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Autore: screaming_underneath    17/03/2011    8 recensioni
[Storia 4a classificata al contest "Quando divenni lupo", indetto da Jakefan e Kagome_86]
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La rinascita di Joshua Mayers, Lupo senza volto di Breaking Dawn.
"Chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare da ciò che percepisco intorno a me, beandomi della possibilità, una volta tanto, di poter essere da solo con i miei pensieri, mentre ho indosso la mia pelle ferina."
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quileute
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
- Questa storia fa parte della serie 'Eternal Sunshine of the Spotless Mind'
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Nickname: Virgyblackina
Titolo: Rebirth
Personaggio: Original Character - Joshua
Aspetto scelto: Entrambi
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Sentimentale, Missing Moment
Rating: Giallo
Avvertimenti: One Shot (3578 parole)





 

Rebirth

 

Nessun rumore, nessuna voce d'uomo rompeva quel silenzio, e la natura, sempre uguale da che è nato il mondo, dominava incontrastata.”
IL RICHIAMO DELLA FORESTA - Jack London.



 

Dolore. Dolore assurdo.
Provo a dibattermi da quell'agonia, ma non posso. Ogni centimetro di me brucia, prende fuoco, diventa cenere. Qualcosa che non ho mai provato prima mi dilania.
"Devo sognare. Non si soffre così, nella realtà."
Provo di nuovo a fuggire da quel dolore, a ribellarmi. Il mio corpo, sotto il giogo delle fiamme, rimane inerme. Le mie palpebre rifiutano di aprirsi, sigillandomi nel rosso bruciore della mia carne. Tutto tace. Non mi è permesso gemere. 
Non posso. Le mie labbra vanno a fuoco come tutto il resto.
"Calmati."
La Voce arriva così all'improvviso da farmi sussultare, e il movimento è come gettare legna fresca, riapre le piaghe incandescenti della mia carne, che torna ad urlare il proprio dolore. Non capisco se ciò che ho sentito è opera mia - del mio subconscio in fiamme - o di qualcuno di esterno.
Non me ne importa; soffro troppo per fare conversazione. Torno a bruciare, in silenzio.
"Tra poco sarà tutto finito. Mi senti, giusto?"
La Voce adesso ha un altro timbro. E' il mio cervello, non c'è dubbio. Chi altri, in un sogno doloroso come questo, mi parlerebbe in toni differenti? "La tua testa si prende gioco di te, Joshua. Tutto qui. Brucia pure in pace."
Mi immobilizzo, eliminando la resistenza del mio corpo al dolore, lasciando che la sofferenza penetri in me. Non esiste più un dentro e fuori. Esterno ed interno sono fusi assieme, in un unico isolotto di agonia.
"
Tranquillo. Adesso passa. E' quasi finita."
Tiro un sospiro di sollievo.
"
Bene. Tra poco mi sveglio."
Le fiamme che mi lambiscono, come percependo le mie parole, le parole del mio cervello, si avvinghiano più strette a me. Non vogliono andarsene, non vogliono lasciarmi andar via. Non vogliono che torni nel mondo normale, dove luce ed ombra esistono, e non sono velate da una patina di seta, seta color rosso dolore, rosso fuoco.
"
Ecco. Benvenuto. Apri gli occhi, su." La Voce mi raggiunge di nuovo. Ha di nuovo il timbro della prima volta.
Sono confuso. Perchè “benvenuto”? Benvenuto dove? All'Inferno, forse. Perché le fiamme mi feriscono ancora... e ancora più forte.
"
Aspetta."
Aspetto. 
Pian piano, il bruciore diminuisce. Si scioglie dai miei muscoli, dalle mie palpebre, dalle mie labbra. Scende, verso il cuore, e scende ancora, verso le gambe, lasciando solo pori doloranti, e un vago odore di fumo. O, forse, nemmeno quello. Lo percepisce solo il mio naso ustionato.
In fin dei conti, è un sogno, no?
"
No." La Voce si fa sentire, sembra impaziente. La contraddico. Deve, deve essere un incubo. 
Torno a tacere, mentre le fiamme scendono lemmi.
Ah!
Adesso, il bruciore è scomparso. Accolgo la nuova sensazione di fresco con sollievo, inspirando profondamente. La furia rossa se ne è andata, lasciando solo una flebile scia. Posso controllare i miei movimenti.
Apro gli occhi.

