Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: hotaru    08/04/2011    3 recensioni
Prequel de “Die Uhr- L'orologio”
“Mio zio costruisce carillon per passione, non per lavoro” precisò Win “Pensate che ne aveva addirittura fatto uno per mia zia, quando erano fidanzati. E' di sicuro nascosto da qualche parte: la zia Eliza lo custodisce come una reliquia."
Storia di un carillon: come nacque, a cosa portò, come fu perso e poi ritrovato.
[Rod/Liza, a chi ha orecchie per intendere]
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5- Solo un ticchettio in più Solo un ticchettio in più


"Fare in modo che un bambino accetti la morte è sempre un'impresa molto difficile."

(Izumi Curtis, episodio 27)


Quando Rod e Eliza erano solo una coppia appena sposata, che non aveva ancora pensato se e quando avere dei figli, si videro arrivare in casa la nipotina di Rod: la bambina bionda col nome da Valchiria, come l'aveva definita suo zio anni prima in riva al fiume.
Nell'ultimo periodo della guerra c'erano stati dei bombardamenti sulla città, e fra le case colpite si trovava anche quella della sorella di Rod, morta sotto le macerie assieme al marito. Gli orologi del suo laboratorio che non erano stati distrutti si erano fermati, e la bambina era rimasta orfana.
Win era sempre stata affascinata dagli orologi che suo padre riparava, ma non aveva mai veramente pensato al valore del tempo: nel giro di un minuto, un minuto che aveva trascorso a giocare in una casa di un altro quartiere, l'intera sua vita era cambiata. Le due persone più importanti che aveva erano morte, la sua casa era crollata, e per alcuni istanti lei era rimasta in sospeso sul bilico del nuovo ticchettio. L'ora era scoccata, la lancetta si era spostata, e lei non aveva potuto farci niente.
Il tempo faceva quello che voleva: nessuno poteva fermarlo, né tanto meno controllarlo.
A che serviva costruire orologi?


I primi tempi furono difficili, davvero difficili. La bambina spariva in continuazione, rintanandosi negli angoli più bui della casa, a piangere assieme al suo cagnolino. In un certo senso era stato lui a salvarla: se si era trovata in un altro quartiere, dai cugini del suo migliore amico, era stato anche per scegliere uno dei cuccioli nati dalla loro cagnetta. Aveva già ottenuto il permesso dai suoi genitori- anche se non aveva capito perché sua madre le avesse raccomandato di non nasconderlo in cantina, oltretutto ridendo- ma non avrebbe mai immaginato che, quel cane, casa sua non l'avrebbe mai vista.
Però si sentiva meglio, quando le si addormentava in braccio, e quel fagottino caldo sulle gambe mentre se ne stava seduta per ore sul freddo pavimento era l'unica cosa che la consolasse almeno un po'.
- Win... frieda? - il volto di Eliza comparve quando scostò la tenda dietro la quale si era nascosta la bambina. Cercò di sorridere, anche se erano settimane che non riusciva a capire da che parte prendere quella ragazzina dal nome impronunciabile – La cena è pronta, vieni? -.
Win annuì, buttando dietro le spalle i lunghi capelli che le erano finiti in faccia, e prendendo con cautela fra le braccia il cagnolino addormentato. Avrebbe messo il suo Ned nella cuccia in cucina, mangiato due cucchiai di minestra e sarebbe poi rimasta sulla sua sedia, chiusa nel mutismo più assoluto.
Malgrado il legame di sangue e il dolore comune, Rod non aveva la minima idea di come comportarsi, anche perché quella ragazzina che aveva ereditato gli occhi azzurri e i capelli biondi del padre gli sembrava quasi un'estranea. Non ci aveva pensato due volte a prendersela in casa, dopo quel che era successo- e comunque, dove avrebbe potuto andare?-, permettendole di portare con sé il cagnolino a cui teneva tanto. Ma ora gli sembrava di avere per nipote una statua di sale con un gran grumo di dolore in gola, invece che una bambina.
Non si era mai ritenuto una persona sensibile, e stava cominciando a pensare che quello andasse decisamente oltre le sue capacità.


