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Autore: HappyCloud    20/03/2011    5 recensioni
Una giornalista e una scommessa fatta da ubriaca che le travolgerà la vita, facendole incontrare molti uomini per poi giungere al punto in cui è sempre stata: dal suo Lui.
Sullo sfondo, un intricato caso su cui investigare e al quale trovare una soluzione per aiutare un amico. Guardandosi sempre bene alle spalle, perché il nemico non è mai troppo lontano.
Dal secondo capitolo:
Gli lanciai un’occhiataccia che non lasciava nulla all’interpretazione.
- “Tu sei pazzo se pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo”.
Nick non si scompose neanche per un secondo.
- “Sammy, tu hai già accettato” mi rispose, sventolando quel dannato foglio che riportava la mia firma, con un dannato ghigno di scherno stampato sul viso.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'C'eral'acca'
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Capitolo Sedici. Blame It On The Boy.
 
La prima cosa che feci quando arrivai a casa fu prendere le Pagine Gialle ed individuare tutti i negozi di computer nei paraggi. Mi serviva solo un dannatissimo tecnico informatico. Uno, cazzo, uno, porca miseria! Sfogliai in modo disordinato tutto il tomo, non riuscendo a leggere nemmeno una parola. Lo lanciai per terra e mi lasciai cadere sul divano con il pensiero ricorrente e martellante della bugia che mi era stata rifilata da Nick. Forse ne stavo facendo una questione di stato, ma proprio mi sfuggiva il perché si fosse sentito legittimato a tentare di ingannarmi in quella maniera.
Guardai svogliata un film nel letto e mi addormentai con la tv accesa. Il giorno dopo mi svegliai tutta intontita con Romeo che mi leccava la faccia, sebbene sapesse che era una cosa che odiavo. Lo scansai con poca delicatezza, spensi la televisione e mi preparai per andare in ufficio. Scesi in strada che erano le 9.30 di una bellissima giornata soleggiata, con un leggero venticello freddo che mi scompigliava i capelli. Mentre camminavo, mi fermai a comprare il giornale, giusto per tenermi al passo con le ultime novità, dal momento che nelle settimane precedenti avevo potuto aggiornarmi solo ed esclusivamente sulla vita di Sam1, nonostante lui si fosse dato parecchio da fare per non lasciarsi sfuggire troppe informazioni sulla sua persona. In realtà, non avevo ottenuto molto, ma mi aveva dato l’impressione di nascondere qualcosa ed io ero più che decisa ad arrivare in fondo alla questione. La primissima cosa da fare era recarsi a York e cercare di spremere al meglio le fonti che sapevano qualcosa di Banks; avevo la sensazione che non fosse del tutto sincero, che la sua vita di marito-padre-redattore capo non fosse altro che una facciata. Sembrava sempre si contenesse nel parlare e nel reagire. O, almeno, quella era l’impressione che mi aveva dato, lavorandoci a stretto contatto.
Mi ricordavo di aver sentito da qualche parte che bastano sette secondi per farsi un’idea circa una persona. Lo aveva detto Mrs. Leeds, la maestra delle elementari - ecco chi era stato! -;  non mi era chiaro cosa volesse fare, spiegando psicologia ad un branco di mocciosi dal naso colante. All’epoca il mio unico pensiero era tenermi il più lontano possibile da quegli odiosi esseri con il pisellino che trovavano tanto divertente tirarmi le treccine, ma registrai quella frase ugualmente sulla base della teoria di mia madre che non si sa mai... A quell’età già avevo capito tutto: tieniti lontana dagli uomini! E, invece, poi passi la vita a rincorrerli quei marmocchi che nel frattempo sono cresciuti fuori, ma non dentro e si sentono in diritto di prenderti in giro in modo anche più meschino dello strappare i capelli. Mentre tu diventi una ragazza, lui passa dalla categoria junior alla senior, ma un idiota - grande o piccolo che sia - sempre idiota rimane. Purtroppo quando lo capisci è troppo tardi ed il tuo cuore appartiene a quel bamboccio cresciuto che ti prende, ti lascia, ti vuole, ti rifiuta, ti bacia, ti dice di non essere tornato in città quando, in realtà, è ad un paio di metri da te…
Accantonai i pensieri e guardai rapida il London Express che avevo tra le mani: quel che bastava per leggere che era domenica! No, cavolo!
