" esclamo impaurita. "Non posso lasciare la stanza!"
"Sei abituata a ricevere ordini, vero? Bene, te ne sta dando uno la 
signorina Rosalie." Mi afferra un braccio e lo intreccia al suo, chiude la porta e mi trascina lungo il corridoio. "Non permetterò che tu stia tutto il viaggio chiusa in quel buco! Scommetto che non hai ancora visto l'oceano."
Scommette bene.
"Ma se la signorina Angel-"
"La signorina Angela è impegnata in altro," mi interrompe. "Ho controllato."
Cammino arrancando, trascinata dalla sua camminata decisa, rassicurata dal calore del suo fianco.
"Lei si comporta così con la sua servitù?" le chiedo curiosa. E per un attimo mi immagino come sarebbe, trascorrere le giornate in sua compagnia, obbidire ai suoi ordini invece che a quelli di Angela.
"Io non ho servitù," risponde schifata. "Ce l'hanno i miei genitori."
Spinge un'enorme maniglia di legno e la porta si apre, mostrandomi cosa nascondono le pareti in cui sono rinchiusa.
Le nostre braccia si sciolgono e Rosalie, soddisfatta e felice, mi lascia libera.
Libera di respirare aria nuova, di stringermi nel suo cappotto per proteggermi dal freddo, di farmi spettinare i capelli dal vento.
Di godermi la gente, le chiacchere, il movimento, la vita.
L'enorme distesa blu che si apre davanti ai miei occhi.
Così nitida da sembrare un dipinto.
Me lo godo sorridendo.
L'oceano.


***


13 aprile 1912

Per stasera è prevista, nel salone principale, una cena di gala, seguita da un ballo.
Ho trascorso tutto il pomeriggio ad aiutare Angela con i preparativi. Era entusiasta ed emozionata; dopo le ore passate con Edward è convinta di avere la vittoria in pugno. Ho impiegato più tempo di sempre nel prepararla perché ogni cosa, dal trucco all'abito, doveva essere più che perfetta.
Ed il risultato per fortuna non l'ha delusa. Quando è uscita era bellissima, sembrava una principessa.
Ho concluso la mia serata riordinando il suo guardaroba e la sua stanza. Il resto della suite splende grazie alle pulizie di questa mattina.
Decido che è arrivato il momento di coricarmi e raggiungo la mia stanza.
Mi tolgo la divisa, la piego con cura e la sistemo sulla sedia vicino al letto. 
Mi lascio coccolare dalle coperte morbide e, cullata dal silenzio e dalla stanchezza che sempre mi accompagnano, mi addormento in pochi secondi.
Un rumore mi sveglia e mi fa sobbalzare. Mi metto seduta sul letto, mi porto le coperte sulle spalle e trattengo il respiro. Il rumore si ripete, e capisco che qualcuno sta bussando alla porta con insistenza.
Non può essere Angela, è troppo presto. E allora chi è?
Indosso velocemente una vecchia vestaglia, che copre la leggera camicia da notte, e a piedi nudi raggiungo il salotto. Poggio i palmi sulla porta, avvicino anche l'orecchio. Non sento niente.
"Chi è?" sussurro.
"La tua cara 
signorina Rosalie!" risponde sarcastica. E continua a bussare.
Apro la porta prima che possa svegliare ed insospettire tutto il piano.
Mi sorride, e sento che le mie labbra stanno facendo lo stesso.
"Entri pure, signorina." e mi faccio da parte per farla passare.
Indossa un lungo abito rosso, che le lascia scoperte le spalle e molto altro ancora. Non riesco nemmeno ad immaginare quanti uomini abbia fatto impazzire durante la cena.
Inizia subito a girovagare tra le varie stanze, stringendo tra le braccia un fagotto scuro che non riconosco, e si ferma quando trova la mia. La seguo e quando la raggiungo noto, appoggiato sul letto, un meraviglioso abito da sera.
"Che significa?" mormoro, sentendomi in balia di una sensazione che assomiglia tanto alla paura.