Quella sera, mettendosi a letto, Eliza pensò che non si poteva andare avanti così. Quando si erano sposati e trasferiti lì, aveva promesso a se stessa che quella non sarebbe mai stata la casa di cupi silenzi in cui era cresciuta lei: e invece lo stava diventando, con un piccolo fantasma che si aggirava per i corridoi e nessuno che sapeva come comportarsi.
- Io credo che... dovremmo fare qualcosa – non aveva la minima idea di cosa, ma parlarne con suo marito era il primo passo che le fosse venuto in mente.
Rod aveva poggiato la testa sul guanciale, apparentemente già addormentato. Eliza poteva anche capire che nemmeno lui sapesse cosa fare, ma evitare in quel modo il discorso non li avrebbe portati da nessuna parte.
- Non puoi far finta di niente. Ha perso i genitori, Rod, è sola. Deve affrontarlo – cercò di guardarlo negli occhi, anche se lui si ostinava a tenerli chiusi – E anche tu -.
Rod aprì gli occhi, premurandosi di guardare da un'altra parte.
- Io sto bene, è lei il problema -.
Una manciata di parole che le fecero venire voglia di picchiarlo; ma se l'era sposato lei, perciò doveva tenerselo.
- Innanzitutto lei non è un problema – mise in chiaro Eliza con voce arrabbiata, cercando però di parlare piano perché non si sentisse nella stanza a fianco – E tu ti stai comportando allo stesso modo -.
- Forse ci vuole solo un po' di tempo – rispose Rod con voce atona.
Eliza trattenne un sospiro sconsolato: erano già passate alcune settimane e aveva come la sensazione che, se quella situazione non fosse cambiata in fretta, sarebbe entrata in una specie di stallo in cui nessuno avrebbe più potuto fare niente.
Capì che per quella sera l'unica soluzione era dormire ma, prima di voltarsi dall'altra parte, mormorò in un sussurro:
- Il tempo da solo non può fare proprio nulla -.


A dare una mano al tempo fu un amico di Win, il cugino dei ragazzi che le avevano dato Ned. Rendendosi conto che l'amica non si vedeva più da nessuna parte, il piccolo Edmund si decise a bussare alla porta di quella casa sconosciuta; quando ad aprirgli fu una donna bionda che gli chiese sorpresa chi fosse, fece appello a tutto il suo coraggio e le chiese di Win.
Ora, lei aveva detto di non voler vedere nessuno; e anche se in linea di massima Eliza tendeva a rispettare i desideri altrui, era dell'idea che quella situazione avesse bisogno di una bella scrollata. Aprì perciò la porta a quel ragazzino che a prima vista sembrava più piccolo di sua nipote, indicandogli vagamente il corridoio e la tenda dietro cui era solita nascondersi la bambina.
Anche se Win non voleva vedere nessuno, Edmund non si sentì minimamente in imbarazzo. Lui non pretendeva di essere visto.


- Oggi è successa una cosa – disse quella sera Eliza a Rod, quando si furono entrambi sistemati sotto le coperte.
Il marito le lanciò un'occhiata interrogativa, chiedendosi perché non gliene avesse parlato prima, magari durante la cena.
- Che cosa? -.
- Si è presentato qui un amico di Win – Rod alzò le sopracciglia sorpreso, ma non la interruppe – Ha detto di chiamarsi Edmund -.
- E... lei? Come ha reagito? -.
- Non lo so – ammise Eliza – È andato dietro la tenda dov'era lei ed è rimasto là fino all'ora di cena, quando se n'è tornato a casa. Ho sentito che ogni tanto diceva qualcosa al cane, ma nient'altro -.
- Nient'altro? Cioè, non ha nemmeno provato a parlare con lei? - chiese Rod, meravigliato.
- Ho cercato di essere discreta, ma non ho sentito niente. Nemmeno un sussurro – confermò Eliza.
- Però. Tipo strano, questo... come hai detto che si chiama? -.
- Edmund. È piccolo e biondo, anche se i suoi capelli sono un po' più scuri di quelli di Win -.
Rod non commentò, ma prima di chiudere gli occhi disse soltanto:
- Chissà se si farà ancora vivo -.


Edmund non solo si fece vivo anche il giorno dopo, ma si presentò a casa Mühlstein ogni pomeriggio per un mese di fila, rimanendo seduto sul freddo pavimento accanto a Win senza dire una parola. Quando arrivava l'ora di tornare a casa, andava a salutare Eliza in cucina e usciva dalla porta senza bisogno che lei lo accompagnasse, tanto aveva preso confidenza.
Rod, al corrente di tutto grazie alla moglie che lo aggiornava ogni sera, una volta che tornò presto dal lavoro volle assolutamente vedere quello strano ragazzino. Pur avendo vissuto in prima persona un'amicizia del genere, era sorpreso che il rapporto tra lui e sua nipote potesse essere così diverso da quello che lo aveva unito a Eliza anni prima.
- Dov'è? - domandò in un sussurro alla moglie, china sulla macchina da cucire, come se si fosse trattato di una cospirazione di guerra.
- Dietro la tenda con Win, come al solito – Eliza alzò la testa per guardare fuori dalla finestra – Ma credo che fra un po' andrà a casa. Vado a preparare la cena -.  
Ormai alla porta, vedendo che Rod non aveva intenzione di muoversi, gli chiese:
- Vuoi appostarti e coglierlo di sorpresa? Guarda che è solo un bambino -.
- Davvero divertente, Liza – rispose lui, torvo, seguendola in cucina.

