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Autore: rolly too    20/03/2011    1 recensioni
Pietro è convinto che sia Nader quello strano. E' lui che si sta allontanando, è lui che improvvisamente sembra faticare a stargli accanto.Pietro è consapevole dei propri errori e sa che rivelarli significherebbe dire addio a Nader. Ma tenerli nascosti non è semplice, e la scelta più facile potrebbe non essere la scelta migliore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Sapevo che avresti richiamato.» commenta la voce di Sebastiano, tranquilla, quando risponde.
Sebastiano! Ho chiamato lui, e non Nader. Nader, che pure stavo cercando. Era con lui che volevo parlare e invece ho chiamato Sebastiano. Forse ha ragione mia madre quando dice che dovrei prendere in considerazione l'idea di andare in analisi.
«Sebastiano?» gracchio, sperando di scoprire che mi sono sbagliato, che in realtà c'è ancora Nader dall'altra parte.
«No, la Fata Turchina.» risponde lui. «Ma certo che sono Sebastiano, chi altro, sennò? Allora, stai ancora male?»
Taccio e l'unica cosa che riesco a fare è sedermi sul letto, in silenzio, e passarmi una mano davanti al volto. Com'è potuto succedere? È sbagliato, sbagliato! Ma che cosa ho in testa?
«Ci sei ancora?» domanda Sebastiano.
«Sì, sì.» mormoro. «Sì, certo. Sto meglio, sì.» farfuglio in risposta alla domanda precedente.
«Non mi sembra proprio.» commenta lui. «Parli in modo strano
«Ho solo... sonno.» brontolo. «Non ho dormito bene.»
«Un vero peccato.» replica lui. «E dimmi, la tua moto
«Non so ancora niente. È andata a prenderla mia madre.»
Segue qualche istante di silenzio.
«Tua mamma sa guidare una moto
«Mia madre guiderebbe un tirannosauro, se esistessero ancora e se avessero un volante.»
«Che figata!» esclama. Eh, già, una figata pazzesca. Soprattutto quando lei, piena del suo spirito di giustizia e della sua incomprensibile avventatezza, non si fa scrupoli a premere sull'acceleratore per inseguire qualcuno che le ha tagliato la strada. «La vorrei anch'io una mamma così
«Non sai quello che dici.»
«Tu non sai quello che dici. Mia mamma è tanto buona, però non fa niente. Non sa guidare, non sa usare il computer, non sa nemmeno usare il cellulare. Io le voglio bene, sai, però a volte è un po' come un soprammobile
«Un soprammobile...» ripeto. Che cattiveria, parlare così della propria madre!
«Non è importante.» conclude lui con tono frettoloso. «Piuttosto, com'è che hai già chiamato? Non hai avuto bisogno di pensarci a fondo, per chiederti se è davvero quello che vuoi fare?» La sua voce canzonatoria mi irrita e mi fa ricordare che, in effetti, sarebbe stata proprio quella la cosa giusta da fare. Perché io, in realtà, volevo chiamare Nader. Nader! Ed è Nader che chiamerò. Punto.
«Sì, be', in realtà ho sbagliato numero.»
«Oh-oh!» esclama lui, poi scoppia a ridere. «Vuol dire che lo conosci abbastanza bene da digitarlo senza pensare? Sono lusingato
«Piantala!»
«Eh
«Avevo il biglietto in mano e l'ho letto senza pensare. Adesso scusa, ma devo proprio riattaccare.»
Riaggancio e getto il cellulare sul letto. Al diavolo! Non chiamerò Nader. Andrò direttamente da lui. E fingerò di essermi dimenticato il telefono a casa, così nessuno mi disturberà.
Non finisco nemmeno di pensare e sono già davanti alla porta di casa.
«Prendi il telefono.» si raccomanda mia madre con voce perentoria. «Se ti sentissi male e avessi bisogno di chiamare l'ospedale, ti pentiresti sapendo di averlo lasciato a casa.»
La mia cara mamma e il suo inguaribile ottimismo.
«Va bene, va bene.» borbotto tornando nella mia stanza. «Però preferirei non averne bisogno.»
«Te lo auguro.» sorride lei.

