Figlio
mio, ti scrivo questa lettera sapendo che non avrò mai il coraggio per
spedirtela in vita. Ma voglio che tu, prima o poi, sappia la verità.
Nella mia vita ho ucciso, violentato, sfigurato, torturato. Sono solo un figlio
di puttana. Ero un Mangiamorte.
Ho avuto tue notizie recentemente, da un mio ex amico ora tuo professore. In
realtà gli ho scritto innumerevoli volte, ma solo all'ultima ha risposto. Si
capisce; Severus Piton ha una vita rispettabilissima, ora. Sono stato contento
di sapere che sei cresciuto forte e sano e che non somigli per nulla a me. Mi
ha detto che hai uno spirito coraggioso, che hai una mente quanto meno
brillante se non geniale. Dice che sei scontroso e irascibile, ma credo sia il
minimo da parte tua. In fondo, ti apprezza.
Mi chiedo che effetto mi farebbe rivederti. Non ti cercherò, è meglio così. Non
credo neanche che tu ne voglia sapere nulla di me. Magari mi credi morto per
una devastante epidemia, o magari un tossico senza soldi che ti ha abbandonato
perché non poteva mantenerti.
Strano che uno come me sia diventato un tale pezzo di merda.
Sono nato a Londra da due genitori affettuosi. Ho iniziato a detestarli dopo i
12 anni, ma non so ancora perché li odiassi tanto. Tre anni dopo di me è nato
mio fratello Gabriel. Quando eravamo bambini, giocavamo così tanto insieme!
Sin da ragazzino, verso i nove o forse dieci anni, volevo diventare qualcuno di
importante, qualcuno che sarebbe stato sulla bocca di tutti e sapevo che
Hogwarts mi avrebbe dato questa magnifica possibilità. Avrei fatto di tutto, in
quegli anni, per ottenere prestigio. Sapevo che a Hogwarts ci sarebbero andati
anche i figli di importanti famiglie magiche, gente con i soldi, con il potere,
con il prestigio che io cercavo.
Fui ovviamente smistato a Serpeverde, la Casa degli ambiziosi. Io ero corroso
dall'ambizione. Credo che la mia ambizione non fosse totalmente spontanea, ma
provocata da mio padre, che non faceva altro che raccontare come era riuscito a
fare la sua scalata sociale e a sposare mia madre, nobile ma economicamente
povera.
Feci di tutto per fare amicizia con Malfoy, Lucius Malfoy, che proveniva da una
famiglia a dir poco nobile. Diventammo inseparabili. Un paio di anni dopo
facemmo amicizia con un ragazzino bruttino e gracile, solitario e scontroso:
Severus Piton. La nostra amicizia difficilmente si può definire tale: lui si
sentiva importante alla nostra presenza perchè eravamo più grandi, ma in realtà
era solo il nostro cagnolino, il nostro giocattolo, il nostro schiavetto. Gli
facevamo fare "prove di coraggio" assurde e imbarazzanti facendogli
credere che solo così si sarebbe reso degno di noi. Una volta gli facemmo dire
davanti alla McGranitt una domanda volgarissima, facendogli credere che era una
domanda erudita: aveva solo 11 anni e non capiva molte delle parole che avevamo
inserito in tale domanda. Tutto questo ci sembrava estremamente divertente.
Io facevo carriera nella scuola. I professori mi credevano un gran bravo
ragazzo, uno che studia, rispettoso dei più anziani e gentile con i più piccoli.
In realtà ero quasi un delinquente. Usavo le ragazze per qualche giornata
piacevole, ricattavo i più piccoli e prendevo pesantemente in giro professori e
studenti anziani. Ero bello grosso già a 14 anni e venivo tranquillamente alle
mani anche per sciocchezze anche con i ragazzi più grandi di me. Ma il mio
divertimento preferito erano le scommesse: nulla mi dava quel brivido di
eccitazione come le scommesse! Io e Lucius scommettevamo di tutto, ed ogni
scommessa era più imprudente della precedente. Inizialmente scommettevamo solo
qualche caramella, qualche galeone, poi siamo passati a grandi cifre per
arrivare perfino alle persone.
