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Autore: Harlockssx    23/03/2011    0 recensioni
Avviso: non si tratta di una tipica storia su questo o quell'intrallazzo romantico tra i personaggi di Harry Potter.
La storia nasce dal mio infinito ribadire che Luna Lovegood è il perfetto amore della mia vita (storia che continuo a far pesare a chi mi conosce nonostante abbia da anni passato la fase degli amori immaginari). Sicchè un giorno mi sono detto: "Ecco, mettiamo giù una versione dei fatti, un racconto su come ci siamo conosciuti!".
Detto fatto, ecco la storia che segue, che mostro come una breve slice of life che prende piede nell'estate dopo la fine del settimo libro e che si svolge tutta in un sol giorno.
Avviso inoltre che è scritta dal mio punto di vista e in forma discorsiva, proprio come se si seguisse il filo logico dei miei pensieri, ergo la narrazione è inframezzata da mie fantasie o digressioni (sempre leggeri e che spero non ostacolino la lettura).
Tutta la storia nasce da una mia ipotetica relazione nei confronti di ciascheduno dei personaggi, ergo proprio perchè il "nuovo personaggio" inserito coincide col punto di vista narrativo, può sembrare un poco distante rispetto al familiare ambiente della saga...
Buona lettura, comunque, se volete provare!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Horace Lumacorno, Il trio protagonista, Luna Lovegood, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Lunatica

 
Luna “Lunatica” Lovegood, ma di certo voi non dovreste chiamarla in tale modo. Non che lo debba a tutti i costi fare io: non è un nomignolo per il quale straveda. Ma usato al momento giusto tende a chiarificare molte intricate situazioni.
Ad ogni modo, negli anni, il nome mi è parso cambiare di significato almeno quanto abbia fatto la persona che lo porta ai miei occhi; procediamo però per gradi.
La mattina da cui potrei far cominciare una qualsiasi storia al riguardo non potrebbe che essere la mattina del mio primo risveglio alla scuola di Hogwarts, cui mi ero recato per motivi di quasi lavoro. Quasi lavoro poiché in realtà stavo aiutando un mio conoscente che non poteva recarsi in loco per motivi di salute; il mio compito era solo di portare una misteriosa valigia a un certo Severus (certo ora tutti lo conoscono con l’appellativo da eroe, ma a pochi giorni dalla fine della seconda guerra ben pochi sapevano chi fosse e non ero certo tra questi).
Si pose tuttavia un secondo problema: il suddetto signor Severus non camminava più su questa terra quando arrivai io, ergo capire cosa fare della valigia apparentemente era compito del mio amico, che si risolse per il consegnarla alla nuova preside. E la cosa non mi metteva a mio agio di certo; creavo già quanti più possibili scenari diversi tra cui la mia immaginazione spaziava, alla ricerca della peggiore tra le ipotesi probabili, ma non riuscivo ancora a rispondermi.
A peggiorare la situazione, perché evidentemente il destino trovava ce ne fosse davvero bisogno, scoprimmo che la valigia era stata chiusa magicamente, ben sigillata contro tentativi da parte di terzi di scassinarla.
L’amabile donna di pietra, ai più nota come Minerva McGonagall, nuova preside di Hogwarts, decise dunque di approfondire lo studio sull’oggetto e, come temevo, sul suo latore, “suggerendomi” di restare ospite della scuola per qualche giorno, finché non fosse riuscita a scardinare le protezioni magiche.
Siccome la valigia l’avevo consegnata nottetempo (sì, capisco, le stranezze cominciano a essere tante, ma vi assicuro che al tempo non mi ero posto molti dubbi sull’onestà di quel…conoscente), la mia sistemazione fu trovata in fretta e furia, sistemato alla meno peggio nella zona riservata agli ospiti, con mia genuina sorpresa, in quanto di certo non mi aspettavo una simile zona in una scuola isolata come quella. Ma suppongo le visite fossero, invero, frequenti, almeno a giudicare dalla pulizia e l’ordine in cui versava il posto.
Tornando alla prima mattinata, il risveglio fu relativamente piacevole e dolce fino a che non uscii dalla mia stanza: l’uomo che aveva bussato alla mia porta, infatti, avvisandomi che la colazione sarebbe stata servita a tutti gli studenti ancora a scuola e al sottoscritto in sala da pranzo di lì a breve era, infatti, in possesso di uno di quei volti, nemmeno troppo rari, che ingenerano spesso antipatia a prima vista. Naturalmente, il volto non avrebbe potuto scalfire il mio ottimismo non fosse stato per quella sottile ansia da poco dissipatasi a riguardo della valigia e della ruvidezza stessa con cui quell’uomo mi trattò. Nulla di scortese, non fraintendete, ma fu distante e sbrigativo come svolgesse un compito ingrato, facendo nascere in me interrogativi sulla natura di un eventuale torto da parte mia nei suoi confronti che potesse spiegare quel comportamento. Argus Flinch era il nome dell’uomo; un nome che avrei imparato a breve a conoscere attraverso gli occhi degli studenti come quello di un guardiano magono e frustrato. Non molto lusinghieri nei suoi confronti, ma il sentimento era reciproco e tanto bastava ad autoalimentarsi.
Ad ogni modo, mi recai in sala scortato per un tratto da quel figuro, gradendo non poco il suo magnanimo gesto di rifiutarsi di portarmi in sala e limitarsi a darmi indicazioni per raggiungerla da me.
Quello che non avevo considerato è che, sebbene non mi dispiacesse, tutti gli occhi dei giovini studenti sarebbero stati puntati sul sottoscritto, ovvero l’elemento nuovo e dissonante. Avendo  tutti loro l’obbligo della divisa scolastica, di cui circolavano solo quattro varietà, una persona sconosciuta a tutti che per giunta vestiva un abbigliamento non solo diverso dal loro, ma anche distante dal modello di vestito tipico adottato dai maghi della società odierna, avrebbe sicuramente avuto molti sguardi puntati addosso.
Effettivamente, grazie a una mia scelta bizzarra, fu proprio così: come entrai in sala, infatti, rimasi a fissare a lungo tutti e quattro i grandi tavoli delle quattro case (sapevo qualcosa a riguardo delle quattro case di Hogwarts in effetti) studiandone i colori e la composizione. Oltre a pensare a quante, sopra la soglia di età dei sedici anni (al tempo non ne avevo certo ventitre come ora) potevano essere interessanti frequentazioni, mi misi a scrutare dove avanzavano più posti per poter trovare spazio per me, senza calcolare la possibilità di sedere con i professori al loro tavolo.
Sarei venuto a sapere solo dopo la motivazione, ma quelli che sembravano essere meno numerosi erano i verdi e argento, gli Slytherin, la casata del serpente: fu lì quindi che commisi l’errore di sedermi.
Quelli più fissati con la purezza e l’unità del proprio gruppo, l’ambizione e il disdegno per i diversi, parvero fare fronte compatto nello scrutarmi con fare diffidente e curioso. Non uno di loro, però, spezzava il ghiaccio prendendo la parola per primo nei miei confronti che, senza problemi, consumavo la colazione limitandomi a prender mentalmente nota della presenza femminile che consideravo interessante e quella che man in mano scartavo.
A metà del pasto, tuttavia, non solo loro ma anche le altre tre tavolate sembravano avermi classificato come inoffensivo e disinteressante, proseguendo con le consuetudini quotidiane, chiacchiere di circostanza e dialoghi tra amici.
Quello degli Slytherin mi sembrò però presto un ambiente esageratamente malsano; come se avessero preso gli stereotipi di tutte le saghe sui college e sulle scuole dove i personaggi sparlano con disprezzo degli altri e li avessero riuniti in un unico tavolo, il mio tavolo.
Continuavano a ignorarmi, il che mi metteva nella privilegiata posizione di poter ascoltare quanto volessi senza problemi dei loro discorsi inutili: il tema del giorno era la denigrazione delle frequentazioni di Harry Potter.
Chi non conosceva Harry Potter? Dalla sconfitta del mago oscuro più celebre dell’era moderna, che mi ostino a paragonare all’Hitler del mondo non magico, tutti ne avevano fatto un gran parlare…il ragazzo che ha sconfitto il signore oscuro, il bimbo sopravvissuto…un altro eroe prodigio, insomma. Bé al mondo ce n’erano tanti di giovani maghi straordinari in fondo.
