“Bella. Isabella.” Una voce
dolce e calda sussurrava nell’orecchio della ragazza. “Isabella,
sono quasi le sette.” Con uno scatto secco, quegli occhi marroni si
aprirono.
“Buongiorno,
Esme.” Disse, stropicciandosi gli occhi.
Aveva
dormito poco e niente, quella notte. E tutto per colpa di quel ragazzo.
Di
corsa, sbarrò le pupille.
Diamine,
non era stato frutto dei suoi sogni. Edward
Cullen l’aveva davvero chiamata alle due di
notte, credendo che lei avesse
lasciato il suo numero lì apposta.
“Esme?” Richiamò l’attenzione della
donna, che stava aprendo le tende, lasciando spazio a nuvole e una fitta
pioggia.
“Dimmi,
cara.”
“Che
tipo è Edward?” Non esitò nemmeno un minuto, per farle una
domanda simile.
Il
volto della donna era un po’ perplesso. “Sai, non
abbiamo mai parlato di lui. E sicuramente mia madre gli avrà
raccontato tutto su di me.”
Che
non sapeva mentire, Esme se ne era resa
conto subito, la sera precedente. Si era resa conto che anche quella era
una bugia, ma non riusciva a capire perché Isabella si interessasse
così tanto.
E
senza fare domande, le rispose. “Di certo non è un tipo
casa-chiesa.” Spiegò, sedendosi al bordo del letto. “Però io e Carlisle non
abbiamo motivo per cui lamentarci. Ha ottimi voti a scuola, è il
capitano della squadra di Basket e gioca anche piuttosto bene. E sì, sono obbiettiva.” Disse, leggendo dallo
sguardo della ragazza che stava pensando proprio quello.
Isabella
annuì, lasciandola continuare. “A casa è
un figlio perfetto. Forse sono le sue compagnie che non mi piacciono
molto. Sai, al primo anno ha iniziato a frequentare i ragazzi della squadra di
Basket, e così è entrato a giocare. Poi è diventato il
capitano. Ancora non ha mai avuto una ragazza fissa, e ogni settimana esce con
una diversa. Certo, ha diciassette anni e il diritto di divertirsi, ma quello
non è mio figlio. Edward ha la testa sulle spalle, e non combini guai.”
Certo, avrebbe voluto commentare Isabella, come se chiamarmi alle due di notte non
è stato una cavolata. “Dimmi”, continuò Esme. “Perché vuoi sapere tutte queste
cose?”
La
ragazza scosse la testa, iniziando a stringere la coperta blu. “Oh,
così. Pura curiosità.”
“Certo.”
Rispose Esme. “La colazione
è pronta. E giù c’è mio marito, che non vede
l’ora di conoscerti.” Finì,
alzandosi per continuare a sistemare la camera.
Prima
di lasciare la camera, Isabella le chiese un’ultima cosa. “Esme, posso vedere Edward?
Cioè, una foto.”
La
signora Cullen sorrise, prendendo una foto che era
riposta in un cassetto.
Forse era stato proprio Edward a chiedere alla madre di nascondere tutte le sue
foto.
“Eccolo. Questa risale a Settembre. Non è molto
cambiato, da allora.” Esme sorrise,
porgendole la cornice di legno.
Isabella
ricambiò, aspettando di vedere un bell’imbusto fiero di sé,
in quella foto.
Si
sbagliò.
Ovvio,
era un bell’imbusto. Capelli ramati, quasi rossi. Occhi verdi.
Ma
il suo sguardo non era per niente fiero di sé. Era un ragazzo normale,
con un sorriso felice in volto.
Che
abbracciava una donna.
Sua
madre.
“Grazie,
Esme.” Bella diede indietro la cornice,
stiracchiandosi le braccia.
Di
certo quel letto era comodo, ma ancora ci si doveva abituare. Le mancava il
suo, quello che era nella sua camera, a Forks.
Quello
dove stava dormendo Edward, in quel momento.
“Andiamo
giù?” Domandò Esme, ammirando il
letto che già aveva rifatto.
“Certo.”
“Carlisle voleva conoscerti ieri sera.” Disse la
donna, mentre scendevano la rampa di scale. “Ho dovuto persuaderlo a non
svegliarti, convincendolo che il viaggio era stato davvero stancante.”
“Oh,
è stato davvero stancante.” Confessò Bella. Anche se aveva
dormito per tutto il tempo, non sopportava volare.
“Hai
dormito bene?”
“Sì,
certo.” Mentì, riavviandosi i capelli con la mano destra.
Entrando
in cucina, Bella pensò a come potesse essere Carlisle.
Sapeva che era un dottore, e lei non aveva mai avuto un buon rapporto con i
dottori.
La
maggior parte erano grassi, con la barba e un’aria burbera.
