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Autore: Miki_TR    22/03/2011    6 recensioni
Gellert Grindelwald è stato sconfitto da Albus Dumbledore, e la giustizia deve fare il suo corso. Nonostante quello che prova Albus.
Aveva sperato di potersi accordare in privato e senza clamore su quel che andava fatto. Di approfittare della sua posizione di eroe del mondo libero per ottenere clemenza.
Ma l'Europa era stata ferita, e l'Europa chiedeva sangue.

Questa fanfic si è classificata prima al primo turno del Grindeldore Challenge indetto da aGNeSNaPe.
Genere: Generale, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Il Processo Grindelwald

Albus si aggiustò la veste da cerimonia davanti allo specchio.
Non gli piaceva affatto doverla indossare, in generale. Si sentiva formale e impacciato, anche più vecchio dei suoi sessantaquattro anni. Persino Fawkes cantava piano, come se volesse prenderlo in giro.
Il Preside Dippet esigeva dai Professori un abbigliamento formale per le grandi occasioni, e già in quei casi ad Albus stava stretta quell'imposizione; eppure in quel momento gli sarebbe piaciuto abbigliarsi per la cerimonia dello Smistamento, piuttosto che per quello che doveva fare.
Aveva sperato di potersi accordare in privato e senza clamore su quel che andava fatto. Di approfittare della sua posizione di eroe del mondo libero per ottenere clemenza.
Ma l'Europa era stata ferita, e l'Europa chiedeva sangue.
Cominciava il processo Grindelwald, quel giorno di maggio, troppo caldo per gli abiti pesanti e rigidi che erano imposti ai testimoni che dovevano presentarsi all'udienza.
Il Tribunale della Confederazione Internazionale dei Maghi aveva avuto negli ultimi secoli pochissime occasioni per riunirsi. Albus aveva sperato di evitare quel processo, ma non era stato possibile trovare un accordo tra i Ministri che volevano morto Grindelwald e quelli che temevano di farne un martire.
Così Albus era stato costretto a partecipare in veste ufficiale di Supremo Pezzo Grosso (il più idiota tra i suoi titoli), e di testimone allo stesso tempo, a quella farsa di giudizio.
E lo temeva, spaventosamente e per motivi ben più gravi di un abito rigido e del caldo opprimente dell'Aula.
Avrebbe affrontato il rischio che si scoprisse qualcosa del suo passato, a testa alta; sapeva chi era stato e quali erano le sue colpe e le sue responsabilità nel creare il terrore che aveva devastato l'Europa per un ventennio. Era pronto a pagarne il prezzo, se necessario.
Ma non sapeva che cosa avrebbe fatto quando si fosse trovato ad udire l'inevitabile condanna a morte di Gellert.

L'Aula era gremita di persone.
Giornalisti della stampa internazionale affollavano le tribune, e i flash delle loro macchine fotografiche illuminavano l'ambiente, minacciosi come lampi. Orde di curiosi avevano affollato fin dal mattino i corridoi del Ministero Tedesco della Magia, che ospitava il processo. Persino per la corte era quasi impossibile passare tra i banchi, e tutti provavano un brivido freddo volgendo lo sguardo sulla congregazione di maghi e streghe, parenti delle vittime di Grindelwald, che occupava la tribuna posta di fronte ai giudici. Ciascuno di loro levava in aria una fotografia dei propri cari scomparsi, e quei visi si moltiplicavano in una protesta muta e terribilmente efficace.
La gente chiedeva sangue; e sangue avrebbe avuto, Albus lo sapeva.
I maghi con diritto di voto in quel Tribunale erano trentasette, incluso lo stesso Albus. Gli era stato chiesto di presiedere l'udienza, un onore inusuale alla sua età, che si era guadagnato sconfiggendo Grindelwald in duello e permettendo che fosse catturato. Ma Albus aveva preferito cedere il posto ad un collega più anziano; per quanto gli seccasse ammetterlo anche nell'intimità dei suoi pensieri, l'incognita delle sue reazioni a quel procedimento era troppo grande.
Si guardò intorno quando prese posto sull'alto scranno della corte; una marea di visi guardava nella sua direzione, e nel vociare si perdevano i sussurri di chi lo riconosceva. Alcuni uomini si tolsero il cappello, accennando un saluto riconoscente all'eroe; Albus finse di non vederli.
Le tre costole che Gellert gli aveva rotto la settimana prima gli dolevano in quella posizione scomoda, ma si sforzò di tenersi ben dritto. Qualcuno avrebbe dovuto inventare una pozione che saldasse le ossa rotte; forse, ora che la caduta di Grindelwald aveva riportato la pace nel mondo, qualche pozionista si sarebbe potuto procurare fama e fortuna dedicandosi ad una piccola cosa come quella.
I pensieri futili furono spazzati via dall'ingresso nell'Aula dell'ultimo giudice, quello che avrebbe presieduto l'udienza. Albus lo conosceva; era un uomo di giustizia e aveva trascorso la vita con il naso affondato nei libri polverosi delle leggi, per capirne a fondo ogni segreto e dettaglio. Forse, tra tutti i giudici affamati di sangue quanto la folla, lui era l'unico lì dentro a non aver già emesso la sentenza.
L'anziano uomo prese posto alla sinistra di Albus, salutò i colleghi con un cenno del capo, e batté tre volte sul banco un piccolo martelletto di ottone.
Nella sala scese il silenzio, mentre Albus, come tutti, si voltava a guardare l'enorme porta d'ingresso che si apriva, facendosi forza per affrontare l'ingresso di Grindelwald.

