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Autore: hotaru    25/03/2011    4 recensioni
Prequel de “Die Uhr- L'orologio”
“Mio zio costruisce carillon per passione, non per lavoro” precisò Win “Pensate che ne aveva addirittura fatto uno per mia zia, quando erano fidanzati. E' di sicuro nascosto da qualche parte: la zia Eliza lo custodisce come una reliquia."
Storia di un carillon: come nacque, a cosa portò, come fu perso e poi ritrovato.
[Rod/Liza, a chi ha orecchie per intendere]
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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4- Faville in musica Faville in musica


"Oh, e trovati una moglie!"

(Maes Hughes, episodio 25)


Come si poteva chiamare quello che stavano facendo?
Il rumore dei pensieri di Eliza era sovrastato da quello della macchina da cucire, precisa e instancabile come lei.
Quando tolse la stoffa da sotto l'ago, per controllare la cucitura, anche i suoi pensieri si fecero più silenziosi e distesi. Amicizia, ecco come si poteva chiamare. Forse un po' diversa da quella che li aveva uniti anni prima, ma in fondo erano diversi loro stessi.
Eliza sospirò piano, un sospiro che rimase fra lei e l'ago che teneva in mano per sistemare gli ultimi punti, il quale si appannò leggermente a contatto col suo fiato. Era quello che aveva sempre voluto, no? … no?
Mise un po' troppa forza nell'ago, che andò a cozzare contro l'altra mano sotto la stoffa; se non avesse avuto il ditale si sarebbe sicuramente punta. Sfregò con il pollice quella piccola corazza bucherellata, che proteggeva la carne delicata del dito.
… non si poteva certo chiamare “corteggiamento”.
Eliza strinse le labbra, che divennero ancora più pallide: come si costruiva un ditale per l'anima?


Prima ancora che facesse di sì con la testa o dicesse qualcosa, Eliza seppe che l'avrebbe accompagnata anche quella volta. Era bastato un guizzo negli occhi, il mutare impercettibile dell'espressione del viso, ed era come se avesse udito la sua risposta.
Gli occhi allenati ai punti più minuti le permettevano di notare spesso particolari a cui la gente non faceva nemmeno caso; particolari fondamentali, che decidevano il corso di una vita e il destino di una persona. La sarta presso cui era apprendista le aveva consigliato di usare degli occhiali, mentre cuciva: non perché ne avesse bisogno, ma per far riposare gli occhi e non sforzarli troppo. “Meglio cominciare ad usarli prima, che averne seriamente bisogno poi”, aveva detto.
Così, quegli stessi occhi che sul lavoro non dovevano sforzarsi più di tanto, avevano iniziato a vedere ancora meglio i dettagli del mondo intorno a loro; i minuscoli punti lungo le cuciture invisibili che tenevano unite tutte le cose.
Il problema era che, nella realtà del mondo, un bottone perduto non si poteva riattaccare; un vuoto lasciato da qualcuno non si poteva rammendare; e non bastavano ago e filo per rattoppare uno strappo tra le persone.
- Cos'ha la mia giacca che non va? Perché la fissi tanto? - Rod si guardò da ogni parte, ma non trovò il minimo difetto nell'abito che indossava al lavoro – Non ci sono bottoni staccati, stavolta -.
Eliza alzò lo sguardo, meditabonda, riscuotendosi dalle metafore sartoriali con cui ogni tanto ragionava sul mondo.
- Appunto, è fin troppo bella: se pensi di darmi una mano vestito così, finirai per rovinarla – la valutò, con occhio esperto – Forse dovresti andare a cambiarti -.
Rod faticò a reprimere un sorrisetto, trattenendosi a malapena dall'osservare che quello sembrava proprio il commento di una mogliettina. Ma Eliza avrebbe potuto rispondergli che poteva anche essere quello di una madre, e quel paragone proprio non gli andava.
- D'accordo, facciamo tappa a casa mia. Visto che hai intenzione di obbligarmi ai lavori pesanti... -.
Eliza non replicò: gli aveva detto mille volte che poteva anche arrangiarsi, ma era lui ad aver insistito, perciò non aveva niente di cui lamentarsi.
- Abiti ancora dai tuoi? -.
- Vuoi scherzare? - Rod fece una smorfia che le ricordò fin troppo il ragazzino di una manciata di anni prima – Sono scappato di casa appena ho potuto, per sfuggire alle grinfie di mia madre -.
Eliza si ritrovò a sorridere: aveva quasi dimenticato lo strano rapporto che c'era tra Rod e sua madre, più simile a quello tra sottoposto e sadico comandante dell'esercito che a quello tra figlio e genitore. Lei abitava per conto suo per necessità, ormai. Ma se una famiglia l'avesse ancora avuta...
- Vivo con mia nonna -.
Eliza si arrestò all'istante, bloccandosi sul marciapiede, certa di aver capito male.
- Che cosa? Tua nonna? - articolò, allibita.
- Sì, ci teniamo compagnia – rispose tranquillamente Rod – Ci siamo sempre intesi bene -.
- E' la madre di tuo padre, allora? -.
- No – ricambiò l'occhiata perplessa che Eliza gli lanciò – Ah, non chiedermelo: da dove sia uscito un colonnello del genere, non l'ha mai capito nessuno -.
Eliza si mise a ridere:
- Magari è una caratteristica che si presenta a generazioni alterne, chi lo sa -.
Non le parve di aver detto niente di tanto sconvolgente, almeno finché Rod non la guardò con l'aria di chi viene costretto ad inghiottire un topo morto.
- Che c'è? -.
- Vuoi dire che... che i miei figli potrebbero... venire fuori così? -.
- Beh, tecnicamente c'è la possibilità che somiglino anche alla... nonna, sì. E' normale -.
- No, non c'è niente di normale! E' un sistema perverso, ecco cosa! -.
- Ma non è detto che... -.
- Senti, ho cambiato idea – Rod si voltò e fece marcia indietro, tanto all'improvviso che Eliza dovette quasi corrergli dietro – Non ho voglia di cambiarmi, è meglio che prenda al più presto in mano una scopa! -.
Se era così pieno di energia, in effetti un po' di pulizie avrebbero potuto calmarlo, rifletté lei. Così non replicò e lo seguì, dirigendosi verso casa Hochwald- anche se lo sarebbe stata ancora per poco, si augurava Eliza.


