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Autore: aoimotion    18/03/2011    4 recensioni
"Tu sei Irie, vero?" Gli chiese, tanto per essere sicuro.
Lui annuì, imbarazzato.
"E sei giapponese, giusto?"
Ma che razza di domanda era?
Shoichi si voltò verso il nuovo compagno con espressione interrogativa.
"Sì, sono giapponese..." Rispose, perplesso.
Il volto di Spanner si aprì in un largo sorriso, e i suoi occhi mandarono lampi turchesi che sembravano le faville di un camino.
"Che bello, ne ero sicuro! Sai, a me piace tanto il Giappone, e anche i giapponesi. Voi avete la tecnologia più avanzata del mondo, e siete dei genii!"

[ Sospesa fino a tempo indeterminato. ]
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shoichi Irie, Spanner
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Che gran coppia di amiconi'
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cap10 Io non dovrei essere qui.
Era questa la frase che da più di venti minuti tormentava la mente del povero Shoichi.
I due marmocchi erano seduti per terra, trenta centimetri di distanza li separavano l'uno dall'altro. Fissavano la stessa linea retta, ma cose diverse.
Mondi diversi, per la precisione.
Spanner stava scrutando con scarso interesse quella che presumibilmente doveva essere una molla. Sì, era decisamente una molla, quella cosa che sorgeva da quell'ammasso di rottami messi nell'anfratto più remoto della sua camera.
C'era da chiedersi, a rigor di logica, come potessero quegli occhietti sottili vedere così bene nell'oscurità, riuscendo persino a distinguere le rapide curve dell'oggetto in questione. Forse non aveva bisogno di «vedere» per davvero, e quello non era altro che un gioco di memoria.
O forse no. O forse ci vedeva per davvero. Forse suo padre lo aveva avuto con la gravidanza di Cat Woman, forse. Questo avrebbe spiegato molte cose. O poche. O tutto. O niente.
Insomma, Spanner era un mistero. Ed era questo mistero che Shoichi temeva con tutte le sue forze.
Aldilà dell'essere deforme posto nell'angolo più buio di quella stanza - lo stesso che stava fissando il fanciullo accanto a lui - , da cui emergevano strane forme inquietanti, Irie vedeva il niente. E di tal niente, aveva un grandissimo terrore. Perché sentiva come se qualcuno - o più probabilmente qualcosa - potesse uscire improvvisamente allo scoperto e ghermirlo con furia animalesca.
E ovviamente sentiva, sapeva che Spanner non avrebbe mosso un dito per aiutarlo. E che anzi, con estrema probabilità si sarebbe pure divertito. E aiutato quel qualcosa a farlo a pezzi più rapidamente e con più minuziosità.
Rabbrividì dei suoi pensieri raccapriccianti.
Si voltò un pochino verso Spanner, guardandolo di sottecchi.
Sembrava così... rilassato, ecco. La stessa impressione che gli aveva suscitato qualche giorno prima, quando si era presentato alla classe. Ma mentre in quell'occasione la sensazione era stata senz'altro positiva, in quel frangente lo metteva invece estremamente a disagio.
E, a complicare il tutto, non riusciva a darsi un perché. Mentre in quanto a porsi domande, era probabilmente il migliore sulla piazza.
"Cosa c'è, Shoichi?" Chiese d'un tratto il ragazzo, voltandosi verso di lui e animandosi un poco. I loro sguardi si incrociarono, e Shoichi si voltò di scatto dall'altra parte, rosso in volto.
"N-niente!" Farfugliò lui "Niente di niente, davvero!"
"Mh. Ti senti a disagio, forse?"
"No, no! Davvero, sto benissimo! Davvero!"
Ma chi voglio prendere in giro?!
Ci fu una breve pausa, che lo sorprese un poco. Ma solo un poco, perché era troppo impegnato a fuggire quelle iridi azzurre che lo fissavano con velato interesse.