Ma quello che entrò era Gellert.
Scortato da due robusti maghi con la bacchetta puntata verso di lui, e da due enormi troll da battaglia, Gellert sembrava un bambino in mezzo agli adulti. Il suo viso tumefatto faceva pena; Albus era sicuro che diverse di quelle ferite non fossero ancora state inferte quando lui l'aveva lasciato in custodia agli Auror tedeschi. I suoi capelli e i suoi occhi erano per contrasto più lucenti che mai; il riflesso delle candele tutto attorno all'Aula lo faceva sembrare un ragazzo, e la semplice veste bianca che indossava un innocente. Ma il suo sorriso era sprezzante e fiero, come se non avesse nulla da temere.
Il suo sguardo passò su tutti i maghi della corte; non si soffermò particolarmente su Albus, come se si fosse aspettato di vederlo lì, dopo tutto. Non c'era sorpresa nella sua espressione, né qualsiasi emozione diversa da una tranquilla curiosità. Gellert sapeva già che cosa sarebbe stato deciso, e non ne aveva paura.
Le porte si chiusero, e Gellert avanzò in mezzo alla sua scorta fino al banco degli imputati. Si sedette e posò le mani sul tavolo che aveva davanti, rilassato.
Albus pensò che era bellissimo.
Ed era completamente solo.
Non aveva un avvocato, né testimoni a suo favore. Nulla con cui difendersi, a cui appellarsi.
Albus strinse i pugni sotto il tavolo. Quindi aveva deciso di lasciarli fare? Si era arreso?
O forse, si disse guardandolo, stava imbastendo come voleva la sua inevitabile uscita di scena. Forse preferiva morire senza alzare un dito per evitarlo, lasciare nella gente l'impressione di innocenza che faceva in quel momento, e su cui contava, evidentemente?
O forse era solo impazzito davvero.
Il giudice che presiedeva l'udienza batté di nuovo il martelletto sul legno, attirando l'attenzione di tutti i presenti, che faticarono a girarsi verso di lui, distogliendo gli occhi dall'imputato per seguire l'inizio del procedimento. Ogni pochi secondi, qualcuno guardava Gellert come se non potesse impedirsi di farlo, inevitabilmente attratto da quell'uomo incredibile.
Nessuno, comunque, lo fece tanto spesso quanto Albus, nei giorni che seguirono.

La parte pubblica del processo durò cinque giorni.
I primi quattro furono spesi ad interrogare i testimoni. Ciascuno di coloro che erano stati scelti per parlare aveva da raccontare storie di orrore e distruzione, una più raccapricciante dell'altra.
Albus stesso rese testimonianza, anche se la sua parte si limitava ad asserire che Gellert aveva rifiutato di arrendersi quando erano andati ad arrestarlo, e di conseguenza Albus aveva duellato con lui fino a disarmarlo ed immobilizzarlo.
Gellert aveva diritto a difendersi, in quella fase del procedimento, ponendo a sua volta delle domande ai testimoni. Albus temeva particolarmente quel momento.
Ma Gellert si limitò ad ascoltarlo sorridendogli e declinò l'invito a porgli delle domande.
In effetti, solo due volte prese la parola per tutti e quattro i giorni degli interrogatori.
La prima volta fu quando un ometto nervoso raccontò che Gellert gli aveva sedotto la figlia e rubato tutti i possedimenti. Lui ascoltò la testimonianza, e quando gli venne chiesto se volesse parlare, replicò brevemente: -Non l'ho fatto-, senza smettere di sorridere. L'ometto arrossì fino alla radice dei capelli e la folla fischiò.
-Che io sappia non ho toccato il denaro di quest'uomo. Sicuramente non gli ho sedotto la figlia- chiarì, e non disse più nulla a riguardo, nemmeno quando la corte mise a tacere le proteste del pubblico e tornò il silenzio.
Albus rischiò di mettersi a ridere.
La seconda volta che nell'aula si udì la voce di Grindelwald fu quando venne chiamato a testimoniare un ufficiale del suo esercito. L'uomo era piuttosto giovane, in buona forma e di bell'aspetto.
Albus osservò Gellert guardarlo con interesse crescente, mentre il delatore elencava tutti i reati che Gellert aveva compiuto in sua presenza, con ciascuno comprandosi la clemenza della corte per i propri.
Quando l'elenco finì, Grindelwald alzò la testa e fissò negli occhi l'uomo, che abbassò i suoi.
-Hai dimenticato "sodomia", Gustaaf- replicò, indifferente alle accuse sempre più gravi che si accumulavano sulla sua testa.
Bravo, pensò Albus tra sé. Nonostante tutto, ogni momento la sua ammirazione per Gellert cresceva, di pari passo con la sua paura. Ogni momento, sempre più persone attorno a loro realizzavano che grande uomo avessero davanti, in ogni caso. Non sarebbe bastato; ma Gellert aveva una sola vita da giocarsi in quel processo, e il suo stile impeccabile, giorno dopo giorno, rendeva Albus sempre più orgoglioso di lui, in qualche modo.
E sempre più disperato.