Quel giorno lavorarono di ramazza per parecchio tempo, riuscendo a risistemare l'intera cucina e un'altra stanza, che si rivelarono davvero in buono stato. Rod sfogò tutta l'ansia relativa ai propri geni, tanto che alla fine si sentì quasi prosciugato di ogni energia.
- Sei stanco? - gli chiese Eliza, vedendolo praticamente sdraiato su una sedia.
- Io? Certo che no. Guarda che ne faccio, di ginnastica -.
- Ma non lavori in una biblioteca? - obiettò Eliza.
- È enorme – replicò lui con aria offesa – Ci sono dei tomi che arrivano a pesare due chili, e non ti dico quante scale faccio ogni giorno per arrampicarmi sugli scaffali. Dovrebbero classificarlo come lavoro pesante -.
Eliza pensò che se fosse scoppiata a ridere si sarebbe offeso per davvero: per quanto teatrali, le sue lamentele sembravano sempre serie.
- E il tuo lavoro com'è, invece? - Rod dimenticò per un istante i propri guai, rivolgendosi a lei.
- Faccio la sarta, te l'ho detto. Cioè, in realtà sarei ancora apprendista, ma non mi manca molto per... -.
- E ti piace? - Rod aggrottò la fronte, ricordando gli episodi d'infanzia che avevano avuto a che fare con ago e filo – Beh, sì, mi ricordo che ti piaceva anche da piccola, ma un lavoro è una cosa diversa -.
- Non dico che non sia duro – ammise Eliza, pensando a quante notti le toccasse stare alzata fino a tardi per finire un abito che non poteva assolutamente essere rimandato – O faticoso, ma... dà un'enorme soddisfazione -.
Le venne in mente una cosa, e sul volto le si aprì un gran sorriso.
- Tu puoi capirmi: hai detto che i carillon li costruisci ancora, no? Capita spesso che debba rammendare o accomodare vestiti, ma quando cucio un abito dal nulla... cioè, partendo da semplici stoffe, è semplicemente... non lo so – si guardò le mani, e solo in quel momento Rod notò dei piccoli calli a cui non aveva mai fatto caso, provocati probabilmente dall'uso indefesso dell'ago – Mio padre diceva che solo Dio può creare, ma credo che a volte l'uomo ci vada molto vicino -.
Era la prima volta che la sentiva parlare spontaneamente del padre, e Rod fu sorpreso del tono dolce che aveva usato. Eliza ricambiò lo sguardo, con un sorriso triste.
- Gli volevo bene, sai. Mia madre se n'era andata, ma lui era rimasto con me – si guardò attorno, nella cucina che sembrava più viva adesso di quando ci abitava – Eppure ho l'impressione che ci si fosse seppellito vivo, qui dentro e fra i suoi libri, ricordandosi solo a volte che esistevo anch'io -.
Rod taceva, ancora immobile sulla sedia.
- A pensarci adesso, forse è vero che non... non stava bene, ma... - Eliza si fece pensierosa, frugando in ricordi a cui aveva cercato di non pensare tanto a lungo – ... ma ho sempre avuto la sensazione che stesse cercando qualcosa, qualcosa che forse conosceva solo lui -.
Dopo un sospiro di Eliza e qualche istante di silenzio, Rod mormorò come fra sé:
- Chissà... forse alla fine l'aveva trovato -.
Eliza scosse piano la testa, mettendo da parte quei ricordi senza capo né coda né spiegazione alcuna, concludendo decisa:
- La prossima volta tocca alla sua stanza -.