Ad ogni modo, non potendo ovviamente criticare alla luce dell’impresa appena compiuta un personaggio di tale risma, gli invidiosi (sarà per questo che colorano di verde?) si scatenavano sui suoi “buffi” amici e, a un certo punto, mi accorsi che il nome che ricorreva più spesso era quello di una certa Lunatica Lovegood.
“Lunatica” pensai, mi ricordo proprio le parole esatte “Che razza di nome..è buffo…”.
I commenti, però, andarono tanto per le lunghe che quasi mi dispiacque per quella povera ragazza, tanto che a un certo punto mi intromisi, probabilmente una di quelle scelte compiute usando poco cervello, domandando a bruciapelo a uno dei ragazzi più vicini: -Chi sarebbe costei? Questa Miss Lovegood di cui parlate tutti?-.
Mi guardarono tutti quelli che riuscirono a udirmi; quelli che invece mancarono la mia frase si accodarono alla reazione dei più svelti e in breve l’intero tavolo ammutoliva scrutandomi. Non pensavo che nell’era moderna ci fossero ancora luoghi dove rivolgere una domanda informale creasse tanto scalpore, ma fui evidentemente smentito. Incontrovertibilmente smentito. Adoro i sinonimi inusuali.
-E’…quella tonta con la bacchetta infilata tra i capelli e una collana di tappi di burobirra al collo. Non puoi mancarla manco per sbaglio; se le rivolgerai la parola ti dirà qualcosa di stupido di certo!- esclamò, dapprima diffidente, quello a cui posi la domanda, riuscendo comunque a trasformare il finale della frase in un’offesa, ennesima offesa.
Siccome il mio cervello era stato mandato in pensione, mi accodai alla risata generale da bravo camaleonte sociale, mitigando l’aria di disprezzo che soffiava nei miei confronti.
Finii la colazione dopo l’applicazione di uno dei migliori sistemi di autodifesa dalle stronzate che io abbia mai usato: l’isolamento mentale; in quel modo, infatti, evitai di ascoltare qualsivoglia offesa, pettegolezzo, trivialità o discussione che sicuramente uscì da quelle bocche troppo avvezze all’essere viziate per poter essere impiegate in maniera utile.
Usai quindi il tempo completamente dedicato a me per riflettere sulla mia situazione in quella mensa e, per esteso, nella scuola, ragionando sulle diverse reazioni che avrei provocato camminando per Hogwarts, bighellonando tra le aule, sotto lo sguardo di tutti; a posteriori confermai che i maghi completi ostentavano curiosità per il mio aspetto e i miei modi, mentre coloro che avevano discendenze babbane, non molti (erano già tornati quasi tutti alle loro case, se già non si erano ritirati e nascosti prima a causa delle persecuzioni del signore oscuro), mi guardavano con noncuranza, essendo caratterizzato io comunque da elementi che erano abituati a osservare, trovandomi evidentemente familiare. Giusto un poco fuori posto come un rotolo di carta igienica sulla scrivania del pc.
Non c’erano più lezioni, giacché era finito l’anno scolastico, quindi l’intero edificio si era trasformato in una sorta di comunità dove i ragazzi erano impegnati solo pochissimo tempo al giorno, liberi poi di godersi la tranquillità da poco conquistata: passeggiando quindi per la scuola avevo dinanzi a me una situazione inusuale per il posto e per l’osservazione di quella comunità quasi omogeneamente magica (e qui vi spiego che osservare le comunità magiche era per me motivo di interesse).
Fu a tarda mattinata che compii una deviazione verso la biblioteca; ne avevo sentito comunque parlare e anche con ammirazione, ergo volevo metterla alla prova e cercare qualcosa di interessante, sebbene con mestizia venni a sapere che la sezione proibita -ce n’era una- era effettivamente proibita agli studenti e naturalmente ai visitatori equivoci.
Sbuffai, accontentandomi di leggere un libro sulla mia materia di lavoro, alchimia (lo ammetto, lo sbocco ideale per chi non ha innate doti magiche), trovando un voluminoso tomo dall’aspetto antico che ancora non conoscevo.
Impensabile: tutti i tavoli erano liberi e ben puliti; probabilmente a causa della mancanza di voglia, al fiorire dell’estate e a lezioni ferme, un piacevole deterrente contro i tentativi di studente che potevano intimorire la biblioteca.
A posteriori, però, mi accorsi della presenza di due persone a un tavolo non molto esposto: si trattava di una ragazza che trovai relativamente bellina e un ragazzo con la faccia da scimmia che faceva da contrasto con lei.
Mi fissai per un momento sui capelli rossi di lui, prima di accorgermi della stranezza del loro atteggiamento, completamente differente nei due; la ragazza era completamente risucchiata dalla sua lettura, ostentando un interesse genuino e spontaneo, dato lo scadente numero di volte in cui si permetteva distrazioni, perlopiù dettate dai movimenti di lui. Lui, infatti, si mostrava molto irrequieto, seduto suo malgrado, sfogliando a caso le pagine di un libro che non degnava nemmeno di sguardi troppo lunghi, sospirando ogni tanto.
Fu proprio dopo un ennesimo sussulto della ragazza, che avevo imparato ad associare a un piccolo calcetto che sferrava nei confronti di lui sotto il tavolo, che gli sguardi miei e del rosso si incrociarono, per non mollarsi a lungo.
-Ah, ma tu sei mica il serpe verde babbano?- mi domandò, privo di ogni convenevole e con fare pacifico ma non troppo sereno.
Le sue parole ebbero il potere di far scostare finalmente lo sguardo della ragazza dal libro al sottoscritto, per poi tornare all’amico; devo ammettere che aveva un bel viso e uno sguardo carino, ma c’era di meglio in giro, certamente.
-Ron, non fare lo scemo…- sospirò lei, scuotendo la testa e tornando al libro.
-Ma io non sono un…serpente verde…uno slytherin, mi pare- ecco quello che tentai di dire, ma mi dovetti fermare al primo “un”, poiché il cosiddetto Ron mi parlò sopra.
-Hermi, era seduto al tavolo con loro e l’ho visto che rideva con gli altri guardando verso di noi e verso i Ravenclaw…indovina perché?- gesticolò molto nel dirlo, tratto strano per un inglese, spingendomi a controbattere di nuovo, inascoltato ancora.
-Ma chi rideva? Io non ridevo!-
Ancora mi parlarono sopra, presi dal loro battibecco personale, cui l’impeto del giovane si spegneva contro un muro di stanchezza e seccatura della ragazza.
-Ron dai, sono sempre i soliti gli Slytherin, che ti frega? Abbiamo finito di combattere una guerra e ne vuoi aprire un’altra? Dai…- furono le parole quasi sbuffate da quella che imparai poi a conoscere col nome completo di Hermione.
-Sì ma io non sono un…oh e che diavolo…- stavolta fui io a interrompermi, osservando come i due erano presi dal battibeccare tra loro e ignorare la mia presenza. E, teatralmente, mi battei anche una mano sulla fronte.
Cioè, ragioniamo un momento a mente lucida: ma in che razza di posto di lesi ero capitato? Questo pensai finalmente in quel momento. Non furono gli studenti snob di un tavolo stereotipato a farmelo pensare, d’altronde quelle loro facezie e quell’insensato stile di superiorità collegiale all’americana (o perché no, alla britannica) erano perfettamente in stile con la linea dura ed elitaria degli anni ’90.
No, questa spontanea coppietta era la cosa che mi lasciava più perplesso. Si poteva arrivare a tanto? Incredibile. Ma credibile.
-Lo so che forse non dovrei intromettermi ma…oltre a disturbare tutti…- iniziai a dire, spaziando con un ampio gesto caricaturale della mia mano, come fossi assorbito in una commedia più che nella vita reale, mostrando una stanza peraltro deserta -…ma forse per battibeccare sarebbe stato meglio trovare un posto più adatto…siamo in una libreria, quindi proviamo ad andare in disaccordo in maniera pacata…e per la cronaca, non ho riso stamani, non sono uno slytherin, non sono nemmeno uno studente di Hogwarts, non sono manco Inglese!- sostenni. Chissà se avevano notato la mia sostituzione di termine, da biblioteca a libreria.
