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Autore: RedLolly    25/03/2011    3 recensioni
Rebecca non sognava mai. Non aveva motivo per farlo. Non desiderava nulla in più di quello che aveva, non aspirava a niente. Sognare era ben qualcosa da riservare per chi bramava qualcosa… Oppure per chi aveva paura, e lei non ne aveva mai, né davanti ai morenti, né davanti a quelli che ormai da anni tentavano di braccarla in una penosa caccia contro una volpe troppo astuta.
Già, il terrore… Quante volte lo aveva letto negli sguardi altrui, quasi poteva sentirne l’odore a distanza tanto vi era abituata…
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Autore: LoLLy_DeAdGirL

 

 

Autore: LoLLy_DeAdGirL

Titolo: Merciless Stockholm’s Melody
Fandom scelto: Originale
Personaggi principali: /
Genere: Dark, Triste, Introspettivo
Rating: Arancione
Avvertimenti: Oneshot, Femslash, Non per stomaci delicati
Introduzione:
Rebecca non sognava mai. Non aveva motivo per farlo. Non desiderava nulla in più di quello che aveva, non aspirava a niente. Sognare era ben qualcosa da riservare per chi bramava qualcosa… Oppure per chi aveva paura, e lei non ne aveva mai, né davanti ai morenti, né davanti a quelli che ormai da anni tentavano di braccarla in una penosa caccia contro una volpe troppo astuta.

Già, il terrore… Quante volte lo aveva letto negli sguardi altrui, quasi poteva sentirne l’odore a distanza tanto vi era abituata…

Note dell'autore: Mi sono molto affezionata a questa storia dal primo momento in cui l’ho inventata… Sarà che a me gli psicopatici che sono diventati così per ciò che hanno sofferto in passato come le due protagoniste mi stanno molto simpatici! Ah, e consiglio di ascoltare davvero Venus in Arms dei Deathstars mentre ci si appresta a leggerla, perché praticamente l’ho ascoltata a ripetizione mentre scrivevo, ed è molto azzeccata! Buona lettura, spero che sia apprezzato lo spirito insieme crudele e naif che caratterizza le due protagoniste! (Disclaimer a fine storia)
Prompt scelti: litania, terrore, bacio, rosa, gatto, corvo

 

 

Merciless Stockholm ‘s Melody

 

 

“Venus in arms… I'll strip you off in the flood of the light… Venus in arms… You'll taste the dark yet so innocent white…”

 

Rebecca aprì gli occhi di soprassalto. Una luce pallida eppure intensa inondò le sue pupille in modo quasi doloroso… Aveva schiuso le palpebre troppo in fretta e ora lacrimava… Sì, sicuramente le piccole lacrime che solcavano inesorabili le sue guance chiazzate di porpora erano dovute al bagliore troppo forte del sole scandinavo...

Una voce familiare l’aveva svegliata, interrompendo il suo… Il suo qualcosa.

Si chiamavano sogni? Rebecca non se lo ricordava… No, non poteva essere quello, ma qualcosa di più sinistro, impresso vividamente nella memoria. I sogni erano cose belle, almeno, così si ricordava di aver sentito dire così da qualcuno…

Rebecca non sognava mai. Non aveva motivo per farlo. Non desiderava nulla in più di quello che aveva, non aspirava a niente. Sognare era ben qualcosa da riservare per chi bramava qualcosa… Oppure per chi aveva paura, e lei non ne aveva mai, né davanti ai morenti, né davanti a quelli che ormai da anni tentavano di braccarla in una penosa caccia contro una volpe troppo astuta.

Già, il terrore… Quante volte lo aveva letto negli sguardi altrui? Poteva sentirne l’odore a distanza, tanto vi era abituata.

Si mise a sedere nel letto dalle coperte completamente sfatte, nemmeno fosse passata un’armata a devastarle, e si guardò attorno sbattendo le palpebre collose. La sua vista ovattata  da stille salate le permise comunque di osservare l’ambiente attorno a sé. Niente fuori dal normale. I pallidi raggi solari penetravano dalla finestra che dava su una piccola via poco trafficata alla periferia di Stoccolma e la rassicurante voce di poco prima canticchiava lo stesso motivetto in una litania fievole, stridente. Proveniva da una figura che le dava le spalle, un’altra giovane con indosso solo una camicia bianca leggermente sgualcita, intenta a piastrarsi i capelli corvini di fronte ad uno specchio senza cornice comprato ad un mercatino delle pulci.