Quando Edmund passò a salutare la signora Mühlstein, si stupì nel trovare anche lo zio di Win, che appena lo vide gli disse:
- Aspetta, giovanotto. Ti accompagno alla porta -.
A Edmund quella prospettiva parve piuttosto una minaccia, mentre Eliza dovette trattenere un risolino nel vedere che Rod stava trattando quel soldo di cacio come un potenziale pretendente di Win, anche se la situazione era ben diversa.
Quando furono entrambi sulla soglia, Edmund tentò timidamente di salutare per poi svignarsela, ma Rod lo batté sul tempo:
- Come... come sta? - chiese, trovando leggermente assurdo doversi rivolgere a un ragazzino tanto piccolo per sapere qualcosa su sua nipote.
- Si sente sola – gli riferì lui, in tutta sincerità. Ah, quindi lo zio di Win era solo preoccupato per lei: Edmund tirò mentalmente un sospiro di sollievo, e si preparò a tirare fuori tutto quanto.
- Già, lo immagino... -.
- Anche perché pensa che voi qui non la vogliate – incassò la testa tra le spalle, facendosi ancora più piccolo. Ma doveva dirglielo, non c'era altra soluzione.
- Cosa? - Rod era sbigottito – Te l'ha... te l'ha detto lei? -.
Il ragazzino scosse la testa, guardandolo con quegli strani occhi che avevano quasi lo stesso colore dei capelli.
- L'ho capito -.
- L'hai... capito – ripeté cautamente Rod, quasi faticando a focalizzare il suo piccolo interlocutore.
- E si chiede anche se lei sia davvero triste per la morte di sua sorella – ormai aveva deciso di rivelare tutto, e doveva arrivare fino in fondo.
- Che cosa? - Rod fece tanto d'occhi – E avresti... capito anche questo? -.
Edmund annuì.
- Mi scusi, ma... - si sentiva un po' a disagio a dare un consiglio ad un adulto, ma il pensiero di farlo per Win gli diede coraggio - ... perché non va a sedersi vicino a lei? -.
- Vicino a lei? -.
- Per terra – spiegò semplicemente lui – Magari stasera -.
Rod non rispose, ammutolito da quel candido suggerimento, mentre Edmund approfittò del suo silenzio per salutare e tornarsene finalmente a casa. Lasciandolo basito a chiedersi se una certa dose di saggezza superiore non fosse insita nelle persone con i capelli biondi.


Quella sera dopo cena, mentre Eliza rigovernava la cucina, Rod si decise a seguire il consiglio di quel ragazzino. Andò nel corridoio, scostò piano la tenda dietro cui se ne stava raggomitolata Win e si sedette accanto a sua nipote. La sua unica nipote, gli venne in mente. E all'improvviso ripensò a quel pomeriggio sulla riva del fiume, quando aveva detto a Eliza- anzi, a Elias- della sua nascita, e lei gli aveva fatto notare che era diventato zio.
Forse era arrivato il momento di esserlo davvero.
- Ti ammalerai se continui a startene seduta per terra, sul pavimento freddo. Va' a metterti almeno vicino alla stufa -.
Win non rispose, ma si sarebbe stupito se l'avesse fatto. Tuttavia temeva sul serio che prima o poi si sarebbe presa perlomeno un raffreddore, e non aveva senso che...
Un ricordo improvviso fece capolino tra le pieghe della mente, scrollandosi di dosso la polvere accumulata nel tempo.
- Tua madre te l'ha mai raccontato? -.
La vide sussultare quando nominò sua sorella così d'un tratto, e anche Rod si stupì di aver parlato senza pensare. Ma Eliza aveva ragione, quando diceva che sia lui che Win dovevano affrontarlo: perché, madre o sorella che fosse, avevano perso entrambi la stessa persona. Insieme, ma dovevano andare fino in fondo.
- Ti ha mai detto che le sarebbe piaciuto fare il medico? Una volta che avevo un po' di raffreddore mi somministrò una specie di ricostituente preparato da lei -.
Tacque un momento, e quando sentì la voce di Win si ritrovò a ringraziare con estrema gratitudine quel ragazzino.
- E funzionò? -.
- Sì. Quella notte andai in bagno cinque volte -.
Non gli serviva vederla per sapere che stava sorridendo. Poté quasi udirne il suono.
- Poi, ovviamente, io mi vendicai -.
Tacque di nuovo. Attese, e non venne deluso.
- E come? -.
Doveva costruirgli un monumento, a quel piccoletto.