Mi guardarono con espressioni indecifrabili per qualche secondo, per il me di allora. Col senno di oggi, potrei dire che la faccia di Hermione non era rilassata perché, nonostante avesse capito tutta la situazione, non poteva intuire la reazione di Ron in un tale frangente. Mi porse la mano con fare compagnone invece il ragazzo, stordendo il pessimismo di Hermione.
-Quando è così…- disse sorridendo -…scusa. Ma sai, quei viscidi serpenti non si sa mai cosa abbiano in testa…basta guardare Pansy e Tiger…canaglie fino alla fine. E Mal…-.
Chissà quanto avrebbe blaterato dei vecchi rancori da sfogare non fosse stato per l’intervento estremamente disgustato e sardonico di un ragazzo di colore che si era mosso non visto tra gli scaffali tutto il tempo.
Portava i colori verdi e argento anche lui, non difettava di eleganza e, con sommo disdegno, sospirò: -Il teatrino Ron e Hermione, la coppia più bella del mondo, pronta alla visione di tutti gli ospiti. Granger, qui si viene a studiare e so che lo sai, mettilo anche nella zucca del tuo amico. Non è grande ma è tutta vuota e ci starà comodissima questa prima e meravigliosa nozione.-
-Blaise Zabini, all’anagrafe magica, brillante studente cui ben si addicono i colori dell’invidia più bruciante…- mi disse Hermione, mostrandosi, nel suo disprezzo, più arguta e stimolante di Ron.
-Zabini, Zabini, frugoletto bello di mamma sua…se si sposa ancora tua madre, avrà superato noi fratelli Weasley come numero di mariti. Dovremo farle una festa!- disse invece brutalmente Ron. Meno elegante, ma ammettiamolo, scherzare con le mamme è sempre remunerativo.
 
Quello che accadde dopo non rientra in questa storia, poiché nel momento stesso in cui vidi scaldarsi il famoso Zabini, cominciai a indietreggiare verso la porta, eclissandomi.
“Ma questi devono avere pesanti tare al cervello. La guerra contro il signore Oscuro li avrà lasciati tutti lesi…merda, è come la mia vecchia scuola ma…” cominciai a pensare, non trovando alcuna differenza però con la mia vecchia scuola. O con nessuna scuola in generale. Fu così che realizzai per la prima volta che razza di gioventù frequentasse gli istituti educativi di qualsiasi paese del mondo. Una gran massa di stronzi, penso.
Passai quindi il resto della mattinata girovagando per la scuola e potendo ammirare effettivamente quanta magnificenza fosse raccolta tra quelle mura. Le scale adoravano letteralmente cambiare, come mi era stato narrato: di tanto in tanto, anche se non frequentemente, perdevo il senso dell’orientamento, ma mi fu chiaro il perché solo quando una rampa di scale si spostò sotto i miei occhi. Impressionante, lo ammetto.
Qualche chiacchiera qua e là con i quadri fu anche stimolante, nel corso dei secoli ne avevano viste di cose…e proprio a proposito di creature secolari, ammetto che ebbi bizzarri incontri con fantasmi che infestavano pacificamente il luogo; incontri più o meno piacevoli con spettri più o meno mentecatti. Qualcuna si dimostrò anche rumorosa e stridula, ma fortuitamente alcuni studenti interrogati casualmente sulla questione mi dissero che fintanto che se ne stava chiusa nei bagni non rischiavo di avere molto a che fare.
“Quindi se piscio esce fuori dal buco per guardarmi il cosino?” sì, ammettetelo, ve lo sarete chiesti tutti almeno una volta. Per quanto morta, in fondo, da quanto mi dissero sempre di una ragazza si trattava. Ma sentiranno scompensi ormonali i fantasmi? Ne dubito. Ma non lo escludo del tutto. Vivono di ardente passione secondo ciò che segnò la loro vita o, per alcuni, la loro morte.
Ma torniamo a quella bizzarra giornata.
Da bravo fannullone, la mattinata la sprecai girovagando per tutta la scuola, perdendo mia  più riprese, finendo vittima di uno scherzo del poltergeist della scuola, imbattendomi almeno tre volte nel custode burbero e non entrando in contatto quasi per nulla con i ragazzi della scuola, se non con un gruppo di studentesse dei primi anni, occasione di cui approfittai per impressionarle. Lo ammetto, sono un maledetto pavone, ma così è se vi pare, e vi pare.
Più o meno avevo indagato sulla composizione e lo stile delle case, pertanto quando arrivai alla fatidica ora di pranzo, mi scelsi un tavolo con più oculatezza. Scartati gli Slytherin perché emblema di quello snobismo che mi ha inacidito il sangue nel corso dei miei studi, mi toccò una scelta facile. Scelsi l’esegesi dell’intelletto professata dai Ravenclaw.
A dire il vero nemmeno quel tavolo era affollatissimo, ergo mi scelsi un posto isolato e quasi angolare, trovandomi escluso da argomenti pregnanti di conversazione, sebbene gli stralci che potevo cogliere vertevano su argomenti cordiali e civili, differentemente dalla colazione traumatica al tavolo dei verdi figli di…no, questo sarebbe un giudizio troppo duro e poco supportato, in fondo. C’è tra i miei amici chi adorerebbe trovarsi in quella casa.
Fatto sta che andò quasi tutto liscio, fino a che la direttrice dell’istituto, la già citata McGonagall, mi mandò a chiamare, tutto per bocca di un professore corpulento e…no, niente politically correct, era proprio un gran ciccione che sembrava desiderare tutto meno che interruzioni durante i pasti, i riposi e le personali attività. La tipica persona che odia gli si cambino gli orari e gli appuntamenti, in sintesi.
-Alessandro? Sono il professor Horace Slughorn…mi manda la preside a annunciarti che sei atteso alle due nel suo ufficio. Lì, insieme al famoso…bah, lo avrete sentito nominare…Harry Potter, mio miglior studente, provvederete alla consegna della valigia. Pensa, la signora McGonagall, di aver trovato modo di aprirla, ma di volerlo fare solo se la consegna avverrà nei confronti di colui che ha riabilitato il nome dello scomparso Severus, che consideriamo una sorta di erede naturale.-.
La valigia del mistero, l’ospite del mistero, una convocazione dalla preside e insieme a Harry Potter, mago più famoso dell’Inghilterra e dell’intero nord Europa, se non dell’Europa per intero: non sorprese nessuno l’improvvisa ondata di attenzioni dedicatami da buona parte del tavolo.
Mentre per gli Slytherin si era trattata di attenzione sospettosa e infastidita, i Ravenclaw cercarono solo di includermi nei loro discorsi per scoprire qualcosa di più su di me. Soprattutto i maghi puri, intellettualmente curiosi nei confronti di una cultura babbana trapiantata nella loro scuola.
Mi resi conto che in effetti di babbani o mezzi tali ve n’erano molti e presumibilmente molti maghi puri avevano amicizie anche intime con persone di questa estradizione, ma che presentarmi in borghese e senza divisa, da sconosciuto e da straniero Italiano, mi faceva apparire come un babbano assolutamente estraneo al mondo magico, sebbene comunque indubbiamente presente tra loro. Insomma, un vero e proprio fenomeno da osservare, una perla rara. Avessero saputo come giocavo a Quidditch e che pozioni che sapevo preparare, forse l’interesse non sarebbe stato così forte. Forse sarei stato un altro maledetto Tom Sawyer o qualche altro nome comune anglosassone che tanto si sente usare nella perfida Albione.
Ad ogni modo condussi appena una discussione superficiale senza rivelare nulla degli scopi per cui ero arrivato, se non accennando a una vaga consegna per il loro defunto ex direttore; annotai mentalmente la presenza di una pila di giornali affianco a una biondina, una rivista conosciuta a livello nazionale in Inghilterra ma per nulla apprezzata e considerata dai più ciarpame, che aveva avuto però il lusso di essere stata l’unica pubblicazione libera durante il colpo di stato dei Mangiamorte e del Signore Oscuro, riguadagnando punti in credibilità, ai danni della celeberrima Gazzetta del profeta, conosciuta anche oltremare nel vecchio continente.