Feci retro-front e me ne tornai subito a casa, fermandomi soltanto per comprare un cornetto al mio adorato Willy Wonka che, già lo sapevo, mi avrebbe riempito di domande circa la mia fuga della sera precedente da casa di Nick. Presi le chiavi del suo appartamento e vi entrai con cautela; mi avvicinai quatta quatta al suo lettone e, solo all’ultimo istante, mi gettai come un predatore sul groviglio di piumone e coperte sotto il quale si era rintanato. Il mio agguato provocò un urlo che ci fece spaventare tutti. E tre.
Da sotto la trapunta comparve…
- “Kay!” urlai inorridita.
- “Sam!” gridò Will, sudato e sorpreso, ricomparendo dal lenzuolo.
Kay. Will. Kay e Will. Non è che c’è anche Nick sotto il letto?
- “Oh, scusate. N-non lo sapevo. Mi dispiace. Dio, che imbarazzo!” mi volatilizzai in un istante e mi fiondai nel mio appartamento, chiusi la porta e mi ci appoggiai con la schiena, i capelli arruffati e la bocca spalancata.
- “Kay e Will?” ripetei a me stessa. Con un colpo di reni mi spostai dall’uscio e mi sedetti sul pouff.
Ma non stava con Nick?
- “Che stronza!” esclamai ad alta voce ad un Romeo molto poco interessato alle mie esternazioni, per quanto colorite. Ero così presa dalla balla di Nick che mi ero pure dimenticata di questo non-così-trascurabile dettaglio chiamato Kay; lo aveva preso per mano, ergo non mi restava che pensare che fosse la sua ragazza. Però, chi accetterebbe una scommessa - quella scommessa -, sapendo di avere una fidanzata a casa? Domanda stupida: un uomo! Quando si tratta di scopate, ciascuno di loro sarebbe disposto a vendere dignità e parenti pur di averne una in più.
Ma se sta con Nick, come ha fatto a finire con Will? Che il nostro ballerino di nightclub fosse una riproposizione giovane di Henry Chambers, tutto fumo e niente arrosto?
Non ebbi il tempo di indagare oltre perché il mio vicino fece ingresso nel mio appartamento con addosso una maglietta stropicciata ed un paio di pantaloni della tuta.
- “Da quando mi fai gli attentati a letto?” domandò con un ghigno divertito a celare l’imbarazzo di qualche istante prima.
- “Da quando ti fai la fidanzata di un tuo amico?”.
- “Fidanzata di chi?” controbatté.
- “Di mio nonno! - roteai gli occhi all’insù - Di Nick!”. Will rise e si appropinquò verso il divano accanto al quale mi ero seduta.
- “È sua cugina, scema”. Mi passò un braccio attorno al collo e mi frizionò la testa con vigore, ben sapendo che i miei capelli erano zona off-limits per ogni essere umano che non fosse il mio parrucchiere/checca Darren.
- “Ah” fu il massimo che la mia mente riuscì a partorire. Sarà che ero una provincialotta scozzese, ma io mio cugino Herbert - giusto per citare il più carino, che comunque aveva la faccia sotterrata dai brufoli e un alito pestilenziale - non lo avrei preso per mano nemmeno con guanti e pinze!