"Significa che, terminata la cena, ho finto di sentirmi poco bene e ho gentilmente chiesto il permesso di alzarmi." risponde Rosalie, con calma. "Sono salita in camera, ho scelto il vestito più bello che ho e te l'ho portato."
Sono sempre confusa. Non riesco a seguire i suoi ragionamenti, non riesco a capire i suoi ordini. 
Cosa vuole da me? Perché è qui?
"Non si aspetta che lo indossi, vero?"
"Certo. Mi aspetto che tu lo indossi, insieme ai gioielli che ti ho portato e al trucco della tua signorina Angela. E mi aspetto anche che tu esca da quella stanza, tu raggiunga la sala e che tu ti divert-"
"Perché lo sta facendo?" la interrompo, e subito mi pento della mia maleducazione. "Perché lo sta facendo, signorina Rosalie?"
Abbassa per un attimo lo sguardo, e quando alza di nuovo la testa noto così tanta tristezza nei suoi bellissimi occhi che mi viene voglia di piangere.
"Perché sono stanca," sussurra. "perché mi annoio, perché li odio tutti. Perché non sopporto che si godano il lusso, il cibo, la musica, quella vita. Loro non se la meritano, io non me la merito. Tu sì."
Si volta velocemente ed io, completamente nel panico, l'afferro per un braccio. Sento le mie dita stringere la sua pelle morbida e mi allontano in un istante, facendo cadere le braccia lungo i fianchi, scusandomi a testa bassa per la confidenza che mi sono presa.
Rosalie si ferma, si volta, mi stringe il mento tra le dita e mi costringe a guardarla negli occhi.
Ha lo sguardo dolce. Triste, lontano e dolce.
"Nessuno lo scoprirà, non ti riconosceranno. Fidati. Truccati tanto, non ti avvicinare troppo a chi ti conosce. Ed andrà tutto bene. Io sarò nei paraggi, se hai bisogno di un sorriso cercami con lo sguardo."
Mi specchio nei suoi occhi. Ed immagino quanto possano sembrare spaventati i miei.
Lei capisce tutta quella paura, ed aggiunge le uniche parole che sa che mi arriveranno dritte al cuore.
"Pensa all'oceano." sussurra.
E, lasciandomi impietrita con l'immagine di quella distesa infinita di acqua e libertà davanti agli occhi, se ne va.

L'abito è stupendo.
Nero, lungo, impreziosito da pizzo e brillanti. Il corpetto mi fascia la pancia, valorizzando i fianchi e il seno. Le spalle sono coperte da sottili spalline, le mani e gli avambracci da lunghi guanti di pizzo nero. La gonna mi accarezza le gambe e cade leggera verso il pavimento, svolazzando ad ogni passo. La collana e gli orecchini sono meravigliosi, perfetti.
Ho scelto un trucco abbastanza pesante per essere ancora più irriconoscibile. Le labbra disegnate da un luminoso rossetto rosso fuoco, gli occhi coperti da un po' di ombretto nero e mascara, le guance illuminate dal phard. I capelli li ho raccolti in uno chignon alto ed ordinato, che ho decorato con un filo di brillanti.
Mi guardo un'altra volta allo specchio.
Sono bellissima.
Irriconoscibile.
Un sogno.
E tutta quella bellezza riflessa davanti ai miei occhi fa sparire la paura, i dubbi, i ripensamenti. Mi guardo e sento che andrà tutto bene. Mi guardo e c'è solo coraggio.
Mi volto e, a testa alta, esco dalla suite.
Mentre cerco il salone principale e sorrido a chiunque incontri il mio sguardo, c'è solo un pensiero che mi occupa la mente, uno soltanto: per una sera, indosso gli abiti che ho imparato a scegliere ed abbinare;
per una sera, vivo la vita che sono sempre stata costretta ad osservare da lontano.

Due enormi scalinate si aprono davanti a me. Le pareti, le colonne e le ringhiere sono di un legno scuro e lucido, impreziosito da disegni e motivi d'oro. Il salone, i lampadari, i tavoli, le sedie... tutto così grande e bello che non riesco a godermelo tutto insieme.