E' notte, ci sono le stelle in cielo. Un odore di terra e sale mi colpisce le narici. Starnutisco.
"Forte. Questo odore è troppo forte."
"
Già. Ti abituerai. Ci si fa l'abitudine, pian piano."
La Voce mi fa sussultare.
"Abitudine?"
Mi alzo in piedi, traballando un po'. Strano. La terra sotto i miei piedi ha... una sensazione diversa. Nuova, in un certo senso. Alzo la testa.

E la presa sulla realtà, quella dove avevo sempre vissuto, mi sfugge dalle mani, dileguandosi.

 

**

 

Mi sveglio di soprassalto, madido di sudore. Accanto a me, Lona dorme tranquilla.
La guardo, lasciandomi sopraffare dall'amore, quell'amore profondo e vincolante che provo ormai da quattro mesi.

Non ho più sonno, il ricordo doloroso della trasformazione lo ha eliminato per un bel po'. Chiudo gli occhi, inspirando profondamente il profumo della mia amata, lasciandomi sopraffare dai ricordi.

 

**

 

«Ti odio! Fai sempre così, pensi di poterla passare liscia ogni volta... adesso basta. Vattene. Ora».
La voce di Angie mi risuona in testa, incomprensibile. Contemporaneamente, qualcosa dentro di me si rompe. Tre anni. Tre anni insieme. E questo è il risultato. 
Angelina, la mia fidanzata, aspetta, impaziente, gli occhi che le luccicano per la rabbia. Come sempre, ha tratto le conclusioni sbagliate.
«Angie, per favore... fammi parlare...» la prego, a capo basso. So già che non ritornerà indietro facilmente dalla sua decisione. Non lo fa mai. E' per questo che la amo. 
Cerco di prenderle una mano. Lei, per ripicca, incrocia le braccia al seno. «Va via, Josh. Ho sopportato abbastanza i tuoi divertimenti. Per anni ho fatto finta di non vederti, mentre giochi con le altre. Adesso, basta» dice lei, la voce come massi di piombo su di me.
Chino il capo ancora di più, sconfitto, mentre la rabbia per quell'ingiustizia mi corrode dentro. Uno strano brivido mi passa attraverso la spina dorsale, forse l'ira che cerca di scoppiare, di uscir fuori. 
Esco dalla casa come un fulmine, applicandomi per far sbattere la porta il più forte possibile. Sento una lacrima scendermi calda lungo il naso, mentre mi dirigo a grandi passi per la spiaggia.
Non ho fatto nulla. Per una volta, non ho fatto assolutamente niente.
Eppure, nonostante lo ripeta come un mantra, non ci credo nemmeno io. Sono un donnaiolo, lo sono sempre stato. E Angie, per quanto la ami, è sempre stata colei che mi faceva da controfigura... mentre me la spassavo. 
La colpa è mia, verso di me è la nausea e l'ira che mi corrode i visceri. Rabbia per non essere diverso. Rabbia per essere sempre il solito stronzo.  

Corro per la spiaggia, trascinato dal quella strana furia che mi possiede già da un po'. Mi lascio sfuggire un grido, spaventando dei gabbiani, che tranquilli volteggiano sopra la mia testa.
«Josh! Tesoro!» La voce di Jennifer mi raggiunge. Faccio un respiro profondo, cercando di non tremare. Il malessere in me adesso è più forte, peggiora. Sto male. 
«Vattene. Angie mi ha lasciato. Solo perché tu non sai stare con la bocca chiusa!» esplodo.
Jennifer, sotto i metri cubi di 
fondotinta che le ricoprono la faccia, sorride. Cosa avevo visto di bello in lei, quando me la ero portata nel sedile posteriore della vecchia Renault? La furia rimonta, più forte. Non ci vedo più, tutto è circondato da una spessa patina rossa di furore, contro tutti, contro lei.
«Beh, non è male di nulla, no? Sapeva da anni che le mettevi le corna. E lei ricambiava in pieno. Lo sappiamo tutti, qui. Solo tu ne eri all'oscuro...» inizia, sempre sorridendomi sardonica.
Lancio un ringhio, che di umano ha ben poco, la rabbia che a ondate mi colpisce, fiume in piena inarrestabile. Poi, con un guizzo, cado a terra, contorcendomi per il dolore. Vedo Jenny correre via, spaventata. Non le dico nulla, sto troppo male.

