Capitolo 5
Only Time
Mi
lasciai alle spalle quell’appartamento e presi la strada di casa. Entrai nei
sotterranei di New York distrattamente, fin quando non misi piede dentro i
vagoni della metro. Non c’era tanta gente a quell’ora e trovai posto a sedere
senza essere costretto a cederlo a nessun anziano o donna gravida della
situazione.
Mi
guardai un po’ intorno e per la prima volta prestai attenzione a tutti i
passeggeri. Mi chiesi chi fossero, quale fosse la loro occupazione e come fosse
la loro vita. Senza quella notte fuori dall’ordinario probabilmente non avrei
mai fatto quel viaggio, né mi sarei posto tante domande sulle persone che mi
circondavano, cercando ed osservando ogni minimo dettaglio. La realtà è che
sotto il cielo, sotto i grandi grattacieli della Grande Mela siamo tutti
uguali, al di là delle nostre vite e dei nostri conti in banca. In fondo,
pensai, se non avessi l’avessi incontrata in quel bar, chi me l’avrebbe detto
che Allison era una stripper?
Mi
sentivo di merda. Avevo ricevuto una grande batosta, peggiore delle delusioni
d’amore, quasi peggiore del lutto. Avevo ricominciato a lottare per aiutarla,
per dimostrare a me stesso che valevo ancora qualcosa, ed invece avevo fallito
miseramente, arrendendomi alla prima difficoltà. Per un momento avevo persino preso
in considerazione l’ipotesi di ritornare sui miei passi, ancora, ma poi
compresi che avrei fatto meglio a rassegnarmi; lei non voleva il mio aiuto,
questo era quanto, ed io non avrei dovuto più interferire con lei, visto che
evidentemente avevo già osato abbastanza.
Aiutato
dalla musica che passavano alla radio nella metro, finii con il deprimermi
ancora di più, tornando ad essere il Tyler che tutti conoscevano e che non
avrebbe fatto male ad una mosca, innocuo perché perfettamente passivo.
Tornando
a casa mi aspettavo di trovare Aidan con la mazza da baseball tra le mani,
pronto a scatenarmi addosso l’ira degli dei ed invece, a quanto pareva, il
fatto che fossi, secondo lui, andato a letto con Mallory, mi perdonava ogni
cretinata. Mallory … dovevo abituarmi a chiamarla così, perché per me doveva
essere solo una troietta, conosciuta in un locale di spogliarelliste,
convertite all’occorrenza in meretrici dei bassifondi da un datore di
lavoro/aguzzino.
“Allora
Don Giovanni?” mi si buttò addosso alle spalle “Hai consumato fino all’ultimo
centesimo per quella sventola?! Di’ la verità … appena ha visto il tuo pacco …
ti ha proposto il pacchetto convenienza …” non risposi alle sue battute che per
la prima volta dall’inizio della nostra amicizia mi sembravano squallide; avevo
sempre considerato il suo umorismo piuttosto demenziale e a volte scontato, ma
non mi aveva mai irritato come in quel momento. Non dovevo però prendermela con
lui, ero io ad avercela con il resto del mondo, di nuovo, come una volta.
Come
una volta … sembrava passata un’eternità invece erano passate solo 24 ore
dall’ultima volta che mi ero sentito in quel modo.
Per
il resto della giornata non avevo programmi, né avevo intenzione di uscire con
Aidan e i suoi amici in serata; con la fortuna che mi ritrovavo sarebbero
tornati di nuovo a fare danno in qualche locale a luci rosse. Me ne sarei
rimasto a casa, o magari sarei andato da mia madre e mia sorella, la cui
compagnia sopportavo più di quella dei ragazzi della mia età.
Entrai
in doccia avendo ancora nelle orecchie la voce di Aidan che cianciava a
macchinetta contro le mie orecchie; avrebbe dovuto fare il conduttore di
televendite o darsi alla radio o, perché
no, l’avvocato: tanto la dote di raccontare balle a profusione ce l’aveva
innata.
Mi
rifugiai sotto il gettito d’acqua calda e, tra i fumi del vapore, cercai di
lavare via ogni traccia della serata precedente: il fritto del cinese sotto
casa, l’alcol e il fumo. Ma c’era un’ essenza che non andava via, nonostante i
litri d’acqua e di bagnoschiuma, a dispetto della spugna passata su e giù per
la schiena ed il petto; era come annidato nei condotti nasali e giù, fino ai
polmoni. Era insolente quel profumo, come lei, sapeva di nobiltà, ma anche di
miseria: dolce, intenso e brutale.
