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Autore: Maggie_Lullaby    23/03/2011    3 recensioni
«Il cantante Joseph Jonas è scomparso da quattro giorni. Le autorità sono alla ricerca del ragazzo, che pare essere scappato dopo l'incidente che l'ha coinvolto giorni fa. La famiglia si sta mobilitando in ogni modo per riportarlo a casa e gli chiedono, nel caso stia ascoltando questo messaggio, di tornare dal loro il prima possibile. L'incidente, causa della sua scomparsa, è avvenuto diciassette giorni fa, conseguito con il decesso di...».
[...] Si spettinò i capelli con una mano mentre entrava nel bar dalle luci soffuse, tenendo il capo chino. Gesto inutile, nessuno in un bar lungo un'anonima superstrada del Nevada l'avrebbe mai riconosciuto come Joe Jonas, il ragazzo scomparso.
Correzione: scappato.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.


Paura di decidere, paura di me.

Di tutto quello che non so, di tutto quello che non ho,

eppure sentire nei sogni in fondo a un pianto,

nei giorni di silenzio c'è un senso di te.

{Eppure sentire; Elisa}


«Così non possiamo andare avanti», chiarì Matilde, seccata, parcheggiando l'Impala a un angolo dell'autostrada e fissando Joe dritto negli occhi. «Si può sapere che hai?».

Erano in viaggio da tre giorni, tre giorni duranti i quali avevano sostato per dormire solamente negli spazi dell'S.O.S. e fermati per brevi soste negli autogrill sparsi dovunque. Nell'ultimo in cui erano entrati per mangiare un panino Joe aveva notato la sua faccia schiaffata in prima pagina di un giornale vicino a Matilde, accompagnata dalla scritta “Ragazzo Scomparso”. Prima che la ragazza potesse anche dare il primo morso al suo panino l'aveva afferrata e trascinata nel parcheggio, pregandola di rimettersi subito in marcia.

Aveva creduto che Matilde accettasse questa sua richiesta senza fare domande, così come aveva fatto sino a quel momento. Si era sbagliato.

«Mi devi delle spiegazioni, Joe. Ho aspettato che tu mi spiegassi senza che te lo chiedessi ma evidentemente non ne hai intenzione. Non voglio sapere vita, morte e miracoli di te, solo sapere se hai combinato qualche casino con la legge. Perdonami, ma non ci tengo a finire davanti a un giudice per te», fece, concitata, muovendo le mani con fare agitato.

Joe ridacchiò, isterico, senza allegria.

Matilde lo fulminò con un'occhiataccia.

«Allora è così, hai combinato qualcosa», disse, tremante, piena di paura. «Cosa sei, un maniaco? Un assassino? Che cos'hai fatto?!».

Assassino, ecco la definizione più adatta, pensò il ventunenne, il capo chino e i pugni stretti in una morsa mortale, le nocche bianche.

Urla... Grida... Il sapore del sangue in bocca... Un dolore acuto al petto, un dolore troppo forte... Altre grida... Perché non veniva nessuno?... Cos'era quella cosa che aveva sulle mani?, sangue?

«JOSEPH!», lo richiamò Matilde, con una note isterica. «Cos'hai combinato?!».

«Niente», mentì lui, chiudendosi a riccio.

«Joe...», non gli credette la venticinquenne, irritata.

«La legge non ce l'ha con me, ti basti questo. Se fossi stato un assassino, o un pervertito, puoi essere certa che avrei approfittato delle lunghe ore in cui hai dormito all'angolo della strada. Ah, e per inciso, russi. Fidati di me, non ho fatto niente per cui la polizia debba avercela con me», grugnì il ragazzo, sincero, fissandola negli occhi.

Matilde rabbrividì a quell'espressione. Quelli erano gli occhi di un uomo perduto, chiuso nel suo passato senza riuscire ad uscirne. Quasi riuscì a vederci riflesso ciò che era accaduto. Quasi.

Lei annuì e si passò una mano tra i capelli, scoppiando in una risata cristallina.

«Sono un po' paranoica, vero?», chiese, scuotendo il capo.