Il quinto giorno la stampa era impazzita.
Era il momento più atteso del processo, quello da cui tutti, Albus incluso, si aspettavano colpi di scena e grandi emozioni. Il quinto giorno avrebbe testimoniato lo stesso Grindelwald; gli sarebbe stata letta ogni accusa che gli era stata rivolta, e lui avrebbe avuto la possibilità di negarla e, se poteva, di dimostrare la sua innocenza o la colpevolezza di qualcun altro.
Quando Albus entrò nell'Aula già piena, la mattina del quinto giorno, vide suo fratello Aberforth tra la folla che aspettava impaziente l'inizio dello spettacolo. Trovarlo lì lo sorprese; Aberforth avrebbe avuto più di un motivo per voler presenziare alla distruzione di Grindelwald, ma Albus non credeva avrebbe fatto tutta quella strada per veder condannare un uomo a cui si era sforzato di non pensare per oltre quarant'anni.
I due fratelli si salutarono appena con un cenno del capo, senza nessun calore o affetto; non si parlavano da anni. In fondo la loro era stata la prima famiglia ad essere distrutta da Gellert Grindelwald.
Come ogni mattina la corte finì di accomodarsi sugli scomodi scranni del tribunale, e poi si fece silenzio quando l'imputato fece il suo ingresso con la solita scorta. Gellert attraversò tutta l'Aula fino al banco dei testimoni, e si sedette tranquillamente al suo posto per quel giorno.
Uno dei giudici prese ad elencare i capi di accusa.
-Gellert Grindelwald, neghi di aver usato la Maledizione Imperius sul Ministro Austriaco della Magia?-
-Non lo nego- rispose Gellert.
Aveva gli occhi di un pazzo. Albus si perse a guardarlo, ascoltando a malapena le parole del collega, mentre, uno dopo l'altro, Gellert affermava tutti i suoi crimini.
Il suo viso non era guarito affatto, in cinque giorni. Albus poteva giurare che solo la mattina prima non aveva nessun taglio sullo zigomo sinistro; eppure non sembrava nemmeno sofferente, mentre rispondeva con educata arroganza ad ogni accusa, per quanto triviale.
-Gellert Grindelwald, neghi di aver costruito di tua iniziativa il carcere di Nurmengard, di aver ornato il suo ingresso delle parole "Per il Bene Superiore" e di avervi rinchiuso sessantacinque maghi e trentotto streghe?-
Albus trattenne il fiato.
Gellert gli sorrise solo per un istante, prima di rispondere, come sempre, -Non lo nego- con voce sicura.
Perché non lo accusava? Gellert avrebbe potuto ottenere solo dei vantaggi, trascinando Albus nel fango con lui. Se si fosse messa in dubbio la condotta dell'eroe, il processo sarebbe esploso, la stampa si sarebbe scatenata e probabilmente qualcuno nel caos avrebbe potuto persino abbassare la guardia tanto da permettergli di fuggire.
Ma Gellert non sembrava intenzionato ad approfittare del potere che aveva su Albus.
E lui non sapeva perché.
La litania dei crimini di Gellert continuò a dipanarsi per tutta la mattinata, mescolandosi con i pensieri confusi di Albus e lasciandolo frastornato come dopo una giornata tra i fumi del calderone. Non capiva cosa volesse Gellert, cosa cercasse di ottenere.
Non voleva capirlo.

-Gellert Grindelwald, hai qualcosa da aggiungere in merito alle accuse che ti sono state rivolte in quest'Aula?-
Gellert sorrise. Nonostante fosse tardo pomeriggio, ormai, non sembrava annoiato né provato dal lunghissimo interrogatorio.
-Avete di nuovo dimenticato la sodomia- disse, in tono divertito.
La strega che aveva letto le domande per tutto il pomeriggio arrossì, poi si voltò verso il Presidente della corte. L'anziano uomo annuì, imperscrutabile dietro gli occhiali spessi.
-Gellert Grindelwald- riprese la strega, incespicando un po' sulle parole, -neghi di esserti macchiato del reato di sodomia?-
Gellert rise. Il cuore di Albus perse un battito.
-Sicuramente non lo nego- rispose, -e ne ho goduto ogni istante- aggiunse, continuando a ridacchiare tra sé.
Alla fine dei lavori di quella giornata, quell'ultima affermazione fu l'unica notizia gustosa su cui misero le mani i giornalisti presenti.

