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Autore: A Dream Called Death    25/03/2011    2 recensioni
< Pensi a lei qualche volta? > chiese poi.
< In continuazione > risposi.
Mi alzai dallo sgabello.
Lui mi fissò, incuriosito.
< E come faccio a sapere che con lei al mio fianco tornerò a vivere? Può essere l'anestetico al dolore? > chiesi.
< Lei non è l'anestetico al tuo dolore... Ma potrebbe essere la cura definitiva. >
Anno 2006.
Il tour mondiale di American Idiot è stato appena cancellato ed i Green Day tornano in America dopo tre mesi dalla partenza.
Ma qualcosa è cambiato, fuori e dentro il gruppo.
Per Billie Joe Armstrong lo scontro con le ombre del passato non è mai finito.
I pensieri, i dubbi e le insicurezze di un uomo che deve fare i conti con se stesso: una vita spesa per la musica e per la propria band, ma anche colma di bugie e alcol, nemico ed amico da sempre del protagonista, unico rimedio al dolore ed alla rassegnazione.
Ma un incontro lo sconvolge, mescola i pezzi del puzzle della sua vita, lo mette di fronte alla cruda realtà: non si può fingere per sempre, si deve trovare il coraggio di prendere la decisione più difficile di tutte... Essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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Oddio.
Questo fu quello che pensai non appena la vidi.
Seduta lì, sopra quel cesso, con la testa in avanti e lo sguardo
pallido di chi sta per passare a miglior vita.
Le mani...
Le gambe piegate, senza forze, sembravano non fare
nemmeno parte di quel corpo.
Ed io la guardai, quel cadavere che cadavere non era.
Ma molto ci assomigliava.
La guardai e per la prima volta nella mia vita, l'amaro senso del
degrado mi fece venire voglia di ucciderla.
Ucciderla, sì, bastava così poco per ucciderla.
Premerle con lieve forza le mani intorno al collo?
Tapparle naso e bocca contemporaneamente?
Non avrebbe avuto nemmeno la forza di lottare, poverina.
Ed io...
Io non avevo nemmeno la forza per parlare.
Ucciderla, perchè non aveva senso che tutto quel dolore se la
mangiasse viva.
No.
Entrai, contro di lei.
Le tirai su la testa: gli occhi erano chiusi, pareva in stato di coma.
Ma morta non era, anzi.
Aprì gli occhi e si lasciò cadere tra le mie braccia.
-Da quanto non mangi?- chiesi, serio.
Ma lei non rispose, le braccia le scivolarono giù e da
quell'affanno non si riprese.
-Jane, rispondi! Cazzo!- urlai, scostandola.
Lei sospirò ed alzò lo sguardo verso di me.
-Parla- la implorai, nuovamente, scuotendola.
Lei mosse piano le labbra.
Ma non ne fece uscire nemmeno un suono.
Richiuse gli occhi e si lasciò andare nuovamente.
-Jane, guardami! Guardami, cazzo!- ribattei, girandole il viso verso me.
La guardai negli occhi.
Nonostante il suo sforzo, nonostante fosse moribonda, stanza,
straziata, i suoi occhi non erano altro che il riflesso della resistenza
ad un destino già segnato in precedenza, da molto tempo.
Anzi, da sempre.
Nonostante lei si stesse sgretolando lentamente, si fosse ridotta ad un
poco o niente, i suoi occhi la dicevano lunga.
La tirai su nuovamente, le alzai le braccia, la testa, la scossi ancora.
Quegli occhi lugubri, continuarono a fissarmi.
Allucinati, come se chiedessero pietà.
Allora la presi, riuscii ad alzarla.
Aprii la porta e, sotto lo sguardo allibito delle persone lì in mezzo a noi,
la portai fuori dal suo luogo di morte.
Scostai le persone, urlando, scalpitando, con fatica riuscii ad uscire.
Percorsi un pezzo di strada lungo poco meno di dieci metri... ma a me
parvero cento chilometri, con il suo corpo tra le braccia, mentre la
pioggia folle si abbatteva su di noi.
Ed alla fine, cedetti.
Mi buttai a terra, chiedendo aiuto ma nessuno di avvicinò a noi.
Nessuno.
Rimasi lì, con lei, sotto la pioggia battente.
Soli.
Non abbandonarmi, Jane.
No, ti prego.
Non farlo.
Lei alzò gli occhi al cielo.
Il suo viso, gelido, bagnato dalle gocce di pioggia ora andava via via appassendo.
Ed io non potevo fare nulla, impotente com'ero.
Nulla potevo fare se non chiederle di non lasciarmi, ancora.
Gridarle di non lasciarmi ancora.
E ringraziai non so chi, non so quale divinità ( ammesso che ne esista qualcuna)
non so quale anima buona che quel giorno decise di non portarmela via, di
non strapparmela dalle braccia.
Il suo viso si riprese, tornò un leggero colorito roseo sulle sue guancie.
-Uccidimi, Billie- mi disse, respirando ad ogni parola.
-No...No... Come puoi chiedermi una cosa del genere, Jane? Dammi tu la forza
per farlo! Aiutami, dammela questa maledetta forza per ucciderti!- urlai,
premendo la fronte contro il suo viso.
Lei rabbrividì.
-Perchè? Perchè?- domandai.
Alzai la testa.
-Perchè... Tu sei l'unica cosa che io amo in questa vita- disse, chiudendo
gli occhi, nascosti da lacrime nuove.
Billie.
Sai cosa significa perdersi?
Sai cosa vuol dire amore, la conosci questa parola o ti è nuova?
Sai cosa vuol dire morire ascoltando solo poche parole?
Il cuore si apre.
Misteriosamente, si apre: respira, si libera, vuole amare.
Ha un disperato bisogno d'amare.
E quando sa di essere amato a sua volta, quando ha la certezza che dall'altra
parte ce ne sia uno d'uguale pronto a combattere, beh... farà tutto
ciò che è in suo potere pur di appartenergli.
E quando ci riuscirà, quando tutto questo potrà dirsi compiuto, allora questo
cuore inizierà a guarire.
E proprio ora, anche il tuo sbatte le ali.
Ma tu continui a piangere.
Ancora più forte, la tua disperazione si apre, si fa avanti.
E se ne va da quella porta.
La baci, Jane... e ti sembra di rivivere un passato, un presente ed un futuro,
assieme alle mille vite che sai di non aver mai vissuto.
Ma te ne basta una.
Solo una, accanto a lei.



Ecco il nuovo capitolo della storia.

Il nuovo incontro di Billie e Jane...
Spero di aggiornare ancora questa settimana.
Un saluto a tutti, in particolare alle lettrici della storia.








   
 
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