Dopo quella sera Win si era spostata da dietro la tenda ai gradini della scala, ed Eliza l'aveva interpretato come un buon segno.
- Ehi – fece quella mattina, chinandosi sulla nipote accoccolata sullo scalino – Hai voglia di fare un giro al mercato? -.
Quando Win annuì, Eliza si ritrovò a sorridere come non faceva da tempo.
- Andiamo, allora -.
Fecero una certa spesa, e per tornare allungarono un po' la strada. Il sole di quella mattina era leggermente velato da qualche nuvola passeggera che proiettava la propria ombra sul marciapiede, tanto che, volendo, ci si poteva saltare dentro.
Eliza si attardò un momento davanti alla vetrina di una merceria: le servivano giusto dei bottoni e un po' di filo, ma mentre era distratta Win corse leggermente avanti. Non era mai stata in quella parte della città: sembrava più antica rispetto alla zona dove abitava prima, con tutte quelle case addossate le une alle altre, le botteghe risalenti al secolo prima e...
Un'altra nuvola oscurò il sole e tutto il mondo, passato e presente.
Win si sentì come se il cuore le si fosse fermato per un istante, per ricominciare poi a ticchettare invece che a battere, all'unisono con tutti i suoi compagni esposti in quella vetrina. Prima ancora di decidere se entrare o no, si ritrovò dentro.
C'era quell'odore. A scuola le davano della pazza quando diceva che gli orologi avevano un odore: un misto di legno, olio per gli ingranaggi e polvere, perché non si riusciva mai a pulirli a dovere in tutti i loro anfratti. Era l'odore stesso del tempo che passava, che l'uomo non poteva fermare, ma solo vivere finché non si fosse esaurito.
E allora l'orologio sarebbe rimasto, ma l'uomo no. Gli orologi erano i messaggeri del tempo che passava e portava chiunque via con sé, prima o poi. Perché non aveva preso anche lei?
- Era da tempo che una così bella signorina non entrava nel mio negozio! -.
Win sussultò: non solo per la voce improvvisa che aveva sentito, ma anche perché le parve che la parola “tempo” fosse stata pronunciata da qualcuno che ne comprendeva davvero il significato.
E solo un orologiaio poteva esserne in grado.
Alzò lo sguardo e vide dietro il banco un omone grande e grosso, che si faceva crescere dei mustacchi biondi come la sua controparte al di là del portale. Anche se, a differenza del maggiore Armstrong, la sua mole era data per lo più da depositi di grasso, supportati da un grande ventre gonfio di birra. Era piuttosto invecchiato rispetto a quando aveva insegnato ad un certo apprendista a tempo perso a costruire carillon, ma la sua corporatura degna di un maestoso orologio a pendolo non era cambiata.
- Hai bisogno di qualcosa? Ho articoli graziosi anche adatti ad una signorina come te... - Von Armstark sembrò accorgersi solo in quel momento del modo in cui la sua cliente stava osservando gli orologi sparsi dappertutto, ammassati come ad una festa – Non ti ho mai vista da queste parti. Sei del quartiere? -.
- Abito qui da poco – rispose Win – Da... dai Mühlstein -.
- Allora tu sei la nipote di Roderich! - tuonò gioioso Von Armstark. Sapeva bene da dove venisse quella ragazzina e quali circostanze l'avessero portata lì, ma non l'aveva ancora vista. La squadrò da capo a piedi – Non gli somigli molto, sai? -.
- Io... - somiglio a mio padre. Anche lui riparava orologi – Già -.
La porta si aprì all'improvviso, facendo entrare una Eliza leggermente inquieta, che non si rese subito conto di dove si trovava.
- Ah, sei qui! - di norma non si sarebbe preoccupata di dove fosse andata una ragazzina di quell'età- lei stessa faceva quello che voleva, all'epoca- ma con Win non si sentiva ancora del tutto sicura – Sei sparita all'improvviso, pensavo che... che fossi tornata a casa -.
- Toh, chi si rivede – solo quando udì quella familiare voce tonante, Eliza si rese conto di dove fosse entrata – Elias, presumo -.
Per quanto invecchiato, rivedere Von Armstark dopo tutti quegli anni le fece lo stesso effetto di un salto nel tempo.
- Già – rispose Eliza con un sorriso.
- Guardi che mia zia non si chiama Elias – intervenne Win, chiedendosi se quel tizio non fosse un po' matto. Ma forse, a forza di ascoltare ticchettii, si iniziava a sentirli perfino dentro la propria testa.
Quasi a confermare la sua teoria, quell'uomo scoppiò a ridere: una risata che fece tremolare il ventre gonfio come un barile e rimbombare le casse dei pendoli. Win lo fissò sgomenta, chiedendosi come facesse un tizio con le dita che parevano salsicce a maneggiare i delicati ingranaggi di un orologio; le dita di suo padre erano state lunghe e affusolate, simili a quelle di un pianista.
Senza accorgersene, Win si guardò le mani: doveva crescere ancora, lo sapeva, eppure le sue dita sembravano aver preso dal ramo paterno, come tutto il resto di lei. Più di una volta aveva aiutato suo padre, maneggiando pinzette e minuscole ruote dentate con un'abilità tutta ereditaria.
- In realtà dipende da come le si usa – disse Von Armstark, chinatosi in avanti sul bancone, interrompendo i suoi pensieri – Il segreto sta nel movimento -.
Manovrò abilmente una pinzetta che aveva afferrato al volo, tanto piccola da scomparire fra le sue enormi dita, e Win rimase a bocca aperta.
- Mi dà l'impressione che anche tu non sia proprio una novellina con queste – continuò l'uomo – Se ti va, qualche volta puoi venire a trovarmi. Continueresti la tradizione di famiglia -.
Win lo osservò incuriosita, chiedendosi di cosa stesse parlando, non osando rispondere a quell'offerta allettante. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe più avuto a che fare con quei congegni che servivano solo ad ingannare l'uomo e a dargli l'impressione di poter controllare il tempo, ma era come se gli orologi continuassero a cercarla. Tanto valeva che li affrontasse, lei che aveva ormai capito il loro inganno.
Si voltò verso sua zia, lasciando a lei l'ultima parola, e non capì perché si sentì tanto sollevata quando Eliza rispose:
- Perché no? Puoi venire quando vuoi, in fondo non è lontano da casa -.
Per una frazione di secondo, Win ebbe come l'impressione che gli orologi l'avessero appena incastrata.