“Venus in arms… I'll strip you off in the flood of the light… Venus in arms… You'll taste the dark yet so innocent white…”

 “Alice? Alice, che ore sono?”

La mora si voltò vedendo la compagna seduta sul letto, sveglia, un’aria esterrefatta sul volto spruzzato di lentiggini. Sorrise, mostrando una dentatura lattea e perfetta tra le labbra sottili, prima di tornare alla sua attività. Quei capelli neri e mossi non si lasciavano convincere facilmente a diventare lisci.

“Le dieci e cinque di mattina, dormigliona…”

“Ho fatto un sogno, Alice…”

“No. Non hai sognato, Rebecca.” Tagliò corto “Noi non possiamo sognare. Non dovresti essere tanto sconvolta. Il tuo bel viso ridotto in questo stato di prima mattina mi fa male al cuore…”

Il suo tono di voce fu fermo, ma non iroso. Alice era un tipo che si arrabbiava di rado. Perdere la calma non faceva parte del suo stile sistematico, era troppo sciocco. Preferiva di gran lunga ridere, come la sua compagna, del resto. Caratterialmente erano entrambe simili l’una all’altra, plasmate alla stessa maniera, come cera in uno stampo di bronzo. 

“Ti dico di sì… L’Essere mi è apparso in sogno.”

“Il Corvo di Novgorod?”

“Sì, l’Essere né uomo né donna. E’ così strano…”

Come colpita da una scossa elettrica, le pupille della mora si ridussero fessure miotiche. Posò la piastra su un ripiano appena sotto lo specchio, girandosi. Rebecca sapeva che quell’espressione addolcita sul volto cesellato di Alice era riservata solo per lei.

“Non devi preoccuparti per il Corvo, zucchero… Lo sai che è morto, siamo state noi ad ucciderlo… Non dimenticherò mai il momento in cui abbiamo finito di sciogliere del tutto quella sua orribile faccia abbrustolita…” 

Rebecca non parve sollevata. Un’orda furiosa di pensieri angoscianti si riversavano in continuazione nella sua mente da quando era avvenuto quel brusco risveglio, eppure fino ad allora non era mai successo, né a Londra, né quando con Alice scappava dal Corvo stesso nascondendosi nel Northumberland, né a Bergen, né prima di quella notte a Stoccolma… Era davvero bizzarro.

Non rispose alla compagna. Il pensiero dell’Essere, come lei lo chiamava, era qualcosa di orribile… Aveva fatto di loro quello che erano diventate, e forse avrebbe addirittura dovuto ringraziarlo invece di riservargli lo stesso trattamento che lui aveva ordinato loro di compiere sulle vittime che designava…

Era spietato, il Corvo di Novgorod, probabilmente non era nemmeno un essere umano. Del resto, non era possibile perfino definirlo uomo o donna, giovane, adulto o anziano. Quella sua faccia bruciata aveva perso ogni connotazione umana, devastata dalle cicatrici rugose di un fuoco feroce che, da quanto si sapeva, l’aveva reso così sin dall’infanzia. Semplicemente, i tratti deturpati non facevano capire cosa fosse, così come il suo fisico. Rebecca non aveva mai visto niente di simile a lui. Quel corpo non aveva forme. Era esile, asciutto come uno scheletro, senza seno, senza fianchi, con il pube piatto come quello di una ragazzina imberbe. Quella carcassa vivente portava sempre una parrucca bionda, anzi, gialla, che odorava di plastica e tabacco avariato. I suoi occhi enormi, dall’iride di un grigio plumbeo slavato, a volte erano parsi quasi bianchi.

Deve aver fatto male venire ustionati in quel modo si era spesso chiesta quando lo vedeva, tuttavia già sapeva che la risposta alla sua domanda era un sì. Aveva dato fuoco a molte vittime, talmente tante che se ne ricordava bene solamente due: la prima era una ragazza di Londra a cui aveva distrutto il volto con una fiamma ossidrica prima di ucciderla, la seconda era un pastore anglicano che aveva osato ficcare troppo il suo lungo naso adunco nelle faccende sue e di Alice, quando si erano appena trasferite nel Northumberland per far perdere le loro tracce. Lo avevano arrostito per bene e si erano divertite un mondo! Di lui non era rimasto altro che cenere… E quello non era stato un ordine, ma la forza di un’abitudine che il Corvo stesso aveva inculcato nei loro cervelli con la forza di una trivella. Uccidere non era una cosa poi tanto orribile, gli uomini lo facevano spesso, alcuni meglio di altri… Loro dovevano solo essere le migliori.