"Scusami." Disse infine. Non c'era la solita atonalità in quelle parole. C'era... una certa enfasi, sì. Un'enfasi che aveva qualcosa di straordinariamente emotivo, per uno come lui. Persino Spanner stesso se ne sorprese, cogliendosi in quel momento in cui gli era quasi sembrato di uscire dal proprio corpo per lasciare il posto a un altro lui, sconosciuto o pressocché tale. Si grattò il capò biondo, visibilmente perplesso.
Shoichi lo guardò, girandosi piano, ancora un po' spaurito. Quello che vide fu un ragazzino che si arruffava i capelli, senza la minima traccia della periciolosità che aveva scorto in lui pochi secondi prima. Sgranò gli occhi, sbatté le palpebre e cercò di metterlo a fuoco meglio.
Ma niente. Quella parvenza di umanità che lo aveva preso non era scomparsa.
"Spanner... kun?"
Si voltò. Si guardarono. Shoichi arrossì, ma non interruppe il contatto visivo. Sostenne le sue iridi celesti, coraggioso e... affascinato. Affascinato dal fatto che anche Spanner potesse sembrargli niente più che un buffo compagno di banco venuto dal suo posto preferito e con passioni astruse e vagamente preoccupanti.
Niente più che... un amico.
Sì, un amico. Forse, dopotutto, loro due erano... amici?
"Mi dispiace, sì. Non sono molto bravo con gli ospiti, non ne ho mai avuto, ecco. Non che io ricordi, almeno. E quindi, ecco... non so bene comportarmi, non so se mi spiego. Non voglio che tu ti senta a disagio, è solo che, come dire... non sento il bisogno di dire o fare qualcosa in particolare. Mi basta stare qui in silenzio a guardare le mie invenzioni fallite, insieme. Forse tu vuoi fare qualcos'altro? Vuoi giocare?" Si sporse verso di lui, riducendo i centimentri a quindici scarsi.
Lo fece con una naturalezza disarmante, tale che a Shoichi servì una manciata di secondi, per accorgersi che il ragazzo aveva accorciato, bruciato la distanza che li separava. E per reagire di conseguenza, dando prova del suo isterismo represso.
"Argh! E-ecco, io non saprei, ehm, ehm... giocare a qualcosa, dici?" Deglutì. Gli parve di sentire il suo fiato caldo sul naso, e ne rabbrividì.
Troppo vicino, troppo vicino, troppo vicino!
La tua testa era nel pallone. Sentiva come se lo stesse sventrando, letteralmente. Anzi, come se qualcuno gli stesse aspirando il cervello. Avvertiva proprio quel, come definirlo? Quel risucchio, sì. Quel risucchio che gli stava portando via la sua lucidità. E non gli piaceva, perché lui si sentiva stupido, certe volte, anche con tutte le rotelle a posto. Perché era così, un complessato di natura.
Se adesso gli toccava ragionare senza sinapsi funzionanti, si chiedeva fin dove sarebbe potuto arrivare. Dove la sua vergogna lo avrebbe trascinato, e soprattutto che cosa avrebbe detto Spanner di tutto ciò.
Gli occhi del suddetto lo guardarono, attendendo una risposta. Ma poi, arrivò da sé un'illuminazione folgorante. Come aveva fatto a non pensarci prima? Che sciocco che era stato.
"Shoichi, ho un'idea!" Disse, con un'euforia che gli aveva visto raramente in volto da quando lo aveva conosciuto. Si mise in piedi, ignorando i bollori della febbre - che pur tuttavia si erano placati un poco - , e si diresse con passetti piccoli e malfermi verso l'armadio della sua camera. Shoichi lo osservò, boccheggiando senza emettere alcun suono.
Le ante si aprirono lentamente, e Spanner si tuffò al suo interno, scomparendo in un oceano di cianfrusaglie. Alcune delle quali sembravano appuntite e contundenti. Doveva fare un gran male, nuotare in mezzo a quella roba.
"S-Spanner-kun, ti farai male così!" Gli disse, tendendo una mano verso di lui come a volerlo fermare. Si alzò in piedi e gli zampettò vicino, con la vaga intenzione di tirarlo fuori di lì. Non avendo idea del come, aveva inaspettatamente chiaro il perché dovesse farlo.
