Okay, è
passato tantissimo tempo dall'ultimo aggiornamento, ma ho scritto
appena ho potuto, davvero D:
Spero che mi perdonerete e che il capitolo vi piaccia ;)
Ringrazio __PleaseStay
che ha lasciato una recensione allo scorso capitolo. Grazie davvero :D
E prego le altre lettrici di questa FF di tornare e di lasciare qualche
commento, perchè siete voi a stimolarmi di più!
*-* (Quindi più recensioni = meno tempo a scrivere ed
aggiornare! xDD)
Grazie comunque anche a chi ha letto soltanto ;)
Buona lettura!
:D
Capitolo
14
Sospirai
ancora una volta e mi
tirai qualche pugnetto sulla fronte, parlando a bassa voce tra me e me:
«Che
cosa devo fare, che cosa devo fare, che cosa devo fare?»
Non
ne avevo proprio la più
pallida idea, la mia testa era un pallone pieno di inutile, leggera
aria e sulle mie
spalle gravavano responsabilità e scelte troppo pesanti, che
forse non ero in grado di
sostenere.
Chi ero io per poter decidere ed influire così tanto sulle
vite di
quelle persone che per sfortuna o cos’altro, erano finite in
quella dimensione
parallela? Era davvero mio compito aiutarle tutte? Forse avrei avuto
davvero
meno rompicapi se avessi riportato a casa solo le persone che mi
interessavano,
ma la mia coscienza non avrebbe retto al pensiero di aver lasciato
indietro
tutte le altre, non sarei mai stata capace di fregarmene
così.
O forse dovevo fare come aveva
fatto Fiore, decidere da che parte stare definitivamente, senza
possibilità di
ritorno e senza aiutare nessuno? Un’altra scelta…
la mia famiglia e la mia vita
o Nick e l’amore che provavo per lui.
Tornai
a picchiettarmi le nocche
sulla fronte, con gli occhi lucidi dalla stanchezza e dalla morsa
d’acciaio che
mi attanagliava il cuore.
Alle
mie spalle qualcuno aprì la
porta e un fascio di luce proveniente dal corridoio
attraversò la stanza, fino
ad arrivare a me. Vidi mia madre in controluce, che mi sorrideva
dolcemente.
«Che ci fai ancora sveglia?», mi
chiese piano, socchiudendo la porta ed avvicinandosi a me. Si mise
seduta al
mio fianco sul davanzale della finestra e mi osservò, mentre
io avevo lo
sguardo rivolto verso la luna che brillava per metà nel
cielo scuro.
«Non
riesco a dormire», risposi,
sospirando stancamente. «Ho mille pensieri che mi vorticano
in testa.»
Lei
sorrise comprensiva. «Si
tratta di quel famoso ragazzo?»
Pensai
a Nick, l’altro rompicapo.
Persino lui mi dava da pensare, facendo sempre di tutto per dirmi
quella cosa e
non riuscendoci mai, puntualmente.
Mi chiedevo in continuazione che
cosa avesse di così importante da dirmi, per la quale stava
male quando non
riusciva nel suo intento. A dirla tutta iniziavo anche a preoccuparmi,
ma non
tanto come mi preoccupava il fatto che Alessandro volesse fare da cavia
per
l’esperimento che avrebbe dato fondamento – o quasi
– alla mia teoria.
«Tesoro…»,
richiamò la mia
attenzione e mi accarezzò docilmente i capelli con una mano.
«Scusa»,
dissi subito, incrociato
il suo sguardo.
«Non
hai nulla di cui scusarti,
capita quando si è innamorati», mi sorrise.
«L’importante è fare chiarezza
dentro di sé e capire ciò che si vuole davvero,
qual è la cosa giusta da fare.»
«Fosse
facile, capire qual è la
cosa giusta da fare…», sospirai.
«C’è
chi è convinto che la
razionalità sia tutto, che con essa si giunga sempre alla
soluzione giusta, ma
io penso che ascoltare il cuore, agire d’istinto, sia sempre
la cosa migliore.
Fai quello che ti senti, senza pensarci troppo. Io ho sempre fatto
così.»
«E
se poi non è la cosa giusta?»,
domandai, mordicchiandomi il labbro.
Mamma
scrollò le spalle e mi
attirò in un abbraccio. «Avevi le stesse
probabilità di fallire utilizzando la
ragione.»
