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Autore: CowgirlSara    11/04/2011    3 recensioni
L’aveva notato subito. Perché spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
I suoi espressivi occhi nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi decido a postare il capitolo 4, anche se volevo prima finire il 5 (e non ci sono riuscita…), quindi vi chiedo un po’ di pazienza per avere il seguito! ^_^ Siate magnanimi.

Ho visto che la storia ha un discreto seguito, ma che i commenti sono pochissimi… Via, possibile che non abbiate nemmeno da dirmi: “Che cavolo scrivi? Datti all’ippica!”
Vi aspetto, non pretendo poemi, bastano due paroline. Grazie in anticipo!

N.B.: piccolo avvertimento d'obbligo, visto che qui non ci sono solo maggiorenni.
        Nel capitolo sono presenti scene di nudo, linguaggio a tratti pensante (si sente di peggio, lo so, ma non si sa mai) e una
        scena di sesso omosessuale, anche se non particolareggiata. Tanto dovevo. ^_^

Buona lettura!
Sara

4. Turn and burn

Love is an angel disguised as lust
Here in our bed 'til the morning comes
(Because the night – Bruce Springsteen)

Eve stava passando l’aspirapolvere in salone e, mentre dava un’aspirata energica alla poltrona vicina alle scale, lanciò un’occhiata a Bill.
Il ragazzo, in teoria, doveva fare ginnastica; in pratica, era mollemente adagiato di pancia sulla grande palla rossa di gomma e si dondolava guardando assorto oltre la vetrata che aveva davanti. Eve decise di fargli un piccolo scherzo.
Gli si avvicinò piano, con l’elettrodomestico ancora in funzione ed un sorrisetto pestifero sulle labbra. Arrivata a portata di tubo, allungò il braccio e gli aspirò il fondo dei pantaloni.
“Ahu!” Esclamò lui sorpreso e anche un po’ spaventato, portandosi una mano al sedere; quando, però, vide l’espressione di Eve, rise a sua volta. “Scema! Che mi fai?!” Le disse.
“Così impari a tenere il culo per aria!” Replicò lei allegra.
“Hey!” Sbottò Bill, fintamente offeso. “C’è chi gradisce il mio culo per aria!”
“Perché hai un gran bel sederino, dolcezza!” Entrambi scoppiarono a ridere.
Bill, poco dopo, si alzò dal pavimento ed andò a sedersi sul divano. Eve, tornata al proprio lavoro, gli sorrise.
“Quando rivedrai Michael?” Gli chiese poi.
“Hm, non lo so… L’altra sera è finita in modo un po’ strano…” Rispose incerto lui, stringendosi nelle spalle.
“Ma non vi siete baciati?” L’interrogò Eve, appoggiandosi sull’asta dell’aspirapolvere.
“Oh, se ci siamo baciati!” Esclamò Bill. “È stato un bacio di quelli… Ohhh… Di quelli che i pantaloni ti diventano molto stretti!”
“Più stretti di quelli che porti di solito?” Chiese maliziosa la ragazza.
“Tanto, tanto di più.” Rispose lui ammiccante.
Eve rise ed andò a sedersi acanto al cantante, gli passò un braccio intorno alle spalle e gli carezzò i capelli. Il ragazzo sorrise compiaciuto.
“Come siete rimasti?” Gli domandò poi, dolcemente.
Bill sospirò, prima di rispondere. “Mi ha detto che vuole risolvere le cose con Johnathan, anche se io non glielo ho chiesto.”
“Te lo avevo detto che l’avrebbe mollato!” Esclamò entusiasta Eve.
“Non lo avrebbe fatto.” La freddò il cantante; lei lo guardò interrogativa. “Ma ci si è messa di mezzo la mia integrità…”
“Aspetta.” Lo fermò lei, alzando una mano. “Tu non ci sei andato a letto perché aveva ancora in piedi la storia con Johnathan?” Gli chiese poi.
“Sono tanto idiota?” Ribatté lui, dopo aver annuito; si scambiarono un’occhiata ovvia, entrambi con le sopracciglia alzate.
Eve, infine, sorrise e lo strinse a se, baciandogli una guancia; Bill mugolò soddisfatto.
“Tu sei un adorabile biscottino sexy e vedrai che la tua attesa verrà ripagata.” Gli garantì la ragazza.
“Speriamo!” Esalò contrito Bill, con un sorrisetto perplesso.
“Hai fame? Ti va una delle mie macedonie speciali?” Chiese allora lei.
“Col gelato?” S’informò impaziente il ragazzo. Lei annuì. “La voglio!”
“Prima bacino!” Pretese la ragazza e lui l’accontentò allegramente.
Si scambiarono alcuni bacetti a fiori di labbra, poi entrambi tirarono fuori la lingua, cominciando a darsi tocchi scherzosi con la punta.
“Ma cazzo!” Li interruppe una voce stizzita. “Fate schifo!” Aggiunse Tom. Loro si staccarono e risero come scemi.
“Sì, ridete…” Commentò burbero il chitarrista, mentre gli passava davanti. “E tu…” Fece poi, puntando il dito contro Eve. “…non dovresti, tipo: passare l’aspirapolvere, cucinare, pulire i cessi?! Non ti paghiamo per slinguazzare!” Sbottò infine, prima di lasciare il salone e dirigersi in cucina.
Eve e Bill si guardarono, fecero delle smorfie fintamente preoccupate, poi risero di nuovo.
“Ha il culo storto, oggi.” Affermò quindi il cantante.
“Già, ho notato.” Annuì la ragazza.
“Vai a fargli un po’ di coccole, vediamo se lo addolcisci.” Le consigliò Bill, dandole una piccola spinta con la spalla.
“A quanto pare non sono pagata per questo.” Dichiarò lei, fingendosi acida, con riferimento alle parole del chitarrista.
“Ti do un bonus, se me lo fai diventare meno misantropo.” Replicò compito il cantante.
Eve scoppiò di nuovo a ridere, poi, dopo un’arruffata ai capelli di Bill, si alzò, pronta a guadagnarsi lo straordinario facendo rientrare i borbottii di Tom.
 