“Abbonamento massiccio o fattorina indolente.” Pensai lì per lì, avendo la testa assorta nelle profonde riflessioni su quanto avrei potuto trovare in quella valigia. Se l’avesse già aperta e avesse voluto solo incriminarmi e tenermi presente? Impossibile, pensai, mi avrebbe già fatto “catturare”. Inoltre, non era detto che solo perché condivideva la provenienza con mille altri sporchi affari in cui avevo messo le zampo, dovesse essere per forza merce scottante. O meglio, cercavo di convincermi della validità di questo ragionamento, una volta trovata l’argomentazione, più che crederci realmente. Concluso ciò, decisi di stordirmi di chiacchiere e facezie di circostanza con gli altri ragazzi del tavolo, con cui grazie al corpulento professore avevo stabilito un ponte comunicativo.
Ma saltiamo quella parte, che non ha molto più da presentare di un normale pranzo con persone socievoli ma poco conosciute cui sicuramente abbiate presenziato o presenzierete, accortezza che avrebbe ridotto di un centinaio di pagine l’opera dalle edili sembianze del Manzoni (sto cercando di dire in modo aulico che I Promessi Sposi sono un’opera definibile “mattone”).
Terminato il pranzo andai diretto nella stanza dove avevo pernottato per recuperare le cose utili che mi portavo dietro, in caso mi fossi trovato di fronte alla necessità impellente e auto conservativa di dover fuggire dalla scuola e, perché no, magari mettere il mare tra me e essa, trovandomi comunque nella vantaggiosa posizione di non avere un bagaglio da portarmi dietro.
Insomma, avevo gestito i miei affari, andavo a consegnare la fatidica borsa e mentalmente escogitavo vendette possibili in caso si fosse trattato ancora di ingredienti alchemici poco legali in Inghilterra (sì ho detto ancora) contro chi mi aveva usato come corriere e mi godevo una passeggiata per i corridoi di Hogwarts, passando tra armature e quadri che non a torto mi sembrava potessero animarsi da un momento all’altro; l’atmosfera era resa vitale e allegra dai ragazzi che chiacchieravano e passeggiavano a coppie, a terne o a più nutriti gruppetti, ricordandovi che si trattava di bambini attorno ai dieci anni, ragazzi di diciassette e tutto quello che spaziava in mezzo, quel gran feccione pubescentadolescenziale che il buon novanta per cento delle persone, anche in quella fascia d’età, aborrisce.
Fu quando, stando alle indicazioni del professor Horace, arrivai nei pressi della torre della presidenza che mi imbattei di nuovo in una faccia conosciuta.
La ragazza di cui avevo parlato prima, quella che mi diede l’impressione bizzarra, quella della pila di giornali, confermò almeno a prima impressione quello che pensai: il sospetto che fosse una specie di venditrice o fattorina o come si dice.
Con una risma sotto al braccio destro e un singolo giornale nella mano sinistra, si muoveva tra i corridoi rimbalzando di gruppo in gruppo offrendo la copia che veniva puntualmente rifiutata con sufficienza, ricordandomi il mio vecchio lavoro, volantinaggio. Almeno nessuno le avrebbe detto di avere freddo, pensai.
Pian piano giunse fino a me, che non feci peraltro niente per schivarla. Mi incuriosiva, in effetti, con la sua bacchetta magica infilata tra i capelli, occhialoni colorati con una lente rosa e una azzurra sollevati e portati a mo’ di cerchietto, una collana bizzarra e un’aria svam…non svampita, l’altra parola…svanita. Ma si potrà poi dire?
Bè, mi venne incontro questa ragazza bislacca che mi faceva pensare a una sorta di Hippie americana o un’adepta della temuta Beat Generation, offrendomi questo giornale dalle decantate peculiarità (tutte esterne al buon giornalismo), sicché mi convinsi con un sorriso a accettare l’offerta della sorte e comprarne una copia. Avrei avuto qualcosa da leggere, insomma. Perché a me la Gazzetta del Profeta faceva veramente vomitare. Venivo dall’Italia, almeno, potendo scegliere, ne approfittai per comperare una rivista dignitosa e libera.
-Scusa, me ne daresti una copia?- domandai, squadrando a lungo la ragazza, tanto da non accorgermi di averle puntato troppo gli occhi addosso.
-Una copia della rivista? Non si direbbe sia quella a interessarti…- mi disse, facendomi rendere conto che non l’avevo mai sentita parlare chiaramente.
Aveva una voce che mi colpì per un momento, così distante…si potrà usare la parola svanita?
-Oh, sì, scusa, guardavo…uhm…- cercai con l’esperienza da fallito casanova che avevo un particolare abbastanza insolito da poter notare su di lei per dire che mi avesse colpito, ma chissà come mai il compito non era poi gravoso. Fu così che mi accorsi degli orecchini che portava. Ma mi uscì per errore un’altra annotazione, probabilmente perché ero sovrappensiero.
-Stavo guardando la bacchetta…ehm…bè…è una bella bacchetta. Una gran bella bacchetta.- siccome avevo cazzato, tanto valeva esagerare in maniera caricaturale, mi dissi. Una risata e via, mi dissi. La risata non ci fu: fui preso sul serio.
-Grazie, ma penso non sia poi grande come bacchetta, né particolarmente estetica. Penso sia una bacchetta normalmente speciale come tutte le altre…- disse, con lo stesso tono piatto e sognatore di prima, porgendomi la copia e aggiungendo -Sono sei falci. Complimenti per la scelta di informazione completa e strabiliante.- mi disse, elargendomi un sorriso. Non era un sorriso da venditrice, era un sorriso di una persona veramente contenta…delle due, pensai, o era stordita o era matta. Come avrei potuto immaginare che entrambe fossero vere e false al contempo?
Presi sottobraccio la mia copia, salutai educatamente e, prima che me ne rendessi conto, quella persona dal nome sconosciuto apparteneva già al mio passato, voltato l’angolo. Un brutto colpo per uno che come me si innamora di qualsiasi ragazza bislacca o conosciuta in un frangente strano e insolito.
“Merda, non le ho chiesto nemmeno il nome…ah, il maledetto potere dei nomi, Il Nome Della Rosa, eccetera…” mi dissi, con un’allusione all’opera di Umberto Eco che invito a sfogliare fino alla ricerca del dubbio del giovinetto sul potere dei nomi da invocare.
In pratica questo ragazzo viene separato dalla donna che lo aveva infatuato (povero monaco, quando ancora i bambini non erano di moda) e si strugge di notte notando la mancanza anche solo di un nome da invocare per dar forma e corpo al proprio strazio…
Ma torniamo a noi.
In effetti, pensando e meditando, arrivai abbastanza in fretta davanti all’ingresso dell’ufficio della Preside; ivi mi attendeva una notevole sorpresa, sebbene mi stessi appunto interrogando sul momento del nostro incontro.
Harry Potter, il famoso mago prodigio, aspettava distrattamente davanti alla statua di un Gargoyle; il fatto che si illuminò nell’incontrarmi con lo sguardo mi fece capire che attendeva proprio me. Mi porse un gentile saluto e mi spiegò in breve che era lì per sussurrare la parola d’ordine alla statua guardiana per rivelare l’ingresso dell’ufficio, in modo tale da garantirmi l’accesso senza dovermi svelare tale parola.
-Ma è il cavillo? Leggi il cavillo?- mi domandò, notando la copia del giornale che avevo sotto braccio.
-Eh? Ah sì…l’ho comprato da una strana tipa…- buttai lì, abbassando lo sguardo sul giornale, del quale rimirai la copertina.
-Intendi Luna…- disse lui, con quel tipico tono che si frappone ostinato tra domanda e illazione.
-Luna? Sarebbe il nome della bionda strana? Di Ravenclaw…quella che gira con i giornali?-.
-Proprio lei. E’ Luna Lovegood, e, come forse saprai, lei il giornale contribuisce a scriverlo!- affermò non senza una risata di chi gode innocentemente di una posizione di consapevolezza.