- “Davvero credevi fossi fidanzata con il mio adorabile cuginetto?” s’intromise Kay, sbucata da casa di Will con una carota in mano che stava sgranocchiando e vestita di una sola t-shirt che riconobbi subito essere del mio vicino. Le gambe erano completamente scoperte, ma lei sembrava del tutto a suo agio a gironzolare in quel modo, sebbene non fossimo nemmeno in confidenza.  Era scalza e non si era fatta molti complimenti ad entrare nel mio salotto senza bussare; di solito mi sarei irritata, e non poco, per quella che consideravo un’invasione dei miei spazi - un furto d’ossigeno in piena regola! - , ma quella ragazza mi stava simpatica a pelle, la vedevo spontanea e senza filtri. Sì, avevo avuto la possibilità di parlarci per pochissimo, ma, con la teoria dei sette secondi avevo tutto il diritto di avere un’impressione su di lei. Ed io, in quel tempo, avevo letto negli occhi di quella ragazza una spontaneità che mi aveva colpito, nonostante fossi totalmente rapita da Nick e dal trattenere tutta la delusione dentro, senza vomitarla addosso a tutti i presenti. Kay era carina, smaliziata e mi piaceva. Certo, era pur sempre andata a letto con il mio migliore amico - cosa di cui ero anche vagamente gelosa - e se si fosse azzardata a fargli del male l’avrei gambizzata senza problemi, ma la sua faccia pulita acqua e sapone era rassicurante.
E, inoltre, si è sempre in tempo a cambiare idea sulle persone.
- “Sai, ho visto che gli prendevi la mano davanti al Republic e ho fatto due più due” mi giustificai.
- “Ah, per quello? L’ho fatto solo perché c’erano le grate per terra e non volevo far figuracce con il tacco incastrato in una di quelle. Ti immagini, Will? - si rivolse verso di lui che ridacchiò - Piegata in due a staccare la scarpa come una cretina?”.
Quaquaquaqua.
Mi uscii un risolino isterico e annuii col capo, mentre gli altri due non facevano nulla per contenere i ghigni divertiti al pensiero di una sfigata piegata a novanta, impigliata in una griglia.
Eh sì, proprio da cretine…
- “Le hai già detto della cena?” chiese Kay, smettendo - grazie al cielo! - di ridere.
Com’è che anche l’ultima arrivata sa le cose prima di me?
Romeo uscì dalla mia camera da letto e prese a spolverare le gambe del suo amato Will.
- “Giusto! Sei invitata a casa mia alle 19. E’ chiaro che tu non possa dirmi di no, dopo ieri sera”.
- “Noi… tre?” buttai lì, pregando che ci fosse qualcun altro: un amico, un vecchio zio, un animale, un puffo, Batman… chiunque, tranne colui il cui nome cominciava con la N.
- “Noi quattro; ci sarà anche Nick”.
Batman non era disponibile? Perché anche Robin va bene, eh!
Non mi lasciarono replicare e se ne tornarono nell’appartamento di fronte, non senza essersi raccomandati di arrivare puntuale. Come se dipendesse da me!
L’orologio segnava le 10 ed io non avevo la più pallida idea di cosa fare per il tutto il giorno. In tv non davano nulla degno di nota, casa era pulita, il mio micione nero era sparito dalla circolazione - con tutta probabilità attaccato ai polpacci del mio vicino -, i negozi erano chiusi, il sonno andato… che altro rimaneva da fare? Continuare la ricerca del tecnico del computer, naturalmente.
Da quando mi ero trasferita a Londra, mi era capitato solo una volta di aver bisogno di assistenza con il pc; Valerie allora mi aveva dato il nome di un ragazzo sulla trentina, un nerd fatto e finito, che era un vero mago di informatica e, come sospettai sin dalla prima occhiata, doveva essere un hacker o poco meno. Però era molto bravo, costava poco e ormai l’avevo scelto come preda. Cercai nella rubrica telefonica il suo numero e lo chiamai.
- “Pronto?” rispose subito.
- “Max?” chiesi per conferma.
- “Sì”.
- “Ciao, sono Samantha Grayson. Sono un’amica di Valerie Dupont e mi servirebbe un aiuto per un problema col computer”.
- “Ah, Valerie, che tesoro. Se posso dare una mano, lo faccio volentieri”.
Veramente una mano credo di dovertela dare io…
- “Il punto è che mi servirebbe con urgenza. Ti spiacerebbe se passassi subito, sempre se hai tempo, è chiaro”.
