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Autore: Vitani    21/01/2006    3 recensioni
"Così vede crollare tutto, miseramente, improvvisamente. Comprende che tutto è finito. Vede solo i begli occhi nocciola di quel ragazzo che si sovrappone al suo riflesso. Gackt Camui."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I MISERABILI

I MISERABILI

 

 

Nel silenzio, un respiro.

Nel silenzio, lo sente. Ansimante, lievemente affannato, eppure poco più di un sibilo nell’oscurità dilagante intorno a lui.

È al buio, nel buio, il suo amato odiato buio.

È claustrofobo, ma vuole stare male. Vuole soffrire, soffrire. Sa di meritarlo.

Sa di dover punire quel suo cuore troppo orgoglioso, quel suo animo troppo chiuso, quel suo non sapere rapportarsi agli altri.

Quel suo guardare solo se stesso. Come in uno specchio. Uno specchio che continua mandare il suo riflesso, ininterrottamente.

La bambola si muove nel buio di quella stanza chiusa, persa nel suo terrore.

Ha chiesto lei di stare lì, lei non se ne è voluta andare.

Lei ora è sola, può piangere.

Si è mai vista una bambola versare lacrime?

Sì.

Lui ha visto se stesso.

E ancora non può vedere e sentire altro che non sia il suo respiro mozzato nel terrore. Non terrore di quella stanza. Non terrore del buio che l’avvolge.

Terrore di sapere che qualcosa si è rotto, per sempre.

Nel buio la bambola può tornare uomo, arrancando, accasciandosi senza timore di rompersi fra le legnose braccia d’una sedia.

Può cercare di non nascondere i singhiozzi.

Può provare a rovinare il suo viso di porcellana con quelle corrosive lacrime salate che detesta.

Non deve più temere di farsi vedere dagli altri.

Sta lì immobile, singhiozzante dentro i suoi bei vestiti di stoffe raffinate, a mordersi delle labbra disegnate pur di non cedere del tutto.

Per orgoglio, smisurato, prepotente orgoglio.

Sa che tornerà.

È sempre tornato.

Non è la prima volta che litigano, in fondo.

Tornerà.

Tornerà.

Tornerà.

Deve tornare.

Solo… allora perché, perché teme che questa volta sia tutto diverso?

Perché?

Cerca di calmarsi, stringendosi il petto fra due braccia quasi troppo sottili per essere di un uomo. Cerca di calmare il respiro, invano.

Cerca di vedere nel buio, invano.

Eppure prega perché la porta non si apra, prega che nessuno lo veda, che nessuno lo senta, prega che lo lascino solo in quel suo requiem senza fine.

Non ha mai voluto questo, mai.

E pensa, nel silenzio, a ciò che c’è stato solo qualche ora prima.

Un film, un flash.

E lui rivede i Malice Mizer, tutti insieme nello studio del loro produttore (che non è più lui stesso, oh no!). I Malice Mizer parlano di lasciare perdere. Con la musica, con tutto. Perché?

Perché non ce la fanno più.

Ricorda distintamente la tensione, e quel silenzio, e quello strano brivido che gli è corso lungo la schiena.

Ricorda gli occhi color nocciola di Gackt Camui sgranarsi, increduli, gli occhi di uno che ha appena sentito una fredda lama attraversargli a tradimento le scapole.

Lui che con i Malice Mizer voleva conquistare il Giappone, poi l’Asia, poi il mondo intero e chissà cos’altro… lui che condivideva il loro sogno, il sogno di tutti, quello che li aveva tenuti uniti per così tanti anni.

Per lui è stato un colpo improvviso, come se gli avessero annunciato la morte di qualcuno.

O di qualcosa.

La morte del Sogno.

La morte di quello che avevano compiuto loro insieme fino a quell’istante.

Ma… oh, che Camui non creda che Mana non soffre!

Che non creda che rinunciare al sogno l’abbia reso felice!

Mana non avrebbe mai voluto farlo.

Non avrebbe mai rinunciato alla sua famiglia, alla sua passione!

Ora sa che ha sbagliato a non parlarne a Camui, a non comunicargli i suoi timori quando ancora poteva farlo, a dirgli che non riusciva più a dare niente, che la sua ricerca infinita di se stesso non lo stava portando più a nulla, che non comprende neppure più i suoi desideri.

La Malizia e Miseria dell’uomo infine ha colpito anche la bambola.

Merveilles.

Avrebbero venduto l’album, poi sarebbero scomparsi.

Sarebbero diventati una leggenda.

Ma quando la bambola ha provato a ipotizzarlo, Gackt le ha urlato contro.

