Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: CowgirlSara    21/03/2011    2 recensioni
L’aveva notato subito. Perché spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
I suoi espressivi occhi nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
3 - One way
Eccovi qua il terzo capitolo! Grazie ancora a tutti quelli che hanno commentato i precedenti! Recensite numerosi!

Buona lettura!
Sara

3. One Way

‘Cause we were walking on the wild side
Running down a one way street
(One way street – Bruce Springsteen)

Eve stava pregustando la sua agognata possibilità di rimettere in bocca un po’ di carne. Stese con cura la bella e profumata fetta di prosciutto praghese sul suo toast, aggiunse il formaggio e si preparò a richiuderlo con l’altra fetta di pane, prima di metterlo nel tostapane. Aveva già l’acquolina in bocca.
“Quella è carne?” Domandò secca una voce profonda alle sue spalle.
La ragazza sospirò, scrollando le spalle, poi si girò, per vedere Tom che le puntava il dito contro.
“Sì.” Ammise atona.
“Assassina.” Sentenziò lui, versandosi un bicchiere di succo d’arancia.
“Tom, sei un talebano di merda.” Replicò scocciata Eve, inserendo il panino nel tostapane.
“E tu sei una selvaggia che uccide per nutrirsi.” Ribatté Tom, mentre si sedeva a tavola e riempiva la tazza di cereali.
“Oh, sant’Iddio! Detto così, sembra che sto bollendo in pentola innocenti esploratori nella foresta del Borneo!” Sbottò la ragazza.
“Perché? Ci sono esploratori innocenti?” Fece il chitarrista; a quella battuta si scambiarono un’ironica occhiata complice e poi risero piano.
“Ad ogni modo.” Riprese Eve. “Io, adesso, mangerò questo toast e tu, ti mangerai la lingua, perché ho talmente bisogno di proteine animali che potrei mettermi a sgranocchiare anche te!” Affermò quindi.
“Lo sai che mi piacciono i morsi…” Rispose lui, con un’alzata di sopracciglia; Eve scosse il capo divertita, prima di tornare a tenere d’occhio il tostapane.
“Che buon odore! Cosa c’è per colazione?” Esclamò Bill entrando in quel momento.
“Eve sta per mangiare un panino con del maiale morto.” Dichiarò Tom.
“Ah…” Esalò deluso il cantante.
Eve sorrise tra se. A volte la ragazza aveva l’impressione che Bill morisse dalla voglia di addentare una costoletta, ma che si trattenesse perché ormai si era convertito al vegetarianesimo e tornare indietro avrebbe voluto dire essere incongruente con le proprie decisioni.
“Eve, non dovresti.” La rimproverò infatti.
“Fottiti, Bill.” Replicò calma lei, addentando il toast.
Tutti, quindi, si dedicarono alla propria colazione e Bill si rassegnò ai suoi cereali integrali, lamentandosi, però, del fatto che Eve non gli faceva mai i pancakes.
“Tornate a pranzo?” Chiese la ragazza, quando ebbe finito di gustarsi il proprio panino.
“No.” Rispose Tom, mentre metteva la tazza nel lavandino. “Andiamo a prendere Gustav e Georg all’aeroporto, poi andiamo tutti a pranzo con David.”
“Ha detto che paga lui.” Intervenne Bill.
“Secondo me addebita tutto sulla lista rimborsi della Universal.” Commentò Eve sarcastica, prima di prendersi del succo d’arancia.
“Probabile.” Confermò Tom. “Gli ha addebitato anche le medicine per la diarrea che s’è preso in Sudafrica…”
I tre ragazzi, trattenendosi a stento, si cambiarono occhiate divertite e poi scoppiarono a ridere.
“Beh, allora divertitevi.” Affermò infine Eve. “E salutatemi i ragazzi.”