Michael era davanti alla grande tela rettangolare e la osservava, sperando che qualcosa gli dicesse quale colore usare come successivo. L’ispirazione, però, non era sua amica, quel giorno.
Sentì Johnathan muoversi in cucina e sospirò. Era passata quasi una settimana dalla sua cena con Bill e Michael non aveva ancora trovato il modo di parlare con il ragazzo. A causa dei suoi impegni, in parte; a causa della sua mancanza di coraggio, soprattutto.
Si lasciò cadere su uno sgabello e sospirò di nuovo, rigirandosi il pennello pulito tra le mani. Non poteva continuare a comportarsi così o la sua storia con Bill rischiava di non cominciare nemmeno. E questo non doveva succedere.
Era ancora soprapensiero, quando sentì un paio di mani posarsi sulle sue spalle e massaggiarlo piano.
“Dovresti riposarti un po’.” Gli disse Johnathan, continuando a massaggiare.
“Non posso.” Replicò Michael, mentre tentava di sottrarsi, ma l’altro lo tratteneva, anche se garbatamente. “Ho una mostra tra meno di un mese e tre dipinti da finire, se non mi metto a lavorare Anne mi ucciderà.”
“Quella donna ti sfrutta.” Sentenziò l’altro. “Tu hai bisogno dei tuoi tempi, di vivere ogni opera… Anne non capisce la tua arte.”
Michael s’irrigidì, infastidito da quell’affermazione, quindi si scostò, per alzarsi e fronteggiarlo.
“Anne è l’unica persona che abbia creduto in me, quando non ero nessuno e vivevo in una roulotte.” Dichiarò fermo. “Credo che capisca benissimo.”
“Non volevo offendere Anne.” Precisò Johnathan compito. “È solo che non vive a stretto contatto con te e la tua creatività come… come me.”
Ecco. Questa convinzione di Johnathan di capire meglio degli altri chi lui fosse e cosa volesse dire attraverso l’arte, era una cosa che proprio Michael non comprendeva. E che gli dava anche parecchio fastidio. Era meglio chiarire, una volta per tutte.
“A questo proposito, John…” Tentò Michael.
Lui sorrise e gli si avvicinò, allungando una mano come se volesse accarezzarlo, ma il pittore si sottrasse, prima di spostarsi verso il tavolo e posare il pennello.
“C’è qualcosa che non va?” Gli chiese Johnathan.
“Dimmelo tu.” Fece Michael allargando le mani. “Secondo te la nostra storia funziona? Sono settimane che non ci tocchiamo con un dito…”
“Perché tu, ogni volta, ti sottrai! Come hai fatto ora.” Protestò l’altro.
“È inutile raccontarci favole, è finita, John.” Ribatté tranquillo il pittore.
Il suo interlocutore, però, non era così sereno. Contrasse la mandibola ed i suoi occhi si fecero più sottili. Michael si accorse del cambiamento e aggrottò le sopracciglia.
“È per via di quel tipo, vero? Il cantante.” L’interrogò Johnathan.
“Bill non c’entra niente.” Rispose l’artista. “La nostra storia era finita prima che conoscessi lui, e lo sai.”
“Certo, nega. Cos’altro dovresti fare?” Soggiunse ostile l’altro, con un gesto incurante della mano. “Tanto lo so che te lo scopi.”       
Michael scosse la testa. “Tra me e Bill non è successo niente di quello che pensi.” Disse poi.
“Ah, no?” Replicò retorico Johnathan. “E allora cosa ci faceva a casa tua, venerdì sera? Parlavate di musica?” Gli chiese quindi.
L’espressione di Michael si fece interrogativa e seria, lo fissava con la fronte aggrottata.
“Tu cosa ne sai che era da me?” Domandò quindi, sospettoso. Johnathan si ritrasse appena, scrollando le spalle.
“Ho visto la sua macchina parcheggiata qui fuori.” Rispose infine, con apparente incuranza.
“Sei dovuto entrare in giardino, per vedere la macchina.” Ribatté accigliato il pittore.
“E allora? Io entro continuamente, ho le chiavi di…”
“Tu mi spii, John?” Lo interruppe Michael, con tono accusatorio.
“Ma che cosa dici?!” Esclamò indignato il ragazzo biondo. “Sono passato per caso! E quando ho visto che c’era qualcuno ho pensato di non entrare. E credo di aver fatto bene, perché eri con lui!” Aggiunse, in tono quasi offeso.
“Ti avevo detto che sarei stato impegnato, non c’era nessun motivo per venire qui!” Protestò l’artista, ormai arrabbiato per l’atteggiamento che stava tenendo il suo assistente.
“Ho capito subito che lui ti piaceva e che avresti voluto vederlo da solo.” Tentò di giustificarsi Johnathan. “Io dovevo…”
“Basta.” Lo bloccò Michael, alzando le mani. “Non voglio sentire più niente da te.”
“Ora sei arrabbiato, ma lascia che ti passi…” Riprese l’altro, mentre si avvicinava e provava a prenderlo per le spalle, ma il pittore si scansò, fissandolo con sguardo duro.
“No, non hai capito.” Gli disse. “È finita, Johnathan. Non ho più bisogno di te, neanche come assistente, vattene da casa mia.”
Johnathan socchiuse la bocca, apparentemente sorpreso, poi la chiuse ed il suo sguardo si fece astioso.
“Lo so che cosa volevi, tu.” Dichiarò quindi. “Volevi continuare a farmi lavorare per te, come uno schiavo, e nel frattempo, sotto i miei occhi, volevi scoparti quel culo secco!”
“Esci da questa casa, John.” Gl’intimò Michael, facendo finta di non aver sentito quello che lui aveva appena detto.
“E cosa pensi di fare, senza di me? Non sei capace di pagarti una bolletta, di fare la spesa!” Continuò però Johnathan, mentre si avvicinava ancora; Michael lo scansò con una spinta.
“Vivo da solo da quando avevo diciotto anni e mi sembra di essermela cavata.” Gli rispose poi. “Non ho bisogno di te. E ora, vattene, per favore.”
Johnathan prese un lungo respiro nervoso, poi alzò le mani, girò i tacchi e sparì oltre la parete di cubi di vetro. Tornò pochi istanti dopo, giacca indosso e zaino in mano.
“Come vuoi, me ne vado.” Affermò con atteggiamento superiore, prima di scostarsi il ciuffo dal viso con un gesto del capo. “Ma te ne pentirai.” Aggiunse, senza guardarlo.
S’incamminò, quindi, verso la porta, sotto lo sguardo serio di Michael, ancora arrabbiato per la recente discussione. Johnathan si fermò sulla soglia della porta colorata e si voltò.
“Spero che tu e quel manico di scopa vi divertiate e che lo abbia stretto come piace a te.” Gli augurò acido. “Vaffanculo, Michael.” Aggiunse, appena prima di uscire imprecando ancora.
Il pittore prese un lungo respiro, quindi si sedette su uno sgabello che aveva a portata di mano. Odiava fare quel tipo di discussioni, uscivano sempre fuori cose che non avrebbe voluto sapere, per quello cercava di evitarle. Stavolta non c’era scelta, però. E, per qualche motivo, si sentiva sollevato. Guardò i pennelli ed i colori. Forse, ora, l’ispirazione sarebbe tornata.          

