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Autore: Miyu Orwell    19/01/2006    2 recensioni
"<< Non permettere che il dolore ti travolga o non riuscirai mai ad andartene di qui. Non fare il mio stesso errore >> gli sussurrò la bambina, con voce incrinata e gli occhi colmi di lacrime. << Raggiungila! >> esclamò poi, mentre finalmente le lacrime iniziavano a scendere dai suoi occhi.
<< Raggiungerla? Di cosa stai…? >> Ma Daniel non finì la domanda. Aveva compreso a che cosa si stesse riferendo Carolyne."
La mia prima storia originale. Sono graditi commenti costruttivi per aiutarmi a migliorare ^^
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e non hanno alcun legame con la realtà. Qualsiasi nome e riferimento a fatti o persone reali è da ritenersi ASSOLUTAMENTE casuale.

L’isola che non c’è


Il baccano presente nella stanza cessò all’istante. Sembrò che tutti si fossero pietrificati.
Immobili.
Come statue di marmo immortalate nella loro eterna posa e nella loro assoluta magnificenza.
Non un fiato né un rumore vennero emessi.
Gli sguardi erano rivolti verso di lui… tranne i suoi: i suoi erano rivolti contro di lui.
E l’unico sentimento che il ragazzo riuscì a leggervi era odio, odio puro, sconfinato.

<< Perché lo chiedi, Daniel? >>
Daniel posò il proprio sguardo su Bill, il membro più anziano del gruppo: era un uomo alto e slanciato, dagli occhi color del miele e, nonostante l’anziana età, attenti e brillanti; i pochi capelli rimasti erano di un pallido argento e la pelle era rugosa.
<< Perché sento il bisogno di saperlo >> rispose il ragazzo con una semplicità sconvolgente e, per un certo membro del gruppo, irritante.
<< Come mai proprio ora? >> chiese debolmente Miranda, una donna sulla quarantina, dai lunghi capelli bruni.
<< Ho riflettuto a lungo. Sono giorni, anzi… settimane che mi pongo questa domanda. Non so di preciso come e quando è cominciata questa mia ossessione; semplicemente è successo >> disse Daniel.
<< Se vuoi ti posso rispondere io, dato che sono tutti così restii a farlo >> esclamò con finta dolcezza una ragazza.
Odio.
E disprezzo.
Questi erano i sentimenti che Daniel percepiva da quella ragazza.
Kira, ventidue anni e un pessimo carattere; l’opposto del suo aspetto: infatti, Kira poteva vantare un corpo delizioso e un’aria angelica quando sorrideva, anche se era raro che questo accadesse.
La ragazza aveva capelli biondi e due occhi color speranza, che però riflettevano solo voglia di vendetta, odio e disprezzo per chiunque.
<< Kira >> ringhiò un altro membro del gruppo.
La ragazza gli rivolse un sorriso sprezzante e, alzando il mento in segno di sfida, gli disse: << Sì, Chris? Vuoi dirmi qualcosa? >>
Chris strinse gli occhi in due sottili fessure. << Non osare, Kira… non osare >> le sibilò.
Ma Kira non perse il sorriso nel sentire le parole del moro; semplicemente, ridacchiò sadicamente.
<< Vuoi sfidarmi, Chris?! Credi di averne la forza? Non pensi che finirà proprio com’è successo quella volta… con lei ? >> sussurrò freddamente, senza togliersi di dosso quel sorriso crudele.
La ragazza fissò soddisfatta Chris: il ragazzo aveva gli occhi lucidi e pieni di dolore.
Un dolore che Kira non evitò di intensificare. << Glielo avevi appena chiesto, vero Chris? >>
Chris batté con forza le mani sul tavolo, alzandosi in piedi.
Tremava. Terribilmente.
Ma non lo faceva per paura. Era rabbia… pura e incontrollata rabbia.
Stava per urlarle contro, quando la voce un po’ roca di Bill, seduto a capotavola di fronte a Daniel, si frappose ai due. << Adesso basta! >> esclamò, lanciando un’occhiata gelida a Kira.
La ragazza non osò dire nulla e il sorriso abbandonò il suo volto, ma l’ostilità era sempre presente in lei.
L’uomo si rivolse nuovamente a Daniel. << Ragazzo mio, non credo sia questo il momento più adatto per parlarne. Ti prometto, comunque, che avrai al più presto una risposta >>
Daniel annuì, un po’ deluso.
Quel pensiero lo tormentava. Giorno e notte. Da sveglio e da dormiente.
Senza sosta.

