E la pioggia
La solita
poltrona, un giornale e la solitudine.
The, solo
lei e la pioggia. E la pioggia.
La
pioggia da sempre e per sempre. Pioggia da nuvole nel cielo, pioggia di lacrime
dagli occhi suoi, pioggia di stelle di notti incantate. Notti di festa.
Se alzi lo sguardo puoi vedere e
ricordare.
Vedere, non
guardare.
I
dettagli fanno male, il resto scivola e lascia solo familiarità addosso.
Se alzi lo sguardo è sempre lì.
Quella foto.
···
“Un
brindisi”.
Le ultime
parole e poi il fragore. Le mille finestre della Sala Grande in frantumi,
fiotti verdi di maledizioni ovunque, urla e vetri, a terra e ovunque, nel suo
corpo e negli occhi di chi ha accanto, sotto i piedi e nei bicchieri.
Paura e dolore, schegge di ogni
sentimento riflesse in quei vetri, tanti quanti le emozioni che si confondono
nel delirio generale.
Le urla ed una sola figura immobile.
Harry ti prego scappa.
Lui,
fermo e consapevole.
Rigido
come una statua di ghiaccio, imponente e luminoso. Un eroe.
Ovunque
si corre, piange e scappa. Ma Harry no.
Bloccato
dal senso del dovere che gli fa da piedistallo, lui ed il suo compito, quello
che ha sempre saputo gli era stato affidato.
Ed io accanto a te.
Ma lui è
solo, ora e sempre, assassinato o assassinio, solo di fronte al suo destino. Che non posso condividere con te.
Solo e così lontano, incorporeo e inesistente. Un vivo tra i morti, un
immortale tra i vivi, vivo e immortale, ma morente dentro.
La tua ultima sfida, amore mio. Te
lo giuro, l’ultima.
Impassibile fino
all’ultimo, l’ultimo istante di sorpresa.
I
fantasmi lo accerchiano e lui scompare dietro quello schermo perlaceo, dopo
l’ultimo sguardo per lei.
Non una promessa, non coraggio, non
paura, niente. Lo sguardo vuoto e spaesato di chi non è preparato a quanto sta
accadendo, quello di un viaggiatore giunto di fronte ad un bivio imprevisto.
E più niente nell’abbraccio di chi, già morto ma che ancora insegue la
vita, ha condannato all’ennesimo dolore ed al loro stesso destino.
···
Apre gli
occhi e la foto è ancora lì, sul muro. Un po’ impolverata, forse, ma i sorrisi
splendenti sembrano combattere il buio della sera autunnale.
Che beffe si fa quella foto di te,
lei che sembra nella sua fissità vincere le tenebre che tu non hai saputo
sconfiggere.
Un’altra serata libera da passare così.
Al Dipartimento non le permettono ulteriori straordinari e la mandano a forza a
casa. C’è odio e amore per queste serate, la divisione fra il dolce far niente
e la mente libera pronta a riempirsi di quei ricordi che le fanno così male.
Quattro anni passati da quell’ultima sera, passati a
studiare, sì, ancora, e a fare del proprio meglio.
La migliore Auror
del dipartimento.
Quattro
anni passati ad inseguire il sogno di un vecchio amore, per sentirsi vicino a
lui ancora.
Anche se lui non c’è.
Diventare Auror.
Per te.
Una vita
dedicata, perché questa sorta di sacrificio lo riportasse indietro. Chissà in
che modo.
Come fiori posti su una tomba per
ricordare a nessuno e a se stessi che si continua a pensare.
Come preghiere perché la sua anima ti resti accanto e magari decida di tornare
indietro.
O forse solo per
tenerselo dentro sempre in qualche modo.
La scusa per andare avanti così
dopo la resa. Non tornerà ma si continua per questa via, non per lui, per me.
Come se quella bandiera bianca stesse sventolando, mentre è solo in mano ad un
soldato che vuole ancora combattere e non crede in questa sconfitta.
Mangiare
un’insalata e restare leggeri, mangiare scomposti.