*****


La ragazza fermò la macchina nel vialetto e scese, pronta a scaricare le buste della spesa. Lo sportello si chiuse con un suono ovattato.
Una volta, Eve, aveva posseduto una vecchia Ford marroncina. Un tempo, Eve, viveva nella sua vecchia Ford marroncina. A dire il vero, era durato poco tempo, circa due mesi, fino alla sua assunzione come – com’era il termine che usavano loro? – Hausfrau dei teutonici gemelli Kaulitz.
E la sua vecchia Ford, un giorno, così per capriccio, l’aveva abbandonata, forse non ritenendosi all’altezza della sua nuova vita.
Bill non aveva inteso ragioni: il giorno dopo il trapasso della Ford, era arrivato a casa col suo culo secco sopra i sedili di una fiammante Audi A1 rosso lacca. A quanto pareva, i ragazzi avevano un contratto di sponsorizzazione con la casa automobilistica tedesca e bastava che gli dicessero di avere bisogno di una macchina, che quelli gliela infilavano sotto il sedere senza nemmeno chiedergli se avevano la patente. Il bello di mangiare broccoli e cagare dollari.
La ragazza, nonostante le proteste, aveva dovuto accettare di usare l’auto – non era possibile avere una discussione civile con Bill Kaulitz – ma ora era contenta, perché la macchina era bella e andava proprio bene.
Prese la prima busta dal bagagliaio e la posò a terra, poi, mentre prendeva la seconda, qualcuno la chiamò. Si girò sorpresa e vide il bel ragazzo castano che le sorrideva.
“Michael!” Esclamò stupita, guardandolo avvicinarsi.
“Ciao.” Salutò l’artista.
“Che ci fai da queste parti?” Gli chiese Eve, ricominciando a scaricare la spesa dalla macchina.
“Sono andato a vedere la sede per una mostra, qui vicino.” Rispose tranquillo Michael.
“Hai fatto bene a passare.” Soggiunse la ragazza. “Anche se… Mi dispiace, ma Bill non è in casa.” Aggiunse con uno sguardo allusivo.
“Ah…” Commentò il pittore.” “Vedere te, mi fa comunque piacere.”
“Certo.” Annuì retorica Eve. Michael sorrise consapevole.
“Posso darti una mano?” Si offrì quindi.
“Oh, grazie!” Accettò entusiasta lei. “A patto che ti piacciano i cani.”
“Perché?” Domandò timoroso il ragazzo.
“Perché quando aprirò la porta, ce ne saranno cinque che ci verranno addosso.” Spiegò Eve.
“Hm… Di solito mi piacciono, ma siamo sicuri che io piacerò a loro?” Ribatté lui con sguardo teso.
La ragazza ridacchiò. “Ok, facciamo così… Entro prima io e li faccio uscire in giardino.” Michael annuì rassicurato.
Pochi minuti dopo erano in cucina e Eve ringraziava di nuovo Michael per averla aiutata, cosa che i ragazzi facevano assai di rado. Il ragazzo però guardava i cani che lo studiavano da fuori la vetrata.
“Io ne vedo solo quattro…” Fece infine. “Non è che uno si è appostato dietro il divano ed è pronto ad azzannarmi un polpaccio?”
“Eheheh!” Rise Eve, mentre riponeva la roba nei pensili. “No, tranquillo, penso che Tom abbia portato Frank con se.”
“E gli altri non sono gelosi, poi?” S’informò lui con genuina curiosità.
“Oh, da morire! Vedessi come regolano i conti, dopo!” Esclamò lei. “Ad ogni modo, Frank è il cane di Tom. Gli altri sono più billici, diciamo, tranne i due piccoli spelacchiosi, quelli me li devo sorbire io.” Aggiunse, indicando i quattro zampe che ormai si disinteressavano del nuovo arrivato.
“Eve, sei incredibile!” Commentò divertito Michael.
“La maggior parte delle volte mi dicono che sono pazza.” Fece lei, stringendosi nelle spalle.
“È la sorte in cui incorre ogni artista.” Soggiunse lui; si scambiarono un’occhiata significativa e sorrisero.
“Mi dispiace che tu non abbia trovato Bill.” Affermò la ragazza, sedendosi al banco della cucina, dopo aver invitato Michael a fare altrettanto.
“Non fa niente, lo chiamerò dopo.” Replicò tranquillo il pittore.
“Sono venuti gli altri del gruppo, stanno provando in uno studio a Malibu.” Spiegò la ragazza, torcendosi sulla sedia per prendere due bicchieri. “Lo Starr e… qualcosa…”
“Lo studio Starr & Kneets?”
“Sì, quello!”
“Lo conosco, lo usa spesso un mio amico che si occupa di colonne sonore.” Dichiarò Michael. “Non è lontano da casa mia…”
“Beh, allora puoi passare lì; loro, solitamente, escono verso le sei.” Fece Eve, con tono casuale, cogliendo lo sguardo interessato dell’artista. “Ma, adesso, prima di andare, ti bevi qualcosa insieme a me.”