***
Mi
presi un po’ di tempo per
riflettere, esattamente quattro giorni.
Non andai a trovare Nick e gli altri
per ben quattro giorni, mi concentrai sulla mia vita, in particolar
modo sulla
scuola - per quanto potesse ancora servire, visto che c’erano
molte probabilità
che perdessi l’anno - ed aspettai che il mio cuore e il mio
istinto facessero
la decisione al posto mio, comunicandomela in seguito. O almeno,
così avevo
sperato che avvenisse, ma il quarto giorno di silenzio mi dissi che
avevo
sicuramente sbagliato qualcosa, oppure non era così
automatico come mi aveva
detto mamma, così… istintivo, prendere una
decisione.
Ale
era stata testimone oculare
di tutto quello che avevo fatto in quei giorni e alla fine, proprio
come me,
decise di darci un taglio, dicendomi: «Allora, hai deciso
cosa fare sì o no?»
Sarà
stato il suo tono di voce,
la sua espressione un po’ spazientita e un po’ in
ansia, la mia pazienza che
era giunta al limite, ma fu allora che sentii la voce del mio istinto
rispondere per me: «Sì, tenterò
l’esperimento con Alessandro.»
La
mia migliore amica quasi non
si strozzò col suo succo di frutta, sorpresa quanto me. Poi,
dopo essersi
ripresa, disse: «Cosa stiamo aspettando, andiamo!»
«No»,
risposi grevemente. «Io
vado, tu no.»
«Che
cosa?», balbettò, incredula.
«Stai scherzando, vero?»
«No,
Ale. Io… preferisco fare
questa cosa da sola, andare là da sola, fare quello che devo
fare, provarci e…
Mi dispiace.»
Ale
tentennò, indecisa se urlarmi
contro oppure incoraggiarmi. Quella situazione era così
strana, nessuno sapeva
cosa fare, eravamo tutti guidati dall’istinto. Il suo, le
disse di sedersi al
mio fianco e di abbracciarmi forte, dandomi leggere pacche sulla
schiena e
dicendomi: «Vedrai, andrà tutto bene, ce la puoi
fare.»
Così
partii, mi trasferii
nell’altra dimensione, col cuore ancora in tumulto per quella
decisione
affidata alla sorte, con l’intenzione di avvisare Alessandro
della mia
decisione e di recuperare tutto il materiale necessario per farlo
conoscere
almeno in parte a mio fratello, nell’altro mondo.
Appena arrivata, però, sentii
nell’aria che qualcosa era successo. Con passo nervoso entrai
nell’enorme villa
dei Jonas Brothers e vidi tutto capovolto, come se fosse entrato in
casa un
gruppo di elefanti africani. Non provai nemmeno a cercare i tre
fratelli quella
volta, ero certa che non ci fossero, anche se quando sentii delle voci
provenire dal piano sotterraneo – il laboratorio –
una folle speranza nacque
dentro me, tanto da farmi rimanere lì nel bel mezzo del
salotto messo a
soqquadro come una statua di marmo.
Due
uomini che non avevo mai visto,
barbuti e piuttosto muscolosi, finirono la rampa di scale e mi videro.
Subito
mi corsero incontro, urlandosi a vicenda che non dovevo scappargli, ed
io
fuggii via come una scheggia, senza pensarci due volte, con la paura
che mi
faceva scoppiare il cuore nel petto e mi spingeva a correre come avevo
fatto
poche volte nella mia vita.
Mi
inoltrai nel bosco che
nascondeva la villa dei Jonas, sperando di seminarli, ma caddi
più e più volte
inciampando sulle radici degli alberi. L’ultima volta mi feci
parecchio male ad
un ginocchio e intanto i due uomini si avvicinavano sempre di
più. Ero
spacciata: la ragione mi diceva che dovevo alzarmi e correre ancora, il
cuore
scosso dalla paura non era altrettanto incoraggiante e mi faceva
pensare che
ormai ero nelle loro mani; l’istinto, invece, mi urlava a
gran voce che io
avevo un vantaggio che loro non potevano avere: il mio dono. Fu allora
che
scoprii che potevo viaggiare non solo da una dimensione
all’altra, ma anche
teletrasportarmi da un luogo all’altro nello stesso mondo.