Bill, seduto nel salottino privato dello studio, guardava fuori dalla grande finestra. C’era il sole e molte persone erano in spiaggia, le vedeva bene, anche se non era vicinissima. Lui, invece, si era dovuto mettere una felpa, perché lì dentro, con l’aria condizionata, faceva abbastanza freddo.
Guardò il proprio cellulare posato sul tavolo. Dopo la cena aveva sentito poco Michael, brevi telefonate a causa degli impegni di uno o dell’altro, ma ne sentiva la mancanza.
Aspettava, più che altro, che lui gli dicesse di aver sistemato le cose con Johnathan, ma quella chiamata non era ancora arrivata. Sbuffò deluso e allungò un braccio, prima di posarci sopra il capo. Fuori la gente faceva il bagno.
Il ragazzo cominciava a pensare di essere stato stupido. Insomma, come gli era saltato in mente di fare la persona seria proprio con Michael? Eppure, molte altre volte, non ci aveva pensato così tanto ad infilarsi a letto con qualcuno che lo attraeva molto di meno. Forse il pittore si era pentito di essere stato accondiscendente ed ora si sarebbe cercato qualcuno di più disponibile… E la cosa buffa era che Bill fosse una persona disponibile! In quel senso, s’intende…
La scopata è andata in vacca, caro Bill…
Ma si pentì subito di quel pensiero sboccato. Michael non poteva essere una semplice scopata, questo, ormai, lo aveva capito. C’era una bella affinità tra loro e non era solo fisica. Sembrava strano, per una persona come Bill che non era mai stato appassionato di certe cose, ma era veramente colpito dalla sua arte. Non gli era capitato molte volte nella vita di essere così emozionato per qualcosa fatto da un altro. E questo doveva pur avere un significato.
Se almeno fosse arrivata quella telefonata…Sospirò, mentre si risollevava.
Un piccolo piatto bianco con sopra quella che all’apparenza sembrava una gustosa fetta di cheesecake alle fragole, gli fu posato davanti. Bill alzò gli occhi e incontrò il sorriso tenero di Tom.
“Grazie.” Gli disse con un piccolo sorriso.
“Oggi non hai mangiato quasi niente, così…” Ribatté il fratello, mentre gli si sedeva vicino; la torta nel suo piatto era già stata iniziata.
“La pasta non era un gran che.” Affermò Bill, prendendo la forchetta per assaggiare.
“Già.” Annuì Tom. “Eve ci ha abituati male.” Aggiunse, prima di prendere una forchettata del suo dolce. Nessuno dei due amava più tanto mangiare fuori casa, da quando c’era la governante.
“Eh, sì.” Confermò il gemello. “È una cuoca fantastica.”
Tom, mentre entrambi mangiavano la torta, osservava di sottecchi il fratello. Era qualche giorno che lo vedeva un po’ strano, anche se non ne capiva i motivi. Probabilmente era per quel pittore.
“Qualcosa che non va?” Gli chiese infine.
“Hm, no.” Fece lui vago, stringendosi nelle spalle.
“È che mi sembri un po’ giù ultimamente.” Incalzò Tom, ficcandosi in bocca l’ultimo grosso boccone di cheesecake. Bill si girò verso di lui e gli sorrise dolcemente, come solo lui sapeva fare.
“Sei il migliore fratello del mondo, lo sai?” Gli disse, intimamente commosso dalla sua ruvida ma apprezzatissima preoccupazione.
Tom abbassò timidamente gli occhi, con quelle sue ciglia lunghissime. “Non credo.” Mormorò imbarazzato, pesticciando con la forchetta in quel che era rimasto nel piatto.
“Oh, beh… Hai tanti difetti, certamente…” Soggiunse Bill, lui lo guardò male. “Ma sei il mio fratellone.” Aggiunse allora il cantante, con un sorriso dei suoi. Tom sbuffò.
“Non vuoi proprio dirmi niente?” Provò comunque, mentre guardava Bill finire il dolce.
“Mettiamola così.” Replicò Bill, dedicando lo sguardo al gemello. “Farò come hai fatto tu con la faccenda di Eve…”
“Humpf, non ti è ancora andato giù, quel rospo?” S’informò cauto.
“Oh, a me sì! Ma non so come l’abbia presa lei…” Ribatté malizioso. Tom scosse la testa.
“Mi ha mandato in bianco per un po’, ma credo le stia passando…” Commentò serafico.
“Tomi.” Lo chiamò il fratello, lui lo guardò interrogativo. “Va tutto bene, davvero.” Gli garantì, stringendogli appena la spalla. “Devo solo risolvere una cosa e spero succeda a breve.”
Sì, doveva proprio essere qualcosa relativo a quel tipo, il pittore con gli occhi blu. Tom preferiva non sapere cosa suo fratello avesse in sospeso con quel ragazzo, erano anni che non s’infischiavano uno negli affari privati dell’altro. Lo avrebbe lasciato fare, ma se quel tizio provava anche solo a farlo piangere una volta, il mondo della pittura si sarebbe ritrovato con un artista in meno.          