******


Michael aspettava appoggiato alla sua jeep, nella luce calda del tardo pomeriggio losangelino. Lo studio si affacciava su un giardino ben tenuto e molto geometrico. Lui aveva dovuto parcheggiare un po’ lontano dall’ingresso, perché c’erano diverse altre auto.
Erano passate da poco le sei, quando la porta si aprì e ne uscì un gruppetto di persone; stavano ridendo forte. Erano guidati da un ragazzo coi capelli lunghi e da uno alto con occhiali da sole e una felpa enorme. Decisamente non parlavano inglese.
Il pittore si scostò dalla macchina e fece qualche passo per vedere meglio; in quel momento uscì anche Bill. Rideva, soave, insieme ad una ragazza bionda. Indossava una camicia a quadri sui toni dell’arancio, jeans e anfibi invecchiati; la grande borsa in spalla.
Michael si avvicinò; i primi due che erano usciti gli passarono vicino e quello alto lo guardò in modo strano. Il ragazzo, però, non se ne preoccupò più di tanto, perché era già concentrato altrove.
Bill andava diritto verso di lui, ma non lo aveva ancora visto perché parlava con la ragazza. Lei era una biondina minuta, carina, che ancheggiava vistosamente sui tacchi altissimi dei suoi stivaletti.
“Ciao.” Salutò Michael, quando gli fu praticamente di fronte.
Bill alzò lo sguardo e rimase praticamente paralizzato per un lungo secondo, poi sollevò la sua lunga mano bianca e si sfilò gli occhiali da sole come al rallentatore.
“Michael…” Esalò il cantante.
L’artista gli sorrise felice e lui, a quel punto, si illuminò come un neon fosforescente e sorrise mostrando anche i denti che non aveva.
Michael, però, si accorse di un movimento alla sinistra del ragazzo che aveva davanti; abbassò lo sguardo e notò la biondina che lo guardava male, mentre richiamava l’attenzione di Bill toccandogli il braccio. Lui girò appena il capo, senza distogliere gli occhi dal pittore. La ragazza gli disse qualcosa in tedesco, di cui Michael comprese solo la parola “hotel”. Bill le rispose distrattamente, sempre guardando il ragazzo e lei sembrò disapprovare, perché incrociò le braccia e mise su il broncio, lanciando un’occhiata ostile a Michael, poi, quasi battendo in piedi, si allontanò con espressione delusa.
“La tua amica sembra un po’ offesa.” Commentò Michael, indicando con la testa la ragazza che saliva in una delle macchine dietro di loro.
“Oh, no!” Esclamò candido Bill. “È Naty, le passerà… Mi farò perdonare.”
“Non voglio sapere come!” Scherzò l’altro.
“Ah, niente di proibito! Le comprerò un bel paio di scarpe!” Replicò, poi intercettò uno sguardo dolce di Michael solo per lui e, allora, sorrise. “Mi hai fatto davvero una sorpresa, come sapevi che ero qui?” Gli chiese.
“Diciamo che ho le mie fonti…” Rispose cospirativo l’artista. Bill aggrottò sospettoso la fronte, ma poi, in modo repentino, sorrise radioso.
“Non importa come, quello che conta è che sei qui!” Dichiarò quindi, allegro.
Michael gli sorrise, ma la sua espressione ridivenne neutra, quando il ragazzo alto con la felpa arrivò vicino a Bill. Il pittore si sentì esaminare dal suo sguardo penetrante, anche se coperto dalle lenti scure degli occhiali che quello indossava. Il cantante, invece, si girò verso il nuovo arrivato sorridendo.
“Tomi…” Lo appellò con confidenza. “Questo è Michael, ti ho parlato di lui…” Gli disse poi, indicandogli l’altro ragazzo.
“Ah… sì…” Biascicò lui. “Piacere.” Mormorò quindi, senza fare cenno di porgergli la mano, ma continuando ad osservarlo.
“Michael, ti presento Tom, mio fratello.” Riprese nel frattempo il cantante.
“Oh…” Fece Michael, sorpreso. “Piacere mio.” Aggiunse sorridendo.
Si concesse, quindi, un momento per osservarli, visto che Bill si era girato verso il fratello per dirgli qualcosa, anche se la comunicazione, al momento, non sembrava verbale. La loro somiglianza non era immediata, visto il look molto diverso che avevano, ma quando li avevi davanti era innegabile che fossero gemelli identici.
“Mi aspetti in macchina?” Chiedeva in quel momento Bill a Tom. “Due minuti…” Il gemello non rispose, si limitò a fare un cenno con la testa e allontanarsi con un saluto veloce a Michael.
“Uno di poche parole, tuo fratello.” Commentò il pittore, senza malizia.
“Eh, sì.” Annuì Bill. “Ma ti assicuro che è una persona dolcissima.” Aggiunse con orgoglio, poi mise le mani sui fianchi sottili e fissò intensamente Michael, sollevando un provocante sopracciglio. “Adesso, però, voglio sapere che cosa ci fai qui.”
L’altro ridacchiò divertito, poi sorrise e tornò a guardare Bill con una luce maliziosa negli occhi.
“Volevo chiederti se ti andava di uscire a cena con me.” Affermò infine.
Bill spalancò deliziosamente le labbra in un’espressione sorpresa, ma Michael non sapeva dire se lo aveva stupito in modo piacevole oppure no; sembrava preoccupato.
“A…a cena? Io e te?” Balbettò alla fine il cantante.
“Sarebbe l’ora, non trovi?” Replicò Michael.
Bill lo fissò per qualche istante in quei suoi occhi così blu, poi abbassò lo sguardo sul resto di lui: la maglietta bianca, la camicia a quadretti sopra, i jeans, le scarpe da ginnastica. Gli piaceva davvero molto quello che vedeva.
“Sì, penso di sì.” Rispose infine, tornando a guardarlo negli occhi.
“Facciamo venerdì sera?” Incalzò allora Michael.
“Perfetto.” Accettò immediatamente Bill. “Dove mi porti?”
“Oh, beh… non lo so…” Rispose impreparato il pittore. “Sono il tipo che decide all’ultimo momento… E’ un problema?”
“Ecco… era soprattutto per sapere come vestirmi…” Confessò il cantante con lieve imbarazzo.
“Informale.” Affermò Michael con apparente sicurezza. La sicurezza di sapere che Bill avrebbe potuto tranquillamente mettersi anche un sacco della spazzatura e sarebbe stato, comunque, più bello e sexy di chiunque altro.
Quando Bill, pochi minuti dopo, salì in macchina, aveva un’espressione estatica; guardò Tom, seduto al posto di guida, e il suo sorriso si allargò ancora di più.
“Beh?” Fece il chitarrista, con un cenno.
“Usciamo a cena, venerdì.” Riferì il cantante gongolando.
“Ah…” Esalò rigido Tom, sistemandosi sul sedile e spostando lo sguardo avanti.
“Tomi.” Lo chiamò piano Bill, con una mano posata sul suo braccio; il gemello si girò. “Grazie.”
Si guardarono negli occhi per un lungo momento. Non c’era molto da dire. Bill sapeva che Tom aveva capito ed era felice che gli avesse concesso quei pochi minuti con Michael.
“Ti voglio bene.” Disse Bill, mentre guardava il fratello con adorante tenerezza.
“Sì, dai…” Tagliò corto Tom, abbassando gli occhi.
“Volete darvi anche un bacetto…” Intervenne Georg, dal sedile posteriore.
“O ci portate a cena?” Concluse Gustav, sporgendosi in avanti.
I gemelli guardarono verso gli amici, poi Bill rise contento, mentre Tom, rosso in faccia e col broncio, ingranava la prima ed usciva dal parcheggio.