Pochi minuti dopo passati in assoluto silenzio, Kira si alzò da tavola, portando con sé il proprio piatto con sopra posate e bicchiere. A lei seguì l’unica persona che era rimasta in silenzio durante la discussione scatenata dalla domanda di Daniel: una bambina di undici anni di nome Carolyne.
Carolyne era una bambina chiusa e riservata; Daniel, che era in quella casa con loro da non molto tempo, non aveva ancora avuto modo di avere un vero e proprio dialogo con lei: il massimo che si erano detti era stato un saluto veloce o un augurio di buon appetito.
Niente di più, niente di meno.
Eppure Daniel era incuriosito da quella bambina: il primo pensiero che ebbe di lei, fu che gli sembrava una bella bambola di porcellana; fragile, ma stupenda.
Fragile per la sua pelle lattea, tanto da farla sembrare malata.
E stupenda per i suoi bellissimi boccoli d’oro e gli occhi di un azzurro cristallino.
Per questo motivo era subito stato attirato da quella bambina; eppure non aveva mai avuto il coraggio di parlarle, forse perché Daniel si sentiva in soggezione di fronte a lei o forse per un qualche altro motivo che lui non riusciva a comprendere.
Semplicemente non era ancora riuscito a farlo.

Quando Daniel finì il suo pasto, seguì l’esempio di Kira. Dopodiché andò nella sua camera e si stese sul letto.
Si sentiva inquieto.
Qualcosa dentro di lui vorticava inesorabilmente; eppure lui non riusciva a capire che cosa lo provocasse.
Rimase a rimuginare sul suo letto per un tempo imprecisato, che a lui parve durare un’eternità.
Dopodiché Morfeo lo avvolse tra le sue calde e rassicuranti braccia, cullandolo in un sonno senza sogni fino al mattino seguente.

*


Quando Daniel si svegliò, il sole era sorto già da diverse ore; per questo il ragazzo si alzò e si preparò in fretta. Scese, poi, al piano di sotto, nel caso qualcuno avesse bisogno di lui.
Arrivato in salotto, però, lo trovò deserto e si rese conto in quel momento del silenzio presente in tutta la casa, come se nessuno fosse presente.
Provò ad andare in cucina, ma anche lì non trovò nessuno.
Accigliato, stava per tornare nella sua stanza, quando sulle scale che conducevano al piano superiore incontrò Carolyne. La bambina gli si avvicinò e lo prese per mano, trascinandolo fuori di casa senza che lui potesse opporre resistenza.

Stavano camminando da almeno dieci minuti, quando la bambina si fermò di colpo e si voltò verso Daniel.
Il ragazzo rimase a fissarla, imbarazzato dallo sguardo inquisitore di lei.
<< Hai dormito bene questa notte? >> chiese improvvisamente la bambina.
Daniel un po’ sorpreso dalla domanda, impiegò alcuni istanti prima di rispondere. << Ehm… sì, ho dormito bene, grazie. E… e tu? >>
<< Come al solito >> rispose enigmatica lei.
Calò nuovamente il silenzio.
Daniel si sentiva ancora teso, così cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore con insistenza.
<< Ci sediamo su quella panchina? >> chiese Carolyne.
<< Quale panchina? >> domandò sorpreso il ragazzo.
<< Quella >> rispose lei, indicandogliela.
Era proprio di fronte a loro, dal lato opposto della strada. Daniel la fissò, sicuro che un attimo prima quella non fosse presente.
Credendo di essersi sicuramente sbagliato, annuì e, insieme a Carolyne, si sedette.