Però,
- anche questa volta -, dovette ricredersi.
Un
uomo abbastanza alto, con i capelli biondi e gli occhi verdi.
Verdi,
proprio come quelli di suo figlio, era dinnanzi a lei.
Sembrava
la versione di Edward, invecchiata di qualche anno.
“Isabella, giusto? E’ un piacere
conoscerti!” L’uomo le porse la mano, ridestandola dai suoi
pensieri.
Perché
non c’erano dottori così a Forks?
“Signor
Cullen.” Allungò la mano, stringendola
con quella possente e fiera del dottore.
“Oh, Carlisle,
Bella. Carlisle
e basta.”
“Certo.”
Sussurrò la ragazza, sempre più ammaliata da quella voce.
Cavolo, è
un uomo, sposato e padre! Pensò,
sbattendo nuovamente le palpebre.
“Allora
Bella.” Iniziò Esme, mettendo a tavola
del latte e una brioche. “Alle otto ti accompagno alla
solita fermata. Poi, ti passo a prendere alle sette. Il
tuo professore è stato molto chiaro.” Isabella
annuì, pensando a tutte le raccomandazioni che aveva fatto Banner a
quella povera famiglia.
“Spero
che ti divertirai oggi, Isabella. Non sarà lo
stesso per me, purtroppo. Ci vediamo stasera.” Con
un sorriso dolce il signor Cullen la salutò,
per poi dare un casto bacio sulle labbra a sua moglie.
Sembrano così affiatati, pensò Isabella.
“Buona
giornata, Carlisle.” Salutò,
accompagnando il tutto da un cenno della testa.
“Esme, vado a vestirmi.” Annunciò la ragazza,
dopo aver finito tutta la colazione.
“Va bene, cara. Ti aspetto qui.” Rispose la signora Cullen, continuando a lavare tutte le stoviglie sporche.
Isabella
annuì distrattamente, salendo al piano superiore, per una doccia calda e
veloce.
*
“Com’è
la tua famiglia? La famiglia McCarty è proprio
carina! Hanno anche un figlio che frequenta il quarto anno, si chiama Emmett. Sarà alto un metro e
novanta!”
Tutto
il terzo anno si era ritrovato alle otto sotto il Big Ben. E ora stavano
camminando, dirigendosi chissà dove.
Ed
Alice l’aveva assalita, con tutte le ultime news sulla famiglia McCarty.
“Un
metro e novanta?” Domandò, sbadigliando sonoramente.
“Sì,
ti giuro! Gioca nella squadra di Basket della sua scuola!”
Oh, Dio, pensò, ci
manca solo che conosca Edward.
“Oh,
e poi quel ragazzo abita vicino a
me… aspetta, com’è che si chiama?”
“Jasper?”
L’aiutò Bella, continuando a camminare.
“Sì,
brava. Proprio lui. Sai, non è niente
male.”
“Cosa?”
La sua amica quasi urlò, con un sorriso a trentadue denti.
Non
ci credeva. Finalmente Alice Cullen si era resa conto
di Jasper. Quel Jasper che le andava dietro dalle scuole elementari.
Mr
Banner le ammonì con un’occhiataccia, visto che non la finivano
più di parlare.
“Shhh. Non vorrai mica che ci senta, vero? Fai finta che non ti abbia detto niente, okay?” Bella annuì
distrattamente, continuando a sorridere come un’ebete.
“Allora, parlami della tua famiglia.” Il sorriso se ne andò
dopo quella domanda.
“I
signori Cullen sono davvero carini. Carlisle lavora in Ospedale, ed Esme
è sempre gentile e premurosa…”
“Che
c’è che non va, Bella?”
“Alle
due, stanotte, Edward mi ha chiamata.”
“Edward?
Chi è Edward? Perché ti senti con un ragazzo e non mi dici
niente? Vive a Forks? Oh, no, vive qui a Londra. Così vuole vederti!”
“Alt,
alt. Fermati, non ho nessun ragazzo, e non mi sento con nessuno. Edward,
stanotte mi ha chiamata. Edward Cullen.”
“Aspetta.” Alice bloccò la sua
camminata, posandole un braccio davanti al petto. “Il figlio dei signori Cullen?
Edward Cullen? Quello che ora
è a Forks?”
“Sì,
proprio lui.” Confermò la ragazza, iniziando a camminare
nuovamente.
“Cosa
voleva?”
“Ha
trovato un bigliettino con il mio numero, nella mia camera. L’avevo
lasciato lì per mia madre, e Edward ha pensato che fosse per lui. Sai, una cosa organizzata…”
“Oh,
Dio. Così passi per la ragazza che muore
di fame, perché dopo che ha lasciato Jacob Black tutto muscoli è in
cerca di un fidanzato.”