Fedele al proprio proposito, la volta successiva Eliza aprì risoluta quella porta che era stata chiusa tanti anni prima e mai riaperta. Ma varcata la soglia si bloccò, come se all'improvviso le fosse mancato il respiro. Rod la spinse gentilmente un po' avanti, per passare e avvicinarsi alla scrivania, ancora ingombra di carte ormai dello stesso colore della polvere.
- Se nessuno le ha mai toccate, allora sono le ultime ricerche che ha fatto – ragionò, raccogliendo alcuni fogli e cercando di capire di cosa trattassero.
... era lì, era lì, era proprio lì. Schwarz Hayah gli aveva spinto una gamba con il muso un paio di volte, ma lui non stava dormendo.
- Non ci capisco niente – ammise Rod, e dire che di manoscritti ermetici ne aveva avuti fra le mani parecchi.
Da come stava con la testa sulla scrivania, sembrava che quella notte non avesse nemmeno toccato il letto. Come tante altre, a dire il vero. La luce entrava opaca dalla finestra, sui capelli biondi del suo stesso colore, e solo in quel momento si era resa conto che non si muoveva. E dire che in quel periodo aveva un leggero raffreddore, per cui il respiro un po' pesante si sarebbe dovuto udire bene nel silenzio di quella mattina.
- Papà? -.
Eliza respirò profondamente, poi si avvicinò alla scrivania dove Rod stava cercando di decifrare gli appunti di suo padre. Non che lei ne sapesse di più, ma forse poteva capirci qualcosa.
Fece istintivamente per sedersi, ma all'ultimo momento si drizzò in piedi, sistemando nervosamente la sedia sotto il tavolo. Nessuno si sarebbe più seduto lì. Nessuno.
- Ehi, Liza – Rod le mise una mano sulla spalla, stringendo un po' – Calmati. È solo una sedia, ormai -.
- Già – ormai. Era passato tanto tempo, e lei era diventata adulta.
- Di' un po', tu ci capisci qualcosa? - Rod le mostrò i fogli che teneva in mano e aveva cercato inutilmente di riordinare. Eliza li lesse con attenzione, corrugando la fronte: gli appunti erano in yiddish e ovviamente riusciva a leggerli, ma da qui a capirli...
- "Circolazione dell'energia" – lesse, chiedendosi se quel mucchio di parole che sembravano scritte a caso potesse davvero avere senso compiuto – "Energia che scorre... in cerchio"? Ma che significa? -.
Rod alzò le sopracciglia, con un'occhiata eloquente.
- Se non lo sai tu... -.
- "Flusso che si può incanalare"... "Scomposizione e ricomposizione degli elementi"... – seguitò a leggere Eliza, scuotendo poi la testa – Detto così potrebbe sembrare che parli di chimica, ma... che c'entrano i cerchi? -.
- Ho idea che le ricerche di tuo padre resteranno un mistero – fece Rod – Ma forse è meglio così -.
Eliza annuì.
- Sì – mormorò in un sospiro, per poi raccogliere i fogli alla rinfusa e sistemarli in una pila ordinata sulla scrivania – Forza, occupiamoci di questa stanza. Puoi aprire la finestra, per favore? -.