Cerco tra la folla la signorina Angela e le sue amiche, ma non riesco a trovarle. Allora mi faccio più piccola che posso e, sorreggendomi al corrimano e sentendo lo strascico del vestito che accarezza i gradini, scendo lentamente le scale.
Da lontano scorgo la sala nella quale si è svolta la cena, ma è già vuota. Si sono spostati tutti nel salone principale. L'orchesta sta suonando con trasporto e la gente, divertita ma sempre composta, ha occupato quasi tutta la pista. Altri piccoli gruppetti si sono riuniti intorno ai tavolini. Chiaccherano allegramente, osservano gli altri ballare, sorseggiano champagne.
Un cameriere mi passa accanto e mi porge un bicchiere posato su un vassoio. Lo accetto con un sorriso e, con tutta la naturalezza che riesco a fingere, inizio a camminare lungo la stanza, sorseggiando lentamente dal bicchiere. Le piccole bollicine mi solleticano la lingua ed arrivano subito alla testa.
Scorgo Rosalie, appoggiata ad una colonna, con la sigaretta tra le dita. Sta parlando con un ragazzo. Alto, moro, un fisico possente. Ridono, gesticolano, bevono.
Lei si volta all'improvviso e mi vede. Rimane per qualche secondo con la bocca aperta, poi mi sorride e, senza farsi notare da nessuno, mi fa l'occhiolino. Sento le guance prendere fuoco, ricambio il sorriso e mi allontano, temendo che Angela e le altre siano nelle vicinanze.
Sto appoggiando il bicchiere sempre mezzo pieno su un tavolino, quando una voce bassa mi solletica le spalle.
"Mi concede un ballo, signorina?"
Mi volto tremando e la prima cosa che vedo sono due bellissimi occhi verdi.
Ha i capelli, di un colore unico, tirati indietro. Indossa, con innata eleganza, uno smocking nero. Un sorriso perfetto gli illumina i lineamenti marcati, le piccole fossette intorno alla bocca, la mascella tesa e disegnata alla perfezione.
Non riesco a pensare, non riesco neanche a ricordare come si fa a parlare. Mi limito a guardarlo, sperando che la mia espressione confusa trasmetta quel distacco che lo faccia allontanare.
Ma lui mi afferra una mano, avvicina il pizzo nero che mi copre il dorso alle labbra e, quasi senza sfiorarlo, ci lascia un bacio. Mi guida fino alla pista, intreccia la mia mano alla sua e, alzandole all'altezza delle mie spalle, mi sorride un'altra volta. Mi circonda il fianco con l'altro braccio, avvicina la testa al mio orecchio ed inizia ad ondeggiare.
"Ho deciso di prendere il suo silenzio per un sì." sussurra.
Impietrita dalla timidezza, mi limito a fare l'unica cosa di cui sono capace: respirare.
"Qual è il suo nome?" chiede, guidandomi a tempo di musica.
La mia mano trema appoggiata alla sua spalla, socchiudo gli occhi e mi concentro solo sul suo indescrivibile profumo. I secondi passano, la musica continua a riempire la sala. Io non rispondo, ma, abbracciata dal suo calore, inizio ad abituarmi alla sua vicinanza.
"Capisco," mormora. "È una donna di poche parole. Una 
meravigliosa donna di poche parole."
Arrossisco e, facendomi coraggio, cerco i suoi occhi. Ora che sono così vicini, sono ancora più belli.
Sto ancora contando tutte le sfumature di verde che riempiono le sue iridi, quando, al di là della sua spalla, noto un piccolo gruppo di donne in agitazione.
La prima che riconosco è Jessica, che guarda nella nostra direzione e, con un cenno della mano, ci indica a tutte le altre. Mi volto di scatto, prima che qualcuno mi possa riconoscere. Chiudo gli occhi e rimango nascosta dietro di lui, coperta dalle sue spalle.
"Che succede?" esclama, stringendomi le braccia.