I
due uomini, ad un passo da me e
pronti ad afferrarmi, mi videro scomparire di fronte ai loro occhi.
Col
respiro mozzato e il cuore
che mi rimbombava nelle orecchie li sentii litigare furiosamente, al
sicuro
dietro lo spesso tronco di albero poco distante. A parte la serie di
insulti che si rivolsero, capii che avrebbero dovuto catturarmi per
portarmi da
una certa vecchia, che aveva promesso a chiunque mi avesse trovata il
viaggio
di ritorno nell’altra dimensione.
Realizzai immediatamente chi fosse la vecchia
in questione e strinsi i pugni sulle ginocchia, pensando che quella
bugiarda
stava ingannando tutti: lei non aveva il potere di viaggiare fra le
dimensioni,
voleva solo impossessarsene e per farlo non le dispiaceva affatto
imbrogliare e
sfruttare quella povera gente che avrebbe fatto di tutto per tornare a
casa.
Tutte
quelle cose, avrei voluto
dirle ai miei due inseguitori, ma preferii non rischiare e con la mia
nuovissima conoscenza chiusi gli occhi e mi concentrai per
teletrasportarmi a
casa di Fiore: lei avrebbe saputo spiegarmi sicuramente di
più su tutto quello
che era potuto essere successo durante la mia assenza.
Sentii
un grande vuoto allo
stomaco quando riaprii gli occhi, nel salotto di casa sua, e vidi tutto
sotto
sopra proprio come nella villa dei Jonas. Affinai l’udito per
scoprire se ci
fosse qualcuno, ma quella volta sembrava proprio non esserci nessuno.
Che fosse successo qualcosa anche
a lei?
Mi
portai le mani nei capelli,
con gli occhi lucidi dalla disperazione, e mi raggomitolai su me
stessa, con le
spalle al muro.
Iniziai a piangere come una
bambina, sentendomi sola e sperduta, terrorizzata che potesse essere
accaduto
qualcosa ai miei amici e a Nick. Il mio cuore fece una capriola,
pensando a lui,
e dovetti tapparmi la bocca per soffocare un singhiozzo: nonostante non
ci
fosse nessuno, avevo una tremenda paura.
La
mia paura si rivelò fondata,
dopotutto, perché presto sentii dei rumori provenienti dalla
cucina. Provai ad
alzarmi e a scappare, ma il ginocchio a cui mi ero fatta male cedette,
facendomi ruzzolare di nuovo a terra.
«Arianna.
Arianna, ti sei fatta
male?», bisbigliò una voce che riconobbi subito,
con mio grande sollievo.
«Alessandro,
stai bene… dov’è
Fiore? Che cos’è successo? Perché la
casa dei Jonas è a soqquadro? Dove sono
loro?»
Il
ragazzo mi sorrise caldamente
e si chinò su di me per sollevarmi, con un braccio intorno
alla mia schiena ed
uno sotto le mie gambe piegate. «Una domanda alla volta,
okay?»
«Dove
stiamo andando?»
«Al
rifugio d’emergenza. È troppo
pericoloso restare qui, potrebbero tornare.»
«Chi?
Chi potrebbe tornare?»
«Tutti
quelli che si sono bevuti
il bel discorsetto di quella vecchiaccia maledetta»,
biascicò con rabbia ed
aprì una botola che non avevo mai notato sotto il tavolo
della cucina. «Mi
dispiace, ma devo lasciarti andare. Non aver paura, pensa che sia uno
di quei
tubi di plastica dei McDonald’s.»
Lo
guardai senza capire e quando
afferrai ciò che avrebbe fatto era troppo tardi: non riuscii
ad aggrapparmi a
nulla e caddi nel tunnel buio nel quale mi aveva lasciata cadere. Mi
trattenni
dal gridare, anche se ne avevo tutte le ragioni, e
l’atterraggio non fu da
meno, perché caddi col sedere sulla sabbia, facendomi un
male cane.
Fiore
mi venne subito incontro,
con quei suoi occhi vacui e un’espressione preoccupata in
volto. «Arianna»,
parlò a bassa voce - a malapena riuscivo a sentirla -
chinandosi su di me. «Che
ci fai tu qui?»
Non ebbi il tempo materiale per
rispondere, sia io che lei sentimmo qualcuno scendere dallo stesso tubo
e ci
spostammo in fretta e furia, per paura che ci venisse addosso.
