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Autore: Ellens    24/03/2011    2 recensioni
L'ultima cosa che Beatriz fece, perché quella è davvero l'ultima della nostra vita, e se va bene, anche la più bella, fu farsi seppellire sotto il ciliegio che Javier, anni prima, aveva piantato per lei nel giardino dietro la loro piccola casa.
Quel giorno, il sole bruciava il cielo, squarciando quel fazzoletto azzurro solcato da rondini spensierate; i petali, che sembravano ricordare come Beatriz avesse vissuto una primavera eterna, profumavano l'aria pregna di tristezza.
I rami sembravano cantar tutti i racconti d'amore rubati alle stelle nelle notti d'estate, mentre le radici di quel ciliegio giuravano una protezione eterna a quel corpo, che non aveva saputo difendersi dalla vecchiaia di un'esistenza trascorsa tra l'odor del pane fatto in casa e delle crostate di ciliegie appena sfornate.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima cosa bella

 

 

 

La prima cosa bella

 

La prima cosa bella

che ho avuto dalla vita

è il tuo sorriso giovane sei tu

 

 

 

La prima cosa bella che Beatriz aveva visto nella sua vita, vuota come una scatola di biscotti contenente nient'altro che briciole, era stato un ciliegio in fiore.

Quel pomeriggio, in cui i suoi occhi incontrarono il rosa dei petali, il sole baciava ogni cosa trovasse a portata di mano e abbracciava ogni persona sembrasse bisognosa d'affetto.

La guancia vellutata della ragazza si fondeva perfettamente con la luce accecante della mattina inoltrata, tant'è che pareva che il suo sorriso fosse infinito come l'orizzonte.

 

Un pomeriggio di molti anni dopo, Beatriz Molinar camminava poco interessata per calle San Antonio, una delle traverse di calle de Las Ramblas, con l'aria di primavera che s'insinuava dolce fra le balze della sua gonna e le tasche della sua camicetta.

Ci volle poco perché i suoi occhi incontrassero l'infinito intrecciarsi dei rami del ciliegio, che parevano trattenere discorsi taciuti, regalati alle stelle affinché nessun'altro potesse udirli; discorsi che sapevano d'amore, o di libertà; discorsi tra i quali qualcuno poteva essere suo, appeso a uno di quei fiori rosa, traballante su un petalo un po' troppo inclinato, prossimo al cader a terra.

Beatriz ammirò come il sole s'insinuava fra i rami, sino a giungere ai suoi occhi; sarà stato che era forte, e un po' l'accecava, sarà stato che un ciliegio non lo vedeva da un po', che un po' d'umidità rapì le sue iridi color della pece.

- Le piacciono i ciliegi in fiore, signorina?- Bea si voltò di scatto, sussultando. V'era un uomo alle sue spalle, la camicia nei pantaloni e la cravatta ben appuntata al collo, sotto il colletto inamidato.

I capelli color del fieno erano portati al lato, obbedienti al pettine, e ondeggiavano al movimento del vento che quel pomeriggio soffiava annoiato fra i cespugli della cittadina.

Bea, un po' imbarazzata, sorrise, scrollando le spalle; era che, negli anni sessanta, non molti uomini sulla trentina usavano rivolgere la parola alle ragazze; non per chieder loro dei fiori, per lo meno.

- Sono un po' poesia, non trova?- continuò lui, deciso ad intavolare una conversazione.

- Son fiori- balbettò lei, che l'imbarazzo non l'aveva mai saputo tener a bada.

- Appunto. Viene spesso qui?- le aveva sorriso amichevole. Non doveva aver più di trentadue anni, che per Bea erano davvero troppi, tant'è che pareva lontano chilometri dai suoi ventitré, stampati su una carta d'identità, appiattita nel portafoglio.

Non doveva neanche esser tanto bello, oltretutto. Ma aveva quell'aria felice e spensierata che a Bea andava proprio a genio.

- Oh, abito dall'altra parte della città, vengo qui solo quando son di passaggio- e gli donò un sorriso; uno dei suoi, che si fondevano con l'orizzonte arancione.

- Posso chiederle come si chiama?- l'uomo si sfilò la giacca, perché probabilmente stava sudando sotto quel sole che sembrava prepotente, dopo un inverno gelido come quello di quell'anno.