E se n’è andato, sbattendo una porta improvvisamente troppo pesante, e spessa.

Gli occhi della bambola si sono puntati allora verso quella porta chiusa.

L’hanno osservata, scrutata, appena straniti, come se si aspettassero di vederla riaprirsi.

Cosa che non accadde più.

Gli altri se ne erano andati, chiedendogli cosa voleva fare.

E lui era rimasto nella stanza buia.

 

La bambola ha ripreso la vita.

È uscita finalmente dalla stanza buia.

È nella realtà del mondo, sta camminando.

Forse se fa uno sforzo può andare sopra se stessa.

Sì, forse può.

Può ancora riuscirci.

Sensazioni e tormenti, espressi solo da stanchi occhi arrossati.

Null’altro.

Si muove lungo la strada, incurante per una volta degli sguardi ossessivi di coloro che lo osservano passandogli di fianco.

Brevemente si chiede cosa essi vedano, se la bambola o l’uomo.

Se vedano Mana o la figuretta perfetta di un settecentesco carillon.

Ha pensato di cambiarsi, ma quella strana urgenza che sente nel petto lo ha obbligato a muoversi.

Sa che c’è qualcosa d’importante che deve fare.

E va avanti, senza meta perché non sa dove trovarlo, sa solo che deve.

Per quanto ancora andrà avanti quel girovagare senza scopo?

I suoi passi rimbombano a tempo col suo cuore, forse a causa delle sue scarpe pesanti, o a causa della gravità che sente sulle sue spalle e dentro di sé?

La sua ombra si proietta sul marciapiede, nera e scura, ma lui neanche nota il forte sole che sicuramente si riflette sui suoi capelli d’ebano, pazientemente acconciati sfruttandone la naturale ondulazione.

E poi alza gli occhi color del ghiaccio sottile, lucidi, dipinti, solitamente così statici da sembrare di fine vetro.

E quegli occhi stranamente arrossati lo scorgono, seduto in un caffè.

Sta abbandonato su una sedia, con la testa fra le mani, davanti a sé ha una bottiglia contenente qualcosa di alcolico. Qualcosa che gli faccia dimenticare.

Lui lo scruta da lontano, in piedi, senza badare che lo noti.

E si porta una mano al petto, tristemente, in silenzio.

Poi prende un respiro silenzioso e profondo, e fa un passo, avvicinandosi.

Un altro, un altro ancora.

Quasi sorride. Ci riuscirà, sa che ci riuscirà.

Riuscirà a fermarlo, a riportarlo indietro. Lo riporterà da loro, da lui, dai Malice Mizer.

Basterà semplicemente parlarne.

Un po’ di volontà, ecco tutto.

Non è così difficile in fondo, no?

Ma il suo cuore si blocca, così come i suoi piedi stretti dalle altissime scarpe.

Cerca di fare uno sforzo.

Manca poco, poco.

Lui supplica quelle sue gambe legnose di muoversi, in qualunque modo.

Toccano il terreno, ma non lo superano, non si sollevano, non ridiscendono in quel flebile atto d’un passo.

Restano semplicemente immobili sull’asfalto caldo di quella strada.

I suoi muscoli si contraggono.

S’accorge di essere davanti alla vetrina del caffè.

Allora alza i suoi occhi blu, e osserva il suo riflesso.

Scorgendovi un’ombra.

Un’ombra impercettibile di dolore inespresso.

E vede lui contrapposto a se stesso.

Lo sta guardando, attraverso quella barriera trasparente e sottile come un respiro.

Mana non perde la sua compostezza, oh mai!, e tuttavia non riesce a fare quell’unico passo che gli basterebbe per raggiungerlo, per attraversare la porta e poter finalmente toccarlo e parlargli.

Il suo cuore accelera un poco, ma solo un poco.

Non ci riesce, non ci riesce.

E non capisce nemmeno bene il perché.

Così vede crollare tutto, miseramente, improvvisamente. Comprende che tutto è finito.

Vede solo i begli occhi nocciola di quel ragazzo che si sovrappone al suo riflesso.

Gackt Camui.

Respira, sta respirando. Suo malgrado, è straordinariamente tranquillo. Forse non ha più speranze ormai.

Non parla, non si muove, non fa nulla, si limita a scrutarlo in silenzio.

È sempre stato più bravo di lui ad esprimere i sentimenti, Gackt; anche in quel momento nei suoi occhi può leggere un’immensa amarezza, mista alla rabbia, alla disperazione, alla sorpresa di trovare lui, Mana, dietro quel vetro.

Chissà se può vedere i suoi occhi in quel momento?

Sì, sicuramente, perché la bambola non abbassa mai i suoi occhi di cristallo.