Il sesto giorno, e quelli seguenti, se necessario, sarebbero stati dedicati alle consultazioni della giuria.
La scelta dei trentasette votanti era tra la condanna a morte e il carcere a vita. Occorreva una semplice maggioranza, ed erano esattamente diciotto voti in più di quelli che Albus aveva per salvare la vita a Gellert.
In altri casi le discussioni dei Tribunali si erano protratte per giorni e giorni; ma per quel processo non ci sarebbero state lunghi scambi di opinioni o alleanze politiche che potessero spostare un voto da un piatto all'altro della bilancia.
Nemmeno un'ora dopo l'inizio della seduta a porte chiuse, la condanna a morte fu decisa con trentacinque voti a favore, uno contrario, di Albus, e l'astensione di prassi del Presidente.
Semplicemente per alzata di mano.
Nessuno chiese ad Albus le ragioni del suo voto; qualcuno borbottò qualcosa sui giovani troppo schizzinosi per ammazzare un tiranno, e il Presidente riprese la parola senza interruzioni.
Albus si sentiva girare la testa. Desiderava essere altrove e non sapere, ma sarebbe stato da vigliacco.
-Esimi colleghi- riprese a parlare il Presidente, con l'aria di chi sbriga una formalità, -adesso dobbiamo decidere chi di noi qui riuniti presenzierà all'esecuzione in veste di testimone. Ci sono volontari?-
Con le membra che gli tremavano, Albus alzò la mano.
Non l'avrebbe voluto per nulla al mondo; ma lo doveva a Gellert. Gli doveva un addio, un ultimo momento. Un tentativo disperato di riallacciare un nodo che non si era mai sciolto. E non si sarebbe perdonato se non avesse guardato gli occhi di Gellert fino all'ultimo istante della sua vita.
Il Presidente annuì gravemente. Albus si chiese quanti dei presenti gli leggessero in viso quello che provava.
-Bene- concluse l'anziano mago. -Dunque, a questo punto, a meno che il condannato, o qualcuno per lui, faccia richiesta di grazia, l'esecuzione avverrà lunedì alle tre del pomeriggio, come da tradizione-.
Albus sussultò. -Richiesta di grazia?- chiese, ancora frastornato.
L'uomo annuì. -Sì, ce ne sono le condizioni. Grindelwald ha ammesso tutti i suoi crimini- disse.
-Tranne lo stupro della fanciulla- fece notare un mago grasso di origine francese.
-Ma per quello ha prodotto indirettamente valide prove a sostegno della sua innocenza, ammettendo di essere un sodomita- chiarì il Presidente. -Dunque- continuò, -se ci fosse richiesta, verrebbe chiesto al pubblico se ci sono tra loro due maghi disposti a concedere la grazia. Se questi due maghi si trovassero, per ipotesi, io dovrei stabilire se uno di loro ha una motivazione valida per l'approvazione della grazia. A quel punto, uno di noi dovrebbe offrirsi come garante della sua carcerazione, e Grindelwald sarebbe rinchiuso a vita. Ci sono domande in merito alla procedura?-
Tutti scossero la testa.
Albus non riusciva a muoversi. Per la prima volta vedeva una speranza.

Poco prima dell'inizio dell'ultima seduta di quel processo, Albus cercò Aberforth fuori dall'Aula. Ci mise qualche minuto per trovarlo tra la gente che aspettava chiacchierando l'apertura delle porte; ma suo fratello difficilmente passava inosservato, e alla fine lo vide, che guardava fuori dalla finestra, lontano da tutti.
-Posso parlarti un momento?- gli chiese.
Aberforth si voltò a guardarlo come se gli fosse cresciuta una seconda testa a fianco della prima.
-Per quale motivo?-
-Ti prego, Abe- disse Albus, rispolverando senza pensarci il vecchio soprannome. -Devo chiederti un favore- aggiunse.
Riluttante, Aberforth lo seguì lontano dalla folla. Albus si strofinò le tempie con le mani.
Era un tentativo disperato. Probabilmente, nessuno nell'Aula del tribunale odiava Grindelwald quanto suo fratello, ma Albus non aveva alternative e doveva tentare qualsiasi cosa.
Aberforth lo guardava con sospetto. Gli fece un vago cenno di sbrigarsi e Albus si fece forza per parlare.
-Se verrà chiesta la grazia per Grindelwald, devi concedergliela- disse, guardando suo fratello negli occhi.
Aberforth era rimasto senza parole. Lo fissava, stupito e irato, come faceva da ragazzo quando lo vedeva perdere la pazienza con Ariana.
-Come puoi venirmi a chiedere una cosa del genere?- sibilò, con tutta la sua rabbia. -Perché credi che io sia qui? Voglio vederlo andare all'inferno. Non posso credere che tu stia cercando di salvare il tuo amichetto...- sputò, girando le spalle per andarsene.
Albus usò l'unica vaga arma che gli rimaneva.
-Non l'ha colpita lui. Sono stato io- mentì. Aberforth non si voltò, ma strinse i pugni lungo i fianchi, come aveva fatto tanti anni prima, qualche secondo prima di rompergli il naso sulla tomba fresca della loro sorellina. -Ariana gli voleva bene, Abe. Lei avrebbe...-
-Stai zitto- lo interruppe Aberforth. -Sei disgustoso- aggiunse senza voltarsi, e se ne andò, lasciando Albus da solo, privo di qualsiasi cosa a cui aggrapparsi per non annegare in quella disperazione.