“Alice!”
L’ammonì l’amica, dandole una pacca sulla spalla.
Isabella
era fidanzata con Jacob Black, un amico di famiglia.
Erano stati insieme per due mesi, frequentavano la stessa scuola, poi si erano
resi conto che non erano fatti l’uno per l’altra. E quindi avevano
deciso di lasciar perdere tutto.
“Oh,
però lui l’ha pensato subito. Quindi è vero.”
“Edward
è un’idiota.”
“Chi
sarebbe idiota?” Jasper Whitlock prese
sottobraccio Isabella, che sbuffava continuamente.
“Ciao.”
Quasi inciamparono tutti e due sul marciapiede, proprio perché quel
suono era uscito dalle labbra di Alice.
“Ciao.”
Rispose lui, abbassando la testa, dopo che Bella gli aveva dato una gomitata.
Dopo
pochi istanti di silenzio, Jasper decise si continuare. “Allora, chi
sarebbe l’idiota?” Chiese nuovamente.
“Edward
Cullen.”
“E’
di Forks?” Domandò, pensando se avesse
mai sentito quel nome. Di sicuro non frequentava la sua scuola.
“No.
E’ il figlio della famiglia dove alloggio.”
“Scusami,
mi sono perso. Non dovrebbe stare a Forks, ora?”
“Già.”
Sospirò Isabella. E con poche parole, raccontò anche a Jasper
tutto quello che era successo in un solo giorno.
“Wow!”
Tutto quello che aveva detto Jasper, dopo la spiegazione dettagliata della sua
amica. “Ora penserà che tu l’hai
già visto da qualche parte, e gli stai dietro.”
“Quello
che ho detto anche io.” Gli diede corda Alice.
“Ora basta! Io non ho combinato un bel
niente!”
“Se
lo dici tu.” Canticchiò Jasper, sorridendo malignamente,
accompagnato da Alice.
Forse
si erano sbagliati tutti e due.
Forse
erano davvero una coppia perfetta.
Banner
chiese gentilmente il silenzio di tutti gli alunni, perché stavano
entrando a Madame Tussauds.
Bella
era su di giri. Prima di partire per Londra aveva cercato su internet tutti i
posti dove sarebbero stati, e quel museo aveva catturato al meglio la sua
attenzione.
E
appena entrarono, una mandria di studenti si disperse nel museo. Quasi tutte le
femmine che ammiravano la statua di George Clooney, Brad Pitt o Robert Pattinson.
I maschi quelle di Angelina Jolie, Julia Roberts o Jennifer Lopez.
Isabella
si guardò in giro, sorridendo felice e girando intorno a tutta quella gente famosa.
Guardò
Jasper, che era stato sequestrato da Alice, che con una macchinetta fotografica
in mano le faceva una foto abbracciata ad Audrey Hepburn.
Scosse
la testa, pensando che quel ragazzo aveva firmato un contratto col Diavolo,
stando dietro a quel peperino.
Girò
ancora, scattando qualche foto – soprattutto per Renée
-, quando il cellulare in tasca iniziò a vibrare.
Parli del diavolo, e spuntano le
corna, pensò, sicura che
fosse sua madre.
Non
era sua madre, ma nemmeno una chiamata.
Un
messaggio.
Da
un numero sconosciuto.
Buongiorno, occhi da cerbiatto :)
Alzò
gli occhi al cielo, emettendo un verso strozzato che partiva dal petto.
“Che
succede?” Come se avesse un radar, Alice le si avvicinò.
La
sua amica le porse il cellulare, facendole leggere quel messaggio.
Rise
di gusto, prima di dare la sua sentenza. “Tesoro, questo non te lo
scollerai più di dosso.” E ancora ridendo, si diresse verso
Jasper.
Cos’è che non hai capito
nella frase ‘Addio, Edward?’
Scrisse
velocemente, riponendo il cellulare nella tasca. Il tempo di ritirare la mano,
che la vibrazione l’avvisò di un nuovo messaggio.
Ma
non aveva niente da fare, a Forks?
No,
ovviamente erano a Forks, e quindi non avevano nulla da fare.
Sei sempre così permalosa di
prima mattina?
Non
ci pensò due volte, prima di rispondere.
Sempre.
Ora,
non aveva proprio voglia di girare fra tutte quelle statue di cera.
Edward
l’aveva davvero fatta diventare permalosa, con un insignificante
messaggio.
Allora non invidio i miei genitori.
Si
infuriò ancora di più.
Forse
insinuava che Esme e Carlisle
avevano del filo da torcere, ora che Isabella alloggiava da loro?
Non ti preoccupare. Invece tu pensa
di più a tutte le cattive compagnie che frequenti, e che non danno nulla
da invidiare hai tuoi genitori.