Vedendo la compagna affranta, Alice posò la piastra per capelli, quasi del tutto soddisfatta della sua acconciatura. Si avvicinò al letto e vi si sedette sopra, abbracciò le spalle di Rebecca con un’effusione di tenero supporto. Le sue labbra le sfiorarono una guancia gelida in un casto bacio che sapeva di cristalli invernali, per poi proseguire verso l’angolo della bocca. Il profumo di quella ragazza dai capelli rossi e l’animo puerile la attirava come un insetto verso la tela del ragno.

Non c’era Alice senza Rebecca, non c’era Rebecca senza Alice, indivisibili frammenti di una sola unità costruita appositamente per massacrare ogni pezzo di carne che sbarrava loro il cammino.

Le iridi puntate al grembo, Rebecca rispose distratta alle tenerezze, lambendo la pelle della compagna, stringendole fievolmente le lunghe dita fra le mani.

“Vuoi raccontarmi del tuo sogno? Starai meglio dopo… Credo che le altre persone, la gente al di fuori di noi faccia così quando ha questi pensieri… Perché non sono immagini a caso, quelle, l’ha detto Sigmund Freud! Era un grande psicanalista, ho letto un suo libro!” chiese con entusiasmo, accarezzandole il viso in un intima moina.

Rebecca annuì facendo finta di aver capito chi fosse questo Freud. Non aveva mai avuto la passione per i libri che aveva la mora.

Una leggera pressione sul bordo del materasso attirò per un attimo indefinibile l’attenzione di entrambe: Whisper, il silenzioso gatto nero che si portavano dietro da quando l’avevano trovato a casa di una sventurata vedova londinese, saltò sull’ammasso di coperte acciambellandosi, mentre l’allegro tintinnio della campanella appesa al suo collare di raso rosso accompagnava ogni suo movimento.

“Vedi? Anche Whisper è molto interessato, zucchero…”

“D’accordo, gattina…” accettò Rebecca con un sospiro sconfitto “Ti dirò tutto.”

Con uno squittio di soddisfazione, Alice schioccò un ennesimo bacio sulla sua guancia, dopodiché si sistemò a gambe incrociate intenta in una posa di ascolto profondo, infantile.

Quelle due giovani dall’aria stravagante e immatura, forse fin troppo naif per appartenere a due persone di intelletto medio, non sembravano certo i tipi di persone che avrebbero potuto incarnare le anime malate di sadismo delle più grandi serial killer dell’età contemporanea ancora in libertà.

Novantasette vittime, nessun sopravvissuto dopo essere caduto preda delle loro trappole, e la polizia brancolava ancora nel buio tra persone ritenute solo scomparse nel nulla e omicidi senza collegamenti logici.

Certo, non sarebbero mai diventate delle così perfette macchine di morte, se non ci fosse stato il Corvo di Novgorod a prendersi cura di loro e ad insegnare che la violenza e la crudeltà erano gli unici talenti che dovevano coltivare. Era nate, anzi, erano state create per quell’unico scopo, modellate tra ferite aperte e ossa rotte a bastonate…

“Mi sono ritrovata in una stanza senza finestre né porte, di forma quadrata.” Iniziò a raccontare Rebecca, stringendo un braccio intorno al fianco morbido di Alice, i polpastrelli caldi a contatto con la pelle sotto la camicia “I muri erano di pietra, tutti umidi, pieni di muffa. Si sentiva l’acqua scrosciare attraverso le pareti. Mi sembrava una fogna, però non poteva esserlo, le fogne non sono quadrate, e hanno sia un’entrata che un uscita.”

L’incubo era stato realistico ed era ancora ben vivido nella sua mente come una fotografia appena scattata: poteva quasi ancora sentire l’odore marcio di quelle pareti impregnate.

“Io portavo il mio vestito preferito, quello scozzese e in mano tenevo un violino. Davanti a me c’era l’Essere né uomo né donna seduto su un trono fatto di carne sanguinolenta e penzolante, che di tanto in tanto ricadeva per terra e si riformava subito dopo. Mi guardava con quei suoi occhi mostruosi e rideva. Te la ricordi la sua risata, gattina?”

“Come farei a dimenticarla? Aveva una voce che gelava il sangue nelle vene. Sembrava un vecchio grammofono rotto, perché quando da piccolo si era ridotto così anche le sue corde vocali si erano bruciate.”

