Il mio Giappone
Ciao,
mi chiamo Kioto e ho 14 anni.
Vivo
in Giappone, precisamente a Fukushima, una città vicino al mare.
Io
adoro il mare.
Mi
ha sempre trasmesso pace e tranquillità nelle lunghe giornate invernali.
Mi
ha dato frescura e refrigerio nei pomeriggi caldi d’estate.
Mi
ha regalato momenti magici nelle sere primaverili.
Mi
ha accolta nelle sue braccia nei mattini tiepidi d’autunno.
Da
quando sono nata, il mare ha fatto parte di me.
Mio
nonno ha fatto il marinaio per più di 40 anni ed ha sempre tante storie da
raccontare sul mare.
Dice
d’aver visto mondi incantati, posti esotici, animali incredibili e più d’una
volta ha detto d’aver ascoltato il canto delle sirene.
Mamma
e papà mi hanno sempre detto che non devo credere davvero a tutto quello che
racconta, ma a me piace pensare a lui, forte ed avventuroso, che solca le acque
infestate di draghi marini, per
raggiungere mete paradisiache!
Papà,
invece, ha preferito trovare lavoro vicino a casa, per stare con me, il mio
fratellino Nakito e la mamma.
Lui
lavora alla centrale nucleare. È un addetto alla sicurezza.
Non
è un lavoro avventuroso, ma lui lo svolge con attenzione e scrupolo.
Lo
fa per noi. Dice che siamo troppo importanti per lui e che meritiamo di vivere
in un mondo sicuro.
Mamma
fa la maestra elementare. Adora il suo
lavoro, anche se certe volte le mette malinconia.
Questo
perché si affeziona ai “suoi” bambini e quando crescono e devono andare alla
suola avanzata, lei soffre sempre un po’.
Mio
fratello, bhè…è solo mio fratello!
Ha
7 anni e come tutti i bambini di 7 anni è un po’ rompiscatole!
Da
grande vuole fare il marinaio come il nonno, ma credo che lo dica solo perché
così il nonno gli allunga qualche ien per comprare la frutta candita!
Io
non so cosa farò da grande.
Fino
a pochi giorni fa volevo fare la stilista. Ho sempre adorato il mondo della
moda, le sue luci, i colori, la sensazione della seta sulla pelle, il profumo
del cotone grezzo, il rumore delle forbici che tagliano la stoffa. È come una
magia! È come dipingere un quadro usando la stoffa al posto dei colori ed ago e
filo al posto dei pennelli!
Ma
ora ho cambiato idea. Credo che farò la giornalista.
Perché
il mondo deve sapere. Il mondo deve aprire gli occhi.
Nessuno
deve dimenticare ciò che a accaduto qui, oggi, nella mia città, alla mia
famiglia, ai miei vicini di casa, ai miei amici ed a tutti coloro che, come me,
hanno avuto la sfortuna di trovarsi qui, in questo giorno infausto.
Perché
oggi la terra ha tremato così a lungo che ho creduto mi potesse inghiottire
nelle sue fauci. Come uno di quei draghi che tanto la tradizione nipponica ama.
Perché
oggi il mare, lo stesso mare che io ho sempre amato, ha sommerso la mia casa e
tutti i miei sogni.
Perché
oggi papà è stato chiamato ad affrontare un’emergenza alla centrale nucleare.
Non so se, quando tornerà a casa, sarà lo stesso uomo di quando è partito
stamattina. A dire il vero non so nemmeno se tornerà più a casa.
Perché
oggi, mentre il mondo mi crollava letteralmente addosso, ho ripensato in un
momento alle volte che ho litigato con mio fratello, alle volte che ho
desiderato essere figlia unica, alle volte che, ingiustamente, ho cercato di
dargli la colpa per i guai combinati da me.
Quando
l’hanno ritrovato sotto le macerie il mio cuore, per un momento, s’è rifiutato
di funzionare ed ha ripreso a battere solo quando i soccorritori hanno detto
che ce l’avrebbe fatta.
Perché
oggi il fango ha sommerso la mia anima, portandomi via l’affetto della mamma.
Lei ha cercato di mettere in salvo me e Nakito, ma per farlo lei è rimasta in
balia della rabbia del mondo.
Se
ne è andata senza un gemito, senza una lacrima, senza un addio.
Impotente,
l’ho vista affondare nella melma. Ho allungato una mano per afferrarla, ma dove
un attimo prima c’era lei, subito dopo c’era solo desolazione, vuoto, angoscia,
paura.
Il
nonno non era con noi, stamattina, per cui non so che fine abbia fatto. Spero
solo che il mare, almeno con lui, sia stato più benevolo. Anche se, a dire il vero,
oggi non ho visto pietà nelle sue onde scure ed arrabbiate.
Sono
in ospedale, seduta su una sedia sporca, e tengo la mano di mio fratello. Gli
hanno dato dei sonniferi, perché non riesce più a dormire senza fare incubi.
D’altronde chi di noi ci riesce?
Se
chiudo gli occhi rivedo la scena al rallentatore ed ogni volta i dettagli sono
sempre più definiti, la terra che si
spacca, sempre più reali, il boato
del mare che ci sovrastava, sempre più vividi, il buio e quel silenzio innaturale. Poi mi sveglio e dico < era
solo un sogno >.
Un
sogno o un incubo?
Un
sogno, perché da lì posso fuggire, da lì posso sempre svegliarmi e sperare in
qualcosa di meglio, mentre la realtà è molto peggio. La realtà è qui, sotto i
miei occhi, che implora d’essere ascoltata, d’essere gridata al mondo.
Il
cotone delle lenzuola dell’ospedale è ruvido, sembra carta vetrata, ed odora di
fango e di disinfettante. Avvolge il corpo di mio fratello come un sudario,
tanto che a volte sembra morto.
Ho
deciso: non voglio più fare la stilista.
Io
da grande farò la giornalista e racconterò a tutti la mia storia.
Sono
Kioto, ho 14 anni e la mia vita è finita oggi, 11 marzo 2011.
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* * * * * *
Con questo racconto ho
partecipato ad un’iniziativa che trovo davvero utile ed importante.
Si chiama: “autori per
il Giappone” (potete trovare tutti i riferimenti sul sito www.autoriperilgiappone.eu
). Si propone di raccogliere aiuti economici a favore di Save the Children per
il Giappone, per aiutare questo popolo discreto che affronta il dolore e la
tragedia, di cui è stato vittima, con estrema dignità e coraggio.
Mi
auguro che ciò che è accaduto non si ripeta più.
Un
augurio ed una preghiera nel vento per tutti quelli che non ce l’hanno fatta e
per coloro che sono rimasti a raccogliere frammenti di vita tra le macerie.
Un
abbraccio grande
Francy70