Ero sporco, laido, opportunista.
Quando uscii da Hogwarts (con il massimo dei voti e un appassionato elogio del
preside Dippet), decisi di intraprendere la carriera al Ministero.
Ma un Mago potente, potentissimo, stava salendo al potere, Lord Voldemort. Fui
tra i primi a saperlo, tra i primi ad esserne affascinato. Era cresciuto in un
orfanotrofio, come te, in fondo, ed era pronto a sfidare il mondo e a
sottometterlo. Una grande figura per un giovane ambizioso pronto a tutto come
me. Non avevo neanche 20 anni, quando mi proposi suo servo.
L'oscuro Signore mi chiese una prova, come la chiedeva a tutti gli altri, per
entrare a far parte della sua cerchia. Una prova terribile. Dovevo uccidere la
mia famiglia. La uccisi. Iniziai con i miei nonni, per riscaldarmi, passai a
mio fratello, con cui tante volte avevo litigato su innumerevoli argomenti, e
per finire con mia madre e mio padre. Implorarono perdono e provai un'ebbrezza
fortissima ad ucciderli comunque.
Scoprii solo anni più tardi che sarei potuto diventare un Mangiamorte anche
senza ucciderli, ma certo non avrei avuto quel prestigio tanto ricercato!
Ero l'assassino preferito dal Signore Oscuro. Uccidevo gli obiettivi più
delicati, quelli dove anche i Mangiamorte più esperti potevano fallire. Non si
trattava di entrare in un luogo e sparare incantesimi ovunque, ma bisognava
introdursi lentamente, acquisire fiducia nelle persone che poi si avrebbero
dovuto uccidere. Avevo una faccia d'angelo, tutti mi avrebbero creduto. Sapevo
come farmi volere bene, sapevo come convincere le persone che ero un'ottima
persona, forse appena un po' eccentrica.
E poi, un caso che avrebbe potuto rendermi enormemente privilegiato! Una
ragazza. Era una testimone molto scomoda e andava eliminata. Era sola, senza
genitori nè fratelli. Un obiettivo apparentemente facile, ma in realtà
complicato. Era una donna poco più grande di me, giusto di un paio d'anni,
bella quanto intelligente. Stava fuggendo e lo faceva con una tale discrezione
che era difficile seguire i suoi spostamenti. Non si fidava di nessuno,
assolutamente di nessuno, ed era già riuscita a scampare a innumerevoli
attacchi grazie alla sua astuzia e alla sua bravura con ogni sorta di magia.
Per sbarazzarsene serviva qualcuno come me.
Mi finsi un innocuo babbano. I babbani erano gli unici di cui si fidava. Li
riconosceva grazie ad una pozione molto potente, che cambiava colore se la
persona era un mago. Ma io avevo condensato tutto il mio potere magico in una
scatola grazie ad un potente incantesimo oscuro. Passai il test. Piano piano
riuscii a conquistare la sua fiducia. Lentamente, con discrezione, visitandola
una volta alla settimana, poi due, poi tre, infine tutti i giorni. Era una
donna bellissima, molto diversa da quelle che conscevo. Si chiamava Lilian.
Iniziai a provare una cosa nuova per me. Iniziai a voler rinunciare a
quell'assassinio. Mi sembrava ingiusto. Non sembrava intenzionata a fare la
spia al Ministero, pensai addirittura ad uno scambio di persona. Magari non era
lei, magari lei era solo una che le somigliava. Rallentai l'operazione. Dicevo
al mio padrone che era una tipa difficile, non potevo ancora consegnarla.
Poichè non mentivo, il Signore Oscuro non vedeva la mia menzogna e mi lasciava
fare. Piano piano, caddi sotto il suo incantesimo.
No, nessuna pozione, nessuna formula, nessun sortilegio. Mi innamorai di lei. E
continuavo a rallentare l'operazione.