La zia di Nader mi mette sempre soggezione, un po' perché non capisce quello che dico e io non capisco quello che dice lei; un po' perché mi sorride sempre e la pelle, che ha il colore della sabbia, si tende vicino alla bocca; un po' perché, con il suo velo verde che le copre i capelli scuri e lo sguardo intenso dei suoi occhi neri, mi fa venire in mente terre sperdute, immerse nel deserto, e sole e cielo azzurro che qui non si possono vedere.
«Nader jan!» chiama allontanandosi da me e andando verso la stanza del mio ragazzo – e poi, che cosa farebbe se scoprisse quello che c'è davvero tra me e lui? Mi offrirebbe ancora il té? Mi sorriderebbe ancora? - ma faccio fatica persino a capire che sta pronunciando il suo nome.
Per risposta sento qualche parola borbottata in farsi, l'immediata correzione di Farzana e poi dalla porta avanza, con gli occhi gonfi di sonno e la camicia stropicciata, Nader.
«Non dirmi che dormivi a quest'ora!» esclamo vedendomelo comparire davanti in quelle condizioni.
«Mi avevi detto che chiamavi, quando finiva la festa.» mugugna invece lui.
È vero, ha ragione. Gliel'avevo detto, ma poi mi è passato di mente.
«Sì, lo so. Ma ero talmente stanco che mi è venuta la febbre e mi sono dimenticato.»
«Faccio finta di crederti.» replica lui. «Se aspetti, mi vado a cambiare e usciamo.»
«D'accordo.»
Nader torna nella sua stanza e io, seduto sul divano, aspetto guardandomi intorno. E non posso fare a meno di rabbrividire quando sento la chiave che gira nella serratura della porta d'ingresso, perché so benissimo che quella è Fazila che ritorna dal lavoro, e a cui non piace mai trovarmi qui. E adesso che ne ho bisogno, pure zia Farzana è scomparsa. E io sono solo davanti alla madre di Nader, che, al suo solito, mi rivolge un'occhiata carica di sopportazione e solo dopo si decide a farmi un sorriso.
«Salaam, Pietro jan.»
«Buongiorno, Fazila.»
«Stai aspettando quel pigrone di mio figlio?»
«Ha detto che si deve cambiare.»
«Certo, capisco. Ti trovo bene, Pietro caro. A scuola come va?»
«Tranquillo. Nader mi ha aiutato con l'ultimo compito di matematica.»
«Sì, a lui piacciono i numeri.»
«Vero. È stato molto gentile.» È il mio ragazzo, Fazila! Perché non ti accorgi di niente? Come fai a credere ancora alla storia dei compiti?
«E le ragazze?» chiede lei.
«Forse ce n'è una... con cui potrei uscire ogni tanto.» Sai che non mi interessano le ragazze, Fazila cara. Perché menti ancora? Perché costringi me a mentire? Perché non riesci ad accettarlo? So che lo sai, Fazila. Non sei una sprovveduta, non sei una sciocca. Conosci bene il tuo Nader, sai tutto quello che gli passa per la testa, perché lui non è capace di nasconderti niente. E tu? Tu ancora taci?
«Sarebbe bello.» sospira sedendosi accanto a me. Lancia un'occhiata fugace alla porta del corridoio e dice a voce alta:
«Nader! Disgraziato ragazzo, cosa stai facendo? C'è il tuo amico che ti aspetta!»
«Arrivo, arrivo!» la voce di Nader arriva scocciata, ma dopo poco ci raggiunge e mi sorride. «Andiamo?»
«Certo.»
«Non fare tardi, eh?» si raccomanda Fazila. Ci guarda mentre usciamo, scuote la testa e chiude la porta alle nostre spalle.
«Senti un po', Moretto,» dico allora mentre scendiamo le scale «credi che tua madre sospetti qualcosa?»
«Di noi due?»
«Sì.»
Sospira.
«Non lo so. Credo di no... Voglio dire... Io non gliel'ho mai detto, ho cercato di non farglielo capire. Però a volte mi viene il dubbio che lo sappia, che l'abbia capito. Io non sono bravo a nascondere le cose. Soprattutto queste.»
«Se lo capisse, credi che te ne parlerebbe?»
«Non lo so.» All'improvviso mi sembra sfibrato, distrutto. «Pietro jan, non voglio parlare di queste cose.»
Va bene, Moretto, va bene. Ma pensaci un po': e se Fazila sapesse già? Guardala mentre ti osserva, mentre ci osserva. Non lo vedi anche tu che i suoi occhi hanno una consapevolezza strana, come se nascondesse un segreto? Non la senti quando parla di ragazze, e chiede come mai sia io che te non abbiamo nessuna che ci interessi?