Con le mie ultime forze, mi trascino lontano dalla spiaggia, verso gli alberi.

 

**

 

Apro gli occhi di scatto, prima che la mia mente mi faccia rivivere ancora una volta il ricordo doloroso della mutazione. Come ogni notte.
Da quattro mesi.

Il ricordo svanisce. Al suo posto, uno migliore, che con piacere accolgo.

 

**
 

«Jake sei un bastardo!» url0 rabbioso nella mia mente, nella sua. Lo sento sghignazzare, mentre con un balzo mi si porta di fronte. Tra le sue fauci, i miei short. Ringhio, poco convinto. Sono l'ultimo arrivato, devo sopportare.
«Già, moccioso. Devi soffrire», mi risponde il mio aguzzino, lanciando i miei pantaloni lontano. Vedo Quil che li segue con lo sguardo, scuotendo la grossa testa. Lui è uno pacifico. Amico di tutti. I gradassi come Jacob, o Paul, o Jared, non li sopporto.
«Grazie, amico». La voce di Jake è ironica, ma sappiamo entrambi che scherzo. Per quanto sia irritante, alle volte, Jacob è quello che mi ha protetto, sin dall'inizio.
«Adesso stai diventando strappalacrime. Va a prendere i tuoi vestiti, Josh. E smettila di ronzarmi attorno!»
Ancora una volta, senza il mio permesso, i miei pensieri lo raggiungono, facendo di me un libro aperto. Gli lancio un mugolio irritato. Odio la cosa delle menti in comune. Annullano la mia sfera privata, rendendomi insofferente. Spero solo che arrivi qualcun'altro, nel branco. Così anche io potrò divertirmi un po'. Corro verso i miei short, con la risata di Jake che mi insegue, nella testa.
«Tu non sei come me. Non ami la violenza. Sei rammollito, ragazzo» mi dice, per sfottermi.
Annuisco. Forse è vero. 
Da quando ho Lona, non sono lo stesso.
 

**


Il ricordo del mio primo incontro con l'Amore, quello con la A maiuscola, mi fa battere il cuore. Mi lascio trasportare dai ricordi, rannicchiandomi vicino il corpo della mia musa.

 

**


Ritorno alla scuola della riserva dopo dodici giorni di malattia. La giustificazione ufficiale è una tonsillite acuta, strana certo per uno che come me non è mai stato malato, ma plausibile.
Nessuno, però, non ha potuto non notare quanto sia cresciuto, quanto i miei muscoli, da inesistenti, si siano sviluppati .Quanto la mia voce, infantile nonostante abbia quasi diciassette anni, sia cambiata. Quanto la mia corporatura sembri adesso quella di un ventenne. 
I professori mi fissano con curiosità, alcuni sorridendo un po', dando colpa agli ormoni, alla crescita pazza degli adolescenti della mia età. Un giorno bambino, un giorno adulto. 
Qualcuno invece, i nativi della riserva con qualche anno in più, vacillano davanti alla mia statura. Probabilmente, sono tornati loro alla mente i racconti dei nonni, dei genitori. Racconti di strane creature, i Freddi, e di lupi, quelli di cui ormai faccio parte. Ma sopratutto, ricordi di strane crescite improvvise, come la mia.