Il sentimento che provavo per lei era sincero, fortissimo, sconvolgente. La
amavo veramente e sapevo di non poterla più uccidere, nè consegnare. Il suo
amore per lei mi redimeva. Iniziai a sentirmi in colpa per gli omicidi e le
violenze che avevo fatto fino ad allora. Volevo cancellare la mia vita, per
ricostruirla con lei. Anche lei mi amava. Con il Signore Oscuro riuscivo a
temporeggiare, ma sapevo che non sarebbe durata a lungo. Lei era rimasta incinta di me e presto sarebbe nato nostro figlio. Dovevamo fuggire in un posto
lontano, ma non era facile spostarsi a quel tempo. Non potevo nascondermi, il
tradimento sarebbe stato evidente. Dovevo semplicemente scomparire.
Nascesti nel momento meno opportuno, quando tutto sembrava pronto per sparire.
Il viaggio ti avrebbe ucciso e dovemmo rimandare. La nostra scelta le fu
fatale.
Il Signore Oscuro aveva visto il mio ritardo ed aveva affidato ad altri quel
caso. Me lo comunicò personalmente. Quando tornai da lei, era troppo tardi.
Il suo corpo era disteso senza vita per terra. Si era difesa, ma non era
bastato. Erano troppi. Cinque, forse di più. Il dolore mi prese forte come non
mai, piansi per ore. Pensai a suicidarmi, ma poi mi resi conto che neanche la
morte avrebbe alleviato quel dolore. Forse la mia no, ma la morte dei suoi assassini
poteva farlo. Seguii i suoi uccisori e li uccisi tutti. Tutti quanti, uno per
uno. Cercai di farli soffrire prima di dar loro il colpo di grazia. Ero quasi
in uno stato di trance, il dolore annebbiava tutti i pensieri d'amore che avevo
avuto nei mesi precedenti.
Tornai a casa, pronto a suicidarmi, quando sentii il tuo pianto. Pensai che non
dovevo uccidermi, finchè c'eri tu. Dovevo salvarti, se non ero riuscito a
salvare tua madre. Potevamo ancora scappare. Potevamo forse farcela, prima che
l'Oscuro Signore si rendesse conto delle mie azioni.
Piangevi affamato nell'altra stanza. Evidentemente gli assassini avevano subito
trovato Lilian e non si erano messi ad esplorare casa. Ti avvolsi nella tua
coperta e uscimmo di casa. Ti stringevo al petto forte e piano piano mi rendevo
conto che tutto quello che era successo nelle precedenti ore era vero. Ti
guardai negli occhi, un istante, nei tuoi grandi occhi blu. Mi resi conto solo
allora quanto somigliavi a tua madre. Erano gli stessi occhi, lo stesso sguardo.
Vederli, sapendo che Lilian non era più accanto a me, mi era insopportabile.
Non potevo vederli. Non ci riuscivo.
Capii in quell'istante che non potevo assolutamente portarti con me, avrei
iniziato ad odiarti per la tua straodinaria somiglianza con tua madre. Dovevo
lasciarti da qualche parte.
Mi resi conto che Lord Voldemort non voleva te, non voleva ucciderti. Forse non
sapeva neanche della tua esistenza. Potevo lasciarti in un posto qualsiasi, non
ti avrebbe mai trovato.
Scrissi un biglietto velocissimo con il tuo nome e ti lasciai in un
orfanotrofio babbano. Riuscii a scappare in Sud America, dove ancora mi trovo.
Scrissi una lettera a Silente, raccontandogli la vicenda. Sapevo che era
diventato preside a Hogwarts e che era l'unico uomo capace di fronteggiare
l'Oscuro Signore. Pensai di rivolgermi a lui per questo.
Sto morendo. L'unica persona che vedo è un uomo indigeno che ha da poco perso
la moglie per una malattia, mi viene spesso a trovare per portarmi del cibo o
semplicemente per fare delle chiacchierate. Gli chiederò di mandarti questa
lettera, quando sarò morto.
Addio, figlio mio.