Dopo una mezz'ora che lavoravano di buona lena, Eliza si appoggiò alla scopa che teneva in mano, lanciando un'occhiata a Rod.
- Senti, posso farti una domanda? - fece, dubbiosa – Ma tu che ci fai qui? -.
- Ti sto... aiutando? - rispose lui, perplesso, mostrandole lo straccio che teneva in mano a mo' di prova. Nessuna donna, a volte nemmeno sua madre, era mai riuscita a fargli fare le pulizie in quel modo.
- No, volevo dire... c'è una guerra in corso. I giovani della nostra età sono praticamente tutti al fronte – osservò Eliza – A morire non si sa per cosa, ma lasciamo perdere -.
- Ah, sì... io sono stato riformato – la informò Rod, passando lo straccio su un alone simile ad un'aurora boreale su vetro.
Lei lo squadrò da capo a piedi con un'occhiata: a parte una certa tendenza alla pigrizia più sfrenata, era il ritratto della salute e della mancanza di preoccupazioni.
- Ti hanno riformato o ti sei fatto riformare? - indagò.
Rod si strinse nelle spalle, come se la risposta non la sapesse nemmeno lui.
- Chi lo sa... - disse infatti, per poi farsi improvvisamente più serio – No, a te posso dirlo: ti ricordi di Von Armstark, l'orologiaio? Beh, ha ancora i suoi contatti -.
Tacque un momento, rimanendo in attesa di una qualche reazione sul volto di Eliza, guardandola dritto negli occhi.
- Trovi che sia un vigliacco? -.
- Non lo so – rispose lei, scrollando le spalle – Dipende: perché l'hai fatto? -.
- Perché non ho nessuna intenzione di uccidere. O farmi uccidere – rispose sinceramente, senza tanti giri di parole.
- La trovo un'ottima ragione – replicò Eliza, riprendendo a lavorare di ramazza.
Dopo un intenso pomeriggio di lavoro, il grosso era stato fatto. Eliza si riavviò i capelli un po' spettinati, raccolti come sempre sulla nuca; erano pieni di polvere e sudore, ma tanto a lui i capelli biondi non piacevano comunque.
- Ah, non te l'ho ancora detto: mi ha contattato un signore interessato alla casa. Gli ho assicurato che potrà venire a vederla non appena sarà... presentabile – sorrise soddisfatta, lasciando perdere i capelli – Manca poco, ormai -.
- Già – Rod si lasciò cadere sulla solita sedia in cucina, con un'espressione sofferente dipinta in volto – Mi credi se ti dico che non ho mai lavorato così in vita mia? -.
- Non avevi detto che quello di bibliotecario dovrebbe essere classificato come lavoro pesante? - rise Eliza.
- Ma tu ricordi tutto quello che dico? - sbuffò lui.
- Non ci vuole molto, basta ascoltare – replicò lei, richiudendo le finestre dopo aver fatto prendere aria anche a quella stanza.
Rimase ad osservarla mentre chiudeva anche le imposte, riportando la casa al buio forse per le ultime volte, per poi alzarsi e andare ad aspettarla nell'ingresso.
Ormai era pronto, e la prossima volta gliel'avrebbe dato proprio lì; chissà che non la aiutasse a fare definitivamente pace con quel posto.