*****


Bill fermò la macchina più o meno dove l’altra volta, vicino a quella di Michael. Solo alcuni lampioncini lungo il vialetto d’accesso illuminavano il giardino.
Il ragazzo, prima di scendere, si concesse un minuto per stemperare l’agitazione; si accese una sigaretta e la fumò nervosamente.
Non era in ansia per l’appuntamento in se. Beh, anche per quello, perché lui e Michael, finora, non avevano potuto passare molto tempo insieme. Il suo nervosismo, però, era più che altro dovuto al fatto che erano anni che non usciva da solo con qualcuno e non certo perché non avesse voluto. Era la sua vita da star a non andare d’accordo con gli appuntamenti intimi. Guardie del corpo, paparazzi, rischio di ragazzine infoiate che lo disturbano, erano tutte cose che inibivano il romanticismo. Le poche “storie” che aveva avuto negli ultimi tempi si erano consumate in fretta, tra alcool e camere d’albergo, senza il tempo che i sentimenti ci si mettessero nel mezzo.
Era stanco di tutto questo, voleva crescere e non aveva ancora rinunciato all’amore, anche se era abbastanza pragmatico da non illudersi sulla durata infinita di tale sentimento.
Michael gli piaceva davvero tanto e in un modo che non gli capitava da tempo, per questo era fermamente deciso ad andarci piano.
Prese un lungo respiro. Doveva rimanere presente a se stesso, se voleva mantenere il suo piano, perché temeva molto la commistione tra presenza di Michael, alcool, luci soffuse… ed il suo scarso autocontrollo davanti ad un’attrazione fisica come quella che provava per il pittore.
Bill, finalmente, si decise a scendere dalla macchina. Aprì lo sportello, si mise in piedi e prese una lunga boccata finale, prima di gettare a terra il mozzicone e spegnerlo col tacco. Prese, poi, la sua borsa e se la sistemò in spalla, respirò forte, si girò verso la casa e restò immobile. Dopo qualche istante d’osservazione, rise tra se.
La strana statua, sì, quella che non si capiva bene cos’era. Beh, era un lampione. Sotto quella specie di cappello, infatti, c’era una lampada che spargeva una luce giallina proprio davanti all’entrata.
Sorridendo, Bill, si diresse verso la porta di metallo, ma non fece in tempo a suonare il campanello perché gli venne aperto. Michael lo aspettava sulla soglia della porta colorata.
Il pittore indossava una semplice maglietta chiara e dei jeans. Gli sorrideva tranquillo, ma Bill si fece perplesso, perché non sembrava affatto pronto per uscire.
“Sono arrivato troppo presto?” Chiese infatti, entrando.
“No, sei puntualissimo.” Rispose calmo Michael.
“Beh, allora temo di essermi vestito troppo elegante…” Affermò quindi, perplesso, mentre osservava l’altro ragazzo.
Il pittore gli dedicò una lunga occhiata. Bill portava dei jeans scuri, con riflessi luccicanti neri, gli stivali con la zeppa con cui lo aveva conosciuto ed una giacca nera tipo smoking; sotto, quella che sembrava una t-shirt nera e alcune collane d’argento al collo.
“Sei stupendo.” Commentò poi.
“Io… io non capisco…” Fece confuso il cantante. “Dove mi porti?” Domandò timoroso; dall’abbigliamento di Michael, si stava già aspettando un locale di basso ordine…
“Ecco…” Tentò di replicare l’artista, poi si grattò la nuca con apparente disagio. “Se non è un problema, avrei pensato di cenare qui.” Confessò infine.
“Ohhh…” Esalò Bill, incapace di aggiungere altro.
“Vedi…” Continuò Michael, invitandolo a procedere verso l’interno della casa. “…ho pensato che, per te, poteva essere, come dire, complicato, andare in un locale pubblico senza bodyguard e con un ragazzo.” Spiegò, mentre camminavano. “Sono un buon cuoco ed ho pensato che, beh, potevo impegnarmi un po’ e preparare un’ottima cena!”
Bill si fermò e guardò serio Michael; lui si accigliò preoccupato, ma ben presto le labbra del cantante si arricciarono in un sorriso malizioso.
“Se anche tu lo avessi fatto solo per avermi tutto per te, ti avrei perdonato.” Dichiarò suadente. L’altro non poté fare a meno di ridere deliziato.
Michael spinse delicatamente Bill ad entrare nella stanza oltre la parete di cubi di vetro. Lì, c’era una piccola cucina moderna, pervasa da un buonissimo profumo di sugo di pomodoro. Accanto alla parete di vetro c’era un alto tavolo rotondo contornato da quattro bizzarri sgabelli uno diverso dall’altro. Sul lato destro, un arco dava accesso ad un altro ambiente.
Sul fornello c’era una pentola di acqua bollente ed una padella colma di sugo, anche quella bolliva piano. Bill osservava tutto con occhi curiosi.
“I ravioli li ho comprati, ma la salsa l’ho fatta io.” Affermò Michael, dalle sue spalle.
Il cantante si voltò verso di lui con un sorriso rilassato. “Sembra ottima.” Commentò.
“Vuoi assaggiare?” Gli chiese allora il pittore, dopo essersi avvicinato al fornello e aver girato il sugo con un cucchiaio di legno che era posato lì vicino. Bill annuì.
Michael prese un po’ di salsa con la punta del mestolo e lo porse a Bill, tenendoci una mano sotto per non versargli niente addosso. Lui, senza distogliere per un attimo gli occhi da quelli dell’artista, assaggiò lentamente. Il sugo era ottimo, ma Bill quasi non se ne accorse, perché l’aria era diventata improvvisamente elettrica, tra di loro, tanto da sembrare quasi solida.
Bill era ipnotizzato dallo sguardo liquido di Michael e si rese conto che il suo pollice era sulle proprie labbra solo quando stava già succedendo. Il dito pulì una piccola traccia di sugo dal suo labbro inferiore, tastandone delicatamente la morbidezza, per poi tornare al proprietario, nella sua bocca. Se lo succhiò piano, quasi gustandolo, e questo provocò in Bill un lungo brivido che finì esattamente in quel posto. Il cantante deglutì.
Michael, però, probabilmente rendendosi conto di essersi spinto un po’ oltre, abbassò lo sguardo e sorrise con vago imbarazzo.
“Ok…” Fece poi, alzando le mani e facendo un passo indietro. “Sarà meglio calmarsi.” Bill sorrise, un po’ deluso forse, ma rassicurato. “Se vuoi posare le tue cose, di là c’è un divano.” Gli disse Michael, mentre gli indicava la stanza accanto.
“Grazie.” Disse Bill educatamente e gli passò accanto sfiorandolo col proprio corpo. Michael, gli occhi socchiusi, seguì col capo la scia del suo profumo.
Il cantante entrò nel piccolo salottino. C’era un divano lungo la parete, con davanti un tappeto in stile messicano e un tavolino basso di legno. La stanza, tramite una vetrata dall’aria vissuta, si affacciava su una veranda abbastanza cadente. Bill sorrise, di quell’ambiente che faceva così tanto artista, mentre posava la borsa sul divano.
“Oh, non vedevo un televisore come questo da quando vivevo a Loitsche!” Esclamò poi, quando vide il vecchio apparecchio.
Michael si affacciò sulla porta, sorridente, aveva in mano una bottiglia di vino che stava stappando.
“Non guardo molta televisione.” Affermò serafico.
Bill, nel frattempo, si era spostato ed osservava delle fotografie disposte sopra alcune mensole, l’altro ne seguiva i movimenti, sempre col sorriso sulle labbra.
“Questo sei tu?” Domandò infine Bill, prendendo in mano una cornice.
Era una foto molto allegra con dei ragazzini vestiti bene, ma piuttosto sconvolti dall’agitazione della festa che sembrava essere in corso dietro di loro.
“Sì.” Rispose Michael, osservando l’immagine. “È il mio Bar mitzvah.” Bill sollevò su di lui uno sguardo interrogativo. “Si tratta di una cerimonia ebraica per l’entrata nell’età adulta, anche se in realtà si entra più che altro nell’adolescenza.” Spiegò poi.
“Sei ebreo?” Chiese sorpreso il cantante.
“Sì, in via del tutto genetica, sì.” Annuì Michael. “Ma non sono molto praticante, al contrario del resto della mia famiglia.”
Bill sorrise e posò la cornice, assicurandosi di rimetterla come l’aveva trovata.
“Li vedi spesso?” S’informò quindi.
“Non molto, vivono a Sacramento e poi… L’essere la pecora nera della famiglia non mi aiuta nel rapporto. Non speravano certo che diventassi un degenerato artista bisessuale!” Concluse la frase con tono allegro. Bill gli sorrise dolcemente.
“Mia madre pensa che se si vede un talento, in una persona che si ama, lo si deve assecondare.” Affermò quindi, sereno.
“E lei lo ha fatto? Con te e tuo fratello?” Chiese Michael.
“Mi ha lasciato tingere i capelli, fare un piercing e suonare nelle birrerie prima dei dodici anni, quindi… direi di sì.” Rispose soave Bill. L’altro rise con tenerezza.
“Ti va un bicchiere di vino?” Fece poi, alzando la bottiglia. Bill annuì allegramente.

