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Autore: A Dream Called Death    21/03/2011    1 recensioni
< Pensi a lei qualche volta? > chiese poi.
< In continuazione > risposi.
Mi alzai dallo sgabello.
Lui mi fissò, incuriosito.
< E come faccio a sapere che con lei al mio fianco tornerò a vivere? Può essere l'anestetico al dolore? > chiesi.
< Lei non è l'anestetico al tuo dolore... Ma potrebbe essere la cura definitiva. >
Anno 2006.
Il tour mondiale di American Idiot è stato appena cancellato ed i Green Day tornano in America dopo tre mesi dalla partenza.
Ma qualcosa è cambiato, fuori e dentro il gruppo.
Per Billie Joe Armstrong lo scontro con le ombre del passato non è mai finito.
I pensieri, i dubbi e le insicurezze di un uomo che deve fare i conti con se stesso: una vita spesa per la musica e per la propria band, ma anche colma di bugie e alcol, nemico ed amico da sempre del protagonista, unico rimedio al dolore ed alla rassegnazione.
Ma un incontro lo sconvolge, mescola i pezzi del puzzle della sua vita, lo mette di fronte alla cruda realtà: non si può fingere per sempre, si deve trovare il coraggio di prendere la decisione più difficile di tutte... Essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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Corsi come un dannato, a piedi, percorrendo
tutto il grande viale della città.
Chilometri mi dividevano da lei ma io sapevo,
sentivo, la percepivo in una qualche maniera.
Non potevo continuare a sperare, dovevo avere delle
basi certe sulle quali muovermi.
Eppure, io sentivo in me una strana sensazione
che mi spingeva a percorrere quella strada e
ritornare lì, dentro quel fottuto grande magazzino.
Sì, lì: arrivai, oltrepassando l'enorme porta d'entrata
accanto alla quale erano ammassate oltre una decina
di persone.
Non badai a loro, scansai uno ad uno gli individui che
mi dividevano dalla mia unica riposta.
Lì dentro, nulla era invariato.
Le luci si abbattevano ancora incontrastate sopra alle
nostre teste, forse l'unico cambiamento lì dentro erano
le fottute stelline di Natale appese al soffitto.
Non badai nemmeno a quello: percorsi uno ad uno
i tre piani del grande magazzino con la speranza di chi
va cercando la propria amata dispersa.
Ma non la trovai, ne al primo, ne al terzo, come al secondo.
No, Jane non c'era lì.
Probabilmente non si trovava nemmeno in uno dei
negozietti che contornavano la zona.
La gente mi osservava, allibita.
Dopottutto, un uomo girovagante con viso sospetto come
il mio non passava di certo inosservato.
Ma nessuno mi fermò durante la mia ricerca e fu certo
un bene per me, talmente preso da non accorgermi di
essere seguito dagli uomini della sicurezza.
Uno di loro mi venne incontro e mi chiese quale fosse
il mio problema, io risposi di trovarmi lì alla ricerca della
donna che amavo.
Costui alzò lo sguardo, se ne andò sorridendomi.
Non lo presi bene, quel sorriso: il sorriso di chi ti sfotte,
ti crede inutile, pallosamente innamorato della tua ragazza.
Me ne fregai altamente, continuai a girare osservando.
Dopo un'ora dentro quel fottuto grande magazzino,
mi arresi.
Cominciai a richiedermi dove avessi sbagliati ancora una
volta e se mai avrei rivisto gli occhi di Jane.
Ed ancora venivo assalito dall'ansia di non rivederla, dalla
paura che fosse stata rapita, ferita, intimorita o quant'altro.
Ero perso nei miei pensieri.
Jane non era lì, eppure io l'avevo sentita.
Certo, anche solo per un attimo ma... In fondo era bastato
un attimo per sconvolgermi la vita, potevo anche fidarmi
della sensazione di un momento?
Mi sentivo un idiota.
Mi feci guidare dall'istinto, di volontà, girai i tacchi e mi
diressi verso una commessa.
-Scusi... Sa dirmi dov'è il bagno?-chiesi.
-Sì, al terzo piano. La porta viola in fondo- rispose questa.
Mi misi a correre lungo la scalinata, investendo i passanti
e tenendo una mano sul viso per non essere riconosciuto.
La porta viola in fondo.
Avanzai con passo di piombo e ci andai davanti.
Tirai la maniglia ed entrai.
Ambiente classico, sei bagni io ogni lato.
Mi accucciai.
Da sotto si riusciva a vedere se dentro vi fosse qualcuno.
Non vi trovai nessuno.
Per un attimo, solo un fottuto attimo...
Io l'ammetto: pensai di andarmene.
Il desiderio di sottrarmi a tutto quell'orrore iniziò a prendere
il suo spazio dentro di me.
Ma un eco più pungente, più interno, mi fece sobbalzare.
Scosso, corsi lì.
Proprio lì.
Non è raro vedere le ragazze chiuse in bagno a piangere.
Non è raro.
Non mi tradì il mio pensiero.
Non mi tradì perchè nell'ultimo
bagno a sinistra, oltre quella porta, raggomitolata morente
sul pavimento c'era lei.
Jane.


   
 
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