«Ciao. Sei tu Josh Mayers?»
La voce della ragazza mi arriva dalle spalle, all'improvviso. So che è dietro di me già da un po'. L'odore di violette e rosa canina è abbastanza eloquente, ma non le do importanza. Tutti, mi fissano, negli ultimi giorni.
Chiudo l'armadietto, girandomi verso quel profumo quasi nauseante per il mio naso super sviluppato. Una folata di odore dolciastro mi raggiunge, facendomi storcere la bocca. «Si?» chiedo, svogliatamente.
La ragazza, una di terza, bionda e mingherlina, mi sorride, quasi in imbarazzo per la mia statura. Vedo i suoi occhi soffermarsi sui miei muscoli, che sfuggono dalla maglietta a maniche corte che indosso. A Dicembre.
Posso quasi immaginare cosa stia pensando.
«C-C'è una mia compagna di classe, là fuori. Dice che le hai bloccato la macchina con il tuo furgoncino» balbetta, mentre le pianto gli occhi addosso, più che altro per abitudine. 
In un altro momento, ci avrei provato con lei, cercando di utilizzarla per il raggiungimento di un mio personale record prefissato, quello delle Venticinque Ragazze. Ormai ho una mia fama, a scuola, ma questa che ho davanti deve essersi trasferita da poco. Non ha la faccia di una della riserva, e pare parecchio spaesata. Oltre chiaramente a non conoscermi, o almeno a non conoscere le voci sul mio conto.
Mi costringo a smettere di fissarla, sopratutto per placare quella parte di me che mi prega di chiederle il numero di cellulare, per avere l'occasione di farsela nel mio collaudatissimo sedile posteriore. Ho paura di questo nuovo me, di quello che il mostro che ho dentro potrebbe far uscire fuori. Mi sono imposto delle limitazioni verso i miei rapporti con gli altri... e con l'altro sesso, in particolare.
Sorrido accondiscendente, sapendo di influire su quella ragazza un certo potere. Lei arrossisce, e scappa via. Devo averla davvero messa in imbarazzo, e all'improvviso mi sento in colpa.
Scuoto la testa verso la schiena della ragazza, che già si perde nella folla di studenti che vanno verso la mensa. C'è una specie di incontro sull'AIDS, nel pomeriggio, e mi dirigo verso il parcheggio della mia piccola scuola, fischiettando piano.
Il solito vento freddo invernale mi avvolge, ma stavolta non rabbrividisco.
Sono finiti i giorni in cui pativo il freddo, penso con rammarico.
La vecchia Lulù, la mia adorata macchina, risalta nel mezzo del posteggio semivuoto, con il suo color azzurro cielo estivo. Il precedente proprietario doveva amare i colori forti, per conciare un furgoncino a quel modo. E io, pazzo come sono, non ho certo pensato di ritinteggiarlo con un colore meno assurdo.
Mi avvicino, con deliberata lentezza, tanto per far irritare la ragazza che intravedo dal finestrino di una scintillante, nuova e impeccabilissima Volvo. Una macchina del genere, nella riserva, non la possiede nessuno. Tranne colei che giuda quella che ho davanti.
«Problemi?» chiedo, bussando sul cofano della sgargiante vettura. Da dentro l'abitacolo mi giunge un'imprecazione soffocata, mista a qualcosa che suona come un "alla buon ora".
Sorrido, tranquillo. Mi piace far irritare la gente che non conosco, sopratutto da quando il mostro dentro me si arrabbia per un nonnulla.
«Un sacco, in effetti. Primo tra i quali il fatto che mi hai fatto aspettare qua fuori trentaquattro minuti prima di deciderti a farti vivo» la ragazza urla quasi, per sovrastare la barriera del vento e del finestrino. Non la vedo bene in faccia, i vetri oscurati da VIP sono troppo persino per la mia vista acuta.
La sento armeggiare con la cintura di sicurezza, poi, finalmente, la portiera si apre.
"Che tipo... un peperino. Come piacciono a me. Come era Angie."
Quel pensiero mi immalinconisce, il mio cuore sembra quasi accusare il colpo. Io, menefreghista e spietato donnaiolo, che mi lascio sopraffare dalla nostalgia per una delle mie tante ex. Scaccio quei pensieri, rischiando di cadere in un vortice di frustrazione e ira repressa che mi farebbe quasi sicuramente trasformare.
«Tu. Adesso sposti la tua diavolo di macchina. Ora. Non posso certo aspettare che uno scemo qualunque faccia il suo porco comodo per ritornare a casa...Ma... Sei a mezze maniche?» la ragazza è scesa di macchina, e mi fissa. Io le lancio un'occhiata, cercando di produrre un'espressione totalmente noncurante, senza risponderle.