Sicuramente vede quegli occhi pesantemente truccati, eppure pregni della dolce e amara sfumatura dell’amore e della tristezza dell’uomo.

Mai perderanno il loro orgoglio e la loro fierezza, quegli occhi. Neppure se arrossati da invisibili lacrime che mai più scenderanno.

Occhi che attendono, intensi e profondi come l’oceano silenzioso.

Contrapposti a quelli di Gackt, altrettanto muti, altrettanto immobili, come terra risucchiata dal mare.

Si osservano, inesorabilmente attirati l’uno dall’altro ma impossibilitati a raggiungersi da quel muro di freddo ed orgoglio che s’è creato fra loro.

Sarà l’altro a fare la prima mossa.

Sì.

Lui non ha fatto nulla di male, non ha motivo di scusarsi, per questo ora l’altro parlerà.

Andrà così.

Andrà così…

Deve…

Deve… andare così…

Osservano i propri occhi, i propri volti, come se volessero per sempre imprimerli nella propria memoria. Come se non volessero mai dimenticare.

Sanno che è già tutto finito.

Che non è neppure mai cominciato.

La bambola sta provando lo smarrimento silenzioso di una disperazione inespressa e senza nome.

Ora che lo vede là, sa finalmente cos’è quel sentimento che le opprime il petto.

Sa, e solleva la mano destra coperta da un guanto di pizzo, squisitamente ricamato.

Vorrebbe parlare, con tutto se stesso, ma non lo fa.

Sta soffrendo.

E appoggia con delicatezza la punta delle dita sul vetro, appannandolo, vedendo il suo movimento imitato da Gackt, che lo fissa con una strana rabbia, e dolcezza negli occhi.

Come se volesse baciarlo, come se volesse ucciderlo. Come se quel suo sguardo infuocato d’odio e d’amore volesse imprimere sul suo corpo l’indelebile marchio della dannazione.

Solo ora Mana si rende conto di avere quella stessa espressione viso.

Bambolina innamorata e gelosa…

Solo ora le sue labbra si aprono, sottilmente proferendo una muta richiesta.

“Promettimelo…”

Le sue ciglia sottili si corrugano appena, una lucente, singola lacrima di cristallo gli scorre lungo la guancia di porcellana.

Ma lui non lo può più vedere, no.

Ora Mana vede prepotentemente davanti a sé soltanto il riflesso della bambola, con le dita ancora appoggiate alla trasparente superficie che li ha separati.

Vede i segni delle dita di Gackt ancora su quel vetro.

E sa di averlo amato.

Disperatamente se ne rende conto.

Di averlo odiato ed amato come la tenebra ama la luce.

Di come il suo orgoglio non gli abbia mai permesso di ammetterlo.

E prega soltanto che lui abbia compreso.

Non dimenticheranno la promessa.

“Promettimi che quando ci rincontreremo potremo sorridere ed amarci come se non ci fossimo mai separati. E che la dannazione ci accompagnerà entrambi, legati nel nome proibito di questo amore.”

Perché nel bene e nel male sarebbero stati uniti, con la musica, con la loro anima, quel sentimento l’avrebbero cantato all’infinito.

“Ti amo…”

La bambola si volta e s’allontana, prima di vedere sbiadire i segni delle loro dita unite su quel vetro.

 

 

Tu, che amo troppo,
stai sorridendo dolcemente
oltre il muro

Affido a un sospiro
solo questo sentimento che non riesce a raggiungerti...

(Gackt – Mizérable)

 

 

FINE

 

 

N.d.A. Piccola fic scritta davvero inaspettatamente. Non saprei bene come commentarla, ma in realtà mi piace. Per l’occasione sono tornata ad uno stile ermetico verso cui sono parecchio portata. Questa singola scena l’avevo in mente da un po’, e dopo vari tentativi ho trovato l’occasione per scriverla. Spero che vi sia piaciuta. Come avrete capito si svolge qualche ora dopo che Gackt ha lasciato i Malice Mizer, ed è il suo addio definitivo a Mana… addio che definitivo non è, perché “non è dimenticato il giuramento di quel giorno, distrutto nella fine che è agonia, ma rimane l’amore.” (citazione da uno dei testi di Mana nei Moi Dix Mois). Difatti, leggendo alcune traduzioni dei testi di Gackt e Mana, ho notato la presenza di temi ricorrenti. Tra questi, appunto, una fantomatica promessa. Ecco cosa ne ho tratto (ma ancora ci sto ricamando sopra, quindi aspettatevi un ritorno a breve…). Spero che vi sia piaciuta!

 

Vitani

   
 
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