Eve scese le scale mentre ancora si tamponava i capelli con un asciugamano. Era sempre confusa riguardo a ciò che era accaduto solo una mezz’ora prima.
Era tornata a casa abbastanza tardi, perché si era attardata a fare shopping con la sua amica Consuelo. Quando era arrivata a casa, aveva trovato Tom seduto sulla sponda del divano che strimpellava la chitarra. Le aveva detto di non mettersi a cucinare, di andare a farsi una doccia, che pensava a tutto lui. Lei, dopo alcune proteste, aveva accettato recalcitrante, convinta da Tom che la blandiva con il fatto di avere la casa libera. Ma chissà cosa aveva in mente davvero.
Arrivò al piano terra e trovò tutto in penombra, tranne per alcune candele accese sul tavolino del salone, sul mobile bar, sul tavolo della sala da pranzo. Si guardò intorno perplessa.
Tom era in cima ai due gradoni che portavano dal salone alla sala da pranzo e la guardava compiaciuto; sorrise e allargò le mani.
“Che diavolo succede?” Domandò allegra Eve, scaraventando l’asciugamano sulla ringhiera. “Questa roba?” Indicò le candele. “Un attacco di romanticismo?”
“Se anche fosse?” Ribatté Tom, mentre si avvicinava.
“Non sembra una cosa molto da te, ma…” Fece lei, passandogli le braccia intorno al collo. “…mi piace.” Aggiunse strofinando il naso contro la sua guancia. Tom sorrise e la strinse.
“Non ti preoccupare per la cena, ho ordinato tutto da Bellini.” Le sussurrò quindi all’orecchio. Lei si scostò sorridendo entusiasta.
“Filetto alla Wellington?!” Chiese speranzosa.
“Scordatelo.” Ripose acido Tom.
“Hm, vabbene…” Commentò arresa Eve, stringendosi di nuovo a lui. “Ti perdono perché fanno delle verdure meravigliose.” E sorrise, sentendo il chitarrista che faceva altrettanto contro la sua pelle.
“Oh, aspetta…” Tom si fermò, allontanandosi appena dalla ragazza; tirò fuori qualcosa, era un telecomando, lo puntò e spinse il bottone. La musica che partì, sorprese Eve.
“Ah, ma questo è…” Esclamò incredula.
“Non te lo aspettavi, eh?” Le fece lui, con un sorrisetto sbieco dei suoi.
“Tu, stasera, vuoi proprio rendermi disponibile…” Mormorò la ragazza, mentre lo teneva stretto.
“And we're walkin' on the wildside, runnin' down a one way street…” Canticchiò Tom al suo orecchio, mentre le carezzava la schiena fino al sedere, con delicata voluttà.
“Oddio, che voce sexy.” Commentò Eve ridacchiando. “Dovrò proprio dartela… Le candele, la cena di Bellini, la musica del Boss…”
“Vuoi cenare prima o dopo?” Le chiese allora Tom, con tono furbo.
“Stavo per dire che volevo fare l’amore… prima e dopo cena.” Replicò Eve, il sorriso malizioso. Lui rispose arricciando sensualmente le labbra, poi la prese per i fianchi, tirandola su. La ragazza si aggrappò a lui sorridendo, mentre si dirigevano al divano.