Quando quella mattina Rod sentì sua moglie cacciare un urlo, pensò che fosse appena sbarcato un esercito nemico venuto da chissà dove- magari da un altro mondo, chi lo sa. Oppure che lo Sprea fosse esondato tanto da inondare la loro camera da letto. O che avesse trovato Win accoccolata sul pavimento, intenta a rimuginare su quello che li aveva visti fare quella notte.
Non poteva trattarsi di nulla di meno grave, anche se gli urli di sua moglie non erano certo come quelli delle altre donne: sembravano più che altro esclamazioni di sorpresa, ma dopo lunghe considerazioni Rod li aveva finalmente classificati come grida femminili.
- Oh – esclamò invece Eliza, che si era seduta di scatto – E tu che ci fai qui? -.
Quando Rod si decise ad aprire gli occhi e a controllare quale fosse la minaccia, vide soltanto il piccolo Ned sistemato in fondo al letto, infilato a metà sotto le coperte.
- Scusa, ti ho svegliato? - gli chiese la moglie, e Rod poté constatare che doveva essere ancora molto presto: la luce del sole cominciava appena a filtrare tra le imposte, incerta come poteva esserlo solo all'alba – Mi ha fatto prendere un colpo: ho sentito qualcosa leccarmi i piedi e mi sono svegliata di soprassalto -.
Eh, no: quello non andava per niente bene. Anche Rod si mise seduto, lanciando un'occhiata truce al cagnolino e mostrandogli un dito minaccioso.
- È la mia donna – chiarì al salsicciotto scodinzolante – Trovati una cagnolina -.
- Piantala, e mandalo giù -.
- Cosa? - fece lui, sgomento – Ma... ma non possiamo. Avrà freddo, poverino -.
- È un cane, Rod. Ha il pelo apposta. E poi può mettersi sul tappeto -.
- Da quando sei così cinica e crudele? -.
Eliza si chiese seriamente se cacciare dal letto il cucciolo o il marito, che si era messo a fissare l'animale come se gli fosse improvvisamente venuta una grande idea.
- Liza, prendiamo un altro cane? Così avrà più compagnia -.
Sì, decisamente suo marito.
Comunque alla fine Ned fu fatto scendere dal materasso, e senza tante cerimonie si accucciò sul tappeto ai piedi del letto, come aveva previsto Eliza. La quale pensò che tanto ormai era sveglia, e poteva anche scendere di sotto ad occuparsi di qualche faccenda. Sarebbe rimasta volentieri a letto ancora un po', ma...
- Liza? - bofonchiò suo marito, che si era ridisteso sul materasso – Fa freddo... -.
- Va bene, vado ad accendere il fuoco – fece lei, rassegnata e già pronta a poggiare i piedi sul pavimento gelato. In fondo quella clausola aveva fatto parte della sua proposta di matrimonio, quindi era inutile lamentarsi.
- No, che hai capito? - Rod le circondò la vita con un braccio, trascinandola nuovamente sotto le coperte.
- Ma... c'è Ned! - ribatté lei, come se si fosse trattato di un bambino.
- E allora? - Rod lanciò un'occhiata verso i piedi del letto, anche se il cucciolo non si vedeva – I cani le sanno per istinto, certe cose -.
- Non stai cercando di “marcare il territorio”, vero? - fece lei, sospettosa – La faccenda di prima non c'entra niente, spero -.
- Cavolo, quanto sei diffidente – ribatté lui, tirando le coperte sopra le loro teste – È solo per mettere bene in chiaro le cose -.
La luce nebulosa dell'alba gli era sempre piaciuta.


