«Sapevo che avresti richiamato.» commenta la
voce di Sebastiano, tranquilla, quando risponde.
Sebastiano! Ho chiamato
lui, e non Nader. Nader, che pure stavo cercando. Era con lui che volevo parlare
e invece ho chiamato Sebastiano. Forse ha ragione mia madre quando dice che
dovrei prendere in considerazione l'idea di andare in analisi.
«Sebastiano?»
gracchio, sperando di scoprire che mi sono sbagliato, che in realtà c'è ancora
Nader dall'altra parte.
«No, la Fata Turchina.» risponde lui.
«Ma certo che sono Sebastiano, chi altro, sennò? Allora, stai ancora
male?»
Taccio e l'unica cosa che riesco a fare è sedermi sul letto, in
silenzio, e passarmi una mano davanti al volto. Com'è potuto succedere? È
sbagliato, sbagliato! Ma che cosa ho in testa?
«Ci sei ancora?»
domanda Sebastiano.
«Sì, sì.» mormoro. «Sì, certo. Sto meglio, sì.»
farfuglio in risposta alla domanda precedente.
«Non mi sembra
proprio.» commenta lui. «Parli in modo strano.»
«Ho solo...
sonno.» brontolo. «Non ho dormito bene.»
«Un vero peccato.» replica
lui. «E dimmi, la tua moto?»
«Non so ancora niente. È andata a
prenderla mia madre.»
Segue qualche istante di silenzio.
«Tua mamma sa
guidare una moto?»
«Mia madre guiderebbe un tirannosauro, se esistessero
ancora e se avessero un volante.»
«Che figata!» esclama. Eh, già,
una figata pazzesca. Soprattutto quando lei, piena del suo spirito di giustizia
e della sua incomprensibile avventatezza, non si fa scrupoli a premere
sull'acceleratore per inseguire qualcuno che le ha tagliato la strada. «La
vorrei anch'io una mamma così.»
«Non sai quello che dici.»
«Tu
non sai quello che dici. Mia mamma è tanto buona, però non fa niente. Non sa
guidare, non sa usare il computer, non sa nemmeno usare il cellulare. Io le
voglio bene, sai, però a volte è un po' come un soprammobile.»
«Un
soprammobile...» ripeto. Che cattiveria, parlare così della propria madre!
«Non è importante.» conclude lui con tono frettoloso.
«Piuttosto, com'è che hai già chiamato? Non hai avuto bisogno di pensarci a
fondo, per chiederti se è davvero quello che vuoi fare?» La sua voce
canzonatoria mi irrita e mi fa ricordare che, in effetti, sarebbe stata proprio
quella la cosa giusta da fare. Perché io, in realtà, volevo chiamare Nader.
Nader! Ed è Nader che chiamerò. Punto.
«Sì, be', in realtà ho sbagliato
numero.»
«Oh-oh!» esclama lui, poi scoppia a ridere. «Vuol dire
che lo conosci abbastanza bene da digitarlo senza pensare? Sono
lusingato!»
«Piantala!»
«Eh?»
«Avevo il biglietto in
mano e l'ho letto senza pensare. Adesso scusa, ma devo proprio
riattaccare.»
Riaggancio e getto il cellulare sul letto. Al diavolo! Non
chiamerò Nader. Andrò direttamente da lui. E fingerò di essermi dimenticato il
telefono a casa, così nessuno mi disturberà.
Non finisco nemmeno di pensare e
sono già davanti alla porta di casa.
«Prendi il telefono.» si raccomanda mia
madre con voce perentoria. «Se ti sentissi male e avessi bisogno di chiamare
l'ospedale, ti pentiresti sapendo di averlo lasciato a casa.»
La mia cara
mamma e il suo inguaribile ottimismo.
«Va bene, va bene.» borbotto tornando
nella mia stanza. «Però preferirei non averne bisogno.»
«Te lo auguro.»
sorride lei.
La zia di Nader mi mette sempre soggezione, un po'
perché non capisce quello che dico e io non capisco quello che dice lei; un po'
perché mi sorride sempre e la pelle, che ha il colore della sabbia, si tende
vicino alla bocca; un po' perché, con il suo velo verde che le copre i capelli
scuri e lo sguardo intenso dei suoi occhi neri, mi fa venire in mente terre
sperdute, immerse nel deserto, e sole e cielo azzurro che qui non si possono
vedere.