Daniel si guardò in giro, mentre un lieve venticello gli scompigliava i capelli.
Gli alberi che costeggiavano la strada erano in fiore e nell’aria si respirava un odore di primavera; gli insetti volavano da fiore a fiore, mentre i due ragazzi rimanevano in assoluto silenzio.
Eppure… Daniel provava una strana sensazione: gli sembrava che qualcosa non andasse.
Gli sembrava di essere estraneo al profumo dei fiori, al vento leggero e al calore del sole.

Si sentiva diverso da ciò che lo circondava e questa situazione lo agitò.
Fu in quel momento che Carolyne parlò di nuovo.
<< Presto capirai… presto tutto ti sarà più chiaro >>
Daniel la fissò quasi spaventato.
<< Presto non ci saranno più misteri… presto ricorderai ciò che hai dimenticato >> continuò lei.
Un lieve sorriso increspò le labbra sottili della bambina, eppure quel sorriso non raggiunse gli occhi, che rimasero tristi e colmi di dolore.
<< Torniamo >> disse pochi istanti dopo lei, alzandosi.
Daniel la seguì come un automa, scosso dalle parole che gli aveva rivolto e dal dolore che una bambina così piccola poteva provare.

*


Quando Daniel aprì gli occhi, trovò la sua stanza illuminata da una tenue luce grigiastra.
Si alzò dal letto e guardò fuori dalla finestra: stava piovendo.
A Daniel non piaceva la pioggia: gli dava quel senso di sonnolenza e di svogliatezza a cui non era abituato. Lui era un ragazzo sempre pieno di energie e sempre pronto a dare una mano, non era di certo una persona che oziava tutto il giorno!

Ma Daniel non sapeva che quel giorno si sarebbe rivelato tetro e doloroso; non sapeva che le sue lacrime si sarebbero mischiate alla pioggia; come non sapeva che la verità era ormai prossima a lui.

*


Daniel passò tutto il pomeriggio nel salottino di casa, sbuffando perché non sapeva cosa fare: si annoiava terribilmente. L’inattività lo rendeva anche nervoso e questo lo si poteva notare dal suo continuo agitarsi sulla poltrona.
Cercò di concentrarsi sui suoi coinquilini, ma nessuno di loro stava facendo qualcosa di interessante: Chris e Mirando leggevano, Carolyne fissava il vuoto e Bill sonnecchiava.
Solo Kira non era lì con loro: stava in piedi, davanti a una finestra, a fissare la pioggia che scendeva copiosa dal cielo, come se le risposte a delle domande che solo Kira conosceva fossero racchiuse in quelle piccole gocce d’acqua fredda.

Daniel tornò a concentrarsi su Carolyne: da quella volta in cui la bambina lo aveva trascinato fuori di casa, non si erano quasi più parlati e lei era ritornata ad essere chiusa e distante, imprigionata dai suoi stessi pensieri e da qualcosa che Daniel non riusciva a capire.
Forse il dolore, pensò Daniel con tristezza.
Il ragazzo si era accorto che la bambina soffriva molto, ma lui non riusciva proprio a spiegarsene il motivo: una bambina così piccola lacerata da un dolore così grande.
Per quale motivo, perché soffre così, si chiese Daniel.

I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da un forte rumore che fece anche svegliare Bill.
Kira era corsa fuori di casa, sbattendo la porta con forza.
Daniel, un po’ confuso dal comportamento di Kira, si alzò e andò alla finestra sperando di scoprire il motivo per cui la ragazza era uscita così di fretta.
Pioggia. Nient’altro che pioggia.