Ancora
con l’asciugamano avvolto alla vita mi lasciai cadere a peso morto sul mio
letto, trovando una superficie comoda, rispetto a quella tavola per le torture
su cui avevo dormito la notte precedente. Era una sensazione libidinosa
starsene lì, con il rilassamento provocato dalla doccia che si accumula sulle
caviglie e come zavorra impedisce anche solo un singolo passo. Il riscaldamento
centralizzato del nostro palazzo non mi costringeva nemmeno a vestirmi, tanto
ai 25 gradi ci si arrivava tranquillamente, e dunque perché fare tanta fatica
inutile. Chiusi gli occhi e cercai al buio le mie sigarette. Ne accesi una e
aspirai fino a riempire tutto il volume polmonare. Ero in un limbo di pace
assoluta, ma non bastava per essere felici, per quello esisteva già il
paradiso.
Non
volevo finire in analisi, in tanti avevano provato a farmi vedere da psicologi
e strizzacervelli vari nell’ultimo anno, ma fortunatamente non c’erano
riusciti; forse questa volta ci sarei andato di mia spontanea volontà. Mi
sentivo come intrappolato nel vuoto più assoluto, in balia del vago e del
nulla, dell’oblio e del disinteresse. Chissà se anche Michael si sentiva così
prima di presentarsi da recluta volontaria di fronte alla morte.
Ma
io no, non l’avrei mai fatto; per paura, ma soprattutto per egoismo. Mallory
aveva ragione: sarei rimasto comunque il figlio di un milionario, che faceva un
viaggetto nei bassifondi solo per farsi bello con gli amici. Facile fare il
proletario con i soldi, ripeteva sempre il prof di filosofia a lezione. Ma allo
scadere della mia mezzanotte, il bel romanzo avrebbe scritto la parola fine ed
io sarei stato introdotto nei salotti bene, a discutere di politica e finanza
finché fossero durati rhum e sigari.
Mentre
tentavo di lasciarmi trasportare dal sonno sentii il letto sobbalzare ed è solo
per le mie forze inesistenti che Aidan non si ritrovò all’ospedale.
“Allora?”
mi chiese. “Cosa?” chiesi di rimando. “Che hai combinato stavolta? … e non
rispondere niente perché ti conosco
Tyler, quest’aria alla Jim Morrison-barra-James Dean ce l’hai solo quando
combini qualche cazzata sentimentale delle tue. L’ultima volta è stato per
Monica, la ragazza di scienze politiche: ci sei andato a letto una volta ed era
già la donna della tua vita. E come è finita? La sera dopo sei andato a casa
sua per uscire e l’hai trovata a cena con genitori e fidanzatino venuti direttamente
dal Connecticut. Chi è stavolta?”
“Che
te lo dico a fare?” risposi, ancora ad occhi chiusi, con la speranza che
andasse via “tanto è una storia già chiusa”. Mi sembrava inutile continuare a
rigirare il coltello nella piaga, quando mi sembrava più che evidente quale
dovesse essere il mio posto.
Percepii
il letto scuotersi sotto i movimenti repentini e maldestri del mio compagno e,
così, pensai: addio sogni! Aprii gli occhi e lo vidi che, in ginocchio sul letto
mi fissava, con quella sua faccia da caricatura: “Ti prego … non me lo dire: è
per quella sciacquetta di ieri sera. Ma come devo fare con te?”
“Non
è come credi” mi affrettai a discolparmi. “Ah no? E com’è sentiamo?” “Non è
amore” no, su quel fronte potevo stare tranquillo. Le sarei saltato volentieri
addosso almeno in un paio di occasioni, quello sì, ma erano più impulsi
ormonali che vicende sentimentali. “È che è immersa in un mare di merda”
spiegai nella maniera più semplice possibile “e vorrei aiutarla”.
“Tyler,
Tyler, Tyler, Tyler …” cantilenò, segno che stava per partire una di quelle
paternali del tipo amico fidati di me che
ho una certa esperienza, quando la sua storia più lunga è durata una
settimana ed eravamo al liceo e il suo gesto più caritatevole è stato portare
la spesa della nonna su per le scale previo pagamento.