Mi piaceva quel ragazzo, mi piaceva davvero. Insomma, mi ero immaginato un pavone come il sottoscritto o un super mago geniale, invece scoprivo che aveva un modo di dialogare e di porsi non molto lontano da quello di alcuni miei amici. Quelle scale su cui ci fermammo forse troppo a lungo prima di giungere all’ufficio furono un buon punto di partenza per una simpatia quasi istantanea.
-Si chiama Luna…carino come nome, anche se poco “Albionico”.-.
-No, a me più che il suo nome mi fa sorpresa sapere di qualcuno che legge il cavillo e che sembri…bè…-.
Notai che si era ingolfato nel discorso e che la parte che poteva risultare aspra o dura non riusciva a pronunciarla, ergo gli venni incontro sminuendo: -Sembro normale? Questo vuoi dire? Lo conosco vagamente come giornale, l’ho conosciuto in quest’ultimo periodo. E ho preparato quasi un sermone per difenderne la lettura…ma posso citarti la parte saliente dell’apologia, se vuoi.-.
-…mmmh…massì dai. Sentiamo.- mi incitò, dimentichi entrambi della signora McGonagall che ci attendeva pochi scalini e una porta più in alto.
-Innanzitutto, difendo con ferocia i diritti di un giornale che riesce ancora a risultare indipendente in un regime quale quello cui il mondo magico è stato sottoposto lo scorso anno, che definirei non troppo diverso dalla dittatura Nazionalsocialista e…lo conosci bene il mondo non magico, vero?- mi sincerai, prima di procedere.
-Sì, certo, forse meglio di quello magico…- ammise timidamente.
-…bè, ha conservato l’indipendenza e non si è piegato al potere, salvo che nell’ultimo periodo, ma sono venuto poi a sapere delle motivazioni, almeno vagamente. So che più o meno hanno ricattato Xenophilius ma non ne so altro. Quindi abbiamo dimostrato che la volontà di rendere onore al vero c’è. Ergo, per quanto gli articoli siano considerate scemenze o pazzie, perlomeno sono convinzioni profonde di una persona che rischia molto per difenderle, sia esso padre o figlia. Certo, mi aspettavo una persona diversa dalla famosa Luna Lovegood…- mi misi a rimuginare finito il breve discorso –Insomma, meno…sfuggevolmente svampita e non…cioè, volevo dire, svanita. Ma si potrà dire?-.
-Sì, so benissimo di cosa stai parlando…- tagliò corto lui, riprendendo a salire le scale -In effetti ne hai tracciato un profilo comunque vago e apparente…sai, c’è molto di più da sapere su di lei, ma tutti si fermano al primo muro e non pensano a entrare. Cioè, non attira la voglia della gente di conoscerla…ma queste sono cose private. Dai, su, che la McGonagall ci aspetta.-.
Uno scambio di battute rapido e piuttosto terra terra, ma il modo in cui mi guardava bastò a farmi capire che almeno lui, come la ragazza della biblioteca, non faceva troppo caso al mio vestire, segno che vi era abituato. A differenza di Luna, che presumibilmente avrebbe avuto la stessa reazione fossi stato vestito da albero (ma ancora non potevo saperlo. Lì per lì le attribuii grandi conoscenze nel mondo babbano e liquidai la questione).
-Professoressa? Siamo arrivati!- si annunciò Potter, aprendo delicatamente la porta, non mancando di gettare un occhio verso il muro dietro la scrivania, alla ricerca di cosa lo avrei capito solo in seguito.
-Avanti avanti, venite e chiudete.- invitò sbrigativa ma cortese la professoressa, seduta dietro la grande e storica scrivania, con la borsa aperta dinanzi a se.
Mi stupii della borsa, ma solo per un momento: l’ufficio e quanto si vedeva dentro mi rapirono con molta più magnificenza di quanta mi sarei aspettato. Oggetti magici di ogni tipo, persino strumenti a me sconosciuti (ma lo ammetto, la mia branca è l’alchimia, non l’oggettistica) erano sparsi per tutta la stanza. Mappamondi bizzarri, treppiedi con una struttura somigliante a telescopi, piccoli strumenti appoggiati su strumenti più grandi simili a mobili; dietro tutto questo, poi, troneggiavano sulla parete quadri di tutti i presidi passati, anche se alcuni mancavano della presenza delle persone a loro dedicate. La maggior parte, però, mi puntarono curiosi nella loro compostezza gli occhi addosso.
-Sicchè questo è il ragazzo. Capisco.- sentii una voce quasi gelidamente distaccata che non poteva appartenere a nessuno dei presenti in carne e ossa. Entrato, scoprii che il quadro dietro la McGonagall era quello che si era rivolto a me, quadro di una persona che ora ricordavo di avere già visto in passato di sfuggita, senza avere mai avuto elementi per attribuirle il suo nome, Severus Snape.
-Ragazzo, mi hai reso un buon servizio. Ah, non ti preoccupare, nessuno saprà di questa consegna, che non è esattamente pulita e legale, ma era quanto necessario…un bimestre fa. In effetti, al momento posso al massimo gettare un’occhiata disinteressata, visto che oramai non sono più tra le persone che si possono fortunatamente chiamare “vive”.-.
Parlare con un quadro era una delle cose cui al tempo ero meno abituato, ma cercai di vincere l’imbarazzo.
-Ehm…signor Snape…purtroppo il materiale è arrivato ora e…ma che cos’è?- sviai il discorso per un momento, ammetto, roso dalla curiosità.
Non sfuggì alla Gonagall il mio movimento di collo per protendermi a guardare dentro la valigetta, scoprendo una scatolina lignea e nulla più.
-Melito, ha detto?- mi domandò, come convenevole iniziale -Bene, signor Melito, si dia il caso che questa scatola contenga un distillato di cui nessuno ha mai sentito parlare fino ad oggi. Ma è meglio che a spiegarlo sia l’unico che possa conoscerne qualcosa. Non è forse così, Severus?- domandò quasi compiaciuta la preside.
-Naturalmente…- ribatté…bè, ribatté il quadro, comunque vogliate metterla -Si tratta di una mia ricerca, condotta l’ultimo anno della mia carriera, come se non avessi già tanto da fare a stare dietro al nostro Potter.-.
Notai l’occhiata di “Severus” alla volta del ragazzo, notai lo sguardo imbarazzato di quest’ultimo, me ne fregai altamente e mi morsi quasi metaforicamente il labbro, sulle spine.
-Mischia molti ingredienti rari o difficili da trovare e la sua preparazione è di lunghissima durata. Tutto venne dal serpente Nagini, in possesso di un veleno anticoagulante con cui affliggeva le proprie vittime. Ben lo sa il signor Weasley, meglio ancora il sottoscritto.-.
Quell’affermazione fece abbassare di molte tacche sia la temperatura della stanza che l’umore delle due uniche persone vive oltre a me. Io stesso feci due più due, ma ero troppo preso dal racconto. Di pozioni coagulanti ne sapevo preparare molte, ma sapevo che un veleno maledetto era quasi impossibile da placare se non con incantesimi e rituali prolungati che solo un’adeguata struttura magica poteva fornire.
-Ad ogni modo, puntavo a una ricerca su una pozione che bloccasse l’effetto dei malefici inarrestabili e virulenti. Come tutti sanno, eccetto le zucche vuote…- e di nuovo mi domandai che razza di scambi di sguardi intercorrevano tra lui e Potter e che rapporto dovessero aver avuto in vita –Le pozioni sono magia allo stato liquido, non semplici miscele come gli intrugli babbani. Perché girare un determinato numero di volte un mestolo o cuocere in determinate congiunture astronomiche? Perché…- parlava abbastanza lentamente da permettermi di replicare alla domanda non posta prima che egli stesso potesse continuare. Mi intromisi per entusiasmo e per fargli intendere che sulla materia avevo una, me ne vanto, vastissima conoscenza.
-…determinate sostanze fungono da ricettrici come il fulcro delle stesse bacchette magiche spronate dalla volontà del loro possessore e dalla giusta formula. Semplicemente cambia la componente somatica e verbale in quanto si tratta di veicoli differenti.-.
Il “quadro” inarcò il sopracciglio con blanda ammirazione, Potter e McGonagall mi fissarono quasi stupiti, prima che la donna potesse riprendere: -Severus, forse lo avresti dovuto incontrare un poco prima il tuo potenziale studente migliore…parla esattamente come te alla sua età. Un poco impostato, ma assolutamente personale.-.