La galleria era luminosa e l’effetto di chiarore dato dal sole che entrava dalle grandi vetrate era amplificato dalle pareti chiare, dal legno dorato, dalle ringhiere di metallo.
Michael, appena entrato, si diresse verso i pannelli di legno che separavano gli uffici, salutando una delle ragazze che lavoravano lì. Nel primo piccolo ufficio c’era una ragazza dai corti capelli rosso acceso, acconciati in ciuffi sparati. Era di spalle.
“Buongiorno, Jess.” Fece Michael fermo sulla porta; lei si girò sorridendo.
“Michael!” Esclamò contenta, prima di andargli incontro e abbracciarlo. Si diedero un veloce bacio.
Jess, l’assistente di Anne, era una ragazza solare e simpatica, una che non si faceva troppi problemi. Lei e Michael avevano avuto una breve storia, qualche anno prima, che era finita senza tanti rimpianti da parte di entrambi e, quindi, erano rimasti amici.
“Cosa ci fai da queste parti?” Chiese la ragazza al pittore, quando si furono salutati.
“Ho bisogno di parlare con Anne.” Rispose lui. “C’è?”
“C’è sempre per te lo sai. È nel suo ufficio.” Gli disse lei, indicandogli il piano superiore.
“Bene.” Annuì il ragazzo. “Vado da lei, ma… La settimana prossima pranziamo insieme, promesso?”
“Hey!” Sbottò lei, mettendosi le mani sui fianchi. “Sei tu quello super impegnato!” Gli ricordò poi, con un sorriso di rimprovero.
“Ti giuro che trovo il tempo!” Replicò Michael a mani alzate.
“Sì, sì, ti conosco…” Soggiunse scettica lei, ma poi gli sorrise con dolcezza.
“No, giuro. Chiamami lunedì.” Dichiarò il pittore. “Adesso vado su.” Aggiunse, dirigendosi alle scale.
“Passa a salutare, quando vai via.” Gli raccomandò Jess, mentre agitava la mano; lui fece altrettanto, quindi sparì al piano di sopra.
L’ufficio di Anne ricordava lo spazio del piano inferiore come stile di arredamento ed aveva un’intera parete a vetri che affacciava sull’interno della galleria.
Michael trovò la sua agente impegnata in una telefonata in francese. Lei lo vide arrivare, gli sorrise e lo salutò con la mano, continuando a tenere la cornetta all’orecchio.
Il ragazzo cominciò a guardarsi intorno, gironzolando nell’ufficio come se fosse a casa propria ed era un po’ così; si avvicinò alla caffettiera, sempre pronta come voleva Anne, si versò un po’ di caffè in una tazza, poi si appoggiò al mobile, osservando la donna.
Anne aveva compiuto da poco quarantatre anni, ma chiunque gliene avrebbe attribuito qualcuno di meno senza problemi. I capelli biondi e ricci erano legati in una disordinata coda alta, portava un maglioncino di cotone bianco e dei pantaloni morbidi beige, le scarpe rigorosamente col tacco. Trucco sobrio ma perfetto. A Michael sembrava sempre bella come quando l’aveva conosciuta.
La telefonata finalmente si concluse con calorosi saluti in uno strano misto di inglese e francese; Anne spense il cordless e lo posò sulla base con un sospiro soddisfatto. Michael, che stava spiluccando un cioccolatino, alzò gli occhi e le sorrise.
“Con chi parlavi?” Le chiese gentile.
“Era De Poissiere.” Rispose lei. “Quell’uomo ti vuole, Mickey!” Aggiunse entusiasta.
“Spero non in senso fisico!” Ribatté ironico lui, ridacchiando.
Lei si fermò, incrociò le braccia e lo analizzò con un’occhiata. “Non ci giurerei, fossi in te…”
“Oh, Anne…” Commentò divertito il ragazzo.
“Bene, siamo seri per una volta.” Riprese la donna, battendo le mani. “La mostra in Francia si farà, ormai è certo.”
“Ti adoro, donna.” Soggiunse lui, soddisfatto. “A questo punto, quando?”
“Beh, primavera prossima, prima è impossibile…” Rispose lei, mentre sistemava alcune cose sulla scrivania. “…hai già due mostre importanti, prima della fine dell’anno, non voglio sovraccaricarti troppo, altrimenti non lavori bene.”
“E pensare che qualcuno crede che mi sfrutti…” Affermò serio il pittore.
“Chi?” S’informò la donna, aggrottando la fronte.
“Hm, non importa…” Glissò Michael con un gesto della mano.
“Mickey.” Lo richiamò l’agente. “Che cosa ci fai qui?” Gli domandò seria.
Lui sospirò, poi si staccò dal mobile e raggiunse la grande finestra che dava sulla strada posteriore alla galleria.
“Penso di aver bisogno di un cancello automatico.” Dichiarò infine.
“Sono anni che te lo dico.” Gli ricordò lei. “Da quando hai comprato la casa, e non hai mai voluto darmi retta, cosa è cambiato, adesso?”
“Diciamo che recenti sviluppi nella mia vita privata, mi hanno convinto ad essere meno… aperto.” Spiegò il ragazzo, tornando a guardarla.
“Recenti sviluppi?”
“Ho rotto con Johnathan.” Affermò secco, stringendosi nelle spalle. Anne allargò le mani e alzò gli occhi al cielo.
“Dio esiste!” Esclamò poi. Michael ridacchiò. “Ma il cancello, perché?”
“Diciamo che non è stata una rottura indolore e… è brutto dirlo, ma non mi fido di lui.” Confessò quindi il pittore, quasi imbarazzato.
“Ok, ci penso io.” Fece Anne, pratica come sempre. “Ti faccio installare il cancello, la telecamera, il citofono, tutto quello di cui hai bisogno e mi attivo anche per trovarti un nuovo assistente…”
“Va bene, ma che sia racchia – o racchio – e molto professionale.” Intervenne lui.
“Mickey, non è da te…” Commentò maliziosa la donna.
“Mi tengo lontano dalle tentazioni, stavolta, visto che c’è anche…”
“C’è già qualcun altro?” L’interrogò lei, senza fargli finire la frase.
“Sì, c’è.” Annuì Michael.
“Dimmi che stavolta è una persona positiva e solare.” Lo implorò Anne con tono piagnucoloso.
“Lo sembrerebbe.” Rispose lui, con il sorriso sognante che gli ispirava sempre il ricordo di Bill.
“Bene.” Si complimentò lei. “Io voglio che tu sia felice e che la tua creatività sia nutrita.”
“Devo dire che le cose sono già migliorate.” Ammise soddisfatto il pittore.
“Meraviglioso!” Esclamò contenta Anne. “Vieni qui, abbracciami.” Lo incitò quindi, facendosi avvolgere dalle sue braccia. Michael posò il viso nell’incavo del suo collo e la baciò.
“Lo sai che ti amo, vero?” Le disse con dolcezza. Lei gli accarezzò i capelli.
“Anche io, tesoro.” Replicò poi, prima di baciargli la tempia. “Se non fossi una donna impegnata…”
“A proposito.” Soggiunse lui, scostandosi un po’. “Quella santa donna di Dana, quando te la sposi?” Anne lo guardò male, ma poi scoppiarono a ridere.   
“Vieni a cena da noi, stasera?” Gli chiede poi Anne.
“Mi spiace, ma ho altri programmi...” Rispose lui restando sul vago, ma con un sorriso furbo.