Perché gli sembrava così malaticcio e fragile, in quel momento, che davvero temeva potesse dissanguarsi e morire con niente.
Morire. Che brutta parola. Che parola lontana, per loro. E che pensieri incomprensibili, i suoi. Ripensò a quando, appena un'ora prima, aveva pensato che Spanner fosse indistruttibile. E adesso si ritrovava a pensare che fosse fragile come un cristallo.
... Non aveva alcun senso. E a lui, tutto sommato, le cose insensate non piacevano. Erano complicate, e gli facevano venire un gran mal di testa. Come se i problemi non fossero già abbastanza.
Scosse il capo, per placare le sinapsi impazzite, e si sporse nel tentativo di pescare Spanner nel mare di neglie in cui si era tuffato con slancio commovente.
"Dovrebbe essere qui intorno..." Vide un braccio emergere, poi scomparire nel nulla. Ebbe una gran paura.
"Spanner-kun! Dove sei finito?!"
"Aspetta Shoichi, ho quasi finito, devo solo... ghn" lo sentì mugugnare, ed ebbe ancora più paura. Si mise le mani nei capelli e cominciò a saltellare, come un sim quando gli va a fuoco il chili con carne.
"Spanner-kun, per favore esci da lì, morirai così!" Supplicò, indeciso se tentare di tirarlo via a forza oppure invogliarlo a uscire da quel macello con un pretesto, anche stupido.
Infine optò per la prima possibilità. E immerse le mani fra quei rottami, facendosi un male cane, tagliandosi tre polpastrelli e spappolandosi il pollice. E, ovviamente, non afferrò niente che potesse assomigliare a un arto di Spanner. Invece, la sua cute toccò qualcosa di morbido e fresco, e non riuscendo a capire di cosa si trattasse, tirò con tutte le sue forze quella cosa non meglio identificata.
Gridò, quando si accorse che quello che stava tirando erano i capelli del ragazzo. Gridò più forte, quando Spanner si precipitò addosso con annessa roba metallica.
"Ahi..." Mormorò il biondo fanciullo, massaggiandosi la testa "Shoichi, perché mi hai tirato i capelli? Mi hai fatto male..." Nella sua voce si avvertiva davvero il dolore, e Shoichi se ne sarebbe anche dispiaciuto... se la situazione non fosse stata così maledettamente imbarazzante.
Perché sì, insomma, ce l'aveva proprio addosso. Davanti a sé. Sopra di lui. Con la sua fronte praticamente appoggiata alla sua bocca, pancia contro pancia, petto contro petto, e quel che era peggio... gli era caduto di sopra con le gambe divaricate.
Insomma, quella posizione era molto ambigua. Sembrava che stessero per fare sconcerie di qualche sorta. Solo lui, ovviamente, afferrò la compromettenza di quella posa, perché Spanner si limitò a guardarlo dall'alto, le braccia che lo reggevano poste ai lati della sua testa, con uno sguardo che qualcuno avrebbe potuto benissimo definire voglioso, e un leggero ansimo che però era dato dalla febbre che si ostinava a perseguitarlo.
La afferrò, non perché forse un esperto. Ma perché al contrario, era di quella ingenuità disarmante, quella che ti fa scoprire le cose nel peggior modo possibile, che rimpiangi di esserne venuto a conoscenza nel momento in cui i fatti mettono alla prova quello che sai, nei modi più sconvenienti possibili. Spanner invece era ingenuo e basta, e la sua mente non arrivava minimamente a concepire come sconcio il modo in cui gli era caduto addosso.
Pur tuttavia, non si poteva proprio dire che non gli avesse fatto alcun effetto. Era strano, molto strano.
Non è che fosse felice. Non è che fosse incuriosito. Non è che fosse turbato.
Era semplicemente... perplesso. E concentrato. Guardare Shoichi da lassù dava una prospettiva nuova alle cose, una prospettiva che lui avrebbe definito interessante. E non perché non fosse capace di trovargli un altro aggettivo, ma perché non ne esisteva uno migliore.