In effetti era la mia dote: la formula di una pozione riportata dai libri è di solito quella migliore tra quelle sperimentate quando si vuole ottenere l’effetto canonico. Ciò non vuol dire che nuove formule non sperimentate perché troppo assurde o poco affidabili in apparenza o piccoli cambiamenti per modificare effetti a seconda della circostanza non siano superiori.
Si bada tanto a imparare a produrre il risultato che si pensa alla mera applicazione di formulette matematiche liceali, quando invece bisognerebbe cambiare approccio e apprendere i meccanismi basilari delle interazioni magiche, per poi poterle applicare liberamente e saper cambiare effetti alle pozioni modificando ingredienti o dosaggi. Saperle fare, non saperle riprodurre.
Che ci crediate o no, ne discutemmo per una dozzina di minuti io e il defunto professore, sotto il compiaciuto e attento sguardo degli altri due presenti.
In breve: quello a cui puntava era trovare un equilibrio tra antidoti e veleni in maniera tale da puntare non alla sua neutralizzazione, che avrebbe comunque sconvolto il corpo a causa delle violente reazioni, ma a modificare il fabbisogno del corpo temporaneamente fino allo smaltimento del veleno o alla sua graduale rimozione (ancora, non violenta, altrimenti il contro bilanciamento avrebbe minato comunque la salute del “paziente”).
Tuttavia, mancavano ancora alcuni ingredienti e la pozione stessa era altamente instabile, quindi aveva dovuto ordinare una serie di elementi magici sia velenosissimi e chiaramente proibiti che potenti antidoti; tutto, ovviamente, insieme a ingredienti basici introvabili.
Fu con scetticismo e quasi ripugnanza del giovane che apprendemmo quindi che la scatolina di legno conteneva due tessuti e due boccette, rispettivamente cuore e sangue di drago e di unicorno.
Seguì una noiosa lezione di etica professionale e generale e una lunga discussione tra i tre, mentre io riflettevo sugli ingredienti utilizzati, fino a che non giungemmo a una fatidica questione. Perché Potter era lì? E, capito cosa fosse il contenuto, perché c’ero io?
Fu chiarito poco dopo: Potter era stato nominato erede delle possessioni di Severus, che aveva designato comunque lui come secondo erede e la madre di questi, defunta da diciassette anni, come primo, tutto per una questione di puntiglio suppongo. Per quanto spiacente, aveva dovuto lasciargli anche la ricerca che presumeva non avrebbe potuto completare in nessun modo.
Anzi, fu chiaro nel dire che reputava il mondo magico poco pronto alla sperimentazione e alla ricerca secondo i propri canoni, a partire dal professor Horace in persona e a scendere poi ai meschini livelli di tutti gli altri.
Fu allora che mi feci avanti io.
-Professore, chiedo di poter lavorare con la vostra supervisione alla ricerca, facendovi rapporto di tanto in tanto. Non pretendo manco che porti il mio nome, mi basta la soddisfazione di portare il lavoro avanti e la capacità di prepararla…e non si sa mai che debba servire. Il Bezoar ha limiti.-.
La mia proposta stupì favorevolmente tutti, soprattutto il ragazzo, ma come previsto cozzò subito contro un veto posto dallo stesso ex preside: -Ragazzo, guarda che non è una cosa da poco come la Felix.- questa affermazione diceva praticamente tutto, considerando che la Felix Felicis era una delle più difficili pozioni da preparare per ogni mago -Serviranno ancora tanti anni di studio e sperimentazioni, anche con materiali poco reperibili. Te la senti davvero?-.
Nonostante la forza del veto iniziale, quella porta aperta lasciata alla fine fu un colpo che stupì stavolta me, oltre che gli altri due.
In breve, non sto a riferirvi altro di quel lungo colloquio, durato almeno tre lunghissime e estenuanti ore in cui il ritratto del professore volle interrogarmi a lungo per saggiare le mie conoscenze e le mie disposizioni mentali, prima di deliberare: -Non posso lasciare comunque la mia ricerca a uno sconosciuto che unge da corriere per un mondo marcio almeno quanto lo era il mio mondo. Ergo pongo tre condizioni. Voglio che tu vi lavori qui. Voglio che tu lo faccia sotto la supervisione dell’unica persona affidabile di questa scuola, se la preside se la sente, ma soprattutto voglio che tu sia inchiodato dal Voto Infrangibile. Potter farà da suggello, la preside da affidataria e tu dovrai giurare di non farne mai parola al di fuori di questa scuola fino al completamento, che ti dedicherai seriamente alla sua completezza e che non ne ricaverai personale guadagno come principale obiettivo.-.
 Ancora oggi mi chiedo perché aggiunse la parola principale: forse perché in tre ore aveva capito che il mio approccio alle pozioni era uguale al suo almeno come avevo capito io che il suo era uguale al mio e che, almeno in seconda battuta, l’idea di guadagnarci era gustosa. Non certo mera fama o danaro, il guadagno era il semplice ampliamento delle capacità e delle possibilità di produrre, un po’ come apprendere una nuova magia complessa.
Oltretutto, in caso di successo, saremmo stati in due al mondo capaci di produrla, uno solo dei quali vivo.
Come avrete immaginato, visto che ve ne sto parlando, ce la feci a concludere il lavoro.
La cosa richiese meno tempo del previsto, certo, ma mi impose la permanenza di un anno a Hogwarts per lavorare alla pozione, a stretto contatto con il cane da guardia che mi era stato assegnato e, nel bene e nel male, conservando un piacevole rapporto epistolare con Harry, che aveva fatto da suggello e che mi aveva preso in simpatia.
Nelle settimane seguenti, infatti, lavorando almeno i primi gironi insieme legammo abbastanza da restare in contatto per tutto un anno, scrivendoci circa una volta a settimana, per poi passare a saltuariamente, scendendo poi a ogni tanto. Ci sentiamo ancora tuttavia, perché in un modo o nell’altro entrai a far parte dell’orbita dei suoi amici; in effetti, direi che sono diventato l’amante di una di essi.
Questa, quindi, è la parte sui motivi che mi hanno spinto a prolungare la mia permanenza a Hogwarts per un lungo periodo; incastrato dalla mia stessa ambizione, fui messo a collaborare con il professor Horace alle lezioni per guadagnarmi vitto e alloggio e a lavorare nel resto del tempo alla ricerca di Severus, godendo comunque un lietissimo lungo periodo di semi nullafacenza.
Il pomeriggio, quindi, lo passai per metà nell’ufficio della preside, per l’altra metà (chiarita ormai la mia posizione) fui lasciato libero di gironzolare come ospite e lavoratore di Hogwarts. Lasciai in pace il povero Harry, allora alle prese con la sofferta e struggente storia d’amore con la sua bella Ginevra Weasley, limitandomi a prendere confidenza col vecchio ufficio di Severus, con la biblioteca e la sezione proibita di essa, cui avevo avuto parziale accesso (i vantaggi di essere addetti ai lavori e non studenti) e con il laboratorio di classe.
Per un inventario completo mi ci volle mezza giornata, esattamente quanto mi era rimasto di quel pomeriggio, arrivando fino a poco prima di cena senza aver del tutto finito il lavoro. Stufo, mi abbandonai su una poltrona nella sala di classe di Pozioni, ormai chiusa agli studenti dalla fine dell’anno scolastico, accorgendomi di avere ancora con me, poggiato su un bancone, il giornale comprato durante quel pomeriggio.
Mi immersi nella lettura, una lettura amena e vagamente interessante di alcuni articoli sull’esistenza di complotti, creature magiche e credenze ormai ampiamente abbandonate ma che ancora erano proposte come interessanti possibilità e possibili spiegazioni travisabili di fenomeni ancora poco chiari. Ovviamente, affianco a leggende improponibili spacciate per verità, ma ad ogni modo migliori delle schifezze che si era scoperto scriveva la Skeeter, fino ad allora quotatissima “giornalista”. Peggio di quelli Italiani.
Fu solo quando la porta si aprì, rivelando la figura piuttosto enorme del professor Horace che mi resi conto che forse avevo perso di brutto il conto del tempo, forse no. Lo persi.