Il telefono di Bill squillò che erano quasi le sei del pomeriggio. Lui si stava preparando ad uscire dallo studio ed era impegnato a radunare le proprie cose. Gli altri erano già al piano di sotto.
Hallo?” Rispose distrattamente, con un’intonazione fin troppo tedesca.
“Non sei in Germania, vero?” Gli chiese una voce leggermente allarmata.
“Michael? N… no, sono in California!” Dichiarò poi deciso, riprendendosi dalla sorpresa. “Perché?” Chiese sospettoso.
“Non so… Da come hai risposto…” Balbettò Michael, che improvvisamente si era sentito stupido.
“Ahh… Ho parlato in tedesco tutto il giorno, sarà per quello…” Ipotizzò il cantante, le mani improvvisamente sudate.
“È un po’ che non ci sentiamo, vero?” Riprese allora il pittore.
“Già…” Esalò rammaricato Bill. “Sono stato molto impegnato…”
“Anche io, però…”
“Cosa?” Soggiunse impaziente Bill, speranzoso che fosse finalmente arrivata la chiamata tanto attesa. Sentì un sospiro dall’altra parte del telefono.
“Ti andrebbe di cenare ancora insieme?” Gli chiese timidamente Michael, dopo qualche istante di silenzio. Bill rimase un po’ deluso.
“Certo che mi andrebbe, ma…”
“Ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare.” Lo interruppe l’altro.
“Di che cosa dobbiamo parlare?” Domandò secco il cantante, aggrottando le sopracciglia.
“Di quello che mi hai costretto a fare con Johnathan e delle conseguenze che questo porterà…” Rispose Michael, con un tono inequivocabilmente ironico e malizioso.
Bill, cellulare in una mano e occhiali da sole nell’altra, rimase a bocca aperta in mezzo al salottino dello studio. Aspettava quella notizia, ma, inutile dirlo, non ci credeva veramente.
“Bill?” Chiamò Michael attraverso la cornetta.
“In inglese non mi viene quello che voglio dire!” Esclamò lui, riportandosi l’apparecchio all’orecchio. Il pittore rise.
“Allora dillo in tedesco!” Gli consigliò divertito.
“Qua… quando…” Balbettò invece.
“Ce la fai stasera?” S’informò con delicatezza Michael.
“Tra mezz’ora sono lì.” Dichiarò sicuro Bill, quindi chiuse la chiamata, prese la borsa e si precipitò per le scale. Non c’era certo tempo da perdere!