«Un pochino», ammise il ragazzo, rilassandosi, contento che l'argomento “Joe-pazzo-maniaco” fosse chiuso.

«Beh, scusami, ma in Italia rapimenti, maniaci e stupri sono all'ordine del giorno», riferì Matilde mentre premeva di nuovo il piede sull'acceleratore e Don't Try Suicide dei Queen ripartiva al massimo volume.

Joe colse la palla al balzo facendole altre domande sulla sua terra, sulla sua vita, sul suo fidanzato, Michele, sui suoi genitori, sul suo lavoro in una ditta di marketing...

Matilde rispondeva a tutto con allegria, a volte voltando la testa per guardarlo. Gli fece anche lei delle domande, sulla scuola, le compagnie.

«Hai fratelli?», gli domandò a un certo punto, curiosa.

Joe si irrigidì, mentre la pelle gli si accapponava.

«Sì. Due», disse, piano, col tono di uno che vuole chiudere quell'argomento il prima possibile. Matilde lo capì e si mise ad elencare le date del viaggio. Ormai si era abituato a quella nuova realtà, due fratelli, non più tre. Il terzo l'aveva perso, per colpa sua.

Dopo il Minnesota voleva andare nel South Carolina, nel Rode Island, e ancora il New Jersey, il Texas, il Michigan, e anche la California.

«Potresti farmi da guida a Los Angeles, che dici?», propose, ridacchiando, scherzando ma non troppo.

Joe annuì appena, rigido, certo che lui sarebbe sceso da quella Chevreolet molto prima della California.

Non avevano ancora parlato dei suoi progetti, a Matilde tutto sommato piaceva avere qualcuno con cui parlare, senza di lui quel viaggio sarebbe diventato forse troppo noioso e non aveva intenzione di chiedergli quando avrebbe dovuto salutarlo. Glie l'avrebbe detto Joe, come sempre.

«No, ti prego, lascia», lo supplicò Matilde quando vide che il ventunenne stava per cambiare canzone. Era Free as a bird, dei Beatles. «È la mia canzone preferita».

Libero come un uccello. A Joe sarebbe piaciuto. Completamente libero, senza dover preoccuparsi del suo passato.

Chiuse gli occhi, cullato da quella canzone, e non pensò più.

**

«Joe?», disse Matilde, scuotendolo piano con le sue piccole mani dalle dita affusolate, lunghe e bellissime.

Il ragazzo si riscosse, guardandosi intorno: erano in un parcheggio, davanti a loro c'era un motel con la scritta luminosa rossa accesa.

«Dove siamo?», sbadigliò lui, mettendosi la mano davanti alla bocca e poi tra i capelli già di per sé spettinati.

Matilde fece un gran sorriso.

«Benvenuto in Minnesota», sorrise lei, raggiante. «Abbiamo varcato il confine da pochi minuti, ma sono distrutta, ho dormito poco e male questa mattina. Prendiamo una stanza qui e rimettiamoci in marcia domani, ci meritiamo entrambi una dormita come si deve».

Joe annuì e uscì dall'auto, appoggiandosi sul cofano con una mano e afferrando il suo ziano. Il parcheggio era semi vuoto.

Entrarono nel motel l'uno accanto all'altra, quasi sfiorandosi, mentre Joe montava un falso sorriso stanco sul viso.

«Aspettami pure lì», gli disse Matilde, indicandogli le scale e sorridendogli rassicurante. «Faccio io».

Joe annuì, riconoscente, raggiungendo il posto indicatogli e appoggiandosi alla parete, braccia incrociate al petto ed espressione spenta. Gli faceva quasi male riuscire a sorridere. Gli avevano detto che col tempo il dolore sarebbe passato, quasi fino a sparire del tutto, ma invece a lui pareva che si acuisse giorno dopo giorno. Diventava sempre più forte, sempre più insopportabile.

Matilde tornò poco dopo, sventolando un mazzo di chiavi insieme alla sua borsa.

«Ho preso una stanza sola, scusami, altrimenti costava troppo, ma sono comunque due letti», spiegò velocemente. «Va bene? Altrimenti...».