Era
stata più veloce ad inviarlo che a scriverlo, quel messaggio.
E
si sentì in colpa, dopo. Non certo per Edward, ma per tutto quello che
le aveva rivelato Esme quella mattina, e che lei
aveva urlato hai quattro venti.
Stette
lì con il cellulare, aspettando una risposta che però non
arrivò.
“Hey, tutto bene?” Alice e Jasper le
se avvicinarono, mentre la sua amica le accarezzava una spalla.
“Certo,
va tutto bene.”
“Bella,
stavo scherzando prima.” Iniziò il ragazzo. “Non ho idea di
quello che ha pensato Edward trovando il tuo numero. Scusa,
non volevo…”
Era
così evidente la tristezza di quel momento sul suo viso?
Ovvio.
Sennò nemmeno Alice sarebbe andata lì a consolarla.
Peccato
che nessuno dei due suoi amici sapeva il vero motivo
di quella tristezza.
“Oh Jazz, non preoccuparti. Che Edward faccia e pensi quel che vuole.” Disse risoluta, tirandosi su il morale per un
attimo. “Allora, dove stiamo andando?” dopo quella domanda prese
sotto braccetto sia Alice che Jasper, iniziando a fare foto con metà
delle statue presenti a Madame Tussauts.
*
“Tesoro,
com’è andata la tua giornata?”
Isabella
quella sera era rientrata per l’ora di cena, insieme a Carlisle. Quest’ultimo era andato a prenderla, verso
le sette di sera.
“Oh, bene. Grazie, Esme.” Ma
non era di molte parole, quella sera.
E
ogni volta che guardava Esme, i sensi di colpa
l’assalivano.
Per
quello che aveva rivelato a Edward, e che Esme le
aveva chiesto cortesemente di tenere per sé.
“Hai
fame?”
“Ho già mangiato fuori, con la mia
classe. Se per voi non è
un problema ora andrei a farmi una doccia. Domani ci aspetta
una giornata ancora più stancante.” Mentì spudoratamente,
perché non aveva toccato cibo, con la sua classe.
E
non perché non avesse fame, ma dovevano cenare con le loro rispettive
famiglie, ogni sera.
“Certo,
cara.” Era stato Carlisle a parlare.
“Domani mattina ti accompagno io, va bene? Il mio turno inizia alle otto.”
“Fantastico.”
Tirò fuori il sorriso più falso che aveva. “Grazie.”
“Buonanotte,
Isabella.”
“Buonanotte.”
Con
passo spedito si diresse al piano superiore, passandosi una mano fra i capelli
già scompigliati.
Odiava
mentire alle persone. Ed Esme era una donna
d’oro. Per non parlare di Carlisle. Sembrava
che stesse veramente in famiglia.
Entrò
nel bagno, facendo scorrere l’acqua calda. Aspettò qualche
secondo, e poi entrò.
Una
doccia calda era proprio quello che le serviva.
Le
schiarì le idee, su quello che doveva fare. Quando uscì
indossò il pigiama, poi prese il cellulare e chiamo Renée.
La
telefonata durò relativamente poco. Renée
era indaffarata, e come al solito Charlie stava spaparanzato sul divano a
vedere una partita di Basket insieme a Edward.
Appunto, Edward.
Quando
riattaccò, rilesse quei pochi messaggi che si erano inviati durante il
pomeriggio. E poi, con un po’ di coraggio, decise di inviargliene un
altro.
Scusami. Non volevo intromettermi
negli affari tuoi, o della tua famiglia. Solo che ho parlato un po’ con
tua madre, ma mi ha chiesto di tenere la bocca chiusa. Cosa che non ho saputo
fare. Scusa, Edward.
Lo
inviò, incrociando le dita.
Non
sapeva nemmeno per quale motivo stava facendo tutta quella sceneggiata.
Non
conosceva Edward, e nemmeno l’avrebbe mai visto.
Stava
per mettersi sotto le coperte, quando il suo telefono l’avvisò
dell’arrivo di un nuovo messaggio.
Posso chiamarti?
**
Allora, non posso fare altro che
ringraziarvi.
Ringraziarvi per la risposta al primo
capitolo, per i messaggi privati e le recensioni pubbliche. Un grazie a tutte
le persone che hanno messo la mia storia tra le preferite, chi tra le seguite e
fra quelle da ricordare.
Un grazie
ancora più grande a tutte quelle anime che mi sopportano dalla mia prima
fanfiction e mi hanno messa tra gli autori preferiti.
Sono di poche parole,
ma GRAZIE a tutti. Davvero.
Spero che il capitolo vi sia
piaciuto, e mi scuso per la suspance finale. I capitoli
arriveranno ogni settimana.
Grazie, grazie e ancora GRAZIE.