E in virtù di questo genuino interesse, fece una cosa altrettanto genuina e smaliziata: gli scostò una cioccia di capelli dal viso, per osservare meglio quegli occhi che lo fissavano sgranati alla massima potenza, e nel farlo ottenne due effetti secondari che non aveva avuto alcuna intenzione di imprimere.
Il primo, fu di sfiorargli l'orecchio destro, con un movimento così leggero da sembrare puro solletico atto solo a farlo ridere come un forsennato - e Shoichi il solletico lo soffriva maledettamente - . Il secondo fu che Spanner, senza volerlo, aveva usato una grazia, una leggerezza, un tatto così leggeri e delicati che quel contatto di scostargli i capelli dalla fronte, lui lo intese come una carezza. Una carezza dolcissima, la carezza di un amante.
Più che senza volerlo, senza volere quel tipo di reazione. Senza avere quel tipo di intenzione. Perché dopotutto, lui era un meccanico. E la delicatezza era una sua prerogativa, sempre. In tutto quello che diventava, in un modo o nell'altro, oggetto del suo studio accurato.
Shoichi, però, non era così stupido. Sapeva, intuiva perlomeno che in quel contatto non c'era niente di passionale o affettuoso. Non poteva essercene, in nessun modo, non avrebbe avuto alcun senso e lui lo sapeva.
Per questo motivo, si maledì profondamente, con parole dure e irripetibili. Per questo divenne rosso e gli occhi gli si riempirono di lacrime, e cominciò a tremare e a sentire caldo. Perché per un attimo, un singolo attimo, si era illuso che quel contatto fosse qualcosa che non sarebbe mai potuto essere. E la consapevolezza lo feriva con una violenza inaudita, stroncando il suo piccolo e fragile cuore.
Ma non pianse. La sua dignità, quella che spesso veniva messa a tacere per forza di cose, glielo impedì. E lui la ringraziò con tutto se stesso, perché gli permise di non scappare via singhiozzando, a causa della traumatica esperienza. E Spanner se ne accorse, ovviamente.
Ma per sua fortuna, non capì. Intuì qualcosa, forse. Ma la sua coscienza non si era ancora risvegliato, e di quell'intuito, in un primo momento, non seppe proprio che farsene. E senza rendersene conto accantonò quella percezione indistinta, ignaro che un giorno avrebbe nuovamente bussato alla sua porta, e che lui ne avrebbe decifrato i criptici contenuti.
Almeno in parte.
"S... Spanner-kun" lo sforzo nella sua voce era evidente e palpabile, quasi da soffocare "per favore, potresti... spostarti?"
"Aspetta." Gli rispose lui, mandando in frantumi ogni possibile contromisura. Con le dita andò a sfiorare i contorni dell'occhio, aiutato anche dal fatto che grazie alla caduta gli occhiali si erano spostati più in giù, verso la punta del naso. Si fermò in un punto ben preciso, e cominciò a fare una lieve pressione. "E' gonfio." Dichiarò, senza enfasi nella voce. "Ti fa male?"
"Un po'." Rispose lui, quasi istintivamente. E non si chiese perché, impegnato com'era a trattenere il respiro per quello che stava accadendo.
Spanner non si era mica allontanato. Neanche di un millimetro. Anzi, poté giurare che si era persino avvicinato, pur di poco, perché gli sembrò di sentire più chiaramente il suo respiro pacifico e regolare sopra il viso.
E si chiese, in mezzo a tutto questo, cosa dovesse pensarne lui - ammesso che ci stesse pensando - del suo fiato corto e disperato, asmatico e oppresso, nonché opprimente per chiunque lo avesse ascoltato. Non per lui, a quanto sembrava.
Spanner corrugò la fronte, sembrando indispettito. "Perché?" Gli chiese, quasi come fosse una protesta. Quasi come se lui si sentisse... responsabile?
Non sarà che... è dispiaciuto per me?
Quella riflessione lo uccise, letteralmente. Perché ci stava cascando di nuovo, di nuovo, di nuovo, nonostante fosse scampato al disastro pochi minuti prima. Era un irrimediabile idiota, e si odiava a morte per questo motivo.