E rimango abbagliato.
Anzi, fulminato è la parola giusta. 
Vedo la ragazza di cui nemmeno so il nome fissarmi interrogativa. Scuoto la testa, annebbiato e senza parole.
E' come se la gravità
dipendesse da lei. Da sempre. O forse, solo da pochi secondi. Tutto, i suoi capelli, il suo viso, il suo modo di fissarmi corrucciato, ogni piccolo, insignificante particolare mi fa girare la testa.
«Cos'hai?» mi chiede, scocciata da quel nuovo contrattempo.
La fisso, senza parole.
E' lei.
Questa volta, la voce è la mia, e del mostro dentro me, ammansito e senza parole quanto lo sono io.
«Co-Come ti chiami?» domando in un sussurro, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Lei mi fissa come se avesse visto un ufo.
«Ilona. Lona. Beh? Ti smuovi o devo chiamare un carro attrezzi? Sono una ragazza, non il paio di tette che stai fissando» mi risponde, strabiliata e irritata.
Io, incurante, continuo a guardala, stregato dalla sua voce. Vorrei dirle che le sue tette sono l'ultima cosa che mi interessa, al momento. Vorrei dirle che il suo nome è celestiale. Vorrei dirle che è semplicemente fantastica, e, per qualche oscura ragione, che mi sono innamorato.
Perso. 
Invece, rimango lì, succhiando la sua presenza come una spugna, beandomi del fatto che mi abbia rivolto la parola. Angie, coi suoi capelli lisci e biondi, non esiste più, rimpiazzati dal viso celestiale incorniciato da boccoli scuri che ho di fronte.
Lona.
Monna Lona. No. Quella era Lisa, giusto?
Non mi importa. Per me, il sorriso più bello ed enigmatico è quello che, venti minuti dopo il nostro incontro al parcheggio, mi regala lei, il mio angelo, davanti ad una tazza di cioccolata calda.

Torno a casa, con un sorriso idiota che non vuole andarsene. Il mio cuore è perso, perso nella massa di riccioli ribelli della mia musa. Sono riuscito a strapparle un appuntamento, per la sera dopo.
So bene com'è la procedura, in casi come il mio. In caso di imprinting.
Ancora non ci credo. Il cuore accelera la sua corsa, a quella parola. Continuo a ripetermi che non può e basta.
Non mi merito questa felicità. Sono sempre stato una persona cattiva... o almeno, un emerito stronzo. Un' idiota infelice, che cercava di mascherare la sua fragilità facendo il gradasso e il donnaiolo.
Non può essere successo a me.
Continuo a ripetermelo, e ripetermelo.
"Ma la ami." E' vero. Scuoto la testa, cercando di immaginarmi come rivelarle il mostro dentro me. Mi pare impossibile. Fuggirà.

E a me si spezzerà il cuore.

 

**
 

Il ricordo svanisce e io apro gli occhi.
La mia
Monna, acconto a me, dorme ancora profondamente. Le scosto i capelli dal viso, baciandola dolcemente sul collo. Lei mugola, soddisfatta. Chissà cosa sogna. E' qui, visto, sciocco?  Già. Le bacio una spalla, circondandola con un braccio, per sentire il suo cuore battere lento contro la mia mano. Dio, quanto la amo.
Il vecchio Joshua, non si sarebbe mai innamorato così. Persino con Angie, adesso che ci penso, è sempre stata una farsa. Non era amore. Era abitudineAbitudine vederci, tutti i giorni a scuola, e strapparle un bacietto leggero ad ogni cambio di ora. Abitudine incontrarci, tre, quattro volte la settimana, a casa sua, o in macchina mia, per concederci un po' l'uno all'altra.
Nulla più.
L'Amore, quello vero, l'ho provato una sola volta nella vita, e lo provo ancora.
Riabbasso le palpebre, per cercare il sonno nella mia testa, visto che si rifiuta di ricomparire da solo nei miei occhi. Nulla.

Scocciato, mi alzo. Sono le cinque e mezza di mattina, e il sole ha poco a sorgere. Me ne sono reso conto già da un po', cogliendo pulviscoli colorati entrare dalla finestra, nel mezzo del buio accecante della notte.
Mi dirigo verso la porta di casa, cercando di non svegliare mio padre, o Lona. Silenziosamente, sguscio fuori, in mutande, fissando il mare davanti alla mia casa, calmo e piatto come sempre. Inspiro l'odore salino nell'aria, senza esserne disturbato. In effetti, adoro il profumo del mare, ogni sua minima particella.
Sam aveva ragione. Ci si abitua. In fretta.
Rimango lì per un po', ad occhi chiusi, sentendo un vago tepore sulla pelle, come a ribadirmi che il sole ha davvero poco a sorgere. Dalla casa, il respiro di mio padre e della mia amata mi giunge chiaro, regolare. Mi rilassa, mi culla nel silenzio della notte al termine.

