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Autore: Slytherin Nikla    21/03/2011    3 recensioni
Premetto che è un tentativo, nato da mesi e mesi di fantasticherie sul mio telefilm preferito: una ragazza cresciuta in polizia torna, dopo una brutta esperienza, a ricaricare le pile nell'Agenzia Governativa dove il suo Maestro regna sovrano.
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Donald Mallard, Leroy Jethro Gibbs
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Per quanto ancora resterà così, dottore? » C'era la squadra al completo, riunita nel corridoio dell'ospedale militare di Bethesda. Leroy Jethro Gibbs guardava l'uomo cui si era appena rivolto: i suoi occhi azzurri e penetranti erano velati di una rabbia a stento trattenuta, e la sua mente solo a fatica si sforzava di restare quieta per il bene della ragazza che giaceva oltre il vetro, nella stanza illuminata a giorno dalla luce fredda dei neon.

« Non so ancora dirvelo, agente speciale Gibbs. La ferita era molto grave, come avete potuto intuire voi stessi; abbiamo cercato di ricucire il più possibile, ma ha perso così tanto sangue che chissà se le trasfusioni basteranno... Tutto dipenderà dalle prossime 24 ore, temo. Con permesso. » Il medico si allontanò.

« Forse dovremmo avvertire il comandante Fellman, capo... »

« No, pivello. L'unica cosa che dobbiamo fare è trovare Carson. E trovarlo subito »

« Credi che si cercherà un altro apprendista, ora che Chris ha fatto fuori Moriarty? » La domanda di Ziva attirò su di lei più di uno sguardo sorpreso: l'aveva davvero chiamata Chris? Da quando quella novità?

« Che ne abbia intenzione o meno, non è importante. Non gliene daremo il tempo. » Lo sguardo dell'uomo lampeggiava di rabbia. « Andiamo. »

Il tempo di pochi passi e Leroy Jethro Gibbs si voltò di scatto verso il patologo, che seguiva il resto del gruppo da poco distante; vide l'afflizione dell'amico, l'ansia per la sorte di quella “ragazzina” che avevano aiutato a diventare l'ottima agente che era, e vide quanto stesse lottando tra il primato assoluto che di norma assegnava al lavoro e il pensiero delle condizioni cliniche di Christine. Lasciò che i suoi agenti lo oltrepassassero guadagnando l'ascensore e tornò indietro, a raggiungere Ducky.

« Com'è morto Moriarty lo sappiamo, Ducky; non credo che l'autopsia sia tanto urgente. » Alzò le spalle, accennando con la testa alla direzione da cui venivano. « Rimani con lei. »

Lo sguardo dello scozzese era umido e pieno di riconoscenza dietro gli occhiali; Gibbs gli posò una mano sulla spalla senza dire una parola.

« Forse Timothy ha ragione, Jethro. Forse dovremmo... »

« No, Ducky. Chris non ha nessun bisogno di suo zio... Lei ha bisogno di te. »

Gibbs attese di vedere spuntare sul viso dell'amico l'espressione convinta che sapeva di avere appena incoraggiato in quell'uomo dai modi eleganti e cavallereschi di almeno un secolo prima; quindi, soddisfatto, raggiunse il resto della squadra.

 

A differenza che all'esterno, dove il gelo - quel gelo che aveva impedito che Christine morisse dissanguata, rallentandone la circolazione - infuriava ormai da giorni, la temperatura nell'ospedale era così elevata da rendere impossibile qualsiasi proposito di tenere addosso una giacca; ma trattandosi, poi, del giubbotto termico dell'NCIS, studiato per resistere alle temperature più rigide, non dovette passare molto prima che Donald Mallard lo abbandonasse sullo schienale di una sedia del corridoio.

Non riusciva a stare calmo, né tanto meno fermo. Oltre quel dannato vetro Christine, la loro Christine, appariva immobile e pallidissima, incosciente, e chissà se si sarebbe svegliata... Tolse gli occhiali e si passò energicamente le mani sul volto: era un medico, non poteva fingere di ignorare la gravità della situazione e le conseguenze cui simili condizioni in genere portano; ma al di là del suo essere medico, il suo essere uomo non riusciva a trovare neppure lontanamente accettabile quel pensiero.