“Possibile
che debba ripetertelo ogni volta …” ogni volta? In quali altre occasioni ho
tentato di far uscire una ragazza da un giro di prostituzione? “… fare il buon
samaritano non porta mai a niente di buono. Non puoi metterti a fare il
paladino della giustizia solo perché per una volta te l’hanno sbattuta in
faccia e poi ti hanno chiesto il conto. Io non ci vengo in galera con te perché
il principino ha bisogno di provare emozioni forti!” Non l’avevo mai visto così
alterato; il suo volto era spiritato ed era, sì, per la prima volta da quando
lo conoscevo Aidan era veramente incazzato. Certamente, però, non aveva ben
chiara la situazione.
“Ma
che cazzo … ma che cazzo stai dicendo Aidan?” urlai, alzandomi finalmente dal
letto. Avevo appena smesso di fumare ma avevo un disperato bisogno di nicotina,
i miei nervi imploravano pietà. “Tu davvero credi che io ci sia andato a
letto?” “Ah no?” domandò, quasi sbalordito che io potessi aver davvero solo
dormito con la ragazza del club. “No” sentenziai, freddo e severo “non ho
alcuna intenzione di finire dentro per pedofilia, visto che probabilmente era
anche minorenne … e comunque è davvero in un brutto giro, e voglio aiutarla”.
“Tyler”
mi riprese lui, sommessamente, rendendosi conto di aver esagerato poco prima e
pentendosi di avermi creduto capace di certe bassezze “vacci piano. L’ho
capito, sai, perché vuoi aiutarla; non pensare che non ti conosca. Ma non
cacciarti nei guai amico, perché mi conosco e so che alla fine finirei col
ficcarci il naso anch’io … perché a quella tua lurida pellaccia ci tengo più di
te”
Lo
presi e lo abbracciai di slancio. A suo modo mi aveva fatto la più
straordinaria dichiarazione d’amicizia che ci si potesse aspettare soprattutto
da un tipo come lui. Ma purtroppo anche se avessi voluto non avrei potuto
fare nessuna pazzia non avevo né mezzi né forze per combattere da solo quella
battaglia. Lei non si voleva aiutare io non avrei potuto farlo anche per lei.
Goffamente cercò di divincolarsi e si allontanò da me, scuotendo un po’ la
testa.
Eravamo
due pazzi, ma proprio non ce la facevamo a stare lontani l’uno dall’altro.
“Stai tranquillo” gridai, mentre infilava le cuffiette e si spaparanzava sul
divano “No ti farò finire in galera!” “Mi augurò che queste non siano le
cosiddette ultime parole famose …”. Ridemmo entrambi, liberandoci della
tensione che si era scatenata con la nostra discussione: non eravamo abituati a
urlarci reciprocamente le cose in faccia, e quando accadeva faceva sempre male.
Mi
stesi di nuovo sul letto e spensi la sigaretta che avevo acceso, non ne avevo
più bisogno.
Quando
le chiesi se c’era da mangiare a sufficienza per un’altra persona quella sera,
mia madre fece davvero fatica a nascondere il suo entusiasmo per quel figlio
che, di sabato, decide di passare la serata in famiglia piuttosto che con gli
amici.
Ma
lei sapeva che i suoi figli si erano sempre distinti dal resto della marmaglia
di ragazzi, forse proprio perché erano i suoi figli. Da piccoli non ci portava
mai al mare, o in piscina, quando il caldo rendeva le strade di New York
impraticabili, bensì nei musei, dove l’aria è mitigata per la miglior
conservazione delle opere. E così le nostre ninna nanne non era filastrocche,
ma sinfonie e sonate al pianoforte.
Difficile
stupirsi dunque se due dei suoi tre figli fossero venuti fuori geni;
prevalentemente incompresi, ma pur sempre geni. Ma a me, il figlio cadetto e
per giunta arenato nella mediocrità delle sue attitudini, aveva sempre
riservato un trattamento identico, se non più adulto. Parlavamo tanto, io e
lei, sin da quando, ancora adolescente, avevo timore del mio futuro e lei
tentava di spiegarmelo introducendomi alla filosofia. Lei diceva che avevo un
talento straordinario, la capacità rara di conoscere le persone e capirle, e la
maturità calibrata per indirizzarle e consigliarle nei loro percorsi.