Eppure... stavolta il suo cervello non gli suggerì alcuna conclusione più logica di quella. Nessuna voce interiore gli disse che non poteva essere, che c'era sicuramente qualcos'altro e che si stava sbagliando. No, niente di tutto questo.
Fu invece il cuore, stavolta, a dire due parole per lui. A dirgli che non era così brutto, se qualcuno ti montava sopra come un cavallo e si preoccupava per te, sfiorandoti la pelle con dolcezza e precisione chirurgica, che insieme creavano un connubio singolare che di romantico non aveva niente e che pertanto, proprio in virtù di ciò, poteva essere accettato come valido.
Cosa c'era di male, a illudersi? A illudersi che in quel cipiglio fattosi severo, ci fosse della sincera apprensione per lui, disteso sotto le sue gambe divaricate, immobile, paonazzo, incapace di decidersi a mantenere un preciso stato d'animo?
Niente. Forse... qualcuno mi vuole bene, in fondo. Spanner mi vuole bene, in fondo. In un modo... particolare, ecco. Proprio come mia sorella e i miei genitori. Sì, deve essere per forza così. Vero che è così? Vero che siamo amici, Spanner?
Il ragazzo sembrò intuire che quegli occhi volevano trasmettersi qualcosa. Fermò la mano, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che palpargli delicatamente la cute, e lo fissò intensamente.
Intensamente.
Molto intensamente.
Così intensamente che... non ce la fece. No, non ce la fece proprio.
Fu come una molla, uno scatto, e qualcosa esplose. Con un botto sinaptico così forte, che Spanner non poté far altro che chiudere gli occhi e cadergli definitivamente addosso, addormentandosi di colpo sopra la sua faccia, mentre poco mancava che le loro labbra si incontrassero.
Per sbaglio, certo. Ma il rischio l'avevano corso. E non era stato l'unico rischio della giornata, quello.
E non sarebbe stato l'ultimo, sicuramente.
"Spanner-kun?" Azzardò lui, strozzandosi con la sua stessa saliva. Ma come era prevedibile, sentì solo il suo respiro entrargli per la bocca rimasta semiaperta, incapace di chiudersi per lo shock a cui in quel momento era sottoposto.
E allora rimasero così, per un tempo indefinito. E Shoichi non si mosse, e respirava appena, perché non voleva svegliarlo, perché... non era pronto a svegliarlo.
E dicendosi mentalmente che non era carino svegliare il padrone di casa, e convicendosi - sempre mentalmente - che fosse una motivazione più che valida, attese immobile che qualcuno venisse a svegliarli.
Entrambi, però.










Note dell'autrice: è incredibile. Voi forse non ci crederete, ma mi sono commossa a scrivere sta roba. Mi è completamente uscita dal cuore e, dio... non potete immaginare il calore che ho provato nell'imprimere certe cose sulla pagina. Una soddisfazione che ho provato raramente, scrivendo fic. E quindi lo ammetto, sono fiera di questo capitolo. Per una volta, sento di aver scritto qualcosa di buono. Ovviamente adess tutti voi verrete a dirmi che è stato peggio di tutti gli altri, già lo so xD quindi forse dovrei stare zitta, ma non ci riesco, è più forte di me. Spero che non vi sia dispiaciuta tutta questa introspezione. Io personalmente l'ho trovata utile e necessaria, e presto mi concentrerò più nel dettaglio su Spanner, gioia mia çAç ma come sono truzza, per la miseria.
Precisazione: la parola "neglia", credo che sia dialetto. Ha lo stesso significato di "cianfrusaglie", ma mi piace di più, perché trasmette quel senso di disordine, confusione, trasandatezza (?), non so se mi spiego. Se vi da fastidio e l'avete ritenuta inopportuna fatemelo sapere u_o
Grazie a Ari, perché è stata lei a darmi gran parte della forza per scrivere. Anche se, dai, un po' ce l'avevo di mio u_u <3

 
   
 
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