- Devi andare da qualche parte? - chiese Eliza, notando la borsa che Rod aveva con sé.
- Oh, no. È una cosa che devo dare a una persona – rispose allegramente lui, facendole stringere inconsciamente le labbra. Ormai la casa era quasi a posto, e fra poco non avrebbero più avuto motivo di passare tanto tempo insieme. Quel beffardo gioco del destino la fece sorridere amaramente: a tanti anni di distanza, stava succedendo tutto come l'altra volta.
- Mancano solo un paio di stanze, no? - continuò Rod, che quel giorno sembrava stranamente su di giri. Eliza non poté fare a meno di chiedersi con chi dovesse incontrarsi una volta sistemate le due stanze, ma scosse subito la testa, rimproverandosi mentalmente: non erano affari suoi. Avrebbe fatto meglio a smetterla.
Ormai erano arrivati, e nell'aprire la porta Eliza tornò ai pensieri pratici.
- Dopo voglio anche provare ad accendere la stufa, per vedere se funziona – disse – Non dovrebbero esserci problemi, ma è meglio controllare, anche se è primavera -.
Rod annuì, entrando e chiudendo la porta.
- Liza – la chiamò, mentre lei stava già andando a recuperare stracci e scope. Eliza si voltò, e lui le porse la borsa – Ecco -.
La prese senza pensarci, chiedendosi che cosa dovesse farci.
- Vuoi che te la metta al sicuro? - chiese, maneggiandola con cautela – La appoggio in cucina, sul tavolo -.
Stava già per voltarsi, quando la voce sorpresa di Rod la bloccò.
- No, no, che hai capito? - fu quando lui si passò una mano fra i capelli, sparandoli in tutte le direzioni, che la colse il dubbio. Guardò la borsa che teneva in mano, dentro la quale doveva esserci qualcosa di abbastanza pesante e rettangolare. Sembrava una scatola – È per te -.
Lo osservò per un istante, prima di riportare lo sguardo sulla borsa e aprirla piano. Sì, quello che c'era dentro era proprio una scatola, una scatola di legno.
Quando la tirò fuori, all'improvviso la vide per ciò che era veramente: un regalo. Per lei. Non ricordava l'ultima volta che aveva ricevuto una cosa del genere. Certo, per l'ultimo compleanno le avevano regalato un abito nuovo, pratico e sobrio, ma un oggetto così prezioso... sembrava troppo bello per essere vero.
Sul coperchio, in una cornice di legno, era incastonata una sottile piastra di metallo argentato, intarsiata a fiori: fiori inconfondibili, piccoli e simili a margherite, ma col capolino più alto e i petali disposti intorno a mo' di gonna.
- Vedi? Niente mazzi di verdure – commentò Rod, con un malcelato sorriso di soddisfazione nel vedere la meraviglia di Eliza.
- Non mi dire che l'hai fatto tu – mormorò lei, passando le dita sul fine intarsio.
- Potrei prendermi il merito, ma no: un amico che fa l'orefice mi doveva un favore – accennò al coperchio – Ecco il favore -.
Eliza sorrise, aprendo quello che credeva ormai essere un portagioie: e sgranò bocca e occhi quando dalla scatola si udì uscire una melodia, dolce e pacata come il sole a primavera. (¹) Una musica che le rievocava ricordi che non aveva, ma era come se ci fossero stati.
E solo in quel momento notò la parte interna del coperchio alzato: il legno era stato dipinto da mano esperta, a rappresentare una scena alquanto bizzarra. Un cane bianco e nero davanti alla porta di una casa, con un fiume che scorreva sullo sfondo.
- Ah, vedi quei fili dorati nell'azzurro dell'acqua? - fece Rod, che le si era avvicinato – Non sono oro, se è questo che pensi -.
- Sì, l'avevo capito – sorrise Eliza con aria complice – Un favore anche questo? -.
- Un giudice che frequenta la biblioteca e si diletta di pittura – rispose lui.
- E questa nuvola cos'è? - chiese Eliza, indicando una nube scura che usciva da una finestra della casa, osservandola incuriosita – Sarebbe in arrivo un temporale? -.
- È fumo – le rivelò Rod – Indovina provocato da chi -.
Eliza soppresse una risata, perché quel mosaico di ricordi mescolati in un quadretto bizzarro era quanto di più dolce avesse mai visto. Le parti migliori della sua infanzia.
- È... bello – mormorò, non trovando altre parole.
- Certo che è bello – ribatté Rod, fingendo di essere stato punto sul vivo – L'ho fatto io -.
- A me sembra che tu abbia messo al lavoro un sacco di gente, invece – replicò lei.
- Ma tutto il resto l'ho costruito io. Guarda qui – nel vano che fungeva da portagioie, accanto al piccolo scomparto che nascondeva il meccanismo sembrava ci fosse soltanto legno coperto da velluto leggero. Ma quando Rod vi premette leggermente, rivelò una piccola cavità nascosta, di pochi centimetri quadrati – Von Armstark mi ha insegnato a costruire anche gli scomparti segreti, pensa un po' -.
Eliza, piena di stupore, rispose soltanto:
- Però credo non ci stia nemmeno un ago, lì dentro -.
- Troverai qualcosa da metterci – disse sicuro lui.
- Beh... grazie – non riusciva ancora a crederci. Quella meraviglia era davvero per lei? C'era scritto che era sua in ogni particolare, dalla decorazione di camomilla sul coperchio a quella dipinta all'interno, per non parlare della melodia – Non mi sarei mai aspettata niente del genere -.
- Appunto, non sarebbe stata una sorpresa – replicò Rod, estremamente contento di averla colpita così tanto.
- Non dovevi – Eliza scosse la testa, sorridendogli come per scusarsi – Pensare che ti sto facendo anche lavorare... -.
- Per l'appunto, diamoci una mossa – si sentiva all'improvviso pieno di energia – Quelle stanze non si puliscono mica da sole! -.
Mentre lui si dirigeva verso le camere da sistemare, dimenticando scope e stracci, Eliza si prese un momento per rimirare ancora il suo regalo. Accarezzò l'intarsio sul coperchio, sorrise al cagnolino dipinto e caricò un po' la melodia con la chiave che spuntava dal fondo del carillon. L'avrebbe custodito come un tesoro, perché quello era. Maneggiandolo con estrema attenzione, lo portò al sicuro in cucina.

Dopo un po' che lavoravano di ramazza, in una stanza che si stava rivelando più sporca di tutte le altre messe insieme, Eliza pensò che sarebbe servito qualche altro straccio pulito.
- Senti, faccio un salto nella stanza dove sto a prenderne qualcuno. Dovrei fare in fretta, ma nel frattempo perché non provi ad accendere la stufa? - propose, accennando alla camera accanto – Legna ce n'è ancora, per cui non dovresti avere problemi -.
Mentre lo disse era chinata su un secchio a risciacquare un ultimo straccio nell'acqua ormai lurida, e non vide la faccia che fece Rod. Il quale provvide a cancellare quell'espressione non appena lei si voltò a guardarlo.
- Certo – assicurò – Ci penso io -.