Io mi libero dalla sua presa, lo saluto con un sorriso amaro che non potrà mai vedere e, a grandi passi, esco dalla sala.
La prima uscita che trovo è una grande porta a vetri, che spingo con forza ed impazienza. Mi ritrovo all'aria aperta, su una grande terrazza affacciata sull'oceano. 
L'aria fredda mi schiaffeggia la faccia, mi porto le braccia intorno alla vita per trovare calore in un abbraccio. Aumento il passo, quando sento in lontananza dei passi che mi seguono. Ma, in bilico su tacchi troppo alti per me e le mie abitudini, non riesco ad essere abbastanza veloce.
Mi afferra una mano e, con un unico movimento, mi costringe a voltarmi e ad ammirare ancora una volta la bellezza del suo volto.
Sono sconvolta. Lo sento, lo so. E lo sa anche lui.
"Che succede?" ripete, con più dolcezza e meno irruenza.
"N-niente" balbetto. Ed è la prima parola che gli dico, dopo minuti interi di silenzio emozionato.
Mi guardo intorno, controllo se qualcun'altro ci ha seguiti. Lui mi osserva accigliato, non capisce.
All'improvviso sorride, alzando un angolo della bocca.
"Non ho capito cosa sta succedendo, ma va bene lo stesso." Si avvicina e, alzando un braccio, mi fa cenno di intrecciarlo con il mio.
Dovrei andarmene, prima che qualcuno mi riconosca. Dovrei salire in camera, prima che Angela si stufi del ballo e decida di andare a letto. E dovrei allontanarmi da lui, prima che capisca che l'unica cosa che ho da offrirgli sono mani vuote consumate dal lavoro.
Ma stasera non sono io. Stasera le mie mani non sono vuote, sono solo coperte da morbido pizzo nero. La stanchezza del volto è stata camuffata dal trucco, e il mio corpo insignificante è nascosto da un bellissimo abito che non potrò indossare mai più. E non sono rinchiusa tra quattro pareti, stasera intorno a me c'è solo l'oceano.
L'oceano.
Pensa all'oceano.
Mi faccio coraggio, sorrido per la prima volta da quando l'ho visto ed intreccio il mio braccio al suo. 
Camminiamo lungo una scala di legno, che conduce ad un'altra piccola terrazza.
"Sotto di noi c'è il salone," bisbiglia. "La sente la musica?"
Mi avvicina di nuovo a sè, mi cinge la vita con un braccio e ricomincia a guidarmi su note a me sconosciute. Il freddo è sparito, non ho più bisogno di abbracciarmi.
"Sì" sorrido. Sotto i nostri piedi l'orchestra sta continuando a suonare, ma questa volta la musica è soltanto per noi. Per le parole che nessuno ascolterà, per i sorrisi che nessuno potrà sbirciare. Per me, per lui, per le onde dell'oceano che accompagna i nostri passi.
"Allora," dice, guardandomi fisso negl'occhi. "Le posso dare del tu?"
Nessuno mi aveva dato del lei prima d'ora, vorrei rispondergli. Ma mi limito ad annuire.
"Si può sapere dove ti nascondevi? Giuro di non averti mai vista prima."
Mi schiarisco la voce, arrossisco sotto il suo sguardo. "Chissà... forse non hai una buona memoria."
"Mi ricorderei di te, fidati." La sua voce è sempre più bassa, sempre più calda. "Come ti chiami?"
"Isabella," Decido di presentarmi con il mio nome di battesimo, il nome che nessuno conosce. "Isabella Swan."
"Incantato, signorina Swan." Al suono di quelle parole, così insolite ed assurde, sento le gambe tremare. "Io sono Edward Cullen."
No, no, no. Lui no.
I muscoli si pietrificano, gli occhi si spalancano, non riesco più a seguire la musica insieme a lui.
È sempre peggio, è ancora peggio. 
La signorina Angela l'avrà tenuto d'occhio per tutta la sera. Avrà controllato ogni suo spostamento, ogni persona che gli si è avvicinata, ogni sorriso che ha regalato.