«Nader jan!» chiama allontanandosi da me e andando verso la
stanza del mio ragazzo – e poi, che cosa farebbe se scoprisse quello che c'è
davvero tra me e lui? Mi offrirebbe ancora il té? Mi sorriderebbe ancora? - ma
faccio fatica persino a capire che sta pronunciando il suo nome.
Per risposta
sento qualche parola borbottata in farsi, l'immediata correzione di Farzana e
poi dalla porta avanza, con gli occhi gonfi di sonno e la camicia stropicciata,
Nader.
«Non dirmi che dormivi a quest'ora!» esclamo vedendomelo comparire
davanti in quelle condizioni.
«Mi avevi detto che chiamavi, quando finiva la
festa.» mugugna invece lui.
È vero, ha ragione. Gliel'avevo detto, ma poi mi
è passato di mente.
«Sì, lo so. Ma ero talmente stanco che mi è venuta la
febbre e mi sono dimenticato.»
«Faccio finta di crederti.» replica lui. «Se
aspetti, mi vado a cambiare e usciamo.»
«D'accordo.»
Nader torna nella sua
stanza e io, seduto sul divano, aspetto guardandomi intorno. E non posso fare a
meno di rabbrividire quando sento la chiave che gira nella serratura della porta
d'ingresso, perché so benissimo che quella è Fazila che ritorna dal lavoro, e a
cui non piace mai trovarmi qui. E adesso che ne ho bisogno, pure zia Farzana è
scomparsa. E io sono solo davanti alla madre di Nader, che, al suo solito, mi
rivolge un'occhiata carica di sopportazione e solo dopo si decide a farmi un
sorriso.
«Salaam, Pietro jan.»
«Buongiorno, Fazila.»
«Stai
aspettando quel pigrone di mio figlio?»
«Ha detto che si deve
cambiare.»
«Certo, capisco. Ti trovo bene, Pietro caro. A scuola come
va?»
«Tranquillo. Nader mi ha aiutato con l'ultimo compito di
matematica.»
«Sì, a lui piacciono i numeri.»
«Vero. È stato molto
gentile.» È il mio ragazzo, Fazila! Perché non ti accorgi di niente? Come fai a
credere ancora alla storia dei compiti?
«E le ragazze?» chiede lei.
«Forse ce n'è una... con cui potrei uscire ogni tanto.» Sai che non mi
interessano le ragazze, Fazila cara. Perché menti ancora? Perché costringi me a
mentire? Perché non riesci ad accettarlo? So che lo sai, Fazila. Non sei una
sprovveduta, non sei una sciocca. Conosci bene il tuo Nader, sai tutto quello
che gli passa per la testa, perché lui non è capace di nasconderti niente. E tu?
Tu ancora taci?
«Sarebbe bello.» sospira sedendosi accanto a me. Lancia
un'occhiata fugace alla porta del corridoio e dice a voce alta:
«Nader!
Disgraziato ragazzo, cosa stai facendo? C'è il tuo amico che ti
aspetta!»
«Arrivo, arrivo!» la voce di Nader arriva scocciata, ma dopo poco
ci raggiunge e mi sorride. «Andiamo?»
«Certo.»
«Non fare tardi, eh?» si
raccomanda Fazila. Ci guarda mentre usciamo, scuote la testa e chiude la porta
alle nostre spalle.
«Senti un po', Moretto,» dico allora mentre scendiamo le
scale «credi che tua madre sospetti qualcosa?»
«Di noi due?»
«Sì.»
Sospira.
«Non lo so. Credo di no... Voglio dire... Io non
gliel'ho mai detto, ho cercato di non farglielo capire. Però a volte mi viene il
dubbio che lo sappia, che l'abbia capito. Io non sono bravo a nascondere le
cose. Soprattutto queste.»
«Se lo capisse, credi che te ne
parlerebbe?»
«Non lo so.» All'improvviso mi sembra sfibrato, distrutto.
«Pietro jan, non voglio parlare di queste cose.»
Va bene, Moretto, va bene.
Ma pensaci un po': e se Fazila sapesse già? Guardala mentre ti osserva, mentre
ci osserva. Non lo vedi anche tu che i suoi occhi hanno una consapevolezza
strana, come se nascondesse un segreto? Non la senti quando parla di ragazze, e
chiede come mai sia io che te non abbiamo nessuna che ci interessi?
«Raccontami della festa.»
La festa... Non volevo arrivare qui. Non
volevo che mi ricordasse quello che ho fatto, quello che ho detto. Sebastiano.