Allora, un po' di legna nella stufa l'aveva già infilata: pezzi piccoli, come gli aveva detto Eliza l'ultima volta. Anzi, come gli aveva detto Elias, in realtà. Fiammiferi ce n'erano, ma gli serviva un po' di carta per avviare la combustione. Eliza era già uscita da alcuni minuti, perciò doveva cercarsela da solo.
In quella stanza non ce n'era, e nemmeno in quelle accanto, già pulite e riordinate in precedenza. All'improvviso si ricordò della camera del signor Hochwald, con la scrivania ingombra di fogli indecifrabili. Vi entrò, e infatti eccoli lì: risme di carte piene di strani disegni, cerchi e simboli. Non erano solo gli appunti in yiddish a rendergli quei fogli incomprensibili: tutti quei simboli, quegli ermetici disegni sembravano... beh, cose di un altro mondo.
Li raccolse tutti, in un pacco voluminoso di fogli che ormai più nessuno era in grado di comprendere. Era certo che Liza non avrebbe avuto niente da ridire.

- L'hai fatto apposta – disse Eliza, incredula, quando tornò con un mucchio di stracci sottobraccio.  
- Se stai parlando con la stufa, hai perfettamente ragione – replicò Rod risentito – È lei che lo fa apposta -.
Eliza tacque un momento, cercando di capire se stesse davvero dando la colpa ad un affare in maiolica non esattamente dotato di vita propria, o se fosse tutta una messa in scena. Optò per la seconda. Forse.
- È uno scherzo idiota – decretò infine.
- Senti, anch'io mi ricordo quello che dici! - replicò Rod esasperato, lanciando occhiatacce al fumo nero che usciva dallo sportello. In quantità minima rispetto all'ultima volta, ma il suo onore ne usciva decisamente leso – Prima ci va legna piccola e asciutta, disposta in modo che il fuoco “respiri” e sia alimentato dall'aria. Per dare il via alla fiamma basta della carta, e io ne ho messa un po'... -.
Eliza lo ascoltava attentamente, riconoscendo le proprie parole di tanti anni prima. L'aveva ascoltata per davvero, allora.
- … ma dove ho sbagliato? - Rod concluse l'arringa in propria difesa allargando le braccia rassegnato. Guardò la stufa come si scruta un nemico più forte, davanti al quale l'unica possibilità è la resa.
Eliza rischiò di scoppiare a ridere, ma si trattenne e rispose:
- Non ne ho idea, a sentire quello che dici hai fatto tutto alla perfezione – si avvicinò alla stufa, che sembrava veramente non avere alcuna intenzione di accendersi. Non con lui, almeno – Ma davvero non ne sei capace? -.
- Liza, non rigirare il coltello nella piaga – bofonchiò lui, estremamente abbattuto – È umiliante per un uomo ammettere certe cose -.
Eliza non disse più nulla, limitandosi a rifare tutti i passaggi già compiuti da lui, notando che i fogli usati per accendere il fuoco erano gli appunti di suo padre. Ne fu sollevata: se non l'avesse fatto lui, non era certa che lei ci sarebbe mai riuscita.
La stufa sembrò riconoscere il suo tocco, perché le fiamme attecchirono in un baleno. Quando si voltò verso Rod, ancora lì accanto a lei, cercando di non ridere, vide che la stava osservando con quel suo sguardo penetrante.
- Liza? -.
- Sì? - fece lei, tornando con gli occhi al fuoco che stava iniziando a divampare. Era bella, quella stufa: forse l'unica cosa della casa che le sarebbe davvero mancata.
- Ci sposiamo? - l'aveva chiesto come si chiede “Che mangiamo per cena?”, ma fu proprio quella semplicità a colpirla direttamente al cuore. Dopo qualche istante di profondo e genuino stupore, si chiese come fosse possibile che al mondo esistesse qualcuno che riusciva a parlarle in modo così diretto.
Non chiese ad alta voce “perché?”, ma era la domanda che aveva in mente.
- Senza di te morirò di freddo, Liza. Mi avrai sulla coscienza – fece lui, melodrammatico come al solito. Ma aveva sentito la sua domanda, senza bisogno di udirla.
Non aveva detto di avere ragazze in ogni quartiere di Berlino? Perché...?
- Se ti stai ancora chiedendo “perché” vuol dire che o sono io un idiota o non hai capito niente tu – le disse.
Magari tutte e due le cose, pensò Eliza. Non aveva ancora detto una parola, ma quella stretta al cuore non poteva ignorarla ancora per molto.
Le fiamme divampavano vivide nella stufa, e lei non aveva neanche pensato ad aprire le finestre. Era ormai primavera, e con quella temperatura tiepida il fuoco sembrava molto più caldo.
Sentì la guancia arrostirsi, e sorrise: almeno poteva far finta di non essere arrossita come un pezzo di brace.
- Va bene -.
Stavolta Rod non obbedì ad un impulso istintivo, ma si avvicinò lentamente, sfiorandole il naso finché non fu tanto vicino da poterle contare le ciglia attorno agli occhi. Erano sempre state così chiare?
- Mazeltov, Liza – le mormorò sulle labbra, così vicino che lei sentì il fiato di ogni singola sillaba entrarle in gola. E subito dopo qualcosa di più caldo del fiato, che le impedì decisamente di rispondere.
E prima di non capire più se il fuoco fosse acceso soltanto nella stufa, riuscì solo a pensare che l'altra volta non era stato così. Aveva l'impressione che le fiamme si fossero propagate per tutta la stanza, circondandoli, ma a dire il vero non gliene importava niente.
Che bruciassero pure.