Senza regole.
Perché non ama la scrivania e l’ordinario, non gli ordini.
Ma la libertà.
Cerca l’azione e continua a
sognare. Che ci siano altri orizzonti per lei, 20 anni e tanto da fare.
Se una vita era finita – no, perché dovrebbe, tornerà, sì – non lo era anche la
sua.
Eppure è così che sembra, che non ci sia
altro per me da sola.
Che si sia giunti all’ultima pagina della sua storia: non più pagine bianche da
riempire, solo una copertina rigida da chiudere e la parola “Fine” impressa su
di essa, nella più bella calligrafia.
Solo se neanche Harry c’è più.
Ma lui c’è.
Dopo
quattro anni, la mente ancora partorisce in automatico risposte piene di
speranza. Anche se, forse, il cuore ha capito e non si gonfia più di
commozione, ma viene trafitto da nuove schegge di vetro e trema sconvolto da
urla che si sentono solo dentro di lei.
···
Echi
lontani.
Voci di Serpeverde, Grifondoro,
Tassorosso e Corvonero,
bianche di bambini di un coro della chiesa.
Tutte uguali e armoniose, indistinte.
Come angeli del paradiso tra le
nuvole del cielo.
Nel bianco
accecante niente si distingue, se non se stessi.
Ma ormai neanche lei ha confini. Anche lei è un angelo o una bambina, anche lei
canta lo stesso lamento con gli altri, come una violista insieme al resto
dell’orchestra. Armonia.
Intonano tutti lo stesso canto, come da sempre.
Harry. Torna.
···
La
sveglia uno suono strano.
L’ha solo sognato il campanello o qualcuno ha davvero suonato? E’ ancora
stordita dallo strano sogno che ha fatto, e sono le quattro del mattino, chi
può essere?
Solo un nemico usa il favore di un orario
inusuale per colpire e trovare indifeso l’altro.
Stordita e insonnolita, ma comunque apre la porta.
Cos’è una porta se non l’ostacolo tra noi
ed un’opportunità che non vogliamo tenendola chiusa e continuando a percorrere
la via della banalità.
Un istinto ormai quello di aprire qualsiasi porta le capiti di fronte, e
scorgere almeno uno spiraglio di qualsiasi cosa possa attenderla, pronta.
Sempre pronta.
Forse non sempre.
···
Non pensa
a niente, in realtà.
I suoi pensieri come scritti da una mano
che impugna, leggera, una piuma mai intinta nell’inchiostro.
Vorrebbe
dire così tante cose, dovrebbe, dovrebbe pensarle, e parlare…
La porta spalancata. L’ostacolo verso il futuro ha aperto il varco verso la
luce, stavolta.
Harry.
La sua luce, lanterna per il viaggio dalla mente al cuore.
Che sia luminoso nella sua armatura scintillante o spento, chiuso nella
tristezza incisa dalla solitudine.
Forzata o cercata la solitudine è tristezza.
Io lo so, Harry.
Letto nei
suoi occhi il dolore, anche se come un’ombra indistinguibile dal resto del buio
che fa da padrone in quello sguardo e dietro di esso.
Che fa da padrone in quegli occhi spenti e non brillanti.
Quegli smeraldi lasciati incustoditi e
dimenticati in una stanza buia chiusa a chiave.
Impolverati e opachi.
Chissà se acceso una candela lì
accanto, filtrerebbero le stesse tonalità di un tempo.
Chissà se, vincendo la speranza nel cuore di lui, tornerà a splendere in tutta
la sua bellezza.
Il volto
scarno, un teschio appena velato da pelle che sembra trasparente.
Dove sono le guance piene e rosee?
Impossibile che una volta il rossore abbia colorato quegli zigomi.
La faccia ancora pulita, però, il corpo invece, coperto da vesti bagnate e poi
anche le guance, umide, per le lacrime. E la pioggia.
···
Forse se lo tocco svanirà.
Sono ancora lì,
ansanti come corridori di fronte ad un traguardo apparso come un miraggio nel
deserto per quanto distante, immobili come alberi spogli d’inverno.