Bill, nel corso della cena, si era tolto la giacca. Sotto non portava una t-shirt, bensì una canottiera. Non era «secco» come lo aveva immaginato Michael. Era certamente esile, ma anche tonico. Le sue lunghe braccia candide erano modellate da muscoli proporzionati alla massa del suo corpo. Ed erano bellissime.
“È tutto buonissimo, Michael.” Affermò il cantante, prima di pulirsi delicatamente la bocca con il tovagliolo.
“Grazie.” Rispose il pittore, sorridendogli.
Si scambiarono un lungo sguardo caldo. Michael posava il mento su una mano alzata, Bill era composto in cima allo sgabello. L’altra mano dell’artista si sollevò lentamente, mentre tutto il resto, compresi gli occhi, era rimasto immobile. Posò le dita e carezzò piano l’avambraccio di Bill, lui lo guardò farlo e sorrise appena.
“Cosa significa questa scritta?” Gli chiese pacato, continuando a percorrere con le dita il tatuaggio.
“Freiheit…” Pronunciò il cantante, osservando il proprio braccio e la mano calda di Michael. “Significa libertà.” L’altro sollevò le sopracciglia, apparentemente sorpreso.
“Libertà… Interessante.” Commentò con un sorriso storto. “Ti sentivi… prigioniero?”
“In un certo senso!” Fece Bill, prima di bere l’ennesimo sorso di vino. “Finché siamo stati minorenni, ci controllavano di continuo: non fumare, non bere, dì poche parolacce in tv…” Come sempre, spiegava le cose gesticolando. “Quando ho compiuto diciotto anni mi sono sentito veramente liberato, più padrone di me stesso e delle mie decisioni e così… Ora sembra una cavolata, lo so…”
“Penso che le motivazioni di una decisione, alla fine, siano sempre sensate.” Dichiarò tranquillo Michael. “L’importante è che non ti abbia stancato.”
“Oh, beh… no, anzi, mi piace ancora!” Ribatté allegro Bill, carezzandosi il braccio.
“Ne hai altri? Di tatuaggi?” Chiese il pittore, dopo aver svuotato il bicchiere.
“Questo non lo hai visto?” Replicò Bill, mentre girava appena il capo e si chinava verso di lui. Michael si trovò sotto gli occhi il logo dei Tokio Hotel, chiaramente stampigliato sulla sensualissima nuca del loro frontman. Lo riconobbe per averlo visto nel loro sito, dove aveva curiosato giorni prima.
“Oh!” Esclamò sorpreso l’artista. “Ti hanno marchiato!”
“Come una vacca!” Cinguettò Bill raddrizzandosi. “In realtà allora non mi sembrava questo. Il logo era il simbolo del mio sogno, un sogno realizzato.” Spiegò poi, con un sorriso addolcito dal ricordo.
“Ho anche il sospetto che non sia l’ultimo tatuaggio che hai…” Ipotizzò poi il pittore, incuriosito.
“Oh, sì!” Esclamò Bill. “Ma non ti dirò cosa rappresentano o dove sono gli altri, perché una volta tanto ho conosciuto una persona che non sa a memoria la mappa del mio corpo, tatuaggi, piercing e nei compresi. Voglio mantenere un po’ di mistero.” Ammiccò infine.
“Approvo in pieno.” Commentò Michael, mentre lo fissava, leggermente sporto verso di lui.  “Anche perché, sarei interessato a scoprirla da solo, quella mappa.” Concluse, dedicando all’intera figura del cantante un’occhiata languida, per poi tornare sui suoi occhi.
Bill lo fissò con un sorriso provocante, all’apparenza allettato dalla proposta, poi distolse gli occhi e bevve, lasciando il bicchiere vuoto.
Anche Michael sorrise. Stare con Bill gli faceva un effetto inebriante. O forse era il vino. Ma si sentiva bene, come non succedeva da tanto, troppo tempo. Voleva che questa serata si concludesse il più tardi possibile.
“Che ne dici? Stappiamo un’altra bottiglia?” Domandò al cantante. Bill gli sorrise allegro.
“Assolutamente.” Annuì quindi.

Tom e Eve stavano mangiando seduti davanti al bancone della cucina. Avevano scaldato la cena e aperto una bottiglia di vino.
La ragazza era appollaiata su uno sgabello e spiluccava i resti di un meraviglioso crostone di verdure. Tom la osservava, ciondolando col bicchiere in mano. Lei indossava una lunga maglietta grigia e teneva una gamba piegata vicino al petto. I capelli, che nel frattempo si erano asciugati, erano un po’ sconvolti.
Il chitarrista allungò una mano e le carezzò la testa; lei reclinò il capo sulla spalla e lo guardò, sorridendo dolcemente.
“Sei bella, arruffata.” Le disse lui, continuando a carezzarla. Lei sorrise ancora, compiaciuta come un gattino coccolato. “Se ti vedesse Bill, tutta scompigliata…”
“Gli direi che è colpa tua.” Ribatté tranquilla la ragazza. Tom sbuffò un sorriso.
Il chitarrista, quindi, si raddrizzò sullo sgabello e versò ad entrambi un altro bicchiere di vino.
“Sai dove sono andati a cena?” Chiese poi a Eve.
“Bill mi ha detto che Michael avrebbe deciso all’ultimo momento.” Rispose la ragazza, mentre prendeva il proprio bicchiere. “E l’ho visto un po’ preoccupato…”
Tom accennò una risata cinica. “Vorrai dire che era in paranoia dura!” Commentò poi. Ridacchiarono.
“Mi spieghi perché siete così? Avete sempre bisogno di programmare tutto, siete dei maniaci del controllo!” Affermò Eve, spalancando gli occhi.
“Siamo tedeschi.” Fece incurante lui, stringendosi nelle spalle. Lei rise e gli diede una piccola spinta. “Ad ogni modo… Credo che avere le cose sistemate ci dia sicurezza.”
“Oh, i miei piccolini…” Cinguettò Eve, allungandosi per carezzargli la guancia.
“Smettila, scema!” Reagì Tom, ma sorrideva sotto i baffi.
Eve, allora, si alzò ed andò a sedersi sulle sue ginocchia. Gli circondò il collo con le braccia e gli sbaciucchiò tempia e guancia, mentre lui sorrideva lusingato.
“Sai.” Mormorò Tom, scostandola appena per guardarla negli occhi. “È per questo che ci piaci tanto, perché non ti perdi mai in un bicchier d’acqua, sai sempre di cosa abbiamo bisogno, ti prendi cura di noi e non pretendi niente in cambio.”
“Beh, ho un ottimo stipendio e lo straordinario pagato in natura.” Replicò concreta lei. Tom sorrise furbo.
“E dillo che ci vuoi bene.” La blandì poi, dondolandola contro di se. Lei rise contenta, poggiando il capo sulla sua spalla.
“Vi voglio bene.” Sussurrò quindi. Tom le prese la mano e le baciò il polso.
“Mangiamo il dessert?” Le chiese poi.
“Hai preso i budini al cioccolato?” Il chitarrista annuì con un sorrisetto storto. “Stasera ti sei proprio impegnato…” Aggiunse la ragazza, prima di mettersi cavalcioni su di lui.
“Che ne dici se prima facciamo un po’ di pulizia, qui sul bancone?” Domandò ammiccante Tom.
“Sì, è meglio.” Annuì Eve, poi si girò un po’ e con una manata scansò la roba che c’era sul piano. Lui la prese con sicurezza per il sedere e ce la fece mettere sopra. Già si baciavano.