« Se vuole entrare, dottore, non ha che da chiedere... » Ducky si scosse e rimise gli occhiali prima di rivolgere la propria attenzione al medico di poco prima. J. Fontès, diceva il cartellino.

« Posso? »

« Sì, nonostante la gravità delle sue condizioni è stabile... Inoltre credo le farebbe bene, sentire una voce amica. » Donald Mallard annuì e recuperò la giacca dalla sedia. Quanto tempo aveva passato a parlare con Gibbs, aspettando che lui si svegliasse dal coma? Era pronto a parlare per mesi, se questo avesse potuto aiutare Christine.

Fuori aveva ripreso a nevicare: il cielo bianco di nubi, le strade congestionate, l'apparente innocenza della città...E il silenzio, l'irreale silenzio, che sembrava penetrato anche nella stanza. Là fuori, da qualche parte, Albert Carson forse cercava una nuova vittima per festeggiare la sua vittoria. Là fuori, da qualche parte, Gibbs e la squadra gli davano la caccia e non si sarebbero fermati finché non l'avessero avuto stretto tra le mani.

Ma questo non cambiava le cose: Christine forse non si sarebbe ripresa, forse non avrebbe superato quelle ore fatali; forse erano gli ultimi momenti che passava con lei, eppure Donald Mallard non riusciva neppure a guardarla.

Ma doveva farsi forza. Per quanto i suoi errori con lei lo rendessero difficile.

Si avvicinò.

Probabilmente per l'assoluta urgenza dell'intervento, e in seguito perché non doveva essere sembrato di particolare necessità, nessuno a quanto pareva aveva sentito il bisogno di toglierle dal viso e da ciò che del collo restava fuori dalla fasciatura gli schizzi di sangue suo e dell'uomo che aveva cercato di ucciderla. La vista di quel sangue, così acceso in contrasto con il suo pallore innaturale, era insopportabile: il medico legale dell'NCIS scosse la testa a sottolineare la propria muta disapprovazione, recuperò una bacinella di metallo dal carrello e la riempì di acqua tiepida. Poi con gesti misurati e colmi di delicatezza iniziò a pulirle il viso, inumidendo di tanto in tanto la garza.

Ma non sapeva cosa dire. Analizzava in lungo e in largo la propria memoria alla ricerca di un argomento eppure, forse per la prima volta in tanti anni, nonostante i nobili propositi coi quali era entrato sentiva che se avesse aperto bocca non sarebbe stato in grado di dominare il tremore della sua voce.

« So di avertene già parlato, ma forse trovandomi noioso ti deciderai a rimproverarmi, » si arrese infine, colto da un lampo d'ispirazione. Le aveva già raccontato quella storia, tanto tempo prima; ma ora sarebbe stata diversa, in un certo senso più... La guardò, chiedendo al proprio cuore che cosa provava. Sì. Questa volta la storia sarebbe stata più vera. « Nella compagnia dei cadetti di Guascogna c'era un abilissimo spadaccino, la cui furia era temuta da tutti; si dà il caso che fosse anche un ottimo poeta, e che si chiamasse... », finse una pausa, come se lei avesse potuto rispondergli. Lo faceva coi cadaveri, no?, e invece Christine era viva... « D'accordo, lo dirò io. Cirano. Questo sublime poeta era innamorato di Rossana - una ragazza molto bella, sai, come te... Per quanto tu sia assai meno frivola -, ma senza speranza. Perché lui aveva un difetto fisico, che gli rendeva impossibile farsi avanti con lei... » Si domandò per una frazione di secondo se anche l'età potesse considerarsi un difetto fisico, ma subito la sua mente tornò alla versione originale del racconto.

Il dottor Mallard parlava e parlava, nel suo tono più affettuoso, e intanto le tergeva la pelle bianca dalle tracce di quell'orribile esperienza. Le pettinò i capelli, anche, lasciando che l'affetto che provava per lei fluisse liberamente nei propri gesti insieme allo snodarsi del racconto; le macchine che ne monitoravano le condizioni facevano sentire la propria presenza con impulsi sonori e luminosi che tuttavia non mostravano segni di miglioramento.