È pericoloso ogni minuto che trascorro con lui.
Mi allontano di qualche passo, rimango immobile davanti ai suoi occhi. L'atmosfera si spezza come un bicchere di cristallo lasciato cadere sul pavimento.
"Di solito non è questa la reazione!" esclama divertito.
Si avvicina, io indietreggio ancora di più.
"Mi dispiace" sussurro, con le labbra tremanti e le lacrime agli occhi.
"No, no" mormora confuso. "Ti prego, no."
Scappo dalle sue mani, dai suoi occhi, dal suo sorriso perfetto. Scappo dal sogno che è finito troppo presto. E, scendendo le scale accompagnata dal mio triste strascico, sento la sua voce disperata graffiarmi le spalle.
"Domani sera, su questa terrazza!" urla. "Io ti aspetto!"
Lui mi aspetta, ed io corro.
Corro fino a raggiungere quelle quattro pareti che mi hanno nascosta per una vita intera. 
Corro fino a far sciogliere il trucco.
Corro fino a dimenticarmi di lui.


***


14 aprile 1912

Non sono riuscita a dormire, nemmeno per un secondo.
Sono rientrata nella mia stanza con la paura che qualcosa andasse storto, che qualcuno che mi avesse vista e riconosciuta. Mi sono spogliata il più velocemente possibile, mi sono strappata via i gioielli, ho tolto il trucco rimasto sulla mia faccia. Ho nascosto l'abito sotto il letto, sperando di poterlo restituire a Rosalie al più presto. 
Mi sono nascosta sotto le coperte, con le orecchie pronte a sentire la signorina Angela rientrare. 
Non sono riuscita a prendere sonno. Troppa preoccupazione, troppa confusione, troppe novità. E poi quelle parole: 
Mi ricorderei di te, fidati. E quel sorriso, quegl'occhi, quelle mani che sapevano abbracciarmi insieme alla musica.
Trascorro la giornata in una bolla di vetro, sbrigo tutte le mie faccende con le parole di Angela che arrivano ovattate. È furiosa, avvelenata, arrabbiata. Tutto perché ieri sera non è riuscita a ballare con lui, non è riuscita nemmeno a scambiarci due parole. A quanto dice, è sparito a metà serata e poi nessuno l'ha più visto. Io resto a testa bassa, annuendo mentre lei racconta, senza fare commenti o domande.
Sono passate dalla suite anche le sue amiche. E questa volta, ascoltandole perdersi nelle loro chiacchere frivole, sono riuscita a sopportarle più facilmente. Forse perché capisco come hanno fatto ad innamorarsi, forse perché - dopo essermi specchiata nel verde dei suoi occhi – le loro esultanze e i gridolini sembrano meno fastidiosi. C'erano tutte, tranne Rosalie. Ho sentito una delle ragazze, Leah, raccontare che non l'hanno mai vista uscire dalla stanza di un ragazzo, un certo Emmett, con cui aveva trascorso tutta la serata. In cuor mio, la ringrazio ancora e spero che si stia divertendo.
Le ore volano via velocemente e ad ogni minuto cresce la convinzione sulla mia decisione di stasera. So che non mi potrò presentare all'appuntamento con Edward, so che è impossibile. Come mi potrei vestire? Cosa gli potrei dire? E anche volendo fare questa pazzia, come farei ad uscire da questa stanza? Sarebbe solo un'altra umiliazione. Una delle tante.
Il buio è arrivato ed io, in silenzio, ripeto la mia decisione come se fosse una ninna nanna. Angela è uscita soltanto qualche ora, per cenare insieme a Jessica e per scoprire che fine possa aver fatto il loro amato Edward Cullen. Io mi stendo sul letto, ripetendomi che non c'è motivo di sentirsi agitata. Non è cambiato niente, quella di ieri sera è stata solo una piccola parentesi felice. Una parentesi chiusa.
Gli occhi rimangono spalancati per ore, fissi sul soffitto.
Fino a quando, come se fossi attraversata da un fulmine, mi alzo di scatto e capisco che sto sbagliando.