Se non combinava qualcosa con lui stasera, era un completo idiota. Bill riempiva la stanza con la sua sola presenza: il suo profumo, le sue sigarette, il suo gesticolare, la sua risata solare, la sua luce. Sì, perché, anche se la cucina era illuminata soltanto dalla piccola luce sul fornello e da qualche vecchia candela accesa sul tavolo, lui faceva risplendere ogni cosa intorno a se. E Michael desiderava essere scaldato da quella luce molto più a fondo.
“Hmpf… fa caldo…” Dichiarò Bill, stiracchiandosi un po’ le spalle. Michael sorrise.
“Sarà il vino.” Commentò poi. “Ne abbiamo bevute quasi tre bottiglie.” Aggiunse, indicando i vuoti sulla tavola. Bill rise.
“Sì.” Fece quindi, appoggiando il mento su una mano, cosa che avvicinò il suo viso a quello dell’artista. “Mi sa che sono un po’ brillo.”
“Stai attento, potrei approfittarmene.” Affermò ironico l’altro, accorciando ulteriormente le distanze.
“Qualcosa ti fa pensare che ti respingerei?” Replicò suadente Bill, mentre lo fissava negli occhi.
“Hm, non ti conosco ancora molto, devo capire fin dove posso spingermi…” Ribatté Michael, abbassando lo sguardo su quelle labbra rosa, carnose e invitanti.
“Penso, almeno… fin qui.” Esalò lui, prima di cozzare la bocca contro la sua.
Quando Bill fece per scostarsi, Michael non glielo permise. Passò una mano sulla sua nuca liscia e tiepida, tirandoselo più vicino. Il cantante, per non perdere l’equilibrio sullo sgabello, lo prese per la maglietta all’altezza delle costole; le sentiva chiaramente sotto la stoffa.
Iniziarono ad assaggiarsi reciprocamente le labbra, con lentezza curiosa, succhiando piano. Le mani di Michael tenevano il viso di Bill, carezzavano il suo lungo collo candido; quelle del cantante erano aggrappate alla t-shirt del pittore e saggiavano la consistenza del suo corpo oltre lo strato sottile del cotone. Poi successe.
La lingua di Bill – impertinente – fece capolino improvvisa, iniziando a leccare le labbra di Michael con piccoli tocchi sensuali.
L’artista non aveva mai sottovalutato l’attrazione che provava per Bill, ma quel gesto, provocante e sfrontato, lo stava eccitando più del previsto.
Si lasciò andare ad un gemito soffocato, poi si sporse verso di lui, quasi scivolando dallo sgabello, e lo afferrò alla vita, tirandolo più vicino. Anche il cantante scivolò sul bordo del sedile e gl’infilò una mano sotto la maglia.
Continuarono a baciarsi a lungo, sempre più profondamente e con sempre maggiore coinvolgimento fisico, ma quando Michael si staccò per baciare il collo di Bill, lui lo prese per le braccia e si scostò appena. Il pittore, preso com’era, non si accorse subito del cambiamento e cercò di continuare a baciarlo.
“Michael…” Esalò la voce arrochita di Bill, tentando ancora di spostarsi.
“Oh, Bill… Dio…” Soffiò l’altro sul suo collo; il cantante emise un gemito basso e si contorse sensualmente tra le sue braccia. Lui lo strinse.
“Mi… Michael…” balbettò però Bill, provando ad allontanarsi ancora.
Il pittore, allora, con un sorriso deluso, lo lasciò andare ed alzò gli occhi nei suoi. Aveva un’espressione interrogativa e un po’ preoccupata.
“Cosa c’è?” Gli chiese quindi, paziente.
Bill abbassò gli occhi, girando appena il capo, imbarazzato.
“Io… Michael…” Esordì incerto, le mani nervose. “In questo momento, io, davvero, vorrei tanto fare l’amore con te…”
“Anch’io, Bill.” Lo interruppe l’altro, mentre gli prendeva la mano vellutata, che era posata sul bordo del tavolo. Il cantante lo guardò.
“Vorrei, ma non posso.” Affermò quindi. Michael spalancò gli occhi sorpreso.
“Oh…” Commentò, prima di risistemarsi sullo sgabello. “È perché, per principio, non lo fai al primo appuntamento?” Chiese poi, scherzoso.
“Oh, no!” Esclamò Bill. “Lo faccio! Lo faccio anche senza appuntamento, ma…” Aggiunse, poi si alzò da tavola e si diresse nel salottino. Michael lo seguì, vagamente allarmato.
“Bill…” Lo chiamò, un tantino affranto.
Il cantante, che si stava già infilando la giacca, sbuffò e si fermò con le braccia lungo il corpo, il capo basso.
“So che ti devo una spiegazione, però…” Fece mesto, poi prese un lungo respiro. “Non so come farlo senza sembrarti infantile o stupidamente egocentrico.” Spiegò quindi.
“Ti prego, provaci.” Lo incitò Michael, fermo nel vano della porta.
Bill respirò di nuovo, come per darsi coraggio, poi, sempre senza riuscire a guardare l’altro ragazzo, iniziò a parlare.
“Tu hai una storia con Johnathan, vero?” Esordì titubante. Michael aprì le labbra, apparentemente sorpreso, quindi si fece serio.
“Sì, ma…” Ammise infine, prima di continuare. “…è superficiale, solo…”
“Ti supplico, non dire: solo sesso!” Lo interruppe Bill, alzando una mano. “Ti credo, ma non cambia niente: c’è un’altra persona nella tua vita e io… Io non sono bravo ad arrivare secondo.”
“Non capisco, Bill.” Affermò arreso il pittore, la fronte aggrottata. Il cantante allargò le mani.
“Io sono egocentrico, è vero.” Dichiarò poi. “Sono egocentrico, esibizionista, possessivo, infantile e anche uno stupido romantico…” Michael sorrise a quelle parole. “…ma quando mi accorgo che una persona m’interessa – davvero – non posso accettare di non essere l’unico nella sua vita, il solo oggetto del suo desiderio, l’unica persona con cui vuole passare il tempo… Ecco, adesso puoi prendermi in giro.”
Ma Michael aveva un sorriso tutt’altro che derisorio. Lo guardava con dolcezza e quasi comprensione. Si avvicinò piano a lui e gli accarezzò una guancia morbida.
“Anche tu sei importante per me. Molto più di quanto avrei creduto all’inizio di questa cena.” Gli disse. “E mi rendo conto che niente di quello che potrei dirti, cambierebbe le cose, stasera.” Continuò pacato. “Però, per dovere di cronaca, la mia storia con John è finita da un pezzo, per quanto mi riguarda. Solo che… non sono bravo a chiudere le relazioni, aspetto sempre che succeda da se o che mi lascino gli altri.” Bill lo osservava con un’espressione poco convinta. “Ma visto che sei dovuto venire dalla Germania, per farmi ricredere, ti prometto che parlerò con lui e farò del mio meglio per mettere a posto le cose.” Gli garantì infine.
“Non ti sto chiedendo niente, Michael.” Soggiunse Bill, dopo un sospiro.
“Lo so.” Annuì lui. “È proprio per questo che voglio farlo.”
“Grazie.” Soffiò colpito il cantante, con un sorriso timido.
“Allora, te ne vai?” Gli chiese quindi il pittore, fermo davanti a lui, a pochi centimetri dal suo corpo. Bill osservò la situazione, poi diede un’alzata di sopracciglia.
“È meglio di sì…” Rispose infine.
Michael, però, dopo avergli sorriso, si avvicinò ancora e gli posò una mano sul viso. Percorse col pollice la sua mandibola perfetta, carezzò con le altre dita la pelle morbida dietro l’orecchio e poi lo baciò piano, con tenerezza, sulle labbra umide e calde.
“Non baciarmi ancora…” Lo supplicò Bill, parlando contro la sua bocca con voce piagnucolosa.
“Perché? Io lo trovo molto piacevole…” Ribatté Michael, mentre continuava a depositare piccoli baci, cui veniva riposto senza attesa.
“Perché finirò per fare la cazzata che mi sono ripromesso di non fare!” Esclamò però Bill e l’altro, a quel punto, non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
“Grazie per questa serata meravigliosa, Bill Kaulitz.” Gli disse quindi, prima di scoccargli un ultimo bacio a stampo.