Mi
aveva chiesto aiuto quando la piccola Caroline aveva iniziato ad essere esclusa
a scuola dalle compagne, ed insieme combattevamo quella battaglia da almeno 5
anni; mi aveva chiesto sostegno quando disperatamente voleva salvare un
matrimonio a cui davvero teneva, ma in cui era rimasta da sola. Eppure non lo
avevamo capito Michael, con lui avevamo solo assistito alla sua disfatta
silenziosa ed improvvisa. Ma lei continuava a credere in me, e non avevamo mai
smesso di parlare, anche quando il dolore portava via la voce e le parole.
Per
quel motivo non avevo timore nel parlare del “Don Hill”, il locale dove avevo
conosciuto Mallory. D’altronde, non si avrebbe dovuto stupirsi nel sapere che
tipo di vita conduceva suo figlio, visto che ormai abitavo da solo e non certo
in un monastero. Quando mi ritrovai a pensare che mia madre era un’assistente
sociale rimuginai sulla fortuna sfacciata che avevo avuto, e che per una volta
il destino aveva deciso di essere benevolo nei miei confronti.
“Che
ti serve Tyler?” mi chiese divertito Les, il nuovo marito di mia madre. Era un
brav’uomo Leslie, di questo dovevo dargliene atto, ma non ero sicuro al cento
per cento che mia madre ricambiasse il suo affetto. Quello che avevo avuto modo
di vedere nei quattro anni precedenti era il suo grande amore per lei, la cura,
la dedizione ed il supporto che non mancava mai di dimostrarle; e forse era
proprio quello il motivo che l’aveva spinta ad accettarlo nella sua vita.
Inoltre, era un’ottima figura paterna per Caroline, il che non guastava.
Mio
padre era stato capace di sacrificare e distruggere, con le sue stesse mani, la
famiglia che aveva creato. Fino alla nascita di mia sorella eravamo stati una
famiglia piuttosto idilliaca, con qualche litigio ogni tanto; ma si sa, le
discussioni non possono fare che bene. Ma poi, pian piano, il nostro bel
castello di sabbia ha iniziato a sgretolarsi e mio padre, probabilmente
pensando di aver ottemperato ad ogni suo dovere coniugale e genitoriale, ha
iniziato a metterci da parte, in favore del mero profitto finanziario. E così
mia madre decise di non essere più la signora Hawkins anche perché, ad esserlo
o meno, non faceva più tanta differenza: in ogni caso non avrebbe avuto un uomo
al suo fianco.
“Perché?”
domandai, rimanendo interdetto alla sua domanda.
“Da
che ti conosco” rispose “non ti ho mai visto muovere un muscolo per fare nulla
in casa, figuriamoci sparecchiare con tua madre …”. Effettivamente non aveva
tutti i torti, non ero mai stato avvezzo a fare nulla in casa, ma non ero
esattamente un impedito.
“Non
essere così severo, tesoro” lo rimproverò giocosa mia madre “adesso vive da
solo, ha dovuto imparare ad arrangiarsi. Bravo il mio ometto!!!”. Per lei ero
sempre il suo ometto, quello che finiva sempre vittima degli scherzi idioti del
suo fratello maggiore, quello a cui si sentiva ancora autorizzata, nonostante i
22 anni suonati, a scompigliare ancora i capelli. Cercai come sempre di
divincolarmi dalle sue coccole, ma non vi riuscii. Feci una smorfia compiaciuta
a Les, mentre lui andava a godersi un film davanti allo schermo piatto del
salone, e tornai ad aiutarla. Caroline, appena finito di mangiare, era scappata
a disegnare in camera sua al piano superiore.
“Come
va con la scuola?” domandai a mia madre. Non avevo bisogno di
specificare,
sapeva benissimo che mi riferivo alle stupide compagne di classe della
mia
sorellina. Purtroppo alla piccola Caroline capitava di estraniarsi di
tanto in
tanto, sia a casa che a scuola, fin da piccolissima; avevamo provato a
farla
seguire da psicologi vari, ma tutti ci avevano rassicurato che non
fossero
eventi correlati a traumi o problematiche varie ed andavano
assecondate, fino a
quando col tempo non fossero scomparse. Finché rimaneva in
casa il suo “problema”, che non consideravamo
tale, non si manifestava praticamente mai, tranne che in poche
occasioni, tutte
mentre era davanti alle sue tele; a scuola però, nonostante la
direttrice
avesse più volte rassicurato mia madre sul comportamento
ineccepibile delle
bambine e sull’atteggiamento altamente professionale del corpo
insegnanti, i
suoi “momenti”, come li chiamava lei, erano quasi
all’ordine del giorno,
amplificati dalle prese in giro delle pseudo – amichette e dai
rimproveri delle
maestre. Ed ogni volta, tutte le nostre rimostranze diventavano buchi
nell’acqua.