*


Kira non si fece vedere nemmeno a cena e Daniel iniziò a preoccuparsi: dove poteva essere finita?
Dopo un attimo di indecisione, Daniel disse a Chris che sarebbe andato a cercare Kira.
Chris lo fissò quasi spaventato. << È meglio che tu non vada >> gli disse, con uno strano tremore nella voce.
<< Perché? E se le fosse successo qualcosa? >> chiese Daniel.
<< Kira… è pericolosa >> rispose Chris.
Daniel sorrise, comprendendo la paura che il ragazzo provava per Kira. << Non ti preoccupare. Me la caverò! >> rispose Daniel, salutandolo e correndo poi fuori.

La sua ricerca non durò molto: Kira, infatti, era poco lontana da casa, seduta sul tronco di un albero sradicato dalla forza del vento.
La ragazza era bagnata da capo a piedi, ma sembrava non rendersene conto; sembrava che non avesse nemmeno freddo.
Daniel le si avvicinò cautamente. Quando le fu abbastanza vicino, le chiese: << Stai bene, Kira? >>
Non ricevendo alcuna risposta, provò ad appoggiare la mano su una spalla della ragazza, la quale, però, si scostò velocemente.
<< Era una giornata come questa >> sussurrò lei, con voce roca.
Daniel la fissò, confuso.
<< Stava piovendo molto e la strada era bagnata. Io stavo tornando a casa, quando un’automobile è comparsa all’improvviso. La macchina stava andando troppo forte e il conducente non riuscì nemmeno a schiacciare il pedale del freno >>
Daniel sentì una stretta al cuore.
<< Ero entrata in coma irreversibile. I dottori dissero che non mi sarei più risvegliata e che solo le macchine alle quali ero collegata mi tenevano ancora in vita >>
Daniel tirò un sospiro di sollievo. << Be’, ma se adesso sei qui, vuol dire che i dottori si erano sbagliati! Tu stai benissimo ora >> disse, sorridendo.
Fu allora, quando Kira si voltò verso di lui, che Daniel capì che la storia non era ancora finita.
<< I miei “adorati” genitori hanno fatto l’unica cosa che a loro conveniva di più: hanno spento quelle dannate macchine! >> gridò, alzandosi in piedi di scatto, come se l’albero su cui era seduta avesse iniziato a scottare all’improvviso.
Daniel sbiancò a questa rivelazione: morta, fu il suo unico pensiero.
<< T-Tu allora sei… sei… un fantasma! >> esclamò Daniel, con orrore.
Kira gli sorrise malevola.
Fu un attimo, Daniel non se ne accorse nemmeno.
Kira aveva un coltello in mano e sulla guancia del ragazzo una sottile linea mostrava il taglio inflitto.
Il ragazzo alzò la mano per toccarsi la guancia, ma la fermò a mezz’aria.
Non sento dolore, pensò Daniel sconvolto.
Kira, allora, gli disse con voce suadente: << Hai capito finalmente, Daniel? >>
Il ragazzo la fissò tremante.
<< Noi siamo tutti MORTI! >> La voce di Kira uscì violenta dalle sue labbra come un fiume in piena che travolge ogni cosa al suo passaggio. E così successe a Daniel: era stato travolto da quelle parole; era stato travolto dal suo ultimo ricordo da vivo.

Rivide suo padre e rivide anche se stesso, uno di fronte all’altro, nel salotto della loro casa.
Suo padre quel giorno gli era parso strano, ma aveva preferito non indagare: ognuno meritava il suo spazio e se avesse avuto bisogno di lui, suo padre sapeva dove trovarlo.
Gli sembrò strano, in quel momento, di non aver avuto paura quando aveva visto suo padre con in mano una pistola; forse perché si fidava ciecamente di lui o forse perché non aveva compreso bene cosa sarebbe accaduto in quei pochi istanti. Semplicemente Daniel non si mosse, rimase a fissare suo padre che, piangendo, gli chiedeva perdono.
Tutto era diventato buio, qualche istante dopo aver sentito un forte colpo rimbombare nella stanza.