Ci mettemmo d’accordo per incontrarci a casa sua dopo una mezz’oretta circa. Dovevo solo prepararmi e… cazzo! Avevo bisogno di un pc rotto! Decisi di immolare per la causa un vecchio portatile che non usavo da tempo, ma al quale ero affezionata e da cui non avevo avuto il coraggio di separarmi. Lo capovolsi e gli diedi una martellata non troppo forte all‘altezza della batteria, giusto per spostare qualche filo e far saltare qualche collegamento.
- “Scusami Jimmy!” gli dissi, accarezzandolo. Gli avevo persino dato un nome e ora lo stavo sacrificando per portarmi a letto un tizio. Che personaccia che stavo diventando. Colpa di Nick chiaramente.
 
Arrivai davanti all’appuntamento vestita piuttosto casual; se non aveva subito grossi cambiamenti dal nostro primo e ultimo incontro, Max era un ragazzo tranquillo, interessato più al suo mouse che alle topoline altrui. No, non c’era bisogno di fare la panterona, intrappolata in tutine di pelle improbabili: pantaloni, camicia, maglione e ballerine erano più che sufficienti.
Venne ad aprire la porta ed io mi ritrovai davanti un uomo che non si era accorto di non essere più un ragazzino; indossava una maglietta consunta dei Led Zeppelin, dei jeans larghi, dei grandi occhiali da vista da perfetto secchione privo di vita sociale ed era magro oltre ogni misura.
Sam, non saltargli addosso perché gli rompi almeno un paio di costole.
Ci salutammo e lui mi invitò a sedermi su di un vecchio divano, mentre gli porgevo la borsa a tracolla all’interno del quale si trovava Jimmy - alias il capro espiatorio.
- “Valerie sta bene?” mi domandò, mentre cominciava a smanettare con un cacciavite per aprire il vano sotto la tastiera.
- “Molto bene. Ti saluta” inventai. Da quel punto in poi la conversazione divenne per me totalmente incomprensibile. Max cominciò a sparare a ripetizione un numero infinito di termini informatici dei quali io nemmeno conoscevo l’esistenza ed iniziai a domandarmi se, per caso, stessimo parlando la stessa lingua. Ogni tanto - ma proprio ogni tanto - riuscivo a cogliere qualche sillaba conosciuta.
Ha detto hardware?
- “Penso che sia questa la causa” terminò.
E pensare che io credevo che la causa fosse una martellata ben assestata…
Ci lavorò più o meno per un’ora, tempo per fare un’analisi del luogo in ci viveva. Il mobilio lasciava molto a desiderare, ma gli elettrodomestici erano di ultima generazione, curati e conservati come preziosi. Abitava da solo e immaginai che passasse gran parte della sua vita nel suo piccolo rifugio ovattato, dove la tecnologia la faceva da padrona.
Non era un brutto ragazzo; certo, non era un adone, però era intelligente e simpatico e, se solo si fosse aperto un po’ di più con il mondo - e avesse frequentato una palestra -, le ragazze avrebbero fatto la fila per uscire con lui. Io, ad esempio, ci sarei uscita più che volentieri con un hacker; ci avevo sempre trovato qualcosa di intrigante e pericoloso in quei pirati del web che con una tastiera ed i programmi giusti erano in grado di rivoltare internet a loro piacimento. Proprio come quando i seguaci di Julian Assange avevano mandato in tilt per ore il sito della Mastercard perché quest’ultima aveva osato chiudere il conto corrente del loro beniamino. Giusta o sbagliata che fosse quella reazione, alla fine ciò che era risultato era che gli hacker sono persone con il coltello dalla parte del manico. Sempre.
A proposito di manici, i minuti scorrevano ed io non avevo ancora risolto un bel niente. Jimmy stava ritornando ad essere vecchio e lento come di consueto, ma la sua proprietaria non aveva finito di elaborare un piano d’azione valido abbastanza da finire diretta nel letto del nerd che aveva di fronte.
Il vantaggio era che non avevo l’ansia da prestazione, dal momento che presumibilmente l’ultima vagina che aveva visto era quella di sua madre durante il parto.
Max appoggiò il mio computer sul tavolo e disse che avrebbe preferito tenerlo per un altro giorno per assicurarsi che funzionasse nel modo corretto, altrimenti avrebbe dovuto procurarsi un nuovo nonsoche.
