Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: arwen_eli    22/03/2011    2 recensioni
Un brevissimo racconto scritto per sostenere un'iniziativa a favore della raccolta fondi per la tragedia Tsunami in Giappone.
Una ragazza e i suoi pensieri, nulla di più.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questo racconto è stato scritto per l'iniziativa Autori per il Giappone, allo scopo di incentivare la raccolta di fondi attraverso Save the Children.
Leggete e donate, anche un centesimo può fare la differenza.



Hollowness.








Occhi neri scrutano da una finestra la lenta ritirata del sole dietro l'orizzonte.

Seduta sul davanzale della finestra lascia cadere scompostamente una gamba, mentre tiene l'altra tra le braccia incrociate, poggiando una guancia sul ginocchio, senza smettere di fissare il paesaggio.
Un uomo sul lungomare rincorre una bambina, che sgambetta verso il bordo della passeggiata, forse per raggiungere la spiaggia. I capelli neri e lisci della piccola le danzano sulle spalle, mentre si gira ad osservare l'uomo, lo sguardo colmo di aspettativa. Quando lui riparte nella corsa, per raggiungerla, la piccola scoppia in una risata e scatta in avanti, di nuovo fuggendo verso il mare.
Lei non sente i suoni di quel gioco, ma è come se potesse. Le sembra di sentir tintinnare la risata argentina della piccola, l'irregolare scalpiccio dei suoi passetti incerti sul cemento.
Sorride pensando a quando anche lei era così: una creatura fiduciosa, felice, completamente affidata a qualcun altro, tanto da sentirsi libera di fingere di fuggire, sapendo che sarebbe stata rincorsa.
Lancia uno sguardo alla stanza: un letto sfatto, con lenzuola grigio scuro e una coperta verde malamente buttata sul fondo, la sua borsa azzurro cielo, un vezzo anche troppo appariscente, aveva pensato più volte, con lo stetoscopio che pendeva da un angolo, sfiorando il pavimento. Un cappotto nero, poggiato con disinvoltura alla spalliera del divano. E poi libri, impilati ovunque, aperti sul tavolo su cui avrebbe dovuto mangiare, ma su cui studiava e basta, perché aveva sempre mangiato seduta per terra o sul divano, con un libro sulle ginocchia e la musica classica nelle orecchie.
L'evidenza della solitudine in pochi oggetti di arredamento. Una solitudine riempita da parole di nero inchiostro, su pagine ingiallite di libri invecchiati con lei o sulla carta lucida dei manuali su cui studiava. Già, studiava.
Era per questo che quella sera era in casa, nel suo minuscolo monolocale, sola, ad aspettare che il sole tramontasse, gustando il silenzio di una stanza vuota come si gusta un bicchiere di whisky. Amaro, forte, unico.
L'indomani mattina sarebbe diventata un medico a tutti gli effetti.
Si sarebbe svegliata presto, avrebbe fatto una doccia ed asciugato con cura i lunghi capelli neri. Avrebbe indossato l'abito elegante e formale che aveva scelto per l'occasione e sarebbe andata sorridendo alla celebrazione del suo successo personale, dividendolo solo con se stessa.
Le avevano proibito di andare in Ospedale quella notte e le avrebbero proibito di andarci anche la mattina successiva.

Devi riposare, festeggiare. Smettila di pensare sempre al lavoro.

L'aveva sentito così tante volte, da così tante e diverse voci, che ormai le si accavallavano nella mente: le infermiere, i compagni di corso, i medici del reparto.
Non capivano che lei amava quel lavoro, non capivano che tutto quel che aveva nella vita, si racchiudeva tra le pagine di un libro e nella sensazione di avere l'esistenza altrui tra le mani.

Poggia i piedi a terra e richiude la finestra alle sue spalle.
Sarebbe tornata in Ospedale, dopo la proclamazione, non l'avrebbero convinta ad andare in qualche locale insipido a bere bicchieri su bicchieri di alcolici, sorridendo a persone per le quali non nutriva il minimo interesse. Avrebbe indossato la sua divisa azzurra, il suo camice e sarebbe andata a fare quello che sapeva fare meglio: prendersi cura degli altri.
Aveva il suo piccolo paziente, ad aspettarla. Otto anni, un'appendicite andata in peritonite ed una grossa ferita chirurgica sull'addome. Quella mattina, alle sei, aveva trovato la madre addormentata, la testa poggiata sulle braccia conserte ai piedi del letto ed il piccolo che la osservava.
Le aveva sorriso vedendola entrare ed aveva automaticamente portato le mani all'orlo del pigiama con le automobiline per scoprire la pancia.
La chiamava “La mia dottoressa”, con l'articolo davanti, sempre.
Aveva il signore con il cancro, che ogni volta che lei entrava aveva un motivo per lamentarsi delle infermiere: oggi il pappagallo non svuotato, domani il tubicino della flebo che tirava troppo, il giorno dopo ancora il cibo freddo. Che poi, nemmeno lo mangiava, quel cibo, ma doveva trovare un motivo per attaccare bottone con lei. La “Signorina” che gli raccontava come gli avevano tolto lo stomaco mentre lui, fingendo di non ascoltarla, continuava con le lamentele.
Aveva la nonnina con l'occlusione intestinale, che la accoglieva con un sorriso quasi sdentato e le riportava le avventure di quel suo nipote trasferitosi negli Stati Uniti.

Dovrebbe trovare una bella moglie, quello lì, bella come lei, cara la mia Dottoressa. Quando viene a trovarmi glielo faccio conoscere, mio nipote.”

Rideva quando le dicevano queste cose. Non avrebbe avuto un marito, lei.
Non la ragazza che rinuncia al sonno per scrivere pagine e pagine di parole che non avrebbe mai riletto, non quella che rientra a tarda notte in un appartamento troppo silenzioso anche per un eremita. Non la Dottoressa che sorride solo quando ha in mano bisturi e pinze.
Lei non era fatta per essere una moglie. L'aveva creduto, per breve tempo, ma non lo sarebbe diventata mai. Non dopo di lui.
Lui che le aveva insegnato tutto: come palpare un addome, come tenere tra le dita i ferri, come restare sveglia di notte senza sentire il sonno, come ci si sentiva ad essere una donna, amata e voluta. Lui che se n'era andato senza avvisare, senza nemmeno darle il tempo di dirgli addio e che l'aveva lasciata in quel piccolo appartamento silenzioso, con la sola compagnia dei libri e della Medicina.
Si volta un'ultima volta verso la finestra.

Il padre con la bambina era scomparso, il sole ormai era vicinissimo al tramonto.

Domani sarai un medico.

Lo ricorda a se stessa, per non dimenticare che sta per ottenere tutto quello che le è rimasto da desiderare.




E poi acqua.
Sul lungomare, sulla strada, alla finestra.
Solo acqua.
 

Per chi lo desiderasse, mi trovate su FB, sulla mia pagina autore, QUI.
Troverete notizie sulle mie storie, deliri vari e spoiler o anticipazioni. Anche qualche ragazzone seminudo, se siete fortunati. xD
Non accetto più richieste sul mio profilo personale, se non accompagnate da un messaggio in cui mi spiegate chi siete su EFP. Non lo faccio per "stronzite", ma alcuni recenti avvenimenti mi hanno portata a riflettere su alcune questioni e ne è nata una certa diffidenza. Scusatemi.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: arwen_eli