“Ecco, lui continuava a sghignazzare in quel modo e mi diceva che non eravamo libere, che ad ucciderlo gli abbiamo fatto un favore, perché adesso vive dentro di noi e comanda ogni nostro gesto, per questo non riusciamo a smettere di uccidere le persone. Io gli ho gridato che non era vero, che noi lo facevamo solo perché lo trovavamo divertente, però avevo tanta paura, Alice… Non credevo veramente a quel che dicevo, sentivo le lacrime agli occhi…”

Alice ascoltava elettrizzata e inquieta. Il Corvo di Novgorod era stata l’unica cosa che le aveva terrorizzate e che era riuscito a far loro del male. Era sul dolore che si erano basati i suoi insegnamenti, le aveva rese due schiave fedeli e ineccepibili, finché queste non si erano ribellate, torturandolo, uccidendolo e facendo sparire quel che restava del cadavere alla maniera di tutte le altre vittime.

“Mi ha intimato di suonare il violino che avevo in mano e sai io cos’ho fatto? Ho eseguito l’ordine come una scema! E piangevo, piangevo tanto, tuttavia non smettevo di muovere l’archetto. Da quello strumento non usciva nessuna musica, strideva e basta. Mi facevano male le orecchie. Intanto dai muri una voce di ragazza cantava Venus in Arms, eppure non centrava niente con quel rumore che producevo io… Mi sono svegliata di colpo e ho sentito che eri tu, nella realtà…”

“Accidenti! Sembra che sia stato davvero un sogno, sai? Anzi, un incubo, che è un sogno molto brutto. E’ affascinante!”

Rebecca tirò su una bolla di muco che le si era formata nel naso al ricordo di quelle immagini. Anche se era stato solo un frutto della sua immaginazione, aveva pianto per la prima volta dopo che l’Essere era stato ucciso. Anche se non era stato nella realtà, le sembrava una vicenda estremamente grave, nonostante Alice ne sembrasse affascinata. Non riusciva a comprenderla. Avrebbe preferito non sognare nulla, come al solito. Se si fosse ripetuto un avvenimento del genere sarebbe stato un grosso problema.

“Non ci trovo niente di bello, Alice.” affermò affranta.

“Invece sì! Tu hai fatto una cosa che fino ad ora non abbiamo mai potuto fare, ti rendi conto? E poi lo sai cosa diceva un filosofo famoso di nome Friedrich Nietzsche? Che nella creazione del sogno ogni uomo è perfettamente artista. Il tuo incubo è in realtà un’opera d’arte!”

“Noi lo siamo già. Siamo Artiste della Morte.”

“E’ vero… Ma così siamo ancora più artiste di prima!”

Alice scoppiò in una sonora risata, buttandosi sul materasso e iniziando a rotolare a destra e a sinistra, come impazzita, spaventando Whisper che scattò giù dal letto con un miagolio furioso di disappunto, per poi trotterellare a coda alta verso la porta della camera da letto.

La giovane si fermò solo dopo, ansante scossa da qualche singhiozzo felice che aveva contagiato a quel punto anche Rebecca, la quale sorrideva leggermente, più rilassata.

“C’è una spiegazione a tutto, Rebs.” Confermò la mora restando sdraiata.

 La sua mano si alzò lenta per accarezzare una guancia rosata picchiettata da lentiggini. Le dita sfiorarono un paio di labbra fresche e morbide come boccioli di rosa, una ciocca di ondulati capelli color rubino, un lobo tenero interrotto in più tratti dall’acciaio gelido di qualche piercing, per poi discendere lungo un collo perlaceo fino alla giunzione tra le clavicole. Le sue pupille seguirono i movimenti lenti di quell’arto in affascinata adorazione.

“Tu hai ancora paura del Corvo di Novgorod nonostante il fatto che l’abbiamo ucciso con le nostre mani, ma proprio per questo non dovresti averne! Tu credi di essere vincolata a degli ordini, perché sei troppo addestrata a pensare alla vecchia maniera, ma la verità è che possiamo fare quello che vogliamo adesso. Devi ancora abituarti alla libertà, tutto qui… Vedrai che prima o poi la smetterai di temere qualcuno che è già cadavere, o meglio, di cui non esiste più neanche una singola molecola. E’ sparito, zucchero. Alice e Rebecca possono recuperare tutto il tempo perduto a uccidere per qualcun altro. Nessuna di noi due suonerà più il violino per l’Essere…”

Rebecca accennò un assenso con il capo.