Quando Daniel riaprì gli occhi, si trovava steso a terra, le guance bagnata da un’acqua che non veniva dalla pioggia.
Si accorse d essere ancora vicino all’albero su cui prima era seduta Kira, ma di lei nemmeno una traccia. Era scomparsa, come se il vento l’avesse portata via.

*


Daniel era seduto a terra, la schiena appoggiata al muro e la fronte sulle ginocchia piegate al petto.
Sentì qualcuno bussare, ma non ci fece caso; non gli importava più nulla, voleva solo stare nella sua stanza.
Sbuffò lievemente, mentre un sorriso ironico compariva sul suo volto: quella non era di certo la sua vera stanza.
La porta della camera si aprì lentamente, lasciando entrare una persona, che se la richiuse alle spalle.
<< È stato così per tutti >> sussurrò Carolyne, dolcemente.
La bambina si sedette sul letto.
<< Io sono stata uccisa da mia madre: bevve molto; poi cominciò a picchiarmi, senza alcun motivo >>
Daniel non si mosse, ma serrò forte gli occhi.
<< Mi ha picchiata a morte >> continuò lei.
<< Non sono mai riuscita ad accettarlo veramente; nessuno di noi è mai riuscito a farlo >> aggiunse dopo un attimo di silenzio.
Daniel inspirò profondamente, come a cercare la forza per parlare. << Come è successo… agli altri? >> chiese debolmente.
Carolyne lo fissò a lungo, prima di domandare: << Tu sai che cosa ci accomuna, Daniel? >>
Lui scosse il capo, senza avere il coraggio di fissarla negli occhi.
<< Siamo stati tutti uccisi da una persona che amavamo… da una persona di cui ci fidavamo. Tutti noi. Nessuno escluso >>
<< Bill è stato ucciso da suo figlio perché il ragazzo voleva tutti i suoi soldi… >> spiegò Carolyne.
<< Miranda è l’unica che ha capito da sola quello che le era successo: si è ricordata di quando il suo amante la uccise per gelosia >>
<< Chris, invece… lui ha reagito come te, Daniel. Si è chiuso in camera, disperato: la sua fidanzata l’ha ucciso >>
Daniel alzò di scatto la testa.
<< Lui le aveva appena chiesto di sposarlo, ma lei… aveva molti problemi, legati ad un passato molto triste. Ha perso il controllo di sé stessa e l’ha ucciso. Lui, però, non ha fatto nulla per fermarla: quando lei lo ha attaccato, lui l’ha lasciata fare. Per questo Kira lo beffeggiava sempre, per questo lei gli ha sbattuto la realtà in faccia, proprio come ha fatto con te >> disse Carolyne con una nota disperata nella voce.
<< Perché? Perché lei ci odia così tanto? >> chiese debolmente il ragazzo.
<< Perché voi avevate la possibilità di ribellarvi, potevate decidere se morire o vivere, mentre lei non ha potuto >> La bambina fece una breve pausa. << Sai com’è morta Kira? >> domandò debolmente.
<< Sì. Me l’ha detto lei prima che… >> Le parole gli morirono in gola. Il ricordo della sua morte era molto doloroso.
Carolyne non rispose.
<< Dov’è finita Kira? Perché non è più tornata? >> chiese infine Daniel, cercando di cambiare argomento.
<< Tu sai dove siamo? Sai che posto è questo? >>
Lui scosse il capo.
<< Siamo su un’isola, Daniel. Siamo gli unici abitanti di questa isola, ma non possiamo lasciarla quando vogliamo… siamo bloccati qui, per l’eternità >>
Fece una breve pausa.
<< Questa, però, non è l’unica isola esistente: ce ne sono altre, molte altre. Non si sa come arrivarci, semplicemente succede. Questo è ciò che è successo a Kira: ha subito una transizione: da questa isola è passata ad un’altra, probabilmente l’ultima sulla quale potrà mettere piede >>
<< Ma… >> iniziò dire Daniel, quando Carolyne lo interruppe. << Kira è riuscita a trovare la sua porta; ha deciso di aprirla e seguire il cammino che le era stato indicato o che forse aveva scelto la sua stessa essenza >>
Daniel fissò di fronte a sé, con sguardo vuoto.
Carolyne si alzò dal letto e si inginocchiò di fronte al ragazzo, stringendogli il viso tra le mani e obbligandolo a fissarla negli occhi.
<< Non permettere che il dolore ti travolga o non riuscirai mai ad andartene di qui. Non fare il mio stesso errore >> gli sussurrò la bambina, con voce incrinata e gli occhi colmi di lacrime. << Raggiungila! >> esclamò poi, mentre finalmente le lacrime iniziavano a scendere dai suoi occhi.
<< Raggiungerla? Di cosa stai…? >> Ma Daniel non finì la domanda. Aveva compreso a che cosa si stesse riferendo Carolyne.