“Ma
che te lo dico a fare, Tyler …” rispose mia madre, esasperata. “Lei ormai non
ne parla più, ma praticamente le insegnanti lamentano che in classe è sempre
più sola ed anche i lavori scolastici ne risentono. Sono preoccupate che …”
“Loro sono preoccupate?” inveii “Ma che ca…”
“Tyler!”
mi riprese “questo è l’ultimo anno, poi andrà alle medie e l’aria nuova le farà
bene. Almeno spero. Si tratta solo di resistere ancora per qualche mese …”
Annuii,
ma non mi andava giù che il mio scriccioletto dovesse penare per delle stupide
ragazzine con la puzza sotto il naso. Lei era speciale, aveva un talento che le
altre si sognavano, ma era ingiusto che per averlo dovesse pagare un prezzo
tanto alto.
“Sono
contenta che sei qui, la tua presenza l’ha messa di buon’umore. Erano settimane
che non scappava da tavola per andare a disegnare. Dovresti venire un po’ più
spesso!” “Se per te va bene vengo volentieri” le risposi, con un sorriso amaro
in bocca “è meglio che la smetto per un po’ di uscire con Aidan e la sua comitiva,
non hanno fatto altro che procurarmi guai”.
Mia
madre smise per un attimo di insaponare la pila di pentolame vario che non
poteva mettere in lavastoviglie, stando ai suoi tentativi di ammaestrarmi sull’economia
domestica. Si voltò verso di me, squadrandomi come solo lei sapeva fare, con un
sguardo indagatore ma non sospettoso, preoccupato ma fiducioso allo stesso
tempo. “C’è qualcosa che non va?” domandò. “No” risposi, rimanendo sul vago
“solo … ci sono delle cose che avrei preferito non sapere”.
“Vieni”
mi disse “io insapono e tu sciacqui”. Mi sembrava di essere tornato bambino,
quando ci prendeva sempre accanto a lei quando voleva sapere qualcosa.
Conoscevo le sue tecniche e non cercavo in alcun modo di sottrarmene, anche
perché quello che avevo da dirle non era facile ed essere impegnato mi avrebbe
aiutato ad aprirmi con lei.
“C’è
un locale dove sono andato … dove le ragazze diciamo che hanno diversi … ruoli.
E potrebbero non essere tutte attività lecite.” “Prostituzione?” chiese, con la
freddezza ed il rigore che assumeva sempre quando si parlava di lavoro. “Sì”
risposi e feci un sospirone per continuare “ma la cosa più grave è che
probabilmente la maggior parte di loro è clandestina o minorenne …” “E tu …” fu
tentata di chiedermi, ma aveva evidentemente paura di scoprire la verità. “Ed
io me ne sono andato, mamma. Mi ha fatto davvero schifo quel locale, e spero
vivamente che i miei compagni non ci mettano più piede”; sembrava davvero
rincuorata dalla mia dichiarazione. Certo non potevo dirle che c’era mancato
davvero poco perché finissi a letto con una di quelle entraineuse, ma quella
che le dissi era comunque la verità.
La guardai, attentamente, sperando che cogliesse la mia muta richiesta d’aiuto.
“Noi
abbiamo le mani legate, Tyler. Finché non ci chiama la polizia non possiamo
intervenire. Sempre che per loro non sia più facile mandare quelle poverine in
galera o rispedirle nei loro paesi d’origine” spiegò, e capii che purtroppo
davvero era impotente su tutta la linea. “Puoi segnalare la cosa alla polizia,
ma credo che durante i controlli questi generi di locali siano sempre
terribilmente in regola e abbiano qualche santo in paradiso che li avverte se
ci sono ispezioni in incognito”.
Avrei
dovuto immaginarlo: d’altronde non si possono tenere in piedi certi affari per
troppo tempo sperando di farla franca solo per fortuna; evidentemente c’era
qualche talpa o cose del genere, pronti ad avvertirli.
“Ma
se fossero le ragazze a chiedervi aiuto?” “C’è sempre prima la polizia …”.
Dunque
non avevo speranze di poter aiutare Mallory in maniera concreta senza metterla
nei guai: prostituzione, furti e chissà quanti altri reati potevano essere
scritti sulla sua fedina penale.