Ale
atterrò coi piedi,
perfettamente coordinato e con un sorriso stampato sulle labbra. Lo
odiai: lui
lo aveva già fatto, sapeva a cosa andava incontro, se almeno
mi avesse
avvisata!
Fiore
si rivolse subito a lui,
con un tono quasi di rimprovero: «Che ci fa lei
qui?»
«L’ho
trovata nel nostro salotto,
che piangeva e con un ginocchio messo male; non potevo lasciarla
lì, con quella
banda di scemi in giro! Se l’avessero trovata
l’avrebbero sicuramente portata
dalla vecchiaccia!»
La
ragazza svampita lo guardò,
quella volta con gli occhi intrisi d’amore, e mi
accarezzò i capelli sulla
testa. «Ora va tutto bene, sei al sicuro qui.»
«Ah,
ho portato altre provviste»,
esordì Alessandro, togliendosi dalle spalle uno zaino che
doveva essere davvero
pesante. Si allontanò dal tubo e da noi ed io lo seguii con
lo sguardo, potendo
per la prima volta vedere in che posto fossi finita.
Era
una grotta, nulla di più e
nulla di meno, e se facevo attenzione potevo sentire il respiro del
mare al di
là della parete di fronte a me. In alto c’era una
piccola fessura che faceva
entrare la luce del sole e un po’ di aria profumata di
salsedine e sulle pareti
di roccia grezza erano state incavate delle piccole nicchie usate come
dispense
per i viveri oppure gli oggetti essenziali.
In mezzo alla caverna c’era una
piccola catasta di legnetti e rami che accesi facevano da
riscaldamento,
posizionati vicino ad essa c’erano due sacchi a pelo.
Riportai
il mio sguardo su
Alessandro e lo vidi avvicinarsi con una cassetta dei medicinali in
mano. Si
chinò di fronte a me e mi tirò su il tessuto dei
jeans fino al ginocchio,
scoprendo la sbucciatura che mi ero fatta cadendo a terra. Ne rimasi
sorpresa,
perché non me n’ero nemmeno accorta: in confronto
alla botta che aveva ricevuto
non era niente. Me la disinfettò con cura, poi mi avvolse
una garza intorno al
ginocchio e rimirò la sua opera con sguardo soddisfatto:
«Penso che possa andar
bene.»
«È
perfetto, grazie», sorrisi
ringraziandolo. «Ora potete rispondere alle mie
domande?»
Fiore
guardò il compagno e lui
alzò le spalle, ridacchiando.
***
La
vecchia strega che aveva
tentato di imprigionarmi per rubarmi i poteri e che poi aveva anche
cercato di
separarmi da Nick, era tornata alla carica con un nuovo piano:
sbandierare a
tutti la mia relazione con Nick, grazie a delle foto che da quello che
si era
venuto a sapere erano state scattate dalle tre cheerleader, ormai sotto
il suo
controllo; con quelle aveva fatto un bel discorso in piazza, di fronte
a tutto
il popolo, dicendo che l’unica cosa che mi interessava era
portare a casa i
Jonas e che loro non erano affatto i paladini di quella
città, ma i primi che
tramavano alle loro spalle per fuggire dalla seconda dimensione.
Così aveva
offerto come ricompensa per la mia cattura il viaggio di ritorno
nell’altra
dimensione, nonostante non avesse la possibilità di
offrirlo: ma non era un
problema, a lei bastava soltanto ricevere ciò che voleva,
ossia il mio potere.
I Jonas, invece, erano stati sequestrati e portati nella sua
casa-labirinto,
piena di insidie e di pericoli, ma non si sapeva nulla di
più sulle loro
condizioni.
Quando
Fiore aveva finito di
raccontarmi tutta la storia, mi ero rinchiusa in me stessa, nel mio
silenzio,
nel mio dolore.
Se non fossi stata via così tanto
tempo, se avessi deciso prima… tutto quello non sarebbe
successo.
Mi
sentivo infinitamente in colpa
e dopo mesi e mesi il mio odio verso il mio potere, quello che avevo
combattuto
a lungo prima di vederne il lato positivo, era tornato. Ma solo per un
attimo:
sapevo che grazie al mio dono avevo potuto conoscere Nick ed
innamorarmi di lui
e sapevo anche che proprio grazie ad esso ora potevo anche salvarlo.