Come ho potuto mentire? Come ho fatto a ignorare Nader con tale facilità? Avevo
appena dichiarato di essere omosessuale, non sarebbe stato altrettanto semplice
parlare di Nader?
«È stata normale.» rispondo comunque. «Ho conosciuto una
ragazza che mi ha costretto a giocare a calcio con lei.»
«E com'è andata?»
chiede lui, che sa benissimo quale sia il mio rapporto con quello
sport.
«Terribile. Mi ha stracciato, ovviamente.»
«Non avevo il minimo
dubbio.»
«Ti ringrazio. Il tuo conforto mi è di grande aiuto.»
«Ma è la
verità, nay?»
«Sì.» ammetto. «E tu? Sei sempre rimasto a
casa?»
«Mmm. Baba ha chiamato dall'America.»
Fantastico. Il tono
di Nader si è spento, a quelle parole. Non possono essere buone notizie, dunque.
Come sempre. E come sempre, io non so che cosa dire. Di che conforto potrebbe
essergli una considerazione sul fatto che il padre non ha tempo per
prendere un aereo e venire a trovarlo?
«E che cos'ha detto?» gli domando
comunque, cercando di non mostrare il disappunto.
«Che sta lavorando tanto.»
borbotta Nader allungando una mano per fermare l'autobus che sta passando
proprio in quel momento. Tutti i sedili sono liberi, ma sono tanto larghi che ci
sediamo in due sullo stesso. Nader si fissa le ginocchia e si tormenta le
unghie, pensieroso. «Ha detto che non viene nemmeno il mese
prossimo.»
«Ah.»
«Però, ascolta...» riprende, titubante.
«Cosa?»
«Quando è finita la scuola mi ha chiesto di andare lì. Un mese.»
Un mese.
Negli Stati Uniti. Quando è finita la scuola. Tra undici giorni. Un mese intero
senza vedere Nader. E anche senza sentirlo, perché i miei genitori non mi
permetterebbero mai di fare un'intercontinentale. Odio il padre di
Nader.
«Pietro jan?»
«Sì. Bello.» rispondo meccanicamente, senza
riuscire a fare di meglio. Ho la gola secca.
«Per favore, Pietro jan, non
fare così!»
«No, senti,» gracchio. Poi sospiro e mi calmo. Non ci si comporta
così, Pietro. Nader ha il diritto di vedere suo padre. «Senti,» riprendo, più
convincente, «va bene. Ci devi andare. Non lo vedi da tanto tempo... Nader, vai
lì e divertiti.»
Fa un sorriso tirato e annuisce.
«È da quasi un anno che
non lo vedo. Anche a me dispiace andare via, ma non è poi per così
tanto.»
«Trenta giorni.»
«Sì.»
Scendiamo dall'autobus vicino alla
stazione, andiamo in Campo Marzio e ci sediamo a terra, sull'erba secca.
«La
ragazza come si chiama?» domanda Nader all'improvviso. È di nuovo allegro come
prima. Non pensa più all'America, né a suo padre. Ha in mente la
festa.
«Marta. E avresti anche potuto venire con me, tra parentesi.»
aggiungo. «Luca si è fatto vedere solo quando sono arrivato e poi ha bevuto
talmente tanto che non si è nemmeno accorto che sono andato via prima.»
Lo
sguardo di Nader si affila e io mi mordo le labbra. Ecco, sta per iniziare
l'interrogatorio. Come ho fatto a lasciarmi scappare un'informazione tanto
importante?
«Prima?» chiede infatti Nader.
«Non l'ho detto.» tento di
salvarmi. Non voglio che inizi a farmi domande. So benissimo che finirei per
dire qualcosa di troppo, perché Nader è uno stratega e io non penso mai prima di
aprire bocca.
«Non sono ahmaq, fesso, Pietro jan. Ho sentito che
l'hai detto.»
«E va bene, va bene, l'ho detto.» mi arrendo. E adesso, devo
solo fare attenzione a quello che dico. «Era presto.»
«Come mai?»
«Non
stavo bene.»
«Cos'avevi?»
«Febbre.»
«Ed è durata un giorno
solo?»
«Sì. Forse ero solo stanco.»
«Ma non ti divertivi?»
«Ma sì,
soltanto che non mi sentivo bene, te l'ho detto.»
«E ti sei fatto venire a
prendere?»
«No.» E adesso attenzione, Pietro, attenzione... «Ero in
moto.»
«E hai guidato anche se stavi male, incosciente?»