Perchè se davvero Edward Cullen mi sta aspettando su quella terrazza, se sta aspettando proprio me, quella parentesi non sarà mai chiusa. Rimarrà uno spiraglio, un rimpianto, un piccolo dolore per una situazione non chiarita.
C'è solo un modo per chiuderla davvero, la nostra piccola parentesi: presentarmi con i miei abiti, con la mia verità, con la mia vita. Mostrargli quella che sono e osservarlo mentre si allontana. Da me, per sempre. 
Mi alzo, indosso la mia divisa ed un vecchio cappotto marrone. Controllo l'orologio, sono quasi le undici. Stando attenta a non fare rumore, controllo che Angela stia dormendo e, con il cuore in gola, esco.

Cammino lentamente, toccando con delicatezza il pavimento. Raggiungo la ringhiera, la stringo fino a vedere le nocche diventare bianche. Lancio un'occhiata all'oceano per trovare il coraggio.
"Buonasera, signor Cullen." Si volta di scatto, i suoi occhi si illuminano. "Mi dispiace se l'ho fatta attendere, ma non potevo assentarmi dalla stanza."
D'istinto, si alza. Si passa le mani sui pantaloni, provando a togliere le pieghe dovute al troppo tempo trascorso seduto.
"Avevamo deciso di darci del tu, o sbaglio?" Prova a sorridere, ma non è spontaneo come ieri sera.
Ha i capelli più spettinati, una leggera barba gli copre il viso. È ancora più bello.
"In realtà, lei è obbligato a darmi del tu. Proprio come io sono obbligata a darle del lei." Apro lentamente il cappotto, ed ogni bottone che si sgancia è una fitta dritta al cuore.
Rimango in piedi davanti a lui, mostrandogli la mia patetica divisa. 
L'orribile vestito nero e il vecchio grembiule bianco.
"Non capisco..." mormora, portandosi le mani alle tempie.
"Conosce la signorina Angela, vero?"
Alza la testa e mi guarda confuso, accigliato. Annuisce lentamente.
"Io sono con lei." Allargo le braccia, mostrandogli ancora una volta i miei abiti. E se la situazione ancora non gli è chiara, saranno i miei capelli spettinatati e il mio viso pallido senza un filo di trucco a chiarirgli le idee.
"Ora posso andare?" E senza aspettare il suo permesso, gli do le spalle e mi allontano.
"Dove?" mi urla contro.
Mi fermo, indecisa se rispondere o lasciar perdere. Ma la verità ormai svelata mi da coraggio, e torno a guardarlo.
"Forse non ha capito, signor Cull-"
"Ho capito benissimo, invece." mi interrompe. "Mi sta dicendo tutto quello che mi ripetono da una vita intera."
Si avvicina lentamente, mi raggiunge, con un dito mi sfiora il colletto del cappotto.
"Mi sta dicendo con chi devo parlare, con chi devo ballare, con chi devo trascorrere le mie serate. Mi sta dicendo che non conta quello che voglio, mi ritroverò sempre bloccato ad un maledetto tavolino a sopportare per un pomeriggio intero le chiacchere di una logorroica disperata che cerca marito."
"No, signor Cullen. Le sto solo dicendo chi sono."
"Anch'io. Sto facendo la stessa cosa, credimi."
"Posso andare?" ripeto, confusa e con un nodo in gola che non vuole sciogliersi.
"No." Mi afferra per le spalle, mi stringe le braccia. Mi prende la testa tra le mani, i miei capelli gli scivolano tra le dita. "Non andrai da nessuna parte. Guardami."
Alzo la testa, scuotendola disperatamente. Sento gli occhi bruciare. "Signore,"
"Ti è bastato uno sguardo per farmi crollare. I tuoi occhi, il tuo profumo, la tua voce... e ho capito che eri la mia unica salvezza in questo mare di banalità."
"Signore," lo chiamo, con voce fioca e debole.
"Salvami, Isabella. Salvami."