Quando aprì la porta, Michael si trovò davanti un Bill col fiatone. Spalancò gli occhi sorpreso, ma poi, davanti a quel bel viso struccato, sorrise.
“Sei venuto di corsa?” Gli chiese scherzando.
Il cantante lo fissò contrito, alzando un minaccioso sopracciglio, poi entrò in casa, scansandolo e si diresse all’interno. Michael lo seguì perplesso.
Bill, mentre camminava con la falcata elegante di un modello in passerella, si sfilò la giacca e la buttò, insieme alla borsa, su una delle sedie davanti alla scrivania.
“Bill, cosa…” Provò ad interrogarlo il pittore.
Il ragazzo si girò verso di lui, sospirò e si scostò i capelli dal viso, poi gli sorrise con la sua espressione più provocante. “Mi hai fatto penare, eh?” Sussurrò poi, mani sui fianchi.
Michael sorrise e fece per rispondere, ma non ci riuscì. Bill gli arrivò addosso, buttandogli le braccia al collo e cominciò a baciarlo con passione. Lui reagì assecondandolo.
Finirono contro la parete di cubi di vetro, mentre si assaggiavano selvaggiamente. Quelli erano baci che esigevano qualcosa in più. Michael si scostò, restando con gli occhi fissi in quelli languidi di Bill, quindi si sfilò la maglietta. Il cantante fece un sorrisino storto e furbo. Ripresero a baciarsi.
Lasciarono il muro. Michael spingeva Bill in una direzione specifica, mentre gli slacciava la camicia bianca che portava. E, nel frattempo, si toccavano, si baciavano, si leccavano ovunque fosse possibile stando in piedi e camminando.
Oltrepassarono l’arco che si apriva sulla sinistra della cucina; lì partivano le scale che conducevano al piano superiore. Bill non sapeva cosa aveva alle spalle, ma non ci pensava.
Michael si fermò, prese il viso di Bill tra le mani e lo baciò con grande tenerezza; l’altro si aggrappò alle sue braccia, gemendo piano. Il pittore sentiva il suo piercing contro i denti. Lo voleva così tanto da aver paura di mangiarselo. E Bill sembrava pensarla allo stesso modo.
Salirono qualche gradino, ma Bill era di spalle e inciampò. Michael lo tenne per la vita. Risero, ma poi si guardarono negli occhi. Il desiderio era così bello, nello sguardo di entrambi, che doveva essere assecondato. Subito.
Michael accompagnò Bill a sedersi sui gradini, lui gli sorrise. Il pittore, poi, scese su di lui, baciandogli il collo, le scapole sporgenti e perfette, il petto magro. Le dita del cantante infilate tra i capelli, i suoi sospiri nelle orecchie.
La pelle di Bill era bianca. Oh, così bianca! E tiepida, e morbida. Lui si torceva sotto il suo tocco. E non parlava, ma i suoi gemiti erano più che eloquenti.
E Michael scese ancora. Carezzò, succhiò, i suoi capezzoli piccoli e scuri, scoprendo finalmente un pezzo di quella mappa tanto agognata: il piercing argentato sul capezzolo sinistro. E, quando la sua lingua ne tracciò il contorno con piccoli circoli, Bill si lasciò sfuggire un “Ah!” soddisfatto ma esigente e lo spinse ancora su di se.
La lingua di Michael, allora, percorse la linea dell’addome, fino all’ombelico, mentre il respiro di Bill si faceva più pesante. Anche lì c’era un piercing.
Il pittore, poi, scoprì una nuova traccia sulla pelle del cantante. C’era una stella concentrica tatuata sulla sensuale piega dell’inguine, sulla destra, scoperta dai pantaloni fin troppo bassi. Ma quando Michael la sfiorò con le labbra, Bill, quasi infastidito, grugnì in protesta.
L’artista sorrise. Sapeva perché faceva così. Era fin troppo chiaro, dal punto in cui si trovava. Così, mentre continuava a baciare languidamente la stella, una mano di Michael slacciò i jeans del cantante. E fu proprio lui a muoversi per tirarli più giù insieme ai boxer.
Accontentarlo non fu un grande sacrificio per il pittore. Si avvicinò delicato, con tutto il viso, con piccoli baci, ma Bill esigeva molto di più e glielo fece capire senza difficoltà.
E quando, finalmente, lo prese in bocca, il cantante inarcò la schiena e reclinò il capo con un gemito soffocato, quindi si aggrappò con tutta la forza che aveva alla ringhiera bianca.

Tom rientrò a casa che era il tramonto. Eve, ormai, era diventata come i cani: lo riconosceva già da come infilava la chiave nella serratura. Si pulì le mani e voltò verso l’entrata.
“Ciao.” Lo salutò, appena spuntò in sala da pranzo.
Lui sorrise, abbassò gli occhi, con quella sua dolce timidezza che lo rendeva assolutamente impossibile da non desiderare.
“Ciao.” Le rispose poi, entrando in cucina e appoggiandosi subito al mobile.
“Bill è ancora fuori?” Gli chiese la ragazza, occhieggiando dietro di lui.
“No.” Rispose Tom. “È scappato dallo studio come se fosse inseguito dai demoni, si è anche preso la macchina e io mi sono dovuto far accompagnare.” Aggiunse.
“Come? E non ti ha detto niente?” Fece lei, sorpresa.
“Eh, no… Non risponde nemmeno al telefono, ma non credo dovermi preoccupare più di tanto, perché mentre fuggiva mi ha gridato che andava da Michael…” Spiegò il ragazzo, con una smorfia amara.
“Ah!” Esclamò Eve, poi fece un sorriso furbo. “Allora sarà meglio non disturbarlo…”
“Che palle!” Sbottò Tom. “Non voglio sapere niente di questa storia.” Sentenziò, alzando le mani.
“Tranquillo, è al sicuro.” Gli garantì la ragazza, tornando a girarsi verso i fornelli. “Anche se è un peccato, perché avevo fatto le lasagne al ragù di verdure…”
“Beh…” Fece Tom, affiancandola. “Ce n’è di più per me.” Si guardarono sorridendo. “Sei ancora arrabbiata?” Le domandò poi.
“Ma no…” Rispose lei, scuotendo il capo senza guardarlo. Tom le passò un braccio intorno alla vita, i loro occhi s’incontrarono di nuovo.
“Mi dispiace di non aver parlato di noi con Bill.” Mormorò lui.
“Sapevo che non lo avresti fatto, Tom.” Replicò tranquilla lei. “Ma va bene lo stesso, sai?” Aggiunse, posandogli una mano sul viso.
“Lui lo aveva capito da un pezzo, vero?” Fece il chitarrista, dopo un sospiro.
“Faresti bene a non sottovalutare la sua gemellosità.” Affermò Eve, dandogli un colpetto sul naso.
Tom sbuffò un mezzo sorriso. “È cotto di quello, eh?” Le chiese poi.
“Vedi che quando vuoi sei gemelloso anche tu?” Soggiunse la ragazza, mentre gli prendeva il mento tra le dita e glielo scuoteva a destra e sinistra.
“No, no!” Sbottò lui, sottraendosi alla sua presa. “Ripeto: non voglio saperne niente!”
“Ok, fai il bravo!” Esclamò divertita Eve. “Ti prometto che non ne parlo e ti faccio anche i brownies.” Gli assicurò poi.
“Oh, ecco! Ora si che si ragiona!” Commentò soddisfatto Tom. “E prima di cominciare, dammi anche un bacio.” Aggiunse, prima di prenderla per la vita.  