Sdraiata
accanto alla parete di
roccia nuda e fredda dalla quale riuscivo a sentire le onde
infrangersi, avevo
pensato molto e quando Fiore si avvicinò a me per porgermi
un bicchiere d’acqua,
mi voltai e lo accettai volentieri, tracannandolo tutto in un sorso
solo.
Poi, parlai: «Sono venuta da
questa parte perché ho preso la mia decisione. Forse ci ho
messo un po’, ma ho
deciso di tentare con l’esperimento, se Alessandro
è ancora d’accordo.»
Il
sorriso di Fiore lentamente
svanì, mentre impallidiva. Alessandro, invece, ebbe la
reazione opposta: era
contento che avessi preso quella decisione, non vedeva l’ora
di provare a
viaggiare tra dimensioni.
«Però
forse è meglio se
rimandiamo tutto a domani, adesso è tardi e tu sei stanca
morta…», obbiettò
però, osservando il mio viso sciupato.
«Non
c’è un minuto da perdere»,
risposi, decisa ad andare fino in fondo alla questione. «E io
sto bene, non ti
preoccupare. Adesso vieni qui, ho bisogno di farti qualche domanda, in
modo
tale che mio fratello possa…»
«A
questo proposito, ci ho già pensato»,
disse e tirò fuori dal suo zaino due o tre fogli che
più che scritti sembravano
scarabocchiati. «Ho già scritto la mia biografia,
mi sono portato avanti»,
sorrise smagliante.
Presi
quei fogli fra le mani e
sorrisi quasi commossa. «Il tempo di darli a mio fratello e
di farglieli
studiare e torno. Tieniti pronto», lo salutai e sparii sotto
i suoi occhi.
L’atterraggio
nel mio mondo fu
piuttosto barcollante. Forse ero davvero stanca come aveva detto
Alessandro, ma
non c’era tempo per riposare, dovevamo provare a dimostrare
che c’era un modo
semplice per far tornare buona parte della gente nella propria
dimensione e poi
correre a salvare Nick, Joe e Kevin.
Entrai
in casa e salutai mia
madre che stava preparando la cena, mettendocela tutta per apparire
normale.
Che io ci riuscii o meno, non lo avrei mai saputo, perché mi
lasciò andare
comunque.
Corsi su per le scale, facendo
parecchia fatica con il ginocchio che mi tirava e mi doleva, e mi
catapultai in
camera di mio fratello.
«Oh,
finalmente sei tornata!», mi
gridò sottovoce, per non farsi sentire. «Ma che
cosa… Ary, che cos’hai? Sembri
stravolta!»
Feci
in tempo a dargli la
biografia di Alessandro, poi, travolta da un mix di stanchezza e di
turbamento
per tutto ciò che era successo, scoppiai a piangere.
Davide
mi fece sdraiare sul
letto, accanto a lui, ed aspettò che mi calmassi, piuttosto
imbarazzato. Quando
smisi di piangere, esausta, lo notai mentre sforzava gli occhi per
leggere la
scrittura incomprensibile di Alessandro ed accennai un sorriso. Lui non
si
accorse del mio sguardo, allora io abbassai le palpebre, dicendomi che
avrei
dormito solo per qualche minuto, fino a quando Davide non avrebbe
finito di
“conoscere” Alessandro, e mi addormentai.
Quando
però mi svegliai era già
quasi l’alba. Mio fratello dormiva beatamente al mio fianco,
tutto scoperto,
con una gamba ed un braccio su di me e la bocca aperta in un leggero
russare.
Probabilmente
mi aveva fatto bene
dormire così tanto, però avevamo perso un sacco
di tempo utile a fare l’esperimento
e a portare in salvo Nick e gli altri. Per questo mi infuriai ed inveii
contro
di lui, spingendolo e buttandolo giù dal letto.
Davide cadde sul pavimento con un
tonfo sordo e si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno
spaventato. Mi
vide ancora sul letto, con gli occhi ridotti a due fessure, e
capì subito
quello che doveva essere successo.
«È
così che ringrazi tuo
fratello, che ha soltanto agito per il tuo bene? Eri stravolta,
Ary…», disse
con la voce ancora un po’ roca, mentre si passava le mani sul
viso per
svegliarsi.
«Grazie
mille per il pensiero.