“Diceva così quando ci insegnava a tagliare la gola… Usate la lama come un archetto sul violino…”

“Vedi? Hai reso materiale l’idea di uccidere qualcuno per lui… Non trovi i sogni affascinanti  e meno spaventosi, ora?”

“Assolutamente sì!”

La rossa si calò in avanti e posò un bacio sulla bocca dell’altra per ringraziarla. Come avrebbe potuto andare avanti senza di lei? Insieme erano invincibili, niente avrebbe potuto turbarle o fermarle. Se il Corvo era stato il Diavolo in persona allora loro sarebbero divenute le sue degne eredi, due Demoni incapaci di provare sentimenti di angoscia e compassione.

“Che ora è adesso, Alice?”

“Sono quasi le undici e trenta… Dobbiamo metterci al lavoro!”

Le ragazze si alzarono dal letto di scatto sistemandosi i vestiti stropicciati addosso. Rebecca sistemò il piumone a righe blu e verdi sul letto in modo da renderlo liscio e presentabile, Alice si stiracchiò le braccia con uno sbadiglio.

“Vuoi mettere un po’ di musica?” chiese osservando un piccolo stereo posato sul pavimento, circondato da varie scatole di cd piratati “Io ho voglia di ascoltare ancora i Deathstars, anche se li abbiamo già messi su ieri sera, e tu?”

“Sono d’accordo! Fai partire il cd, deve essere ancora dentro, parte da dove abbiamo interrotto quando siamo andate a letto.”

Alice premette il tasto play, e il cd riprese la canzone numero 9, Arclight. Rebecca si guardò attorno sorridente, iniziando a piroettare sulle prime note, per poi fare un salto e cimentarsi in un imitazione di un chitarrista. La mora rise di gusto, applaudendo.

Dopo aver urlato all’unisono un poco intonato “I will never, never forgive” si voltarono verso la stessa direzione: l’angolo a destra della porta della camera. Un lamento prolungato aveva interrotto la loro canzone.

Alice ridacchiò con una mano davanti alla bocca.

“Si è svegliato, finalmente…” sussurrò all’altra, anche lei presa in qualche sogghigno.

“Direi che è proprio il momento giusto!”

Un ragazzo di poco più di vent’anni le osservava con occhi pieni di lacrime, polsi e caviglie legati ad una sedia su cui è seduto, nudo, tremante, i lunghi capelli neri scompigliati ed incollati al viso, un bavaglio ad impedirgli di urlare, sempre che ne avesse ancora la forza.

“Non ti piace il cd, Erik?” chiese Alice ironica “O ti sei reso conto di che ora è?”

Il giovane puntò istintivamente gli occhi gonfi di lacrime verso l’orologio alla parete.

“Avevamo detto un giorno. Ventiquattro ore e saresti morto… E a che ora ti abbiamo preso ieri?”

“Io lo so!” trillò Rebecca “A mezzogiorno meno un quarto!”

“Esattamente… Vedi, Erik, sta per scadere il tempo…”

Il giovane gemette di nuovo, mentre Alice salì a cavalcioni sulle sue gambe, studiando le sue linee morbide e umide di sudore, gustandole con il suo sguardo nero.

“Tra poco dormirai… Dormirai per l’eternità, mentre noi divoreremo tutti i tuoi sogni, uno per uno… Nemmeno tu potrai più sognare… Ti renderemo simile a noi, piccolo Erik…”

Alice rise, lasciandosi andare contro di lui, le braccia intorno alle sue spalle. Il suo pareva quasi un abbraccio confortante verso quelle lacrime che solcavano lentamente le gote di quel ragazzo così sfortunato…

Rebecca stacco dalla presa di corrente la spina della piastra per capelli, per inserirne un’altra. Il rumore meccanico di un trapano acceso squarciò la melodia di Arclight sulle fredde note finali, insieme ad un lungo lamento di disperazione che avrebbe fatto gelare il sangue a chiunque, ma che per Alice e Rebecca suonò come una dolce e malinconica melodia.

 

 

 

 

 

 

Disclaimer: Le canzoni Venus in Arms, Arclight , il cd musicale Night Electric Night  non mi appartengono, ma sono di proprietà dei Deathstars.  Nemmeno loro mi appartengono (posso dire purtroppo?XD)

 

Un ringraziamento particolare a Fabi, per il suo contest “Era un sogno”. Sono soddisfatta di aver partecipato, anche se la posizione non è stata delle migliori… Pazienza!^^

  
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