Prima di tornare a sedersi accanto a me sul divano, accese un giradischi e nella stanza si diffuse It’s a man’s, man’s, man’s world di James Brown, una di quelle canzoni con cui ti esibisci davanti allo specchio con la spazzola come microfono e ti lasci trasportare dal ritmo. Cosa che - ça va sans dire- non avrei fatto di fronte ad altre persone, tanto meno di fronte a Max.
- “Ti piace?” mi chiese.
- “La adoro” confessai.
Senza parlare, mi prese la mano e mi alzò, stringendomi a lui e facendomi volteggiare per il suo salotto.
Che succede?
Ero in uno stato di evidente imbarazzo e mi riusciva difficile credere di essermi così tanto sbagliata su di lui. Era un gentiluomo ed io volevo soltanto scopare. Per vincere una scommessa. Dio, da quando ero diventata così cinica? Colpa di Nick, ovvio.
 
Tornai a casa che mi sentivo una merda. Come quando alla fine di una partita di calcio non troppo brillante, il commentatore dice: “Hanno portato a casa il risultato”. Ed io avevo portato a casa il risultato, con una prestazione non indimenticabile e gravata da un immenso peso chiamato senso di colpa. Lui era stato dolce, mi aveva fatto ballare, mi aveva adagiato con premura sul letto prima di… sì, insomma, fare quello che doveva. Aveva slacciato piano i bottoni della mia camicia e quelli dei pantaloni, prima di sfilarmeli rapido e buttarsi su di me. Lo avevo lasciato fare - non ci pensavo nemmeno a stare sopra, credo che lo avrei ucciso! - e tutto sommato non era stato peggio di altre volte e, sicuramente meglio di Chambers. Ma parecchio al di sotto di Ralph.
Il campanello suonò più volte.
- “Sto uscendo, giuro, Will! Sto arrivando”. Ripresi la borsa e aprii la porta. Nick.
- “Che gioia vederti. Penso di riuscire ad attraversare il pianerottolo anche senza scorta. Grazie”.
- “Ciao anche a te, Sammy” si lamentò, mentre Kay, vestita con un abitino rosso che le esaltava gli occhi scuri, spalancava la porta e ci faceva accomodare. Le sorrisi e mi diressi in cucina da Will.
- “Ehi”.
- “Ciao Raviolo” rispose, continuando a preparare gli antipasti. Preparai la guancia per ricevere un bacio che non arrivò mai. Ci rimasi male.
- “Scusa, ma adesso cosa sei, fidanzato?” dissi, non senza un pizzico di cattiveria nel tono di voce.
- “Tesoro, sei gelosa?”. Si voltò e mi guardò sorridente.
- “Sì. - esclamai - La conosci da trenta secondi e già la fai stare qui?”.
- “E’ solo una cena, Sam. E’ arrivata con Nick, comunque, non è stata qui tutto il pomeriggio. E poi stiamo festeggiando un compleanno, mica le ho chiesto di convivere”.
Non mi convinci, Yankee dei miei stivali.
- “Abbiamo fame” si lamentarono dall’altra stanza.
Gli voltai le spalle, ma lui mi afferrò la vita da dietro e mi strinse a sé. Mi stampò un bacio sulla guancia e mi trasportò fino al salotto, mentre le mie gambe penzolavano a destra e sinistra. Gli altri due ospiti ci guardarono sorpresi.
- “Ogni tanto devo ricordarle che è la mia migliore amica e che è insostituibile”. Era la prima volta che me lo diceva apertamente e mi fece un immenso piacere. Mi lasciò e ci fece accomodare a tavola. Mi sedetti accanto a Will, che aveva di fronte a sé Nick, mentre io avevo davanti Kay.
Cercai di evitare di guardare il quarto incomodo, fingendo di essere soltanto in tre. Ciò non fu sempre praticabile, perché gli altri due cercavano sempre di coinvolgere tutti nella conversazione.
- “Kay, perché non mi racconti un po’ di Nick quand’era piccolo?” dissi all’improvviso, sperando che potesse saltar fuori qualche ricordo poco lusinghiero.