L'autunno era ormai alle porte, e in effetti quella mattina si rivelò ben più frigida del giorno precedente. Eliza era andata a comprare delle stoffe per un abito che le era stato commissionato, e in quel periodo ogni minima possibilità di lavoro era indispensabile. Win era di sopra a leggere, ma Eliza non sarebbe rientrata prima di un'ora e la temperatura in casa si andava facendo sempre più rigida.
In cucina, Rod lanciò un'occhiata alla stufa che fungeva anche da cucina economica: non provava ad avvicinarsi a uno di quegli affari dal giorno della sua proposta di matrimonio, ma non poteva certo lasciare la sua unica nipote al freddo.
Magari aveva fatto progressi: come poteva saperlo se non provava?

Quando Rod aprì trafelato la porta della stanza vide la nipote sussultare, ma non aveva tempo per scusarsi.
- Win! Vieni subito! - lei alzò gli occhi dal libro sui meccanismi degli orologi che le aveva dato Von Armstark – Di sotto, veloce! -.
Win, che non aveva la minima idea del perché suo zio si fosse messo a dare ordini come un colonnello dell'esercito, si precipitò giù per le scale. E quando entrò in cucina, si chiese cosa diamine fosse successo e da dove saltasse fuori quella nube puzzolente.
- Ma zio... cosa succede? -.
Rod, intento ad aprire la finestra e a fare aria con un giornale, rispose affannato:
- Si è messa a fare un sacco di fumo -.
- Che cosa? -.
- La stufa! - il viso di suo zio era esasperato, con un pizzico di disperazione che minacciava di aumentare di minuto in minuto – Sai come funziona quest'affare? -.
Indicò la cucina economica, dal cui sportello aperto usciva fumo nero come dalla bocca di un vulcano appena risvegliatosi dal suo lungo sonno.
- Beh... sì – rispose incerta Win – Di solito -.
- Allora falla funzionare -.
Win si mise d'impegno, dato che il destino della cucina sembrava dipendere da lei: dopo che Rod ebbe aperto la finestra, riuscirono ad estrarre il pezzo di legno che mandava tutto quel fumo, e ad infilarlo in un secchio di metallo. Una volta portatolo sul retro, nel piccolo cortile in comune con altre case, la stufa non sembrò più la tana di un drago.
- Allora la mamma non scherzava – constatò sorpresa Win, pulendosi col dorso della mano il naso gocciolante per il fumo ancora nell'aria – È vero che hai litigato con un demone del fuoco! -.
- Eh? - Rod, impegnato a capire che cosa fosse andato storto stavolta, si voltò stupito verso la nipote – Avrei litigato con un che? -.
- Un demone del fuoco – rispose tranquillamente Win, lo sguardo serio e corrucciato.
Ah già, le storie di sua madre: era sempre andata matta per tutti i racconti su demoni e spiriti di cui straripava l'immaginario ebraico.
- Beh... se c'è, vorrei tanto sapere che cosa gli ho fatto – brontolò Rod – Non mi sembra di aver mai maltrattato nessun demone del fuoco -.
Se qualcuno glielo avesse chiesto, Rod avrebbe risposto torvo che quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi; eppure, a volte, sembrava esserci qualcosa in grado di compensare i guai più grossi. Qualcosa che rovesciava la medaglia di continuo, facendoci vedere i lati migliori e peggiori della vita.
E quando sua nipote gli rivolse un gran sorriso divertito, Rod si rese conto che qualcuno aveva appena rovesciato la sua medaglia.
- Che è successo qui? -.
Acc... rovesciata di nuovo.
- Lo zio Rod ha cercato di accendere la stufa, che si è messa a fumare come un drago addormentato, così io sono venuta a salvarlo – prima che Rod potesse pensare a qualunque scusa minimamente plausibile, Win sciorinò d'un fiato una versione che lo faceva sembrare una donzella in pericolo.
Dovette pensarlo anche Eliza, perché cercò di trattenere un sorriso. Non sembrava arrabbiata, e il motivo venne chiarito quando disse:
- Sì, è un po' ingolfata. Già ieri sera ha fatto qualche capriccio, e pensavo di pulirla prima di preparare il pranzo -.
- Cos... e perché non me l'hai detto? - esclamò sbigottito Rod: quindi non era stata colpa sua, stavolta.
- Beh, contavo sul fatto che tu non la toccassi, come ogni giorno da quando ci siamo sposati – replicò tranquillamente Eliza.
Dal canto suo, Win se ne stava zitta, occupata ad osservarsi le ciocche sporche di cenere puzzolente. Appena se n'era accorta, aveva iniziato a studiarsi i capelli con la fronte corrucciata, come meditando su qualcosa.
- Vieni in bagno, ti aiuto a lavarli – si offrì gentilmente Eliza, ma Win non sembrò nemmeno accorgersene, tutta impegnata a rimuginare sui propri capelli.
Quando rialzò lo sguardo, disse qualcosa che fece dimenticare a tutti i presenti la stufa ingolfata e il drago- o demone? - nascosto nei suoi anfratti di cenere.
- Posso tagliarli? -.
- Ma... sono solo sporchi. Non c'è alcun bisogno di... - tentò sua zia, sorpresa.
- Lo so – la interruppe Win – Ma io vorrei tagliarli -.
Eliza si voltò verso Rod, chiedendo la sua opinione con lo sguardo, ma lui fece spallucce.
- Per me non c'è problema. Non sarebbe la prima ragazza con i capelli corti – le ricordò, al che Eliza sorrise e annuì.
- Beh... d'accordo. Se ne sei convinta, possiamo già farlo questo pomeriggio -.