«Raccontami della festa.»
La festa... Non volevo arrivare qui. Non volevo che mi ricordasse quello che ho fatto, quello che ho detto. Sebastiano. Come ho potuto mentire? Come ho fatto a ignorare Nader con tale facilità? Avevo appena dichiarato di essere omosessuale, non sarebbe stato altrettanto semplice parlare di Nader?
«È stata normale.» rispondo comunque. «Ho conosciuto una ragazza che mi ha costretto a giocare a calcio con lei.»
«E com'è andata?» chiede lui, che sa benissimo quale sia il mio rapporto con quello sport.
«Terribile. Mi ha stracciato, ovviamente.»
«Non avevo il minimo dubbio.»
«Ti ringrazio. Il tuo conforto mi è di grande aiuto.»
«Ma è la verità, nay
«Sì.» ammetto. «E tu? Sei sempre rimasto a casa?»
«Mmm. Baba ha chiamato dall'America.»
Fantastico. Il tono di Nader si è spento, a quelle parole. Non possono essere buone notizie, dunque. Come sempre. E come sempre, io non so che cosa dire. Di che conforto potrebbe essergli una considerazione sul fatto che il padre non ha  tempo per prendere un aereo e venire a trovarlo?
«E che cos'ha detto?» gli domando comunque, cercando di non mostrare il disappunto.
«Che sta lavorando tanto.» borbotta Nader allungando una mano per fermare l'autobus che sta passando proprio in quel momento. Tutti i sedili sono liberi, ma sono tanto larghi che ci sediamo in due sullo stesso. Nader si fissa le ginocchia e si tormenta le unghie, pensieroso. «Ha detto che non viene nemmeno il mese prossimo.»
«Ah.»
«Però, ascolta...» riprende, titubante.
«Cosa?»
«Quando è finita la scuola mi ha chiesto di andare lì. Un mese.»
Un mese. Negli Stati Uniti. Quando è finita la scuola. Tra undici giorni. Un mese intero senza vedere Nader. E anche senza sentirlo, perché i miei genitori non mi permetterebbero mai di fare un'intercontinentale. Odio il padre di Nader.
«Pietro jan
«Sì. Bello.» rispondo meccanicamente, senza riuscire a fare di meglio. Ho la gola secca.
«Per favore, Pietro jan, non fare così!»
«No, senti,» gracchio. Poi sospiro e mi calmo. Non ci si comporta così, Pietro. Nader ha il diritto di vedere suo padre. «Senti,» riprendo, più convincente, «va bene. Ci devi andare. Non lo vedi da tanto tempo... Nader, vai lì e divertiti.»
Fa un sorriso tirato e annuisce.
«È da quasi un anno che non lo vedo. Anche a me dispiace andare via, ma non è poi per così tanto.»
«Trenta giorni.»
«Sì.»
Scendiamo dall'autobus vicino alla stazione, andiamo in Campo Marzio e ci sediamo a terra, sull'erba secca.
«La ragazza come si chiama?» domanda Nader all'improvviso. È di nuovo allegro come prima. Non pensa più all'America, né a suo padre. Ha in mente la festa.
«Marta. E avresti anche potuto venire con me, tra parentesi.» aggiungo. «Luca si è fatto vedere solo quando sono arrivato e poi ha bevuto talmente tanto che non si è nemmeno accorto che sono andato via prima.»
Lo sguardo di Nader si affila e io mi mordo le labbra. Ecco, sta per iniziare l'interrogatorio. Come ho fatto a lasciarmi scappare un'informazione tanto importante?
«Prima?» chiede infatti Nader.
«Non l'ho detto.» tento di salvarmi. Non voglio che inizi a farmi domande. So benissimo che finirei per dire qualcosa di troppo, perché Nader è uno stratega e io non penso mai prima di aprire bocca.
«Non sono ahmaq, fesso, Pietro jan. Ho sentito che l'hai detto.»
«E va bene, va bene, l'ho detto.» mi arrendo. E adesso, devo solo fare attenzione a quello che dico. «Era presto.»
«Come mai?»
«Non stavo bene.»
«Cos'avevi?»
«Febbre.»
«Ed è durata un giorno solo?»
«Sì. Forse ero solo stanco.»
«Ma non ti divertivi?»
«Ma sì, soltanto che non mi sentivo bene, te l'ho detto.»
«E ti sei fatto venire a prendere?»
«No.» E adesso attenzione, Pietro, attenzione... «Ero in moto.»