Lei non si fece pregare due volte e cominciò a narrare dei piccoli aneddoti sulle prime cotte adolescenziali, di quando portava i fiorellini alla sua fidanzatina o di quando aveva perso entrambi gli incisivi all’asilo, inseguendo una bimba di cui era innamorato sullo scivolo.
- “Smettila Kay! Le stai raccontando un mare di cazzate!” disse Nick, ridendo e cercando di limitare i danni provocati dai racconti della cugina.
- “Già, perché tu hai l’esclusiva… no?” m’intromisi acida.
Avrei potuto evitare, ma mi era stata servita su di un piatto d’argento e non ero riuscita a trattenermi. La ferita era freschissima e avrei sfruttato qualunque occasione per ricordargli quello che mi aveva fatto.
Nick si pulì la bocca con il tovagliolo e tornò a fissare il piatto che aveva davanti a sé. Appoggiai la forchetta al piatto e lo guardai con aria di sfida, mentre tutto intorno a noi la tensione si poteva tagliare con l’affettatrice.
- “D‘accordo, ragazzi, è evidente che ci sia un problema tra voi. - la voce di Will ci ricordò della sua presenza nella stanza, insieme a quella di Kay - Volete risolvere una volta per tutte? Non ho intenzione di farmi rovinare la domenica per questa cosa”.
- “Nessun problema” mi affrettai a dire.
- “Sam, per favore. Quest’atteggiamento non giova a nessuno” mi sgridò il mio vicino.
- “Vuoi sapere la verità?”.
- “Possiamo parlarne in privato?” intervenne Nick.
- “La mia risposta è no.”
- “Andate pure in camera mia” disse Will, d’accordo con Nick, e gli indicò la direzione da seguire.
- “Ho detto no. - urlai, con un cenno di rimprovero al mio vicino - Se dobbiamo chiarire, possiamo farlo tranquillamente davanti a tutti; io non ho niente da nascondere”.
Nick ignorò le mie parole, si alzò e mi trascinò per un braccio fino alla camera di Will, non senza che io cercassi di liberarmi da quella presa. Lasciò che la porta si chiudesse con un tonfo sonoro e mi mollò l’arto.
- “Scusa. - disse infine - Okay? Scusa. Mi dispiace di averti raccontato una balla”.
- “Sai cosa me ne faccio delle tue scuse?”. Preferii non continuare, perché ero una donna e parlare di vari ‘buchi’ del corpo umano dove avrei potuto mettere le sue scuse non sarebbe stato il massimo della finezza.
- “Cosa vuoi che faccia? Che strisci per implorare perdono?”.
- “Voglio sapere perché mi hai detto che non eri tornato”. Si mosse in lungo e in largo nella stanza e ciò contribuì ad accrescere il mio nervosismo. Non rispose.
- “Sto aspettando. Perché non ci hai detto che eri di nuovo a Londra?”.
Attesi ancora qualche minuto, mentre lui continuava a camminare su e giù, senza proferire parola. Il mio limite di sopportazione fu raggiunto.
- “Io me ne vado” esclamai.
- “Aspetta” mi pregò.
- “Allora metti insieme due frasi e spiegati! - sbottai - Ti sto solo chiedendo il motivo che ti ha spinto a mentirci. Porca miseria, Nick, siamo amici! Perché non l’hai detto a me o a Will?”.
- “Will lo sapeva” ammise infine, a denti stretti.
A quel punto ci fu solo confusione nella mia testa. Ma ci fu anche un istante di consapevolezza mista a concentrazione.
Che idiota che sono. Will aveva cucinato a casa di Nick la sera del suo compleanno. Perché avrebbe dovuto farlo, se non per la solida convinzione che il festeggiato avesse già fatto ritorno nella capitale? Decisamente idiota a non averci pensato prima.
- “Will lo sapeva. - gli feci eco - Allora il trattamento da stronzo l’hai riservato solo a me. Gentile da parte tua”.
- “È più complicato di quanto tu creda”.