La giornata era andata meglio di quanto potessero sperare, ma ora si sentivano entrambi distrutti. Sposarsi era davvero faticoso, nonostante la loro cerimonia fosse stata quanto di più semplice si potesse organizzare, perché in tempo di guerra i grandi fasti erano preclusi alla gente comune, oltre che di cattivo gusto.
Ma adesso era finita. Anzi no, era appena cominciata.
Rod si stava godendo lo spettacolo di Eliza che, in camicia da notte e coi capelli sciolti, terminava di distendere le lenzuola- secondo lei poco tese.
- Guarda che non dobbiamo apparecchiarci la tavola, lì sopra – commentò – E poi ora di domattina saranno da risistemare di nuovo -.
- Anche un letto deve essere in ordine – ribatté lei, finendo di piegare l'angolo – Fatto. Non è decisamente meglio, adesso? -.
Rod finse di scrutare attentamente il grande letto matrimoniale, osservando con la coda dell'occhio Eliza che ci si sedeva sopra. Gli sembrò che fosse esattamente identico a prima, ma quella sera era l'ultimo dei suoi pensieri. O forse il primo, anche se non erano esattamente le lenzuola ad interessargli.
Si avvicinò e, chinandosi su Eliza, iniziò ad accarezzarle piano i lunghi capelli finalmente sciolti, scostandoglieli dal viso quasi uno per uno.
- Sei davvero bella – osservò, continuando scrupolosamente il proprio lavoro.
La vide arrossire prima ancora che il sangue le affluisse sulle guance, colorandole di scarlatto, osservando solo il modo in cui lo guardò.
- Anche se sono bionda? - domandò Eliza, che malgrado il calore al viso non aveva mai dimenticato quel caustico commento sulla riva del fiume, tanti anni prima.
- Non puoi proprio farne a meno, vero? - chiese lui con un sospiro.
- Di fare cosa? -.
- Di ricordarmi tutti i miei momenti di stupidità -.
Sul volto di Eliza si dipinse un'espressione di stupore.
- Credevo mi avessi sposato apposta – fece, seria.
In verità scoppiò a ridere l'istante dopo nel vedere la faccia di Rod, quando all'improvviso si sentì piombare addosso una federa fresca di corredo matrimoniale. Eliza ammutolì: cioè, le aveva appena tirato addosso un cuscino? Cominciavano bene.
- Io credo invece che la mia influenza inizi a farti seriamente male – lo sentì commentare – Ma la tua non potrà farmi che bene, quindi credo sia... uno scambio equo. Equivalente -.
- Il matrimonio sarebbe uno “scambio equivalente”? E questa da dove salta fuori? -.
- Boh, ho avuto un'ispirazione improvvisa – fece Rod, per poi ondeggiare sul materasso facendolo sobbalzare – Questo letto è fantastico -.
Sì, i cuscini li aveva già saggiati lei.
Rod le scostò i capelli di nuovo, accarezzandole una guancia, ed Eliza sentì un brivido correrle su per la schiena. Le aveva toccato solo il viso, e già si sentiva come se avesse la febbre.
- Non li taglierai mai più, vero? - chiese Rod, rimirando le lunghe ciocche facendole scorrere fra le dita. Avevano lo stesso colore dell'orzo, quello dei campi che aveva visto solo le poche volte in cui era uscito da Berlino. Chissà se avevano anche lo stesso profumo.
- “Mai più” è un periodo di tempo piuttosto lungo, per poterlo dire -.
- Anche l'avermi come marito si prospetta un periodo piuttosto lungo – Rod si decise ad annusarle i capelli: sapevano davvero d'orzo o era solo una sua impressione? Aveva sentito dire che l'amore è cieco, ma che facesse impazzire persino l'olfatto... inspirò a fondo, strofinando il naso contro il suo collo, vicino all'attaccatura dei capelli.
La sentì fremere e farsi più vicina; la sua testa poggiarsi nell'incavo della sua spalla.
… quello era veramente profumo d'orzo. Poggiò le labbra sul punto che aveva annusato, assaporandolo piano, e cercò di stare calmo quando lei ebbe un sussulto improvviso. Il sospiro leggero che gli si insinuò tra i capelli lo fece tremare; d'impulso, la cinse con le braccia, portandola ancora più vicina, avvertendo un'onda calda che dai piedi si propagò per tutto il corpo.
Si permise di baciarla solo in quel momento, perché si sentiva ormai pronto a perdere la testa, se mai l'aveva avuta. Quando la perse, esattamente?
Nel momento in cui le affondò il naso nella guancia, approfondendo il bacio, e lei gli infilò le dita tra i capelli? O quando si permise finalmente di toccarla, sopra e sotto la camicia da notte, sentendola fremere ovunque? Quando caddero finalmente distesi sul materasso, e lei mormorò a fatica di andare sotto le coperte, e Rod impazzì di nuovo nel sentire la sua voce farsi dolce e quasi affaticata? Una voce che avrebbe udito lui e soltanto lui, per tutti gli anni a venire.
Se fosse esistito un altro se stesso da un'altra parte, sperava che non fosse tanto stupido da lasciarsela sfuggire.