Anche se la zia Eliza e lo zio Rod non le avessero detto che stava bene, Win lo sapeva di suo. Quando si passò una mano sulla nuca, sfiorando i morbidi capelli tagliati con la sfumatura alta, ebbe come un brivido di felicità. Finalmente.
Edmund non se n'era nemmeno accorto finché non gliel'aveva detto lei, ma Win non se l'era presa. Edmund si accorgeva solo delle cose importanti, e quella lo era solo per lei.
Un paio di sere dopo il taglio, Win era in cucina ad aiutare sua zia; lo zio Rod non era ancora rientrato, ma per il suo ritorno la cena sarebbe stata pronta.
Avevano scambiato solo un paio di chiacchiere di poco conto, quando Eliza disse, senza alcun preavviso:
- Sembra che ti piaccia parecchio andare da Von Armstark -.
Se c'era una cosa che aveva imparato di sua zia, era che non si poteva mai sapere quando avrebbe attaccato, e da che lato: come un falco che ha individuato la preda e punta al suo obiettivo, infallibile.
- Mi ha detto che sei molto portata -.
Win mise un piatto sul tavolo. Oh, lo sapeva già: era figlia di un orologiaio, l'aveva dimenticato?
- Posso chiederti una cosa? Tuo padre li riparava soltanto, gli orologi, o ne costruiva anche? -.
Win si bloccò a mezz'aria, con in mano un bicchiere: era la prima volta che sua zia nominava i suoi genitori, e tutta quella disinvoltura la sorprese. Comunque provò a rifletterci su.
- Uhm... no, mi pare che li riparasse e basta. Perlomeno, io di costruiti da lui non ne ho mai visti -.
Non capì perché sua zia avesse sorriso finché non le spiegò:
- Allora hai preso anche dall'altro ramo della famiglia. Quello di tua madre -.
All'espressione sorpresa della nipote Eliza sorrise di nuovo, togliendosi poi il grembiule e dicendole:
- Vieni con me -.
Senza fare domande, Win la seguì. Su per le scale, nella stanza sua e dello zio Rod, sotto una camicia da notte nella cassettiera dell'armadio.
Che poteva mai esserci sotto una camicia da notte?, si chiese Win. Estremamente incuriosita, si sporse finché dalle pieghe del tessuto non uscì una scatola in legno dal fine decoro intarsiato sul coperchio.
- È... un carillon? - chiese, a bocca aperta. Ma che ci faceva lì dentro?
- Von Armstark dice che hai parecchio talento anche nel costruire, non solo nel riparare – Eliza glielo mise fra le mani – Questo l'ha fatto tuo zio -.
- Lo zio Rod? - fece Win stupita, rendendosi conto che, anche se non era un orologio, quello era davvero un oggetto di pregevole fattura.
- Esattamente -.
Era veramente bellissimo. Provò ad aprirlo, sentendo scattare subito la dolce melodia che custodiva, facendo tanto d'occhi quando Eliza la informò che anche il meccanismo era opera di suo zio.
- Ma... perché lo tieni qui dentro? - Win accennò al comodino, e poi al cassettone sull'altro lato della stanza – Non sarebbe più bello lasciarlo fuori, in modo che tutti possano vederlo? -.
- Non è un soprammobile – rispose Eliza, mentre Win le porgeva il carillon e lei lo rimetteva con cura al suo posto – È una dichiarazione. Non è necessario che "tutti" possano vederlo, l'importante è sapere che c'è -.
- Davvero? - Win si illuminò – Ti ha chiesto di sposarlo quando te l'ha regalato? Sul serio? -.
- Non ti racconterò i particolari, se è questo che speri. Non oggi, almeno – Eliza sorrise al pensiero che la nipote doveva trovare quella storia estremamente romantica. Se le avesse chiesto il significato della decorazione all'interno del carillon, però, avrebbe scoperto che di romantico c'era ben poco.
- Ehi! Dove siete finite? Liza? Win! -.
La voce di Rod al piano di sotto rimbombò fino a loro, facendo sospirare Eliza.
- Ma dove crede che viviamo, in un castello? Pensa che se non urla non lo sentiamo? - si alzò, non notando Win che ridacchiava sotto i baffi, per poi tornare di sotto.
Prima di seguirla, la ragazzina lanciò un ultimo sguardo all'anta dell'armadio che nascondeva un cassetto dentro al quale, fra le pieghe di una camicia da notte, era custodito un tesoro.
E così, una parte della sua famiglia era in grado di costruire meraviglie simili. E forse un po' di quel talento l'aveva ereditato anche lei.
Von Armstark le aveva detto subito che con i capelli così stava benissimo, e visto il grande cambiamento aveva deciso di insegnarle subito qualcosa di nuovo. Era diventata la sua piccola apprendista, senza sapere che sarebbe stata lei la sua erede, colei che avrebbe continuato la sua attività nel quartiere.
Senza sapere che alcuni anni più tardi, quando Von Armstark sarebbe morto, le si sarebbe spezzato il cuore. Un'altra volta.