Dopo quello che era successo per le scale, Bill e Michael erano riusciti ad arrivare in camera da letto. Quello che rimaneva dei vestiti abbandonato per terra, prima di ricominciare il gioco sul basso letto bianco del pittore.
La reciproca – e squisitamente fisica – conoscenza si era conclusa in modo estremamente soddisfacente, in una fusione completa dei loro corpi, agevolata dalla disponibilità di Bill e dall’esperienza di Michael.
Il rapporto si era consumato nella luce tiepida del tramonto e vedersi non aveva creato imbarazzi a nessuno dei due, aveva anzi spronato l’esplorazione reciproca fatta di baci, carezze e assaggi.
Era sera, ormai, e Michael tornò a sedersi sul letto dopo essere stato in bagno. Bill era steso praticamente bocconi, nudo e scoperto; si appoggiava sui gomiti e fumava. Le ginocchia piegate, i piedi che dondolavano in modo quasi infantile. Osservava curioso il murales che ornava la parete sopra il letto.
Il pittore si adagiò su un fianco, accanto a lui. Osservò per un attimo quel suo corpo sottile e bianco, poi sorrise e gli carezzò il fianco. Bill si girò sorridendo soddisfatto, mentre si torceva appena, per il solletico provocato dalle dita dell’altro sulla pelle.
“Cosa rappresenta questo?” Domandò poi il cantante, indicando col mozzicone il murales, prima di spengere la sigaretta nel posacenere sul comodino. Michael osservò la parete.
“La spirale della passione, no?” Rispose quindi, mimando con la mano il cerchio di colori che si avvolgeva su se stesso. “I suoi colori intensi, il suo turbinio, la promiscuità…”
“Davvero?” Fece Bill perplesso, aggrottando la fronte.
“Hm, mi piaceva la forma.” Ammise divertito Michael. “A volte si cercano significati dove non ci sono.” Aggiunse sorridente.
“Già.” Commentò Bill, con gli occhi ancora sulla spirale colorata.
“Ma scommetto che qui…” Riprese Michael, tracciando con un dito l’arzigogolata scritta nera che adornava il fianco sottile di Bill. “…un significato c’è.”
Il cantante seguì i movimenti della sua mano con sguardo pensoso e sorrise appena.
“Vuoi sapere cosa vuol dire, vero?” Chiese quindi a Michael. Lui annuì. “Wir hören nie auf zu schreien… Wir skehren zum Ursprung zurück.” Pronunciò in tedesco.
“Hm, non avrei mai detto che il tedesco fosse una lingua sensuale…” Commentò Michael con un sorriso languido, poi accarezzò il tatuaggio, fino alla natica di Bill. Lui sorrise, nascondendo il viso nel cuscino. “Però devi tradurre.” Gl’intimò l’altro. Il cantante rialzò la testa.
“Non smetteremo mai di gridare, torniamo alle origini.” Mormorò poi. Michael lo fissò pensieroso.
“E perché ti sei fatto incidere sulla pelle una cosa del genere?” L’interrogò poi, con la fronte corrucciata, fissandolo negli occhi. Bill abbassò lo sguardo.
“C’è stato un periodo, durante la lavorazione del nostro ultimo disco, in cui molti mi accusavano di essere cambiato.” Esordì pacato. “Di essere diventato troppo sofisticato, distaccato, freddo, di non ricordarmi più chi ero, da dove venivo.” Michael lo ascoltava attento, anche se lui non lo guardava. “Ma non è così. Io sono sempre me stesso, so chi sono, mi ricordo benissimo da dove vengo.” Alzò gli occhi in quelli blu del pittore ed erano intensi, brillavano di determinazione. “Se non fossi stato povero, se non avessi dovuto lottare ogni giorno per realizzare il mio sogno, non sarei arrivato dove sono. L’unica differenza è che prima compravo i vestiti sulle bancarelle e ora nelle boutique degli stilisti…” Fece un sorriso luminoso. “Ma se avessi potuto, lo avrei fatto anche allora!”
Michael lo guardava sorridendo dolcemente ed era come se l’energia di Bill gli arrivasse addosso, simile ad una vibrazione profonda e bellissima.
“Sai.” Mormorò infine, con una mano che si spostava lenta tra la spalla e la schiena del cantante. “Credo che ti stavo aspettando.”
Bill sorrise radioso, poi si spostò verso di lui. Lo abbracciò e si fece abbracciare, ma continuando a guardare Michael negli occhi.
“Sei fortunato.” Gli disse. “Sono un tipo puntuale.” Scherzò poi, ammiccando con le sopracciglia.
Michael rise, ma Bill, dopo essersi strusciato voluttuosamente contro di lui, cominciò a baciargli il collo, le mani sul suo torace.
“Hey, ma non ti stanchi mai, tu?” Gli chiese sorpreso e divertito il pittore.
“Hm, sono tedesco…” Rispose il cantante, continuando con i suoi piccoli baci impertinenti. “Siamo un popolo molto pignolo… Dobbiamo fare e rifare e rifare una cosa, finché non raggiungiamo la perfezione…”