«Va benissimo così», la interruppe Joe, rilassandola. «Che piano?».

«Primo», rispose la venticinquenne. «La colazione possiamo farla qui, ho fatto il pacchetto completo».

Joe voleva sorridere vedendola in quello stato, sembrava una bambina sovreccitata, ma non ci riuscì. Faceva troppo male.

Salirono ed entrarono in camera. Era spaziosa, stranamente ben arredata, con due grossi letti ai lati opposti.

Matilde entrò nel bagno e ne uscì poco dopo, già cambiata per la nottata con una camicia da notte sobria e svolazzante. Le fasciava i fianchi esili, sottili e le spalle fragili. Per un attimo soltanto Joe la trovò bellissima. Bella come una rosa.

Lui si era già cambiato, infilandosi un paio di pantaloni della tuta e una vecchia t-shirt che si era portato per dormire.

Matilde si infilò sotto le coperte in pochi minuti, spegnendo le luci eccetto quella sul comodino di lui.

«Buonanotte, Joe», sospirò, felice.

Il ventunenne le si avvicinò per guardarla e le sue labbra si incresparono appena in su, in una specie di sorriso, anche se non lo era: già dormiva.

La imitò, seppellendosi sotto strati e strati di coperte, mettendo una mano sotto il cuscino. Non voleva addormentarsi, di solito sognava, e faceva degli incubi. Riviveva tutto, ogni cosa, ogni istante. Ma non riuscì a combattere contro le sue palpebre che, inevitabilmente, si stavano chiudendo trascinandolo tra le braccia di Morfeo.

**

«Tempo dannato», si lamentò Kevin, guardando fuori dal finestrino dell'auto la pioggia che cadeva scrosciante. Teneva una mano stretta a quella di Danielle, seduta dietro di lui.

«Non ci badare», lo rassicurò Joe. «Saremo in hotel in meno di venti minuti. Perché diavolo abbiamo scelto proprio Seattle per questo concerto? Non potevamo restare a Los Angeles?», si voltò per guardarlo.

«Per favore, Joe, guarda la strada. Non mi piace che tu guidi con questo tempo. Vuoi che ci scambiamo?», propose Kevin, preoccupato, conscio che la guida di suo fratello ventunenne non era mai stata delle migliori.

«Non ti fidi di me?», fece il labbruccio Joe, obbedendogli. «E dai, siamo quasi arrivati...».

Il ventitreenne annuì, sconfitto, scambiandosi un'occhiata con Danille.

La ragazza rise solare, scostandosi i capelli lunghi dagli occhi.

«Stai tranquillo, amore, Joe non ha preso multe nelle ultime tre settimane, dagli una chance», disse al marito, stringendo più forte la mano a Kevin.

«Ecco, Kev, dammi una chance!», esclamò il ventunenne, guardando Danielle con il finestrino retrovisore. Era così bella...

«JOSEPH!», strillò Kevin, voltando la testa verso la strada e vedendo un cane lì in mezzo. Istintivamente Joe sterzò, premendo il freno. Sentì l'auto scivolare sull'asfalto bagnato, le grida spaventate di Danielle.

La macchina si rovesciò su sé stessa, scivolando sull'acqua.

Joe gemette sentendo il rumore di acciaio che si piegava fino a rompersi. Kevin urlava. Danielle strillava.

La loro corsa si fermò contro a una parete rocciosa che Joe non sapeva nemmeno da dove fosse comparsa.

All'improvviso un dolore fortissimo al petto, più grande di qualsiasi cosa avesse mai provato in vita sua.

Poi il buio.

Sentiva a sprazzi una voce femminile che lo chiamava. Danielle? Lo stava chiamando Danielle? Era così bella, lei, così dolce, così generosa e solare...

«JOE!», gridò Matilde, spaventata.

Il ventunenne spalancò gli occhi, ansimando, sudato fradicio.


Continua...

Eccomi di nuovo. :3

I capitoli sono piuttosto sbrigativi essendo una mini-long.

Alla prossima settimana. <3

  
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