 
Quella sera, al termine della giornata di lavoro, Rod si rese conto per l'ennesima volta che tanta gente non sarebbe più tornata. Un paio di giovani che prima della guerra lavoravano in qualche biblioteca decentrata non avevano più fatto ritorno, e la gente sembrava sempre più stanca. Come se la guerra, in realtà, non fosse mai finita.
Dopo aver salutato i colleghi, scendendo in strada vide una ragazza seduta sui gradoni d'ingresso della biblioteca. I vestiti erano logori, i capelli scarmigliati e, anche nel buio, si vedeva bene la sua pelle scura... Una zingara, probabilmente.
Era tutta rannicchiata su se stessa, un po' come- Roderich si stupì di aver subito fatto un simile collegamento- Win, i primi tempi che era arrivata a casa loro.
Rimase a guardarla per qualche istante, ma poi proseguì. Bambini resi orfani e poveri dalla guerra ce n'erano tanti, non poteva certo raccoglierli tutti; sua nipote era un conto, ma una piccola zingara...
Dopo aver percorso qualche metro si voltò, attento a non rimanere nella pozza di luce di un lampione: a quella ragazza, comunque più grande di Win, si era avvicinato un gatto randagio.
La vide alzare piano la testa e allungare una mano verso l'animale... esattamente come aveva fatto Win con il suo Ned, solo alcune settimane prima.
Rod sospirò, prima di tornare sui suoi passi e vedere se quella giovane zingara decideva di dargli fiducia.

Quando si era avvicinato lei era subito indietreggiata, pur rimanendo seduta. Rod aveva cercato di apparire il più gentile possibile, mentre le chiedeva se aveva un posto dove andare quella notte.
La ragazza non rispose, guardandolo come un animale spaurito; tuttavia allungò una mano verso di lui. Rod rimase un po' perplesso, ma obbedì a un impulso istintivo e gliela strinse, come se stessero facendo conoscenza.
Non capì perché, ma tutto d'un tratto la ragazza si rilassò, e sembrò guardarlo con occhi nuovi.
- No – disse infine, incredula della fortuna che le era capitata – Non ho un posto dove andare -.
Sorrise.
- Mi chiamo Noa -.







E qui ci ricolleghiamo al primo capitolo de "Die Uhr- L'orologio", il pretesto per questa serie.
Se ve lo state chiedendo... sì, l'ho fatto apposta. Ho fatto apposta a mettere Mustang come unico parente rimasto a Winry, l'unico con cui lei può in effetti condividere il dolore. Proprio lui che era stato l'assassino dei suoi genitori dall'altra parte del portale. Uno scambio equivalente, non trovate?
So perfettamente che Edmund non somiglia proprio per niente ad una certa controparte... è fatto apposta, sapete. OOC anche lui.
Per quanto riguarda demoni e spiriti dell'immaginario ebraico, se volete saperne di più vi consiglio i libri di Isaac Bashevis Singer: sono assolutamente affascinanti, credetemi.
Il prossimo capitolo non sarà più un prequel ma un sequel, dato che sarà ambientato dopo la fine de "Die Uhr- L'orologio". Per cui rivedremo i nostri Ed e Al, e devo dire che mi mancava un po' poter scrivere di loro.


Rispondendo alle recensioni:
Ezzy O: felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. ^^ Sì, l'ultima frase era un "leggero" suggerimento ad un certo colonnello di nostra conoscenza...
Hanako_Hanako: se lo scorso capitolo ti è piaciuto così tanto, non posso che esserne contenta. ^^ Avevo il dubbio che il carillon fosse un po' troppo complicato, ma se non lo è meglio così!
Shatzy: caspita, hai praticamente indovinato questo capitolo! Tra Win e Noa, l'hai praticamente azzeccato tutto. ^^
Tranquilla, ribattezza i titoli come vuoi, tanto li metto doppi apposta. Felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, in effetti mi sono scervellata abbastanza. Sì, mi baso parecchio sugli avvenimenti originali, come in una sorta di contrappasso. Sono convinta che ci sia una sorta di scambio equivalente universale che regola i due mondi, e mi sbizzarrisco alquanto! ^^
Hughes non pensò ci sarà: in fondo nel film abbiamo visto che abitava a Monaco, mentre qui siamo a Berlino... però è una buona idea, chissà che non mi venga in mente qualcosa al riguardo...
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: hotaru