La mattina era sorta luminosa, trovandoli ancora vicini. Era piacevole, per Michael, quel dormiveglia con Bill tra le braccia. Ascoltava il suo respiro, respirava il suo profumo, accarezzava la sua pelle morbida. Si godeva ogni sensazione.
Sentì Bill emettere un piccolo mugolio dolce e accoccolarsi meglio contro di lui. Sorrise, ad occhi socchiusi, e gli passò una mano lungo la schiena liscia.
Sembrava che niente potesse turbare quel momento magico, sospeso tra il sonno ed il risveglio. Invece…
Avrebbe dovuto sentire qualche rumore, perché la camera da letto era un soppalco che affacciava direttamente sullo studio, quindi qualsiasi cosa fosse successo di sotto… Eppure la prima cosa che sentì furono i passi sulle scale e poi la sua voce.
“Lo sapevo.” Fin troppo alto il tono, seppure privo di sentimento. Li svegliò per bene entrambi.
Michael scattò a sedere, voltandosi verso la porta, il lenzuolo bianco che gli copriva appena il pube. Bill, al suo fianco, si sollevò sulle braccia, era bocconi ma completamente scoperto.
Johnathan era fermo sulla soglia, le braccia incrociate, che li fissava con aria saputa, privo dell’imbarazzo che sarebbe necessario davanti ad una scena del genere. Imbarazzo che, per altro, sentiva tutto Bill, alla ricerca disperata del lenzuolo.
“Johnathan, che diavolo ci fai qui?” L’interrogò rabbioso Michael.
“Niente.” Rispose lui, stringendosi nelle spalle. “Volevo solo provare la mia teoria… E, a quanto pare, ci sono riuscito.” Aggiunse, prima di voltarsi e infilare le scale.
Michael guardò Bill. Il cantante aveva un’espressione smarrita, interrogativa. Lui scosse il capo, rammaricato, poi lasciò di corsa il letto, afferrò un pareo blu abbandonato sulla poltrona vicino alla porta e seguì il ragazzo che se ne era andato.
“Johnathan, fermati!” Gli gridò dietro, raggiungendolo al centro dello studio. Lui si girò con espressione saccente.
“Non sei proprio bravo a mentire, Michael caro.” Gli disse con una smorfia schifata.
“Cosa non ti è risultato chiaro nella frase: esci da questa casa, non ho bisogno di te?” Gli chiese duro il pittore, ignorando la sua affermazione. Si era messo il pareo intorno ai fianchi e gli parlava eretto, le braccia lungo il corpo.
“Volevo solo dimostrarti che avevo ragione.” Replicò piccato Johnathan. “Ti sbatti quel manico di scopa, proprio come avevo detto io! Anche se hai negato!”
“E come lo hai dimostrato? Seguendoci, spiandoci, entrando in casa mia senza permesso?” Ribatté Michael, senza trattenere la rabbia.
“Sei un ipocrita!” Gridò il biondo.
“E tu sei uno spostato, John!” Esclamò l’artista allargando le braccia. “In casa mia faccio quello che voglio, non sono più affari tuoi. Dammi le chiavi.” Aggiunse, porgendogli poi il palmo della mano. Johnathan assunse un’espressione neutra.
“Potrei aver fatto un doppione.” Affermò atono.
“Non m’importa, cambierò le serrature.” Ribatté Michael. “Dammi le chiavi.”
Johnathan gli porse un mazzo di chiavi unite da un semplice cerchietto di metallo, Michael le prese, le strinse nel pugno e riabbassò la mano.
“E adesso vattene.” Gli ordinò, indicando la porta.
Lo sguardo che gli rivolse Johnathan era gelido, non adirato, non deluso o triste, ma freddo. Michael lo fissava senza cedere. Le labbra del biondo, infine, si piegarono in un sorriso inquietante, quindi sbuffò una risatina sprezzante, gli diede le spalle ed uscì. Il pittore si lasciò andare ad un sospiro frustrato.

Michael salì nuovamente di sopra, già intriso di sensi di colpa. Chinò il capo prima di entrare in camera, ma quando lo rialzò si trovò davanti Bill già vestito che si stava allacciando i pantaloni.
“Bill…” Esalò dispiaciuto; lui lo guardò con un mezzo sorrisino mesto.
“Vado a casa.” Affermò pacato.
“Speravo che avremmo fatto colazione insieme.” Replicò contrito Michael, avvicinandosi un po’. Bill sollevò le sopracciglia e sorrise retorico.
“Meglio di no, mi sento un po’ a disagio…” Mormorò. “So che ti sarà difficile crederlo, ma non è mio costume mostrare il mio sedere nudo agli estranei.” Dichiarò poi, ironico. Il pittore sospirò abbattuto.
“Scusa…” Soffiò dispiaciuto.
“Pensavo che avessi chiarito con lui.” Disse Bill, senza accusa.
“Anche io, ti giuro.” Ribatté immediato l’altro ed era chiaro che fosse sincero. “Mi dispiace tanto, Bill…” Aggiunse con tono triste. Bill gli si avvicinò con un piccolo sorriso.
“Non ti preoccupare.” Lo rassicurò, gli occhi dolci. “Anche se il risveglio è stato brusco, la notte è valsa la pena.” Specificò poi, prima di dargli un bacio a fior di labbra. “A presto.”
Bill scese le scale, recuperò borsa e giacca, poi s’incamminò verso l’uscita. Michael si affacciò al balcone della camera da letto e lo guardò.
“Bill.” Lo chiamò dall’alto. Lui, già arrivato a metà percorso, si girò e alzò gli occhi, poi sorrise.
“Dimmi.” Lo incitò.
“Per la cronaca: hai un bellissimo sedere.” Gli disse Michael, sincero e sorridente.
Bill sorrise radioso, si sistemò la borsa in spalla, poi girò i tacchi e se ne andò sculettando.

CONTINUA

Note
La traduzione dei versi in intro:
“L’amore è un angelo travestito da lussuria
Qui nel nostro letto finché arriva il mattino”

E grazie a zio Bruce di esistere e continuare a scrivere versi stupendi ^_-
   
 
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