"Non posso, io sono sol-"
"Non m'importa. Non m'importa." I nostri volti a pochi centimetri, i suoi occhi che traboccano di quella stessa tristezza che riempiva quelli di Rosalie. "È da ieri sera che ti penso, ed è una vita che ti aspetto. Ti scongiuro, Isabella. Ti scongiuro." 
Le sue dita affondano ancora di più nei miei capelli. E con la stessa disperazione le sue labbra cercano le mie. Mi bacia, come nessuno aveva fatto prima d'ora. Mi bacia ed io mi perdo nel suo sapore. Il mio cuore ormai impazzito è tra le sue braccia e sulle sue labbra, così morbide e sicure da farmi tremare le gambe. Fa scivolare una mano sul mio collo, un brivido mi copre la schiena.
Mi stacco per guardarlo, per capire se anche questa volta il sogno finirà.
Lui sorride, e il suo sorriso non è mai stato così bello. E ha qualcosa in più, negli occhi e sulle labbra. Qualcosa che mi ricorda la prima volta che mi sono affacciata sull'oceano, il momento in cui mi sono specchiata e mi sono vista diversa. Qualcosa che non so come chiamarla, se non libertà.
Mi abbraccia, mi solleva in aria, con la bocca si fa spazio attraverso il colletto della camicia e mi bacia il collo. Mi prende in braccio e si siede sulla panchina, facendomi accomodare sulle sue ginocchia.
Io non so cosa fare, sento solo la testa che scoppia, il cuore che batte e le orecchie che fischiano.
Allora faccio quello che sono abituata a fare quando sono in difficoltà: respiro.
Lo guardo, lo ascolto, e respiro.
E piango, piango senza accorgermene. Piango lacrime di un sapore sconosciuto. Lacrime che non fanno male, che non bruciano sulla pelle, lacrime così belle che le lascio cadere senza fermarle.
Lui mi asciuge le guance, mi sorride. Mi racconta di quando mi ha vista, ieri sera, ed ha capito che l'unica cosa che doveva fare era avvicinarsi, chiedermi di ballare, scoprire il mio nome. Mi racconta che non si è mosso da questa terrazza per tutto il giorno, ignorando gli impegni, i colleghi, la barba da fare. Mi racconta di quanto è stato orribile questo viaggio fino a questo momento.
Io gli racconto di Rosalie, della prima volta che mi ha sorriso, della sua bravura nel mettere in difficoltà la signorina Angela e della sua infinita generosità nei miei confronti.
"Ricordami di ringraziarla la prossima volta che la vediamo" sussurra, con le labbra vicine alla mia guancia.
"La vediamo? Insieme?"
"Isabella," mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, mi accarezza le labbra. "Credi che d'ora in poi ti lascerò andare da qualche parte senza di me?"
Sorrido, improvvisamente inondata dalla grandezza delle sue parole. Lui si avvicina per darmi un bacio, ma veniamo interrotti.
E ad interromperci non è uno sguardo indiscreto, nè la mia paura di essere scoperta.
È una parola.
Una parola che nasce dal cuore della nave, e si diffonde ovunque. In ogni stanza, in ogni ponte, in ogni sala, su ogni rampa di scale.
Una parola fatta di brividi, terrore, impotenza.
Una parola che ci metterà alla prova, ci farà pregare, ci farà rifugiare l'uno nella braccia dell'altra.
Una parola che strapperà via la vita a più di millecinquecento persone, compresa quella della donna a cui devo tutto quello che ho. Quella ragazza bellissima, esuberante, sorridente. Luminosa come i suoi capelli color oro. Piena di vita mai capita, pronta a farmi vivere la felicità che lei non riusciva a raggiungere. 
Una parola che, però, risparmierà me ed Edward. Ci lascerà vivere, ci lascerà amare. Come mai avremmo sognato.
Una parola che nascerà dal sussurro di una vedetta e metterà in ginocchio famiglie intere.
Un parola che farà affondare il Titanic, e la speranza da cui era nato.
Una parola, una soltanto.
Iceberg.

  
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: LauFleur