- “E allora spiegami, dannazione! Parla!”.
- “Volevo passare il compleanno con mia cugina”.
Freud aiutami tu. Non è che era innamorato di Kay?
- “È una tradizione; lei ha due anni in più di me e, compiendo gli anni il giorno dopo di me, ci facciamo sempre un giro di bevute in qualche bar brindando all’anno che se ne andato”.
- “Tutto qua il complicato?” dissi delusa.
- “So che ti saresti fatta strane idee, scomodando la psicanalisi per arrivare all’assurda convinzione che io e lei avessimo una relazione incestuosa o cazzate simili”.
Io? Ma quando mai?!
- “Beh, non è così  assurda come idea”.
- “Lo è, Sammy. È come una sorella per me, il solo pensiero di farlo con lei mi fa contorcere le budella” disse disgustato dal solo pensiero.
- “Se lo dici tu…” risposi poco convinta, non perché non lo fossi davvero, ma giusto per fare un po’ la sostenuta.
- “Siamo a posto ora o mi lancerai frecciatine tutto il giorno?”.
- “Fingerò di credere a questa scusa e per stavolta te la cavi, MacCord”.
Mi sorrise con i suoi occhi chiari e mi aprì la porta per tornare in soggiorno, dove noi credevamo di aver lasciato Will e Kay e dove, invece, ritrovammo due cozze vergognosamente appiccicate l’una all’altra. Nick si schiarì la gola e i due si ricomposero, tornando seduti ciascuno sulla propria sedia.
- “Allora, mangiamo il dolce?” propose Will rosso in volto.
Sparì in cucina per andare a prendere la torta e lo spumante che aveva portato Kay. Presi i calici da dessert, li posizionai sul tavolo e Nick li riempì con il vino.
- “Naturalmente a me stesso per i miei venticinque anni e alla mia cuginetta che oggi ne fa ventisette”.
Ecco cosa mi aveva detto prima Nick! Era il compleanno di Kay ed io non avevo nemmeno uno stupido presente da darle. I ragazzi le porsero i loro regali.
- “Mi dispiace… - mugugnai con lo sguardo basso - Non avevo idea che oggi la festeggiata fossi tu. Non ho comprato nulla”.
- “Ma figurati! - mi rassicurò - Potresti regalarmi quelle bellissime ballerine di Marc Jacobs che indossi”.
Sì, contaci.
- “Non te le darà mai, nemmeno sotto tortura!” rise Nick e non aveva torto; le avrei venduto un rene, piuttosto, o le avrei procurato un criceto siberiano a pois con le zampe da pinguino.
- “Spiacente, - risposi - le mie scarpe non le do neppure in prestito!”. A parte che non avevo nessuno a cui prestarle, perché Lily e Valerie avevo un piede chilometrico e non ero sicura che a Will potessero donare le mie decolleté.
- “E allora mi regalerai un po’ del tuo tempo per fare shopping”. Ecco, quello era decisamente più possibile.
- “Su questo non ho obiezioni”. Will le regalò un libro - su consiglio di Nick - e il caro cugino un bellissimo paio di orecchini etnici che s’intonavano alla perfezione all’aspetto da bohemien della festeggiata.
Ciascuno ebbe la sua fetta di dolce e i brindisi si sprecarono, finché qualcuno propose di giocare a kiss or tell, dal momento che non avevamo potuto metterlo in pratica la sera prima. Il tutto consisteva nel fare una domanda piccante a qualcuno scelto a rotazione; quest’ultima era libero di scegliere tra rispondere o baciare colui che gli aveva rivolto lo scomodo quesito. Ci sedemmo sul tappeto e fu stabilito che fossi io la prima.
- “Domanda per Kay. È mai successo niente con Nick?” chiesi curiosa.
Lei si sporse velocemente verso di me, senza pensarci due volte e mi baciò. Nulla di sconvolgente, mi era già capitato al college di avere sulle labbra quelle di un’altra donna, ma la cosa aveva fatto sempre più piacere agli uomini intorno a noi che ci guardavano con la bava colante dall’eccitazione. Per noi ragazze era uno scherzo per osservare la reazione dei maschietti che, invece, già si immaginavano in mezzo a noi tra le lenzuola. E Nick e Will non furono da meno, con uno stupore evidente stampato in faccia. Io e Kay ridemmo e i ragazzi cercarono di tornare ad assumere un’espressione normale.
