Fratello.
Rating capitolo:
Giallo, si tratta pur sempre di
guerra.
Personaggi: Feliciano Vargas (Italia
del nord) – Romano Vargas
(Italia del sud)
Osservazioni personali: A distanza di
poche ore, il mio secondo
scritto su Hetalia. Mi è venuto abbastanza istintivo,
scritto in meno di 20
minuti, voleva dare la mia personale visione del 17 marzo e di
ciò che oggi
significa per me. Spero che piaccia a qualcuno, e in caso che
commentiate xD Ah,
non ho seguito nessun evento storico
preciso, infatti è tutto molto generico, non lapidatemi per
questo xD
Buon compleanno, piccola
Italia.
Fratello.
Il vento era gelido
quella mattina.
Sputava in faccia la polvere sporca di sangue che in quel vicolo
abbondava come
in ogni altro posto, quella mattina.
Se si alzava per un attimo il volto,
subito un odore acre e insopportabile di ferro ti inondava le narici.
Era l’odore
dei fucili arrugginiti e dei pugnali fin troppo usati. Era
l’odore del sangue
che ricopriva tutto, ad ogni passo.
Tutti
si stringevano fra loro, tutti
tremavano. Cosa accadeva? Era ormai marzo inoltrato, il freddo cedeva
il posto
al calore del sole. Eppure il vento era gelido, e il sole appariva
spento. Cosa
accadeva? Nessuno sentiva freddo, eppure tutti tremavano. Era arrivato
il
momento, il tanto atteso, ultimo momento.
Un
ragazzo dai capelli d’un castano scuro
ne guardava un altro davanti a se. Gli strani riccioli
ch’entrambi avevano
quasi si sfioravano. E lo guardava tremare come una foglia
d’autunno, gli occhi
stanchi in quel volto sporco di terra e sangue, e gli abiti stracciati.
Tutti
versavano nelle stesse condizioni, ma lui era il più
importante per lui.
-Feli.-
Al
richiamo del più grande, l’altro alzò
il volto. Era esausto, e questo gli faceva male. Chissà se
avrebbero resistito
ancora?
-Questa
è l’ultima, Feli. Non dobbiamo
arrenderci.-
Voleva
credere in quelle parole, lui era
il fratello più grande dei due, ed anche se solo rimanere in
piedi era un
sacrificio, era lui che doveva confortare l’altro, era lui
che doveva fargli
vedere come ci potesse essere sempre un domani, anche se non ci credeva
nemmeno
lui.
L’altro
annuì al sentire quelle parole,
poco convinto, eppure certo che da quello scatolone di legno si sarebbe
alzato,
e avrebbe combattuto.
-Si,
Romano.-
Accennò
un sorriso, con quell’aria così
ingenua e rassicurante. Feliciano era tutto il mondo di Romano. Per lui
sarebbe
andato contro tutto e tutti, pur di vederlo sorridere, e in effetti
l’aveva
fatto. Anzi, lo stavano facendo insieme.
Il
più grande sentì qualcosa muoverglisi
dentro, mentre guardava il volto del fratellino.
Erano esausti, erano dei morti di fame
che camminavano coi fucili imbracciati e la loro bandiera alta verso il
cielo
terso.
E ce l’avrebbero fatto.
Avvicinò
dunque il volto a quello dell’altro
ancor di più, mentre il braccio destro andava ad avvolgere
il collo dell’altro,
e poggiava la sua fronte sudata e calda e quella dell’altro,
più fredda e
delicata.
Chiuse gli occhi e sorrise.
-Loro
stanno combattendo per noi, Feli. E
noi combatteremo per loro.-
Non
aveva nemmeno la forza d’essere
volgare, ma non importava.
-E
per noi, Romano.-
Rispose
il più piccolo, anche lui con gli
occhi chiusi e il sorriso sul volto.
E questa volta la loro espressione era
sempre stanca, ma decisa. Decisa a prendere ciò che era loro
di diritto. Decisa
a sopravvivere a quella giornata, e poter vivere in pace.
-Si
Feli, anche per noi.-
All’improvviso
il mesto brusio del vicolo
si spense, tutta la gente s’ammutolì, tutti gli
occhi erano volti verso quei
due ragazzini, mingherlini e stanchi, che sapevano a mala pena tenere
un fucile
in braccio.
Tutti gli sguardi erano volti verso i due
piccoli Vargas, verso la loro nazione, la loro adorata nazione.
E un grido si elevò chiaro in quella
gelida mattina di marzo.
VIVA
L’ITALIA!
Ed un coro si
alzò, a ripeterlo all’infinito,
perché dopo quel giorno tutti sarebbero stati uguali e
liberi. Niente nord e
sud, niente borboni e longobardi, nessun invasore avrebbe
più calpestato la
loro terra unita sotto ad un unico tricolore.
E loro sarebbero morti col sorriso sul
volto, pur di vedere quei due ragazzi uniti.
E
i due continuarono a stare abbracciati,
con gli occhi chiusi ed una calda risata che gli si scioglieva in gola.
-Viva
l’Italia unita, Romano.-
Quella
era l’ultima battaglia, quello era
l’ultimo ostacolo alla loro felicità.
-Viva
noi, Feli.-
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Ormai
il cielo era tinto di rosso, ed il
sole era quasi del tutto calato, ponendo fine a quella fredda giornata
di
marzo.
Il
ragazzo dalla pelle abbronzata e
sporca di sangue si ergeva su quella piazza resa lucida dal sangue dei
suoi
connazionali. Una catasta di morti si innalzava davanti a lui.
Quella
giornata era finalmente finita,
pensava mentre il fucile gli scivolava dalle mani. Era finalmente tutto
finito.
E loro erano morti per lui, lui e suo
fratello. Erano morti, ma perché sorridevano?
Avevano perso tutto, eppure erano felici!
Impossibile si ripeteva tremante il ragazzo, cazzo, è
impossibile!
Una
mano gli si posò sulla spalla,
piccola e ancor più tremante di lui. Si voltò e
vide il volto del fratello più
piccolo, che sembrava sul punto di piangere.
Si guardarono entrambi negli occhi per un
secondo che parve un’eternità. E poi si
abbracciarono, mentre il più piccolo
scoppiava in un rumoroso pianto.
Un pianto che riassumeva tutto il loro
dolore, i loro sacrifici e la loro felicità.
Erano
tutti morti, morti per loro. Ma
sorridevano.
E
Romano seguì suo fratello nel pianto.
Finalmente ce l’avevano fatta.
Eccola
l’Italia unita. Un’Italia che
piange i propri morti, un’Italia completamente da
ricostruire, ma un’Italia
unita e felice. E finalmente libera.