Ora muoviamoci», lo esortai e non gli permisi di ricadere sul
letto, lo presi
per la maglietta del pigiama e lo trascinai al piano inferiore senza
fare il
minimo rumore: papà e mamma dormivano ancora e non dovevamo
svegliarli.
«Ma
davvero vuoi fare ora
l’esperimento? Mamma e papà si sveglieranno a
momenti e tu… dovresti farti una
doccia, sai?»
Lo
guardai malissimo, mentre
iniziavo a riempire uno zaino con il minimo indispensabile e alcune
cibarie. «Tu
forse non hai capito la gravità della situazione: Nick e gli
altri sono stati
rapiti da una vecchia megera che vuole assolutamente il mio potere e
per farlo
ha anche mentito ad un intero popolo, che ora mi dà la
caccia. Dobbiamo fare
l’esperimento il più presto possibile, far
sì che la gente creda a me offrendo
loro una reale possibilità di ritorno; solo così
riusciremo a liberarli!»
Davide
abbassò il capo ed annuì.
Andò a prendere la biografia di Alessandro ed io lo seguii
in camera sua. La
ripassò velocemente, mentre io mi davo una rapida lavata e
mi cambiavo, poi ci
preparammo per dare il via al nostro esperimento.
«Aspettami
a casa, io mi
teletrasporterò qui», dissi, di nuovo colpita dal
nervosismo. «Vedrai, Alessandro
ti starà simpatico.»
Davide
sorrise, capendo che stavo
cercando di tranquillizzare prima di tutto me stessa, e mi avvolse un
braccio
intorno alle spalle, sussurrandomi: «Andrà tutto
bene.»
Io
ricambiai e lo strinsi forte,
con le lacrime agli occhi. E se non fosse andato tutto bene?
Scacciai
dalla testa quei
pensieri, lo salutai e mi teletrasportai nella caverna che faceva da
rifugio a
Fiore ed Alessandro. Li trovai già svegli, stretti di fronte
ai carboni ardenti
del fuocherello. Vedendoli mi si strinse il cuore: sembrava che si
stessero
dicendo addio…
«Oh,
finalmente sei arrivata»,
esclamò Alessandro, non negandomi uno dei suoi sorrisi.
«Scusami,
mi sono addormentata»,
risposi in imbarazzo. «Tu sei pronto?»
«Eccome!»
Guardò Fiore, accanto a
lui, che non lo sembrava affatto, e le sorrise rassicurante, poi le
baciò la
fronte. «Tornerò amore, te lo prometto.»
La
ragazza non gli rispose, ma
gli strinse forte le braccia con le mani, implorandogli silenziosamente
di non
farlo. Alla fine però lo lasciò andare,
sconfitta, ed Alessandro mi venne
incontro con uno zaino simile al mio sulle spalle, mi prese la mano e
disse: «Andiamo.»
Tentennai,
non più così sicura di
volerlo fare, ma quando chiusi gli occhi nemmeno me ne accorsi di
essermi
teletrasportata nel mio mondo. Rimasi in silenzio e con gli occhi
chiusi per
diversi minuti e sentendo altrettanto silenzio iniziai a tremare e
calde
lacrime mi tracciarono il viso.
«Ary…»
Sobbalzai udendo la voce di mio
fratello e appena vidi la sua espressione dispiaciuta capii che
Alessandro non
era arrivato con me. Il cuore mi scoppiò nel petto e non
feci nulla per
trattenere i singhiozzi di puro dolore.
Non
ce l’avevo fatta, la mia
teoria non era stata confermata dall’esperimento, Alessandro
era finito chissà
dove… Fiore mi avrebbe odiata. Anche se io mi odiavo
già, perché oltre aver
perso l’opportunità di dimostrare a tutta quella
gente che c’era un modo più
semplice per tornare indietro e quindi salvare Nick, Joe e Kevin dalle
grinfie
di quella vecchia, avevo perso un amico.
Sentii
due mani afferrarmi per le
braccia e sbattermi contro quella che sembrava proprio roccia nuda.
Aprii gli
occhi per una frazione di secondo e vidi Fiore, che piangeva e mi
urlava in
faccia, poi all’ennesimo colpo alla schiena che ricevetti se
ne unì uno alla
testa, che mi fece perdere i sensi e sprofondare nel buio.