Checché abbia sempre detto, amo essere un lupo.
Mi trasformo, con un guizzo ormai connaturale in me. Mi risulta facile come respirare. E' qualcosa nato con me, mi rendo conto all'improvviso. Non posso fermarlo, cercare di modellarlo. E' lui, il mostro dentro - anche se forse un vero mostro non lo è - che modella me, e il mio corpo.
Piego le orecchie all'indietro, infastidito da una lieve brezza che da umano non riuscivo a percepire. Poi, con lo sguardo alla luna che piccola se ne sta in un angolo del cielo, mi lascio andare ad un ululato breve, basso. Non sono io a comandarlo. E' la natura intorno a me, tutto ciò che vedo, percepisco con l'olfatto e le orecchie.
Annoiato e senza un vero scopo, mi metto a correre per la spiaggia, incurante che qualcuno, dalla finestra della propria casa, possa vedere un lupo alto come un cavallo, dal manto grigioblu, lungo e stranamente riccio. 
Non mi importa. Che vadano pure a dirlo in giro. Nessuno, al di fuori di noi diciassette licantropi di LaPush, sa la verità.
Chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare da ciò che percepisco intorno a me e beandomi della possibilità, una volta tanto, di poter essere da solo con i miei pensieri, mentre ho indosso la mia pelle ferina.
Non sono mai stato meglio. Per la prima volta da quando sono mutato nel lupo che sono, ringrazio l'esistenza delle sanguisughe. Senza di loro, non avrei mai potuto correre a quel modo, libero, me stesso dalla punta delle orecchie alla coda, con la mia pelliccia preferita indosso.
Correre, inseguendo il vento, l'istinto ferino dentro di me che mi guida, mi comanda. La foresta mi accoglie, piegandosi al mio passaggio, inchinandosi come si fa con un re. Il lupo dentro di me mi spinge le zampe, vuol sentire l'ebbrezza della libertà, della natura intorno a sé.
Quello che ho dentro è nato con me, e del mio corpo ha preso possesso. Mi lascio guidare da quella bussola che la parte animale di me, la più nobile, usa come sistema di riferimento. E mai, mai come prima sono libero, nel profumo dell'estate che si avvicina, nell'odore del mare, del cielo, del bosco, degli animali come me.

Scordo come mi chiamo, perdendo me stesso, lasciandolo indietro, con le sue povere gambe da umano che arrancano, cercando di star dietro alle mie zampe.
Vado avanti a correre per chilometri, dimentico che la mia vita, quella reale, di tutti i giorni, è la mia, e che la corsa in cui mi sono spinto è solo cercare di fuggire da essa.
Mi fermo, annusando l'aria, lasciandomi trasportare verso la spiaggia, attraverso il sottobosco odoroso.
Davanti a me il mare, e il sole che sorge. Tutto è tinto di rosa e rosso, di giallo e arancio. Mi sento parte del mondo come non mai.
Lontano, la casa di mio padre, la mia casa, con la mia musa che dorme ancora, al piano di sopra, seconda stanza a sinistra, mi aspetta.
Aspetta che l'uomo subentri al ferino, che la ragione, come sempre, sia prevalente sull'istinto di lupo che, dentro me, giorno dopo giorno, preme per uscire.Fisso ancora per un attimo l'alba, ritornando pian piano solo un ragazzo di diciassette anni in corpo di un lupo come un cavallo, con il pelo color della notte, stranamente riccio, al vento.

 

La mia musa mi chiama, sento il desiderio di vederla, di svegliarla con un bacio e sussurrarle che la amo.
Corro verso casa, tra la sabbia bianca di LaPush, nudo come un verme. Al mio fianco, invisibile agli occhi, un grosso lupo corro con me, silenzioso ma presente, come sempre.
Quello che, se potesse, mi trascinerebbe tra gli alberi, dove un branco di cervi dall'odore invitante pascolano la verde erbetta della prima mattina.
Lo lascio correre più veloce, allontanandolo da me, dalle mie gambette, e penso all'odore di lei.Un brivido mi percorre tutto, cancellando l'istinto ferino, lasciandomi sopraffare da un amore completamente umano, ma che senza il lupo blu non avrei mai conosciuto.
Arrivo, amore mio.
La luna tramonta del tutto, lasciando il posto al sole della mattina. Sarà una bella giornata. Me lo sento.

Me lo dice lui.

 

 

 

   
 
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