-Sta per iniziare la cena…su, su, la preside voleva presentarti davanti a tutti gli studenti…non puoi mancare! Hai finito il lavoro?-.
Mi guardai intorno, guardai la mia guisa, seduto con un giornale in mano e in atteggiamento di riposo, dopodiché ebbi la faccia tosta di rispondere: -Mh…quasi. In effetti ho praticamente la situazione in pugno.-.
Ma saltiamo questa parte che non interessa a nessuno e veniamo al dunque.
Alla cena sedetti per forza di cose al tavolo degli insegnanti, con sorpresa di alcuni e disinteresse dei più, almeno fino a quando la McGonagall mi chiese un breve discorsetto di presentazione che ovviamente non rivelasse la mia vera motivazione e mi causasse morte immediata a causa del Voto.
Non fu un discorso sensazionale, ma fu piacevole avere i volti di tutti girati in mia direzione e sapere di averli in pugno quando dissi che avrei supportato le lezioni di Horace Slughorn, attribuendo voti, sebbene la preside si affrettò a smentirmi, più con l’atteggiamento di una divertita collega che un infuriato capo di lavoro.
Conobbi così Rubeus il guardacaccia, conobbi i professori direttori di tutte le case, conobbi i semplici professori, inoltre quasi di sottecchi la preside mi fece intendere che un giovane studente Gryffindor aveva appena terminato il corso di studi e fatto domanda di apprendistato per erbologia, ergo sarebbe stato utile a entrambi contattarci per quanto riguardava almeno il lavoro sulle componenti vegetali delle pozioni, sfruttando l’affidabilità di questo e la stessa riservatezza. Mi disse che faceva gruppo nei sei “fedelissimi” all’ex ex preside Albus, membri dell’ED e gruppo di giovani che contribuì sotto la guida di Potter a ostacolare il signore Oscuro più di chiunque altro.
Referenze inutili, mi bastava in realtà sapere che era abbastanza bravo da diventare apprendista professore a Hogwarts a diciassette anni per farmelo bastare.
Ad ogni modo, finita la cena, andai a trovare i Gryffindor nella loro sala comune (altro vantaggio degli addetti ai lavori: conoscere tutte le parole d’ordine), a caccia di Potter, come suggerito dalla preside, per avere modo di mettermi in contatto con Neville Longbottom, il famoso apprendista, che non era a scuola in quel periodo, tornato alla casa della nonna.
La mia presenza era stata oramai del tutto assimilata nella scuola, non fece scalpore vedermi passeggiare nelle sale comuni né tantomeno avere a che fare con la “celebrità” della scuola, soprattutto ora che sapevano che sebbene non fossi sul livello dei professori, mangiavo e lavoravo con loro.
Harry lo trovai con i due ragazzi della biblioteca del pomeriggio (e non mi dilungo a dirvi le risate che ci facemmo nel ripensare al burrascoso incontro della mattina o alla fattura che Hermione aveva usato per chiudere il discorso con Zabini, che mi fece domandare a me stesso se tutti i dissidi erano gestiti con duelli in quella scuola) e una ragazza dai capelli rossi che mi presentò come “Ginny”, la sua ragazza, che trovai comunque piuttosto carina ma soprattutto più scattante della massa degli studenti blandi conosciuti sino a quel pomeriggio; ella infatti mi disse che era Luna quella che più restava in contatto con Neville e che, giacché ci trovavamo tutti e sei a colloquio, tanto valeva andare a fare una passeggiata a Hogsmeade per ritrovarci in un “buon posto” che conoscevano loro.
Al gruppo l’idea piacque e, chissà perché, tutti tranne me sapevano del posto e concordavano nel ritenerlo il migliore.
Fu così che, previa autorizzazione che ovviamente la preside non poteva negare al mago eroe britannico, mandammo un avviso a Luna e ci preparammo a una gita a Hogsmeade, paese importante e vitale, ma con una meta del tutto isolata.
La locanda di un certo Aberforth Silente (sapevo chi fosse ma mi fecero giurare di serbare il segreto e, io che ne avevo a tonnellate, non dissi certo di no), noto covo di canaglie, era rimasta chiusa a tempo indeterminato dopo la guerra dei maghi, ma apriva volentieri i battenti ai ragazzi che si erano battuti in nome degli ideali del fratello maggiore, diventata così meta di tutti i loro incontri.
Quando entrammo trovammo Luna già a un tavolo, vestita con la sua idea di “abiti civili”, ovvero un misto che univa il fascino della beat generation ai coloratissimi anni ’80, corredata da soliti gadget bizzarri cui i suoi amici manco facevano più caso, ma che avevano il potere di colpirmi.
-Oh Luna, è tanto che aspetti?-  domandò con tono di scuse Hermione.
-No, non è molto, sono venuta qui solo dopo il vostro avviso. Penso ci abbiate messo molto solo perché vi siete fermati per strada…siete stati fermati da fan di Harry?- domandò lei, candida.
-No, Alessandro ha voluto a tutti costi deviare per Mielandia e ha rotto le scatole quando ha scoperto che era chiusa e che lo sarà ancora per due settimane.- ammise trattenendo le risate Ron, dando di gomito a un Harry suo complice di atteggiamenti.
-Avevate promesso di tacere! Disgraziati, solo perché avete finito gli studi!- chiusi la mano a pugno, pantomimando una sorta di minaccia, suscitando il riso rassegnato di Hermione.
-Visto Luna? Un altro maschio per abbassare l’età intellettuale media del nostro gruppo…- sortì Ginny, causando altra ilarità, sebbene la bionda Luna fosse la più composta, apparentemente solo vagamente divertita.
Fu proprio questo atteggiamento di ilarità quasi compulsiva che si infrangeva su un velo differente che ancora oggi non saprei definire bene a concetti che mi fece riflettere sull’umore del gruppo.
Sapevo che avevano combattuto e che avevano avuto perdite care, che avevano dovuto compiere grossi sacrifici e imparare in prima persona a lasciarsi qualcosa di irrinunciabile alle spalle; non mi sembrava dunque strano il loro trovare divertenti anche le cose più banali o le provocazioni più fanciullesche e cretine. Immagino dopotutto avessero bisogno di farsi qualche risata.
Inoltre, gli argomenti della serata restarono sul marginale forse perché ero un “amico in prova”,  uno sconosciuto alla prima uscita con loro che non era amico ancora di nessuno in particolare: se ci pensate, infatti, quando qualcuno viene introdotto in una compagnia è sempre tramite un amico, ma io mi ero trovato lì per caso e quasi trapiantato.
Tuttavia, potevo dire che almeno Harry sapeva qualcosa su di me, così da fare da ponte sociale verso il gruppo; inoltre si trattava di persone socievoli, aperte, un poco alla mano e perlopiù scaltre. Lontano dalle convenzioni dell’alta e chiusissima società magica britannica, mi trovavo al tavolo con quelli che venni lentamente a conoscere come due mezzi babbani, come fratello e sorella di una famiglia aperta al mondo babbano (ecco perché mi suonava familiare il nome Weasley…il ministero, sezione babbani!) e una ragazza cresciuta senza amici fino all’introduzione in quel gruppo.
Naturalmente tutti i risvolti più intimi della loro personalità li appresi col tempo, ma potevo ben accorgermi di come fossero in effetti uniti e non solo perché l’80% di loro cinque faceva coppia fissa.
In un modo o nell’altro, mi trovai abbastanza a mio agio da scoprire le carte e permettere a Harry di parlare per me, poiché silenziato dal mio Voto, e spiegare parzialmente la situazione, specialmente a Hermione, considerata una delle più brillanti in Pozioni alla scuola di Hogwarts, e a Luna, in modo che scrivesse a Neville il prima possibile.
La serata fu estremamente simile a quelle che ero solito trascorrere con gli amici al di fuori del mondo magico, seduti a un tavolo di pub a bere birre (magiche, certo, ma eravamo pur sempre a Hogsmeade), a discutere e magari a apprendere un poco gli uni dagli altri.
Mancava il calciobalilla, però, porca miseria. Dite quello che volete, ma sostituirlo con gli scacchi magici non fa per me…ci vuole, il calciobalilla.