E adesso? Ammetto
di essermi fatto accompagnare da un ragazzo che nemmeno conosco, come un folle,
o dico di essere tornato in moto, da solo?
La voce di mia madre mi attraversa
in un lampo la mente.
Un uomo che mente è un uomo debole.
Decido
di dire la verità.
«Mi ha accompagnato a casa un ragazzo. La moto non
partiva.»
Nader tace per qualche secondo, poi mi guarda con
intensità.
«Chi?»
«L'ho incontrato lì, si chiama Sebastiano. Ha visto che
avevo problemi con la moto.» Il ricordo mi riempie, di nuovo, di sensi di colpa.
All'improvviso ho la nausea, ma la ignoro. Non devi vomitare davvero, mi ripeto.
È soltanto una reazione psicologica. Puoi controllarla se riesci a calmarti. Ma
è difficile, con Nader davanti. Come ho fatto? Come ho fatto? Nader, che amo
così tanto... L'idea di un mese senza di lui mi fa impazzire, eppure non ho
avuto un momento di esitazione nel fingere di dimenticarmi di lui. E ora, mentre
mi guarda, con gli occhi chiari puntati nei miei, è difficile resistere alla
tentazione di confessargli tutto. Ma farlo non andrebbe bene. Conoscendolo,
dirglielo servirebbe solo a rompere definitivamente con lui. Non mi concederebbe
una seconda opportunità, non per una cosa così.
«E così,» continua lui,
«Sebastiano ti ha riportato a casa.»
«Sì.»
«Che tipo è?»
«In che
senso?»
«Avete parlato? È simpatico?»
Non sbilanciarti, Pietro.
«Bah,
non saprei. Abbiamo chiacchierato, ma erano solo cinque minuti di macchina. Non
abbiamo parlato di niente di importante, al solito. Sai... Chiacchiere.»
Ti
sto mentendo, Moretto, ti sto mentendo! Mi ha chiesto se sono fidanzato, e io
gli ho detto di no. Non so perché l'ho fatto. Se vuoi, prova a giungere tu alle
tue conclusioni. Io non saprei davvero che cosa dire.
«D'accordo.»
Tace, e
anch'io non so più che argomento tirare fuori. Alla fine, stanco di quel
silenzio, mi butto.
«E tua zia? Si ferma ancora?»
«Forse. Non sembra che
voglia tornare là.»
«Le piace l'Italia?»
«Credo di sì. Io non capisco
niente di quello che dice. Però sta imparando un po' di italiano.»
Di nuovo
silenzio.
«Ma questo Sebastiano...» riprende poi Nader, insistente. Basta
così, insomma! Perché continua a pensarci? «Lo vedi ancora, poi?»
«Ma che
cosa vuoi?» sbotto, stanco di quel discorso. «No che non lo vedrò di nuovo!»
Nader si ritrae davanti alla mia rabbia. Ma non ce l'ho con lui. Voglio solo
dimenticare Sebastiano, e più ne parliamo più mi rendo conto che è
difficile.
«Non so nemmeno chi sia! Ci siamo incontrati lì, mi ha riportato a
casa e basta!» Mi ha anche dato il suo numero di telefono, Nader. Io l'ho già
imparato a memoria e questa mattina, invece che chiamare te, ho chiamato
lui.
«D'accordo, d'accordo...» Alza le mani in segno di resa e mi sorride. Ma
non sembra molto convinto.
Un uomo che mente è un uomo debole,
Pietro.
Ma non ho mentito. Ho taciuto una parte degli avvenimenti, tutto
qui. Non sono debole.
«Andiamo a mangiare qualcosa?» propone debolmente Nader
alzandosi da terra. Annuisco e mi alzo anch'io. Ma improvvisamente non ho più
voglia di stare lì. Non mi va di rimanere con lui, che non si fida mai di me,
che mi lancia occhiate furtive, che organizza i discorsi in modo da portarmi a
ingannarmi e a dire la verità. Sa che ho nascosto qualcosa, perché sa
interpretare bene le mie espressioni. Ma non voglio che mi
assilli.
All'improvviso, con cattiveria, penso che non vedo l'ora che passino
questi undici giorni.
Pensavate che mi fossi dimenticata di questa
storia, vero? E invece no! Procede solo un po' a rilento...
Che dire? Spero
vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino. Nel frattempo,
vi ringrazio per averlo letto.
Mi farebbe molto piacere sapere che cosa ne
pensate.
Baci,
rolly too