Rientrare in Aula fu la cosa più difficile che Albus avesse mai fatto.
Gli sembrava di vivere in un incubo; aveva l'impressione che il mondo fosse infinitamente lontano, fuori dalla portata delle sue mani.
E poi concentrato tutto negli occhi splendenti di Gellert, quando lo vide entrare in Aula per l'ultima volta, circondato dall'immancabile scorta.
Era mai stato così bello?
Albus non l'aveva amato così tanto nemmeno quando erano ragazzi innocenti.
Gellert prese posto al banco dell'imputato, ma non si sedette. Guardava la corte con aria di serena sfida. Le sue spalle erano dritte e le sue braccia rilassate, come se attendesse un consiglio da un amico, e non una condanna.
-Gellert Grindelwald- iniziò solennemente il Presidente, dopo che tutta l'Aula si fu alzata rispettosamente in piedi. -Sei stato riconosciuto colpevole di ciascuno dei reati che ti sono imputati. Sei stato condannato a morte da questo Tribunale-.
La folla applaudì e schiamazzò, e il Presidente attese qualche secondo prima di richiamare i presenti all'ordine. I fotografi scattavano a ripetizione, e la luce dei flash e il fumo si diffondevano per l'Aula, facendo lacrimare gli occhi di molti dei giudici e del pubblico.
Gellert Grindelwald non tradì nessuna emozione. Solo i suoi occhi si chiusero per un istante nell'udire la sentenza, ma li riaprì immediatamente, continuando a sorridere, imperturbabile come prima.
Quando la gente smise di vociare, il Presidente riprese a parlare.
-Gellert Grindelwald, desideri richiedere a questa corte di farti grazia della vita?- chiese.
Albus pregò che l'infinita serie di ammissioni di Gellert fosse una tattica.
-No- rispose Gellert.
E finalmente, Albus capì.
Si era rifiutato di vedere che Gellert voleva morire. Avrebbe saputo comprenderne le ragioni, se si fosse fidato dell'istinto; Gellert aveva chiesto a lui di ucciderlo, quando era stato chiaro che aveva perso il duello tra loro.
A lui non interessava nulla del processo; quello era per Albus, per punirlo di non aver aiutato Gellert ad andarsene in una vampa di fuoco, come desiderava. Quell'agonia lenta era il suo castigo.
Era giusto che Albus si intromettesse nel desiderio di Gellert di morire, piuttosto che vivere umiliato e sconfitto, in catene?
In fondo, la morte non sarebbe stata forse solo una grande avventura, per una mente come quella di Gellert?
Lo guardò, ritto e immobile sul banco degli imputati, con le mani libere e bianche, la bocca sorridente e gli occhi luminosi.
Ma quella vita era preziosa; per quanto male Gellert l'avesse spesa fino a quel momento, non era meno bella. Gellert era l'uomo senza scrupoli che era sempre stato, ma non era un mostro. E forse l'unico a saperlo era Albus.
-Qualcuno chiede la grazia, per Gellert Grindelwald?- chiese implacabile il Presidente.
Albus decise in un istante.

-Qualcuno chiede la grazia, per Gellert Grindelwald?-
-Io, Albus Dumbledore, chiedo la grazia per lui- disse Albus, con tutta la forza del suo carisma di eroe.
Per un istante, nessuno nell'Aula parlò. Nessuno fischiò Albus; perfino i giornalisti dimenticarono di scattare, troppo stupiti per reagire.
Gellert batté i pugni sul tavolo, e il mondo, che per un attimo si era dimenticato della sua esistenza, si volse a guardarlo.
-Non puoi farlo!- gridò ad Albus. Era il ritratto della rabbia, improvvisamente. Tutta la calma che aveva esibito per giorni sembrava sparita; i suoi occhi lampeggiavano nel viso contratto. -Non osare!-
Albus sostenne il suo sguardo senza battere ciglio.
Il Presidente batté il martelletto sul banco per richiamare l'ordine. Gellert si mosse come se volesse attaccare Albus, e immediatamente gli Auror della sua scorta lo affiancarono con le bacchette puntate, pronti ad immobilizzarlo.
-Albus Dumbledore ha diritto di richiedere la grazia- precisò il Presidente, con la sua imperturbabile praticità. -Dunque, ci sono tra il pubblico due maghi o streghe disposti a concedere la grazia a Grindelwald?-
Qui si infrangevano inevitabilmente le speranze di Albus.
Chi sarebbe stato disposto a parlare in favore di Grindelwald?
-Io- disse una vecchia strega, dai banchi del pubblico. Era seduta insieme ad altre donne tra la folla che fischiava, e portava al collo la fotografia ingrandita di una ragazza graziosa che rideva spensierata.
-La motivazione?- chiese il Presidente.
-Gustaaf Winkler ha ucciso mia figlia- rispose la donna. -Eppure era qui a testimoniare contro Grindelwald pochi giorni fa, e se ne è andato libero. Perché dovrebbe pagare Grindelwald per i suoi crimini?-
La folla mormorò, ma visto che era stata una di loro a parlare, e che non cambiava nulla, non ci furono fischi.
-Molto bene- riprese il Presidente. -Serve un altro mago, o un'altra strega- ricordò al pubblico.
Gellert era immobile; Albus non osò sperare.
Poi Aberforth si alzò.
-Io sono disposto a concedere la grazia a Gellert Grindelwald- disse, con voce sicura. -E la motivazione è semplice. Lui vuole morire. Vuole un'uscita facile e rapida. Io voglio vederlo all'inferno- aggiunse, guardando Albus. -Ma se è morire quello che vuole così tanto da non provare nemmeno a difendersi, forse l'inferno ha un altro significato, per lui-.
Il Presidente non batté ciglio.
-Le motivazioni sono valide- rispose. -Qualcuno dei miei esimi colleghi è disposto a farsi garante per la vita di Gellert Grindelwald?-
Incredulo, Albus annuì. -Io, naturalmente- aggiunse, sorprendendosi che la sua voce non tremasse.
La folla esplose in grida di protesta.
Gli Auror di servizio formarono una linea di scudi magici per proteggere la corte e il prigioniero mentre uscivano.
Per qualche momento sembrò che la gente avesse la meglio sull'ordine del Tribunale, ma gli Auror rimasero compatti e Gellert fu scortato fuori; i giudici, uno dopo l'altro, abbandonarono i banchi e uscirono dalla stanza, qualcuno borbottando, la maggior parte stupita come la gente della conclusione di quel processo.
Era finita, era l'unica cosa che Albus riusciva a pensare. Era finita e contrariamente ad ogni previsione, Gellert sarebbe sopravvissuto.
Che lo volesse o meno.