In un modo o nell’altro, considerando la doppia coppia più due intrusi, mi trovai piacevolmente intrappolato in un discorso con Luna, partito dall’innovazione nei metodi di ricerca magica e vagato tra storie mitologiche, storie di vita vera e progetti futuri. In particolare mi ricordo che apprezzò molto la mia visione creativa delle Pozioni.
Sulla via del ritorno mi accorsi che eravamo tutti e sei divisi a coppie di due che conducevano discussioni, sebbene non certo le divisioni non furono così banali come all’osteria.
Avanti, sulla strada, aprivano Ron e Harry, il primo un poco brillo, entrambi piuttosto allegri e sereni, troppo lontani perché riuscissi a udirli. Poi, Ginny e Hermione, le quali intraprendevano un discorso più pacato; alla fine del gruppo, in coda, il turno mio e di Luna, che…bè, ci eravamo persi in fantasticherie.
Nel vero senso della parola, ci narravamo reciprocamente sogni dalle lunghe e complesse trame che avevamo avuto nel corso delle nostre notti e che riuscivamo a ricordare, concordando sulla loro bellezza.
Fu un discorso che feci a più riprese anche con un mio amico, poiché ho sempre apprezzato quell’aria onirica che ti fa prendere così tanto sul serio le cose, che quasi riesce a convincerti della loro realtà da farti trovare al mattino confuso e ancora in preda ai sentimenti fittizi da essi causati.
Continuammo così fino a Hogwarts, dove il gruppetto si separò da Luna, prima, diretta alla torre dei Ravenclaw, e da me dopo, diretto al mio nuovo alloggio, fatto approntare di giorno dalla McGonagall.
Una volta sistemate le mie cose, mi misi a sbirciare fuori dalla finestra, poiché spenta la luce mi accorsi che entrava troppa luce nella stanza. Come sospettai, era una notte di Luna quasi piena (gibbosa, ragazzi miei, imparate nuove parole) che riversava i suoi raggi, se per la luna si può dire raggi, nella mia stanza. Ma mi avete passato svanita tante volte che potreste anche essere clementi su raggi, dai.
-La Luna. Luna gibbosa.- mi trovai a dire, vestendo i panni di capitan ovvio -La Luna…-.
Fu quando la nominai per la terza volta che mi accorsi con tragico timore e inespressa felicità che stavo sorridendo senza riuscire a trattenere le labbra da quell’espressione di felicità. “Merda…” pensai “Sono fregato…mi sa che quella ragazza mi ha preso. E di brutto anche.”.
Io non so cos’altro vi aspettavate, se pensavate che quella serata potesse esser finita con una passeggiata romantica staccatici dal gruppo o un bacio, o se pensavate che comprare un giornale al pomeriggio potesse comportare una sottotrama intrigante. O magari vi aspettavate che succedesse qualcosa a seguito della zuffa in biblioteca che mi mettesse in cattiva luce e poi da lì sarebbe nata una grande avventura per riabilitarmi con lei, o magari che succedesse qualcosa perché mosso a pietà dalle dure descrizioni e appellativi che avevo udito rivolti a lei dagli Slytherin.
Potrei continuare a immaginare e fantasticare sulle vostre alternative o sulle infinite idee che potrebbero nascere, ma non porterebbero a niente: questi furono i blandissimi fatti per chi si aspettava un taglio cinematografico a un amore storico.
Semplicemente quella sera parlai con lei, le parlai tanto, ma seppi anche ascoltarla. Non mi interessava in primo luogo vendermi bene e non lo feci, mi interessava soltanto il discorso, specialmente quello sui sogni, che portai avanti con lei per un’intera distanza scuola-paese. Io sono sempre stato un amante dei sogni e sembrava esserlo anche lei. Parlandone, siamo entrati per la prima volta in contatto io e lei, in un contatto intimo e profondo, poiché narrare un sogno vuol dire esporsi senza alcuna armatura, aprire la propria testa e lasciare che i pensieri investano gli altri senza filtro.
Certo, ci furono innumerevoli cause successive. Innamorato o meno, prima di tutto ero suo amico, lo diventai (bastò poco per entrambi, bastò chiamarci amici per esserlo, perché scoprimmo di avere in comune anche questo, una spiccata fede nella vera amicizia, ma una notevole difficoltà a chiamare la gente tale. Non successe, ci fidammo subito e facemmo bene…) senza fare niente di particolare. Poi collaborammo insieme alla ricerca, mi piaceva la sua attitudine molto più di Hermione, che comunque diede un ottimo apporto. Hermione aveva un’ottima capacità organizzativa, ma era in Luna che trovai un ottimo specchio del mio modo spigliato di fare: credere in quello che si crede e provare quello che tutti vorrebbero scartare a priori per la legge dell’ovvio. Non badate al fatto che andai a fuoco tre volte durante quella ricerca, queste sono inezie.
Lunatica, avete capito ora perché? Perché questa breve follia che caratterizza sia me che lei, il nostro eclissarci nella fantasia di cui ci circondiamo, è tutto quello che ci basta. A volte è come se uno di noi due dovesse spiccare il volo, staccandosi dalla terra…per questo ci teniamo per mano, per volare via insieme, quando capiterà.
Non ci fu nulla di spettacolare tra noi come potevate pensare all’inizio, tra nomi coreografici come Hogwarts, dormitorio comune, magia, pozioni, bacchette magiche…nulla di tutto questo; passammo così tanto tempo insieme da non poterne più fare a meno, da sentire il bisogno di continuare a mettere in comune i nostri pensieri e anche la nostra quotidianità, che comunque ha assunto un ché di onirico.
Diventare amico degli altri non fu difficile, Ginny si comportava come qualsiasi ragazza della sua età, Ron era semplice, Hermione disponibile e Harry mi era già risultato simpatico grazie all’effetto che mi fece sulle scale, il tipico “Oh grazie a dio ci sono anche persone normali qui dentro!”.
Diventare amico di Luna fu come esserlo da sempre.
 
Ora Alessandro ha staccato, chiudendo con una frase a effetto come ha sempre amato fare e sommergendo l’intero racconto con i punti e virgola, che tanto adora e di cui tanto critica il disuso.
Credo sia andato di là a preparare un poco di tè o a prendere della cioccolata (ne va matto!), spero per entrambi, temo per lui solo.
Questa storia che avete letto me l’avrà raccontata almeno due volte solo quella famosa sera e non stupirà nessuno sentire che lo fece in due modi quasi diversi già solo quel giorno.
Da allora sono passati molti anni, ma nel bene e nel male siamo riusciti a entrare l’uno nella quotidianità dell’altro, sebbene quel famoso gruppetto noto come DA (ma per chi mastica solo italiano forse la sigla conosciuta è ES, l’Esercito di Silente) ormai sia diviso e ognuno sia avviato lungo la propria strada.
Si sa che Harry è entrato al ministero, proprio lui che era così scarmigliato e incontrollabile. Si è sposato, come presumibile, con Ginny, entrambi poi hanno avuto le loro belle avventure nel Quidditch, prima che l’uomo di casa si desse una calmata.
Non che io e Ale non abbiamo avuto le nostre storie sportive, certo. Chiedete un poco a Eleonora, la famosa Portiera.
Ron è stato introdotto al mondo babbano da Hermione, che con immensi sforzi è riuscita a fargli prendere addirittura la patente di guida.
Per quanto riguarda me e Ale…credo che siamo rimasti intrappolati in quel mondo dei sogni che ci ha uniti inconsapevolmente fin da quella sera e…e in questo momento credo stia urlando. Sicuramente non è il tè a fare questo effetto, tantomeno la cioccolata. Indubbiamente avrà scambiato i barattoli e le ampolle. Capace che abbia messo a sobbollire qualche pozione strana.
Per quanto sia un abile alchimista, riesce sempre a stupirmi con queste sue divertenti trovate per allietare la giornata…perché in fondo lo so che lo fa apposta per creare siparietti comici, ma tant’è…
La felicità non nasce come il sentimento di affetto, spontaneamente, la felicità dobbiamo edificarla mattone su mattone e ad oggi, che io sappia, non ne ha ancora posato male uno. Se venite a trovarci, chiudete gli occhi e vi farò vedere che bel lavoro che stiamo facendo.
  
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