- “Andiamo avanti!” decretai.
Inutile dire che Will e la sua nuova amica non fecero altro che scambiarsi effusioni, durante il gioco e non. Nick rispose a tutte le domande che gli furono poste, nonostante alcune - tra cui ovviamente le mie - fossero maliziose e lo mettessero sempre in discussione.
- “Hai mai pensato di farlo con mio cugino?” mi chiese Kay all’improvviso e, per poco, non mi strozzai con lo spumante.
Esitai. Ancora. E ancora.
No, no, la risposta è no! E allora perché stai facendo melina?
Sei paia di occhi si incollarono divertiti su di me.
Sam, parla, Dio santissimo!
- “No!” mentii spudoratamente e con troppa foga per apparire veritiero. Perché sì, ci avevo pensato almeno un migliaio di volte a lui sulla scrivania del mio ufficio o sulla porta di casa mia. Ma così come Jensen Ackles, David Gandy o Noah Mills, giusto?
- “Non ci sarebbe nulla di male, sai? Sono un ragazzo fantastico, simpatico, sexy…” si autoelogiò Nick, scherzando.
- “E soprattutto modesto” terminai.
- “Dai, Nick, scendi dal piedistallo e fai la domanda a Sam” lo incitò Will.
- “D’accordo, d’accordo. Allora, Sammy… cosa potrei chiederti? Ci sono! Perché hai così tanta paura che gli altri possano sapere che sei terribilmente attratta da me?”.
Quella faccia da strafottente impenitente mi irritava come nient’altro era in grado di fare. Decisi per una risposta che fosse il più chiara possibile. Appoggiai sul tavolino davanti al divano il bicchiere di vino - il quarto circa - e mi sporsi in direzione di Nick; afferrai con una mano la sua camicia azzurra e lo tirai verso di me.
- “Io non ho paura di niente!” esclamai in pieno spirito da cowboy di film western.
Lo baciai sulle labbra e gliele feci socchiudere fino a giocare con la sua lingua per una decina di secondi, dopodiché lo spinsi - sempre con la mano puntata sul suo petto - al suo posto. Baciare lui era meglio di fare shopping, mangiare un dolce e ricevere un regalo gradito messi insieme; era stato coinvolgente e bello anche trovare le sue labbra impreparate. Baciare lui era come avere mille ballerine di Marc Jacobs.
Riafferrai il calice in mano e riproposi un brindisi, facendo cadere un po’ di spumante sul tappeto.
- “A me che ho fatto una cosa di cui tra diecio minuti mi pentirò”. Gli altri si unirono a me e continuarono a sghignazzare. Il gioco terminò lì e decidemmo di congedarci. Mi feci una doccia breve, stando attenta a non bagnarmi i capelli e mi infilai sotto le coperte. Il cellulare sul comodino era illuminato. Un messaggio.
E’ strano andare a letto con il suo sapore sulle labbra… notte Sammy, N.
Strano? Cosa vuol dire strano? Era uno strano positivo - tipo mi piacerebbe bissare - o uno strano negativo - tipo bleah che schifo non riprovarci mai più? Mah…
Posai il cellulare sul comodino, spensi la luce dell’abat-jour e guardai il soffitto per la mezz’ora successiva; il sonno si era perso per strada e, ancora una volta, la colpa era sempre e solo di Nick.
 
 
 
 
Buona domenica a tutti!Che finalmente qualcosa si stia muovendo tra la piccola Sammy e Nick? Settimana scorsa mi sono dimenticata di ricordarvi che il compleanno di Nick non era una cosa campata in aria, visto che c’era già un riferimento nel secondo capitolo. Lo preciso giusto perché altrimenti sembrava una cosa buttata lì!
La canzone del titolo è un riadattamento di “Blame it on the girls” di Mika.
Grazie!
S.
   
 
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