Bill tornò a casa che erano quasi le due. Percorse la sala da pranzo, vide le candele spente sul tavolo, attraversò il salone, si accorse dell’asciugamano sulla ringhiera delle scale. Alzò le sopracciglia, domandandosi cosa fosse successo in casa, ma fu una cosa fugace.
Arrivato nella propria camera, gettò borsa e giacca sulla poltrona, poi si sedette sul bordo del letto e si tolse gli stivali, buttandoli poi in un angolo. Sbuffò.
“Hey.” Lo chiamò una voce. Alzò gli occhi e vide Eve affacciata allo stipite della porta. “Sei già tornato?” Gli chiese la ragazza.
“Sì.” Rispose semplicemente lui.
“Ma va tutto bene?” L’interrogò allora lei, mentre gli si avvicinava. Bill annuì.
“Sì, certo, è stata una serata bellissima.” Affermò poi, tranquillo, con un sorriso. Eve gli prese il viso tra le mani.
“Sembri stanco, però.” Gli disse.
“Lo sono!” Esclamò il cantante. “È stato piuttosto… intenso.” Aggiunse, con uno sguardo significativo. Eve fece un sorrisino furbo.
“Non mi scappi, domattina mi racconti tutto!” Gl’intimò con l’indice alzato.
“Ok.” Acconsentì arrendevole Bill. Lei gli sorrise e gli diede un piccolo bacio sulle labbra, prima di allontanarsi.
“Buonanotte, allora.” Gli augurò. “Ci vediamo domani.” E fece per infilare la porta.
“Eve.” La chiamò però il ragazzo; lei si girò. “Puoi anche tornare da Tom, tanto lo so.”
La ragazza rimase come pietrificata per qualche istante, con un'espressione stupita, quindi chiuse le labbra e fece un sorrisino retorico e amaro, mentre rilassava i muscoli.
“Doveva dirtelo lui.” Affermò calma.
“L’ho capito da solo.” Replicò serafico lui.
“E come… insomma…” Balbettò Eve, incerta perfino su cosa voleva sapere.
“Conosco molto bene l’odore di mio fratello.” Spiegò il cantante. “E ci sono volte, come ora, in cui tu sai tanto di Tom. Troppo, perché tu ci abbia solo scambiato due chiacchiere a cena…”
Eve sbuffò un sorriso consapevole, incrociando le braccia. Bill sorrideva sereno, poco colpito dalla conversazione appena avuta.
“Mi fa piacere, sai.” Le disse. “Quindi… vai da lui e non ti preoccupare. Buonanotte.”
Eve lo salutò e quindi si avviò lungo il corridoio. Per un attimo pensò di tornare comunque in camera sua, ma poi tornò indietro.
Aprì la porta di Tom, entrò e la richiuse alle proprie spalle; si avvicinò al letto e scivolò sotto il lenzuolo. Lui le dava le spalle. Lo abbracciò alla vita, Tom prese un lungo respiro, poi le prese la mano posata sul suo petto. Eve gli baciò la spalla, posò il capo sul cuscino e sorrise, prima di prendere sonno.
 
CONTINUA
 


   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: CowgirlSara