Occhi di giada
§
Mathias Reed §
- Che abbiamo, Lanie? -
La donna era inginocchiata all’angolo della strada:
la luce di un riflettore ad illuminare quel breve tratto di marciapiede. Non
c’era la luna, quella notte. Diverse teste si erano sollevate,
incuriosite dall’assenza di quel familiare chiarore, per scontrarsi
bruscamente con una scura coltre di nubi.
L’aria era ferma ed inquietante era il silenzio che
gravava sulla zona. Era strano sentirsi parte di una quiete del genere, a New
York. Capitava assai di rado in una metropoli del genere di riuscire a sentire
i propri pensieri. Forse per questo, ognuno tentava di distrarsi, a modo suo.
- Cosa abbiamo? – mormorò la donna, senza guardarli
– Posso dirti cosa non ho. Non ho una coperta, un letto, un cuscino. Li
avevo, certo, ma a quanto pare raramente riesco a tenerli con me la notte -
- Nessuno di noi ci riesce, purtroppo – approvò
Esposito, spingendo le mani a fondo nelle tasche.
Lanie sospirò, girandosi finalmente a guardarli. Sorrise,
scostando una ciocca di capelli dal viso con il dorso della mano. Indietreggiò,
lasciando modo anche agli altri di vedere il corpo su cui era china.
Ciò che si notava a un primo impatto era solamente un
cadavere prono.
Prestando maggiore attenzione, poi, si registravano altri
particolari: le gambe appena divaricate, le braccia stese lungo i fianchi, le
mani aperte. I vestiti non avevano alcunché di particolare: un paio di semplici
pantaloni neri e una camicia bianca con le maniche lunghe.
E, come ultima cosa, gli occhi di chi guarda notano quelle
striscioline rosse. Sottili, sparpagliate sulla schiena del cadavere. Il sangue
era rappreso attorno alle ferite e creava un contrasto non indifferente con il
pallido candore dell’indumento. Pugnalate.
- Fammi indovinare – sussurrò Castle, inclinandosi
sul corpo – Ucciso a coltellate –
- Sbagliato - ribatté Lanie, senza smettere di sorridere.
Spostò il peso sui talloni, indicando con la mano le
numerose ferite:
- Nove coltellate – disse – Profonde almeno un
paio di centimetri, apparentemente inferte secondo un ordine casuale. Non sono
state la causa della morte -
Lanie si avvicinò di qualche centimetro alla schiena: con
due dita mostrò i contorni dei tagli.
- Non c’è stata una grande fuoriuscita di sangue, segno
che… -
- Sono state inferte post mortem – concluse per lei
Castle, annuendo con il capo, convinto.
- Esattamente – concordò la donna, lanciandogli
un’occhiata – Credo invece che la morte sia da attribuirsi a
questa… - disse, spostando la mano verso
il collo del corpo e facendo sì che l’attenzione di tutti si spostasse su
di esso: una lunga striscia rossa, profonda, ne percorreva il perimetro.
- Strangolamento? – domandò Beckett,
inginocchiandosi di fianco alla donna.
- Sì – mormorò Lanie, annuendo – Con una fune
o una cordicella, ora non posso essere più precisa –
- Cosa denota accoltellare qualcuno per ben nove volte
dopo averlo strangolato? – domandò Castle, incrociando lo sguardo di
Beckett soprappensiero.
- Odio – rispose lei, l’espressione seria
– Una profonda volontà di far soffrire. Rabbia repressa –
- Niente di buono, insomma – sospirò Ryan,
passandosi una mano fra i capelli.
- Non possiamo girarlo? – s’intromise
Esposito, reprimendo uno sbadiglio – Tanto per capire con chi abbiamo a
che fare –
Lanie annuì, facendo cenno ad un tecnico vestito di bianco
di avvicinarsi. Insieme voltarono il corpo, lasciandolo supino
sull’asfalto. E fu come se tutti seguissero un copione prefissato, perché
arretrarono in contemporanea, come un sol corpo. Un passo all’indietro,
le labbra dischiuse in un’espressione di pura e genuina sorpresa.
Rimasero in silenzio ad osservare il corpo senza vita del ragazzo.
Giovane, non poteva avere più di trent’anni. E,
semplicemente, era…
- Bellissimo – biascicò Beckett, senza riuscire a
distogliere lo sguardo da quello senza vita di lui.
Gli occhi erano ancora aperti e sembravano fissare tutti i
presenti. Non erano di un normale azzurro: pieni invece di striature, venature
differenti e variegate. Celeste, fiordaliso, acquamarina e cobalto, si
confondevano, alternandosi e amalgamandosi. Un gioco ingannevole e
affascinante. Ipnotizzava, rendendo difficile, quasi impossibile, non lasciarsi
conquistare.
Lanie gli abbassò delicatamente le palpebre con un sospiro.
- Bellissimo, davvero – mormorò, afferrando un
blocco appunti alla sua destra.
- Maschio, età approssimabile ai trent’anni –
cominciò ad elencare, prendendo quindi nota di volta in volta – Biondo,
occhi azzurri. Un metro e ottanta circa –
Mentre lei parlava sarebbe stato difficile capire se gli
altri la stessero o no ascoltando.
Beckett lasciò scorrere ancora una volta lo sguardo sul
volto del ragazzo, incredula. Non aveva mai visto tratti così perfetti: erano
delicati, quasi eterei. Quelli di un principe, o di un angelo.
Il viso sottile, la pelle diafana. Le labbra sembravano
boccioli di rosa e i riccioli biondi contornavano la fronte con leggiadria,
come se un pittore li avesse puntigliosamente disegnati uno ad uno.
- Tutto bene? -
Beckett si girò, richiamata alla
realtà dalla voce preoccupata di Castle. Annuì, accennando un sorriso.
- Certo – disse, schiarendosi la voce –
Documenti? – chiese, poi, rivolta a nessuno in particolare.
- Non solo – rispose Esposito, diversi fogli stretti
nella mano inguantata. Ne tenne un paio e ne passò altri a Ryan. Li sfogliarono
rapidamente, mormorando qualcosa alternativamente:
– Mathias Reed –
- Uno scontrino del supermercato -
- Ricevuta della lavanderia –
- E cartacce varie – concluse Ryan,
infilandoli tutti in una busta trasparente.
Beckett annuì, guardandoli entrambi e poi spostando
un’ultima volta gli occhi su Lanie.
- Fra le quattro o le cinque ore fa – rispose alla
muta domanda la donna – Non posso dirtelo con certezza, ad ogni modo -
- Benissimo, non perdiamo tempo – annuì Beckett
– Ryan, Esposito – chiamò – Conoscenti, legami, impegni,
tempo libero. Castle e io interroghiamo nei dintorni –
I due uomini assentirono, facendo per allontanarsi:
- Ci rivediamo in centrale –
*