(¹) Per la musica del carillon immaginatevi “Kibō” (colonna sonora di “Full Metal Alchemist”) fino a 1:22



Il Rod che si fa riformare passatemelo: personalmente trovo che, se non si vuole uccidere la gente, andarsi ad infilare nell'esercito sia un comportamento proprio idiota. Ma senza Mustang colonnello non si potrebbe nemmeno parlare di “Full Metal Alchemist”, quindi va bene.
Per la melodia del carillon ho nuovamente attinto alla sterminata colonna sonora di “Full Metal Alchemist”- che adoro- per dare maggiore continuità alla storia. Tra l'altro “Kibō”- titolo della melodia- significa “speranza”, “desiderio”: decisamente adatto, non trovate?  

Rispondendo alle recensioni:
Hanako_Hanako: esatto, sono proprio loro al di là del portale. ^^ Nei primi due capitoli hanno un'età tra gli undici e i dodici anni, mentre nel terzo sono ormai passati una decina d'anni (più o meno, le età sono indicative). Spero che la storia continui a piacerti!
Ezzy O: grazie per avermelo fatto sapere! ^^ Il fatto è che mi sembra di prendermi sempre un sacco di libertà con i personaggi, con quest'ambientazione del tutto libera al di là del portale, per cui a volte mi chiedo se non dovrei limitarmi un po'... se mi rassicurano che non mi invento delle castronerie, scrivo con molto più slancio! ^^
Come vedi, comunque, non c'è stato poi molto da convincere; ne erano entrambi piuttosto sicuri, anche se il carillon ha fatto la sua parte...
MusaTalia: sette capitoli in tutto, anche se l'ultimo credo che lo posterò più avanti... perché nel mezzo ho intenzione di far succedere un po' di cose, ma non ne sono ancora sicura. Comunque anche il numero dei capitoli ha un significato. ^^
Sì, anche a me piacciono i salti temporali, come hai potuto notare: trovo molto più interessante accennare a periodi di tempo dove non succede niente di incisivo per la storia, che doverli descrivere passo passo...
Se mi dici che il padre di Eliza somiglia molto a quello originale, mi viene da pensare che il carattere stesso di Riza suggerisca molto della propria storia: è difficile che una persona nata e cresciuta in una famiglia allegra e rumorosa diventi poi così severa e riservata. La propria storia si scolpisce anche nel carattere, in fondo. Spero che il capitolo ti sia piaciuto, ma dimmi: avevi indovinato che si trattava del carillon? Sono certa di sì! ^^
Shatzy: beh, dato che la storia si intitola “Storia di un carillon” era anche ora che saltasse fuori, no? ^^ Mai detto che Rod fosse intelligente, anche se più che altro ci fa... hai visto che in questo capitolo mi sono impegnata? Sì, perché certe scene io faccio una gran fatica a tirarle fuori, e mi ci vuole il doppio del normale... comunque adesso sono sposati (hotaru spunta la lista delle cose da fare: questa è fatta). Il problema, come Liza ha ormai capito, è che non si sceglie affatto di chi innamorarsi- è il problema più vecchio del mondo, purtroppo.
Non è mica finita, comunque: nel prossimo capitolo mi ricollegherò ulteriormente alla trama de “Die Uhr- L'orologio”. Spero però che ti sia piaciuto il piccolo riferimento finale al Roy/Ai originale. ^^
   
 
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