«E hai guidato anche se stavi male, incosciente?»
E adesso? Ammetto di essermi fatto accompagnare da un ragazzo che nemmeno conosco, come un folle, o dico di essere tornato in moto, da solo?
La voce di mia madre mi attraversa in un lampo la mente.
Un uomo che mente è un uomo debole.
Decido di dire la verità.
«Mi ha accompagnato a casa un ragazzo. La moto non partiva.»
Nader tace per qualche secondo, poi mi guarda con intensità.
«Chi?»
«L'ho incontrato lì, si chiama Sebastiano. Ha visto che avevo problemi con la moto.» Il ricordo mi riempie, di nuovo, di sensi di colpa. All'improvviso ho la nausea, ma la ignoro. Non devi vomitare davvero, mi ripeto. È soltanto una reazione psicologica. Puoi controllarla se riesci a calmarti. Ma è difficile, con Nader davanti. Come ho fatto? Come ho fatto? Nader, che amo così tanto... L'idea di un mese senza di lui mi fa impazzire, eppure non ho avuto un momento di esitazione nel fingere di dimenticarmi di lui. E ora, mentre mi guarda, con gli occhi chiari puntati nei miei, è difficile resistere alla tentazione di confessargli tutto. Ma farlo non andrebbe bene. Conoscendolo, dirglielo servirebbe solo a rompere definitivamente con lui. Non mi concederebbe una seconda opportunità, non per una cosa così.
«E così,» continua lui, «Sebastiano ti ha riportato a casa.»
«Sì.»
«Che tipo è?»
«In che senso?»
«Avete parlato? È simpatico?»
Non sbilanciarti, Pietro.
«Bah, non saprei. Abbiamo chiacchierato, ma erano solo cinque minuti di macchina. Non abbiamo parlato di niente di importante, al solito. Sai... Chiacchiere.»
Ti sto mentendo, Moretto, ti sto mentendo! Mi ha chiesto se sono fidanzato, e io gli ho detto di no. Non so perché l'ho fatto. Se vuoi, prova a giungere tu alle tue conclusioni. Io non saprei davvero che cosa dire.
«D'accordo.»
Tace, e anch'io non so più che argomento tirare fuori. Alla fine, stanco di quel silenzio, mi butto.
«E tua zia? Si ferma ancora?»
«Forse. Non sembra che voglia tornare là.»
«Le piace l'Italia?»
«Credo di sì. Io non capisco niente di quello che dice. Però sta imparando un po' di italiano.»
Di nuovo silenzio.
«Ma questo Sebastiano...» riprende poi Nader, insistente. Basta così, insomma! Perché continua a pensarci? «Lo vedi ancora, poi?»
«Ma che cosa vuoi?» sbotto, stanco di quel discorso. «No che non lo vedrò di nuovo!»
Nader si ritrae davanti alla mia rabbia. Ma non ce l'ho con lui. Voglio solo dimenticare Sebastiano, e più ne parliamo più mi rendo conto che è difficile.
«Non so nemmeno chi sia! Ci siamo incontrati lì, mi ha riportato a casa e basta!» Mi ha anche dato il suo numero di telefono, Nader. Io l'ho già imparato a memoria e questa mattina, invece che chiamare te, ho chiamato lui.
«D'accordo, d'accordo...» Alza le mani in segno di resa e mi sorride. Ma non sembra molto convinto.
Un uomo che mente è un uomo debole, Pietro.
Ma non ho mentito. Ho taciuto una parte degli avvenimenti, tutto qui. Non sono debole.
«Andiamo a mangiare qualcosa?» propone debolmente Nader alzandosi da terra. Annuisco e mi alzo anch'io. Ma improvvisamente non ho più voglia di stare lì. Non mi va di rimanere con lui, che non si fida mai di me, che mi lancia occhiate furtive, che organizza i discorsi in modo da portarmi a ingannarmi e a dire la verità. Sa che ho nascosto qualcosa, perché sa interpretare bene le mie espressioni. Ma non voglio che mi assilli.
All'improvviso, con cattiveria, penso che non vedo l'ora che passino questi undici giorni.

 

Pensavate che mi fossi dimenticata di questa storia, vero? E invece no! Procede solo un po' a rilento...
Che dire? Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino. Nel frattempo, vi ringrazio per averlo letto.
Mi farebbe molto piacere sapere che cosa ne pensate.

Baci,

rolly too

   
 
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