Albus spese i giorni che seguirono il processo a discutere e ridiscutere i dettagli della prigionia di Gellert con i rappresentanti di quasi tutti i Ministeri d'Europa. Sembrava un procedimento necessariamente infinito.
Persino quando dovettero decidere in quale carcere rinchiuderlo sembrò impossibile giungere ad un accordo soddisfacente tra le parti.
Alla fine, Albus si impose su quel punto.
-Nurmengard- disse, e i dignitari lo osservarono sorpresi. -E' la scelta più logica- proseguì, per convincerli. -Lui l'ha costruita; avrà pensato a prevenire ogni tentativo di fuga potesse venirgli in mente-.
La spuntò per un soffio, persino su quel punto. Nurmengard non era il carcere duro che molti desideravano; ma a tutte le proposte dei maghi e delle streghe che aveva davanti Albus rispose trovando una falla nella sicurezza, immancabilmente, ed alla fine nessuno osò opporsi davanti alla prospettiva che Gellert potesse ragionare allo stesso modo.
Dopo giorni di discussione, quando anche l'ultimo dettaglio fu messo a punto, Albus si preparò a tornare in Inghilterra, consapevole che a quel punto aveva fatto ogni cosa in suo potere per il bene di Gellert Grindelwald, e che doveva essere soddisfatto del suo operato.

Si rese conto che mancava qualcosa solo quando trovò ad aspettarlo sui suoi bagagli già pronti un messaggio del Capo degli Auror tedeschi, sotto la cui custodia si trovava provvisoriamente Gellert.
Il prigioniero, spiegava la breve missiva, chiedeva un colloquio privato con l'uomo che l'aveva salvato. Dal tono dello scritto, era chiaro che l'ufficiale sarebbe stato più che lieto di negare a Grindelwald quel privilegio ad un minimo cenno di Albus.
Eppure lui aveva passato i giorni del processo nell'attesa del momento in cui avrebbe dovuto dire addio a Gellert; definitivamente, aveva pensato. E, sebbene non si lamentasse affatto di come erano andate le cose, rimaneva il senso di qualcosa di incompiuto; se Albus se ne fosse tornato a casa e non avesse mai più rivisto Gellert, mai più pensato a lui, forse avrebbe potuto finalmente lasciarsi quell'amore alle spalle. Ma Albus non voleva.
Lo amava ancora. Nonostante tutto non lo aveva mai dimenticato e ogni giorno pagava il prezzo di quell'amore nell'angoscia di vedere cosa Gellert era diventato.
Non sarebbe mai finita, qualsiasi cosa facesse. E allora perché negarsi il lusso di un addio?
Sforzandosi di pensare che dietro la sua risposta ci fosse qualcosa di più nobile di un desiderio egoistico di rivedere Gellert, Albus scrisse all'ufficiale che avrebbe incontrato il prigioniero la mattina dopo.