- Beatriz. Mi chiamo Beatriz Molinar-

- Io sono Javier Morales- e anche lui tentò di regalarle un sorriso sghembo, che di certo non poteva competere con quello della ragazza, ma che le piacque comunque - Lo vuole un caffè, Beatriz?- le propose infine.

Bea sorrise a labbra serrate, perché il caffè proprio non le piaceva - Sì, mi andrebbe proprio- acconsentì in fine.

La sofferenza era il prezzo della compagnia, forse.

 

 

La prima cosa bella che Beatriz fece, sotto un albero di ciliegio in fiore, fu quella di sposarsi.

Aveva sempre sognato un abito color avorio, nel pieno della primavera, che s'illuminava al sole, in un prato verde smeraldo, tra i petali di un ciliegio che le auguravano un bel futuro.

La verità era che aveva combattuto contro la madre, il padre e i suoceri, che non volevano veder quella fanciulla sposa sotto uno sciocco albero.

La verità era che tutto il paese l'aveva guardata un po' storto, quella mattina in cui, col padre sottobraccio, aveva camminato per le strade e le viuzze che da piccola avevano acchiappato le sue urla divertite, e che quel giorno gliele restituivano, come regalo di matrimonio.

Ma a Bea poco importava, poiché Javier era lì, che l'aspettava sotto il loro albero, con il sorriso sghembo che gli donava tanto, anche se alla madre di lei proprio non piaceva.

Aveva detto un sì pregno di felicità, Beatriz, all'ombra di quel ciliegio; e i petali, che tanto avevano volato al vento, in quel sì balbettato avevano trovato la vita.

Javier le aveva preso il viso tra le mani sicure e le aveva posato un bacio sulle labbra, quasi avesse paura che da loro uscisse qualche altra parola, e avesse deciso di raccoglierla e rinchiuderla nella sua bocca.

 

Beatriz portò tutti i suoi figli, che furono ben tre, due maschietti e una femminuccia, a far vedere ogni pomeriggio l'albero più bello della cittadina.

E loro, che come prima cosa bella avevano visto la madre, non volevano credere che quei rametti messi in croce fossero alla pari di Bea.

Lei, col sorriso che sapeva di fragole, accarezzava i loro riccioli color fieno, sussurrando loro che se la prima cosa bella della sua vita era stato quell'albero, loro erano i primi angeli caduti dal cielo.

 

L'ultima cosa che Beatriz fece, perché quella è davvero l'ultima della nostra vita, e se va bene, anche la più bella, fu farsi seppellire sotto il ciliegio che Javier, anni prima, aveva piantato per lei nel giardino dietro la loro piccola casa.

Quel giorno, il sole bruciava il cielo, squarciando quel fazzoletto azzurro solcato da rondini spensierate; i petali, che sembravano ricordare come Beatriz avesse vissuto una primavera eterna, profumavano l'aria pregna di tristezza.

I rami sembravano cantar tutti i racconti d'amore rubati alle stelle nelle notti d'estate, mentre le radici di quel ciliegio giuravano una protezione eterna a quel corpo, che non aveva saputo difendersi dalla vecchiaia di un'esistenza trascorsa tra l'odor del pane fatto in casa e delle crostate di ciliegie appena sfornate.

Il mondo sembrava sorridere a Beatriz, che di sorrisi la sapeva lunga, e lei, dall'alto di quei petali color rosa, sembrava sorridere di rimando al mondo, perché la prima cosa bella che aveva avuto, l'aveva accompagnata dalle radici della vita fino ai rami più alti, che si scioglievano nel cielo, nel punto esatto in cui Bea scompariva e nasceva l'amore.

 

 

 

 

Non so cosa sia, ma mi piace.

E' raro che mi piaccia qualcosa, ma ci ho messo un po' di cuore.

Inizialmente avevo pensato di farne un racconto romantico, ma ora che la rileggo di romantico ha tutto e niente, poiché volevo far di Beatriz l'amore puro, e forse lei non è stato solo questo; quindi ho deciso di postarla tra le generali, perché in generale questa storia è tutto, ma è niente.

Spero vi piaccia, perché ci ho messo un po' del mio cuore.

Un bacio

 

~Ellens

 

 

 

   
 
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