« E’ una sventura non essere amati, ma è un affronto non esserlo più. »
Charles-Louis de Secondat
Per un giorno il cabròn si stancò dell’Appennino e si spostò verso nord. Come un bandito, Rovino Vargas se la svignò dalla tenuta Carriedo saltando il vecchio steccato per andare in giardino, pronto a rilassarsi un po’, come desiderava da quando Feliciano aveva messo piede in casa di quel pezzo di deficiente. All’arrivo del minore dei fratelli Vargas, le nuvole si erano aperte in una tendina di azzurro. Il canto un po’ stridulo dei merli echeggiava nell’aria insolitamente frizzante.
Che contorno fastidioso.
- Oh, Ita-chan! Guarda come sei diventato carino! -
Rovino era seduto in giardino, concentrato sull’assemblaggio di una vecchia lupara. Non appena lo spagnolo smise di ridere, cominciò a ponderare un modo per impallinarli uno ad uno. Bestiacce moleste quasi quanto il deficiente che si ostinava a tenerle in cattività nonostante coltivasse in quello stesso campo da almeno un secolo o giù di lì.
- Nulla a che vedere con quel musone di Lovinito, per fortuna! -
Rovino Vargas sentì l’improvvisa urgenza di caricare l’arma. Si chiese se lo spagnolo ci fosse o ci facesse, ma quasi subito si risolse con un’alzata di spalle.
Gli venne in mente una frase che aveva sentito da un bracconiere calabrese, particolarmente dedito alla caccia al lupo.
”Ogni attimo che passi a cercare di capire cosa pensino, è un’occasione che hai in meno per prendere la mira e sparare.”
Giusto.
Senza aspettare oltre, Rovino caricò l’arma e si diresse verso la tenuta. Niente uccelli. Affatto.
Per quel giorno si sarebbe dedicato soltanto alla caccia grossa.