« Non lasciarmi, Christine » si trovò a dire, incredulo nell'udire quelle parole uscire dalla propria bocca ma in pace con se stesso. « Non ti chiedo semplicemente di non lasciare i tuoi amici; non lasciare me... »

Le accarezzò la fronte col dorso della mano, quindi si chinò a posarle un bacio sulle labbra. Si sentiva vecchio, e stupido, e fuori tempo massimo per quel genere di cose... Ma la consapevolezza che superava tutti quei pensieri, era che non poteva permettersi di perderla.

« Cosa importa se per la mia età ho un'aspettativa di vita più lunga della tua? Tu sei un medico e io un agente operativo, quindi corro molti più rischi di te di vederla ridurre drasticamente! » Il ricordo di quelle parole era insopportabile: quando Christine le aveva pronunciate, con la sua logica ferrea, lui quasi ne aveva riso... Certo, l'aveva fatto per dissuaderla da quella follia, per impedirle di accarezzare sogni che potevano solo farle del male... Ma ora si sentiva un mostro. Il ragionamento di Christine - quel ragionamento ineccepibile, che lui tuttavia aveva preso alla leggera - aveva preso corpo, solo che lui, invece di concederle quella felicità che lei aveva domandato e che entrambi desideravano, le aveva soltanto procurato il dolore di quel lento allontanarsi.

Pur conscio di stare cadendo nella retorica, Donald Mallard dovette confessare che, come il più mediocre degli uomini, si era reso conto pienamente di ciò che provava per lei solo di fronte al rischio di perderla. Si prese la testa tra le mani: Dio, sembrava il copione di una soap-opera!

Provvidenziale ad interrompere il filo di quei pensieri, il telefono prese a suonare. Salvato dalle cornamuse...

« Come sta? » La voce di Abby Sciuto era nervosa, spaventata: probabilmente, si disse il dottore, l'avevano appena avvertita... Tipico di Gibbs, non volerle dare certe notizie per telefono. Rivolse un'occhiata abbattuta a Christine, quindi alle apparecchiature che ne monitoravano i segni vitali.

« Stabilmente grave, temo. »

La scienziata non rispose; se non fosse stato per il suo respiro agitato, e per l'inconfondibile e ripetuto suono di chi apre la bocca per dire qualcosa ma subito la richiude, si sarebbe potuto pensare che avesse riattaccato.

« Devi impedirle di morire, Ducky. » Gli sembrò quasi di poterla vedere: il telefono stretto convulsamente tra le dita, gli occhi spalancati e lucidi di lacrime, i passi lunghi attraverso il laboratorio.

« Abigail... »

« No; parliamo della mia migliore amica. Devi farla tornare. » L'uomo sospirò. Avrebbe dato la vita, perché questo rientrasse tra le proprie facoltà.

« Abigail... » Silenzio. Abby stava cercando il modo meno traumatico per dirgli che lei sapeva, e che era certa che il modo di svegliare Christine Fellman esisteva.

« Dille quello che provi. Quello che provi veramente. » Donald Mallard, stupito dalla sicurezza con cui Abby aveva parlato di qualcosa che lui credeva nemmeno sospettasse, avrebbe voluto ricordarle che raramente una situazione come quella si risolveva come in una fiaba, e che se pure avesse potuto accadere lui certo non era il principe adatto a salvare quella fanciulla in pericolo, ma lei lo prevenne. « Dalle un motivo, Ducky. Smettila con gli scrupoli e dalle un motivo per tornare da noi. »

L'uomo richiuse il telefono e si avvicinò alla finestra. Guardava la neve scendere piano, incurante di ciò che accadeva tutto intorno, e coprire ogni sporcizia della grande città. Si voltò verso lo schermo dell'ECG, a cercare nel tracciato del battito di Christine un qualsiasi segnale incoraggiante; ma il battito del suo cuore continuava ad essere debole, come tutti i segni vitali, e dalle flebo scendevano goccia a goccia rimedi che sembravano inutili. Si appoggiò al davanzale interno, senza staccare gli occhi dalla ragazza, strinse le dita sul bordo della superficie e si concesse un sospiro; poi socchiuse le labbra e lasciò che le parole uscissero da sole.

« Abby crede che basterà dirti che ti amo, per farti aprire gli occhi... »

  
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