*


Daniel non seppe come, ma si ritrovò a correre. Era una notte di luna piena che illuminava con la sua luce opaca il cielo punteggiato dalle stelle, tante piccole luci intrappolate nell’immensa volta celeste.
Correva senza sapere bene dove stesse andando, senza notare che intorno a sé il paesaggio rimaneva immutato, come se Daniel non stesse correndo, ma fosse immobile.
Fu solo quando a Daniel mancò il fiato e si fermò, che tutto intorno a lui mutò: la luna sparì e il cielo diventò una distesa nera; la strada su cui aveva corso fino a quel momento sparì, lasciando il posto a una lastra oscura che lo rifletteva, come se essa fosse fatta di vetro.

Ma il cambiamento che più turbò Daniel fu quello di ciò che gli stava di fronte: al posto del viale, si formò una vasta distesa di nebbia e, in fondo, molto lontano, un’isola.

Quell’isola emanava una luce accecante e una forza che attraeva Daniel, tanto che il ragazzo rimase a fissarla per molto tempo; o almeno così gli parve: potevano essere passati anche solo pochi secondi.
Quando finalmente Daniel si sentì liberato da quella forza di attrazione, fece un passo avanti, come a voler raggiungere l’isola. Però, si fermò subito.
Qualcosa, dentro sé stesso, lo aveva bloccato: un dubbio.

E se quell’isola fosse una menzogna, un’illusione?

Forse fu proprio questo suo dubbio a far allontanare la sua salvezza o forse, più semplicemente, quello non era il luogo adatto a lui.
Fatto sta che l’isola, in quel momento, cominciò a sbiadire, come se si stesse allontanando.
Quando Daniel se ne accorse, iniziò a correre, cercando di raggiungerla, di fermarla; non gli importò della nebbia insidiosa che iniziava a circondarlo, né del fatto che intorno a sé stava tornando tutto come prima dell’apparizione.
Continuò a correre;ben presto, però, si accorse che l’isola era quasi del tutto sparita.
Nell’attimo in cui Daniel si fermò, rinunciando alla sua unica salvezza, rinunciando definitivamente a raggiungere l’Isola, questa scomparve e la luna, le stelle, la strada e gli alberi tornarono al loro posto.

Daniel cadde a terra, disperato, sussurrando: << Non ce l’ho fatta. Ho fallito. Ho fallito!>>

L’aveva avuta davanti agli occhi, era stata a portata di mano.
Se solo non avesse dubitato, l’avrebbe potuta raggiungere.
Se solo non avesse dubitato, si sarebbe potuto salvare.
Se solo non avesse dubitato, avrebbe potuto andarsene per sempre.

Immerso nella sua disperazione, Daniel aveva finalmente capito cos’era quell’isola.
Si chiese, con rammarico, come fosse possibile che proprio lui non l’avesse riconosciuta subito.
Proprio lui che aveva posto quella fatidica domanda da cui tutto era cominciato:

<< Dov’è l’Isola che non c’è? >>


Fine



  
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