Gelidi e gelati, dalla sorpresa,
l’impazienza, e non sanno cos’altro. Non c’è tempo per capirlo. A chi importa.
Articolare
una parola è la sfida più grande, semplicemente perché non esiste niente da
dire.
Di fronte ai loro occhi, qualcosa sognato così tante volte che, realizzandosi,
li sta lasciando così perplessi da apparire impossibile.
Perché non lo è. Non è possibile.
Non è reale il tocco delle sue dita sulla sua guancia. Leggero e delicato,
la carezza più lieve.
Non è un corpo vero quello che sta stringendo. Non il corpo di Lui.
Non
concreto il braccio che la stringe, immaginario quel profumo.
Ma se c’è qualcosa che può farle sentire
lui, qualcosa che significa solamente ‘Harry’, è quell’odore.
Caldo e familiare, dolce e a tratti aspro. A volte opprimente, come può esserlo
l’abbraccio di una persona dopo aver rischiato di perderla per sempre.
Asfissiante e rassicurante.
Il profumo di serate davanti al fuoco e pace sotto le fronde delle querce
maestose di Hogwarts.
In un unico profumo, tutta la sua essenza ed una certezza.
”Sei tu”.
···
Poche
parole, ma sguardi così profondi che sembrano colmare quei vuoti che erano
sembrati voragini.
Se anche non gli aveva mai detto che
dentro, per lui, aveva solo amore, poteva smettere di pentirsene.
Notti passate nel rimorso che corrode e trasforma in malattia fisica la follia
mentale. La follia di chi si ossessiona, e vive a ripetizione lo stesso istante
allo stesso modo, fino ad impazzire.
Non avergli parlato di quella passione così grande, dell’unica cosa che
contava. Lui.
Avergli nascosto ciò che era per lei più importante, mentendo.
A fin di bene, si era detta. Bugie “buone”, che in realtà sono solo medicine
che rendono incapaci di provare emozioni, lenzuola pesanti stese su macchie di
sangue e vomito, utili solo a nascondere e rovinare dentro. Consumare dentro.
Mentre fuori lo show continua.
Come se quei quattro anni fossero scomparsi, come se non ci fossero mai
stati.
Perché sono sempre loro due.
”Mesi passati a pensare a te, chiuso in una gabbia creata da me stesso”
Un leone che combatte contro sbarre così
fittizie che potrebbe abbatterle semplicemente volendo.
”Temere di tornare e non poterti avere, trovarti tra le braccia di qualcuno
o semplicemente non trovarti”
Paure che se, in qualche modo l’avesse
vista in quel periodo, non l’avrebbero mai sfiorato.
Una vergine fedele, vestita di
bianco, che passava il suo tempo ad ossessionarsi con lo spettro di un sorriso
eterno appeso contro un muro.
Guarda la foto,
ora, e sembra meno soddisfatto quel volto ritratto. E semplicemente non fa più
paura.
Quella paura che era come un tuono
fragoroso prima di un fulmine, che però non cadrà mai.
Gli
scivola accanto ad occhi chiusi.
Il suo volto sa come poggiarsi sul collo di lui e trovarsi perfettamente a suo
agio, il suo braccio gli circonda la nuca ed è tutto naturale e perfetto. Come se non ci fosse mai stato niente, se
non questo.
Tace Harry, tace.
Le dita si intrecciano, proprio come nella foto.
Loro due,
quattro anni prima, mano nella mano, in quella stessa Grimmauld
Place. Lei nascosta contro di lui nella stessa posizione. La stessa pace, lo stesso
benessere, lo stesso calore.
In quell’istante, in un altro passato, in un altro
futuro.
E cosa
manca d’altro?
C’è
persino il temporale fuori, di cui possono farsi beffe tenendosi stretti così.
Loro in equilibrio perfetto e fuori il caos ed il disordine che stordisce
amanti solitari nelle loro stanze vuote e scuote il mondo. E la pioggia.