Non
era il caso di tornare da lei, e se mai avessi avuto le palle per farlo avrei
dovuto contare solo sulle mie forze.
“Mi
dispiace tesoro” cercò di confortarmi mia madre … come se fossi io quello da
aiutare “ma a volte la nostra voglia di giustizia non sempre combacia con la
macchina dello Stato. Vedrai che se veramente è un giro tanto losco, prima o
poi verrà fuori. Ora però non ci pensare più … vai da tua sorella”.
Rimuginando
su tutte le ipotesi, le congetture e le notizie accumulate da mia madre,
preparai due belle tazze di gelato al cioccolato, di cui Caroline era ghiotta a
tutte le stagioni; sormontai tutto con una spruzzata indecente di panna, solo
per il gusto di vederle il musino tutto imbiancato.
“Maestro!”
la salutai, come al mio solito; e lei a suo solito rispose con un sorriso
meraviglioso. Eccola lì la donna della mia vita, chi me lo faceva fare a
trovarmene un’altra? Stavamo così bene insieme!
Era
bellissima la sua stanza, si aveva la sensazione di entrare in un museo, con le
copie di opere d’arte alle pareti; e poi c’era il suo laboratorio, un piccolo
angolo della sua stanza da principessa, pieno dei suoi disegni e dei suoi
strumenti, affacciato sul piccolo giardino posteriore.
Poggiai sulla scrivania la sua coppa di gelato e mi allungai sul letto con la
mia. “Dai Ty, scendi da lì! La mamma non vuole che sali sul letto con le scarpe
…” le tolsi immediatamente, scalciando “… e non vuole nemmeno che si mangi sul
letto!” “E noi non glielo facciamo sapere! Dai, vieni qui!” le dissi, facendole
segno di accomodarsi al mio fianco.
Passammo
il resto della serata a chiacchierare, come se la nostra enorme differenza
d’età non fosse un problema, come se fossimo due coetanei. Guardai Caroline
disegnare, perdendomi con lei in quel mondo che le sue mani, con una semplice
matita, sapevano creare. Non mi sarebbe dispiaciuto avere uno dei suoi “momenti”
ogni tanto, la facoltà di poter staccare la spina dal mondo, anche per pochi
secondi ed entrare in un universo parallelo, dove le brutture del nostro mondo non
hanno nemmeno un nome.
E
tornammo di nuovo a parlare, mentre si lavava i denti, mentre le spazzolavo i
capelli. Io stesso mi sentivo libero di chiacchierare ogni volta che ero
assieme a lei, come se nulla fosse accaduto nelle nostre vite, come se Michael
fosse ad un concerto e sarebbe rientrato tardi, come se Mallory fosse una
ragazza tra le tante che in realtà faceva solo la preziosa, e non mi accorsi
che Caroline, il mio prezioso talento, si era addormentata, abbracciata a me.
Così mi sistemai un tantino meglio e ci coprii con la coperta.
“Buonanotte
maestro!” le sussurrai.
Quella
era la seconda notte consecutiva che non tornavo a dormire a casa, e non potevo
che esserne contento.
Quella
serata mi aveva permeato di una forte energia positiva, nonostante dentro non
mi sentissi perfettamente in forma, nonostante le cicatrici che le amarezze del
mondo mi avevano lasciato. Forse col tempo avrei aggiustato tutto: avrei curato
me stesso, avrei aiutato quella povera ragazza, avrei persino portato la pace
nel mondo. Solo il tempo poteva saperlo, ma per il momento non avevo intenzione
di interrogarlo.
NOTE FINALI
Dopo questo capitolo di transizione ci sarà l'inizio di una nuova vita per Tyler...o semplicemente il ritorno alla vita di tutti i giorni.
Mallory/Allison sembra essere una parentesi di una notte sbandata...destinata a perdersi in quelle a venire.
Ma sarà davvero così? Staremo a vedere...
Vi ringrazio per i commenti sempre più profondi e dettagliati che accompagnano questa storia, anche se ammetto di essere abbastanza dispiaciuta dal vedervi di meno rispetto alle altre volte. Sappiate che, se qualcosa non vi piace, potete dirlo tranquillamente, rispettando naturalmente i canoni del buon comportamento. Ricordo qui anche la mia pagina FB dove vi aspetto con spoiler, aggiornamenti ed altro ancora.
à bientot
Federica