I lividi sul viso di Gellert non erano migliorati affatto, dall'ultima volta che l'aveva visto.
Se possibile erano peggiorati, e un occhio era pesto e quasi chiuso. Le guardie, pensò Albus mentre entrava nella stanza, dovevano aver preso male l'esito del processo.
Gellert era fermo, in piedi al centro della cella provvisoria in cui era detenuto, e non si mosse quando si trovò di fronte Albus. Non fece un cenno, non cambiò l'espressione neutra del suo viso nemmeno per un istante.
La guardia sembrava nervosa.
-Posso restare...- si offrì, ligio al dovere, rivolto ad Albus.
Lui stava per rispondere cortesemente che non era necessario, ma Gellert parlò prima.
-Mi ha sconfitto quando ero nel pieno delle forze e armato. Non credo abbia difficoltà a mettermi fuori gioco adesso, Hans- disse, come se parlasse ad un amico.
L'Auror strinse gli occhi e Gellert gli sorrise impunemente, come se, pensò Albus divertito, cercasse di sedurlo.
L'uomo guardò Albus, nervoso, ma lui accennò un sorriso.
-Non credo ce ne sarà bisogno, grazie- disse, e la guardia se ne andò, borbottando e chiudendosi la porta alle spalle.
Lasciando soli Albus e Gellert nella piccola cella spoglia.
Albus non sapeva cosa aspettarsi da quell'incontro. Si era preparato a qualsiasi tipo di atteggiamento da parte di Gellert, ma realisticamente immaginava che lui fosse arrabbiato per il modo in cui Albus, per l'ennesima volta, aveva mandato a monte i suoi piani.
Gellert non parlò a lungo, limitandosi a fissare vagamente Albus e la porta insieme, come se stesse riflettendo intensamente su qualche lontano pensiero. Albus stava per cedere e dirgli qualcosa lui per primo, quando lo vide riscuotersi da quella contemplazione e, finalmente, muoversi.
Nonostante quello che aveva detto alla guardia, Albus si tese. Non sarebbe stato al di sotto di Gellert tentare qualcosa di stupido in quella circostanza. Ma lui si limitò a mettersi a sedere sulla branda della cella, prendendosi la testa tra le mani.
Albus si stupì; quel gesto non era da Gellert, per quel che ricordava. Lui assumeva quella posizione quando qualcosa lo tormentava; Gellert andava su e giù per la stanza fino a scavare una pista nel pavimento. Improvvisamente l'uomo che aveva davanti gli sembrò così diverso da quello che aveva conosciuto, e la realizzazione gli tolse il fiato.
L'uomo che aveva combattuto, che aveva sconfitto e poi salvato non era necessariamente il ragazzo dei suoi ricordi. Per anni Albus l'aveva pensato come quando aveva sedici anni; ma adesso, come poteva essere certo di conoscere ancora quel Gellert quarantacinque anni più vecchio? Si stava aggrappando solo ad un ricordo?
-Perché?- chiese Gellert, ed Albus sussultò. La voce tremava come una volta aveva tremato tra le sue braccia; ma adesso Albus non era capace di comprendere il sentimento che celava.
-Perché salvarmi la vita?- continuò Gellert.
Sembrava che stesse piangendo. Albus non poteva rispondere a quella domanda, ancora: non sapeva cosa significasse davvero.
Poi Gellert sollevò la testa e lo guardò dritto negli occhi, e Albus si accorse che sì, aveva il viso macchiato di pianto, ma erano lacrime di rabbia e frustrazione. Di scatto, Gellert si alzò e diede un calcio al letto.
-Io non voglio- cominciò, quasi gridando. -Non ho la minima intenzione di trascinarmi come un relitto in chissà quale diavolo di prigione!-
-Nurmengard- rispose Albus.
Gellert si bloccò. -Cosa?-
-Andrai a Nurmengard- spiegò Albus, cercando di non tradire nessuna emozione.
-La mia Nurmengard?- sbottò Gellert, e rise brevemente. -Scommetto che è un'idea tua- disse, in tono velenoso.
Albus annuì appena.
-Ovviamente,- riprese Gellert, -non ti basta vincere, no? Non ti basta che io ti deva due volte la vita. Devi anche umiliarmi, Albus?-
Albus scosse decisamente la testa. -Non è per questo...-
-E per cos'altro? Ho sempre creduto che tu fossi ancora...- Gellert si interruppe un istante. -Ma no, tuo fratello è stato chiarissimo, vero? Però Nurmengard è un'idea tua. Lui non ci sarebbe mai arrivato- concluse.
Gellert era arrabbiato, Albus lo vedeva chiaramente. Somigliava in maniera dolorosissima al giovane che era stato, così animato dalle emozioni. Eppure, più che ogni altra cosa, sembrava triste, mentre lo guardava, come un uomo che abbia perduto qualcosa di prezioso.
-Volevi morire, vero?- gli chiese Albus, d'istinto. -Piuttosto che essere sconfitto, preferivi la morte-.
Gellert rise amaramente.
-Allora davvero non mi conosci più- disse. -Provaci ancora, Albus. Una volta capivi come pensavo, no? Non sono cambiato così tanto. Mi sono mai lasciato demoralizzare dalla sconfitta?-
No, era vero. Gellert aveva sempre tenuto molto al proprio onore, ma era sempre il primo ad ammettere di aver perso e a riderne serenamente.
-Allora perché non ti sei difeso?- chiese Albus.
Gellert scosse la testa. -L'ho chiesto io a te per primo- rispose. -Dimmi perché non mi hai ucciso, e perché mi hai salvato, ed io ti dirò perché avevo scelto di morire e perché non ti ho tirato in mezzo in quell'Aula. So che te lo stai chiedendo-.
Il compromesso sembrava equo. Eppure era così difficile dirlo...
Albus prese un grosso respiro. Guardò Gellert, consapevole che probabilmente non avrebbero mai più potuto parlare così apertamente fino alla fine dei loro giorni. Consapevole che quello era un addio. Trovò la forza per essere sincero.
-Non avrei mai potuto ucciderti- disse, alla fine. Gellert lo guardava, avido di informazioni, e lo lasciò parlare. -Dovevo fermarti, lo sai. Ma non avrei mai potuto porre fine alla tua vita. E se c'era anche solo una speranza di farti concedere la grazia, dovevo tentare anche quella strada-.
L'espressione di Gellert era strana. Sempre arrabbiato e sconvolto, sembrava però che la sua bocca si stesse curvando in un mezzo sorriso.
-Cosa avresti fatto se non fossi riuscito ad ottenerla, Albus?- chiese.
Albus lo guardò negli occhi e Gellert, come sempre, sostenne il suo sguardo. -Sarei rimasto con te fino all'ultimo istante. Dopo, non so cosa avrei fatto. Non riesco ad immaginarlo- disse.
-Non ti saresti gettato da una rupe, distrutto dal dolore?- chiese Gellert, ironico.
Albus avvampò. -Se mi hai fatto venire qui per prenderti gioco di me, Gellert, non abbiamo più nulla da dirci-.
Gellert sorrise apertamente. -Non ti sto prendendo in giro. E' quello che avrei fatto io, al posto tuo- disse.
Albus batté le palpebre, incapace di rispondere.
Gellert rise del suo stupore. Sembrava che non fosse più così arrabbiato. Anzi, sembrava che qualcosa nel discorso di Albus l'avesse rasserenato al punto che improvvisamente l'atmosfera tra di loro era leggera e gradevole, come era stata tanti anni prima.
-Tocca a te- disse alla fine Albus. -Perché non ti sei difeso? Perché non mi hai accusato?-
Gellert sembrò riflettere un attimo sulla sua risposta.
-Per lo stesso motivo per cui tu non mi hai lasciato morire- disse, dopo un poco. -Per tutti questi anni, ho continuato a sognare, a sperare... Ho combattuto una guerra, ed ogni cosa che facevo la facevo per te, per attirare la tua attenzione. Desideravo così tanto che tu tornassi da me. Ho capito solo mentre duellavamo che non saremmo tornati mai più quello che eravamo. Di tutti i miei sogni e le mie ambizioni, la più importante non si sarebbe mai realizzata. Preferivo morire, piuttosto che andare avanti sapendo che tra noi era finita. E non ti avrei mai accusato, Albus. Non sai quanto mi abbia ferito vedere che lo pensavi-.
Albus era frastornato. Non sminuiva la propria intelligenza, non lo aveva mai fatto, ma in quel momento si sentiva un idiota. Lo stesso motivo, aveva detto Gellert.
Albus credeva di averlo perso tantissimi anni prima, quando Ariana era morta e tutto era stato distrutto. Gellert, meno pratico e più sentimentale, come sempre, aveva continuato a sperare ed era andato in pezzi quando aveva creduto persa quella speranza.
-Non credi, Albus,- disse Gellert, -che forse dovremmo semplificarci le cose e dare un nome a questo motivo?-
Il tono era ironico, ma c'era di più. Un'attesa quasi trepidante, e sul viso di Gellert, qualcosa come la paura di essere respinto.
-Non cambierà niente dirlo adesso- disse Albus, chiudendo gli occhi, infinitamente stanco e disperato per quel disordine di emozioni.
-Sai che cambierà tutto, anche se questo rimane un addio- rispose Gellert, appena più sereno. Poi tirò il fiato rumorosamente. -Io ti ho sempre amato, Albus Dumbledore- dichiarò con voce sicura. -Ho tentato di conquistare tutta l'Europa, per dimostrarti il mio amore-.
Albus scosse la testa. -Di tutte le cose stupide, Gellert...-
-Forse, ma volevo che tu vedessi il mio potere e tornassi da me- lo interruppe Gellert.
-Tu te ne sei andato-.
-Lo sai perché me ne sono andato- disse gravemente Gellert.
-Se tu fossi rimasto, se avessimo parlato...- Albus non riusciva a trovare una coerenza nei suoi pensieri.
-Avevo sedici anni, Albus- disse Gellert.
-Potevamo...- cominciò di nuovo Albus.
-Albus- lo richiamò Gellert, gentilmente. -Non serve. Dovresti proprio dirlo, adesso-.
Albus lo guardò. Gellert, il suo bellissimo Gellert, incredibile e pazzo come era sempre stato. L'uomo con i sogni più grandi che avesse mai conosciuto, l'unico, forse, che avrebbe potuto realizzare l'impossibile; e l'uomo che il giorno dopo sarebbe stato per sempre rinchiuso a Nurmengard, irraggiungibile per Albus. Era l'ultima occasione che aveva per dire quelle parole.
-Io ti ho sempre amato, Gellert Grindelwald- scandì, facendo eco alla frase pronunciata da Gellert.
Non l'avevano mai detto. Avevano passato un'estate a pianificare la conquista del mondo e dell'immortalità, a fare l'amore e, tutto sommato, ad amarsi, senza mai dire la cosa più semplice.
Forse pagavano il prezzo di quella dimenticanza, e l'avrebbero pagato per tutta l'esistenza di entrambi, per quanto lunga fosse.
Gellert fece i due passi che lo separavano da Albus, e piantò i suoi occhi grigi in quelli dell'amore della sua vita come se non volesse lasciarlo andare.
-Sarà più facile, adesso- disse piano.
-Più doloroso?- chiese Albus.
-Sì, anche- rispose Gellert.
-Anche per me- disse Albus, prima di chinarsi un poco in avanti e baciare piano Gellert sulla bocca.
Finiva un'epoca in quel bacio. Finiva un processo, una guerra, mezzo secolo di bugie.
Gellert Grindelwald era stato condannato, Albus Dumbledore proclamato eroe, e le loro strade si dividevano, da quel momento. Era un addio.
Ma aveva il sapore di qualcosa che cominciava.

 


Come penso che sia evidente, non ho nemmeno una vaga idea di come funzioni un processo; certo è che nel Mondo Magico le cose sono sempre un po' strane, e la prassi di questo procedimento mi sembra credibile rispetto a quel che sappiamo...

Comunque, cosa più importante, questa fic è stata scritta per il primo turno del Grindeldore Contest, indetto da aGNeSNaPe sul forum; nella classifica del primo turno è arrivata prima, con questo giudizio:

[Grammatica 10/10
Stile 10/10
IC 10/10
Originalità 10/10
Gradimento personale 10/10
Totale: 50/50

Ehm.
E io che scrivo, adesso?! *Me imbarazzatissima*
Ricomponiamoci. Come vedi, punteggio pienissimo. Non un errore di grammatica, non una caduta di stile, non una sbavatura nell’IC, altissima originalità (il processo Grindelwald. Solo a te poteva venire in mente una cosa simile) e, ovviamente, altissimo livello di gradimento personale.
Lasciati dire che ho svisceratamente amato Gelt, in questa shot. Ho riso per almeno tre minuti su “-Hai dimenticato "sodomia", Gustaaf-”. Geniale. Assolutamente inarrivabile e profondamente IC.
Vabbè, la smetto o diventerò più ridicola di quanto già non sia.]

... che manco a dirlo mi ha fatto diventare improponibilmente fuxia. XD

  
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