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Autore: Quintessence    25/03/2011    8 recensioni
Il Destino ci narrò storie di coraggio su Sailormoon, su quello che furono le Senshi, sulla venuta di Chaos. E ognuna di noi sapeva che l'umanità sarebbe vissuta. Che l'accecante potere del Ginzuishou avrebbe toccato tutti. Che Serenity avrebbe vinto anche l'ultima sfida, sconfitto anche la Catastrofe finale, creando la nuova e Luminosa Crystal Tokyo.
Il Destino aveva parlato. Noi avevamo creduto.
Oggi, però, il Destino è cambiato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ami/Amy, Makoto/Morea, Minako/Marta, Rei/Rea, Usagi/Bunny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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08 ~ Le Luci della Città

Il lungo viaggio verso la vita e la dispersione. Quanta energia hanno le stelle e come si relazionano con gli esseri umani. Essere mortali, essere umani. Vedere le luci della città. Fili d'argento. Incontrarsi.


Atterrarono su un grande prato alla periferia delle città luminose, che ammiccavano piccoli lumi e rumori ovattati da lontano. Erano in cima ad una piccola collina, si resero conto ben presto.
« Mi fanno male le Ali » -Dichiarò subito Kalìa nel tono più lagnoso che le riuscì. Le pulsavano dolorosamente sulla schiena, all’attaccatura alle scapole. Avevano volato in picchiata, e la picchiata non era mai rilassante. Facevano male, a battere così come un tamburo sulla schiena. Cercò di arrivare all’attaccatura per massaggiarsela, ma non ci arrivò.
« Lascia stare, ti aiuto io » -Fece subito Psyché, appoggiò una mano sul punto delle scapole in cui sapeva che Kalìa stava provando dolore, e subito un serpente nero pece s’inerpicò sul suo polso. Sentì la compagna mandare un sospiro di sollievo, e allora si fermò- « Va meglio? » -Domandò con una smorfia di prurito mentre il serpente nero entrava nella sua pelle. Sarebbe sparito in un paio d’ore.
« Molto. Grazie… Ti fa molto male? » -Domandò Kalìa indicando il punto dove il Serpente era entrato, vedendolo trasformarsi in una vena rossa. Psyché alzò le spalle; Kalìa pensò che non voleva mostrarsi debole, ma probabilmente le dava parecchi fastidi.
« Passerà » -Rispose solo, e Kalìa non fece altre domande, sapeva che Psyché si sarebbe arrabbiata e non voleva che accadesse. E poi, anche se stava per ringraziare di nuovo, venne interrotta da un luccichio che attirò la sua attenzione- « Hey, ragazze, guardate un po’ qui »
Ma Sophìa e Areté, con Voluntas, erano già qualche metro più avanti, sulla collina. Solo Voluntas la sentì e si girò di una spanna.
« Tutto a posto? » -Domandò.
Kalìa si chinò e raccolse qualcosa che somigliava ad un frammento luminoso, mostrandolo a viva forza e scuotendolo con la mano destra, con un’espressione sul viso che somigliava un po’ a una smorfia e un po’ a una sorpresa terrorizzata nel tenerlo in mano. Sembrava che le bruciasse in mano.
«Dispersione! » -Gridò in direzione di Voluntas, che s’era fermata e adesso stava correndo verso di lei quasi a rotta di collo. Né Kalìa né Psyché l’avevano mai vista così preoccupata. Kalìa mollò il frammento, mentre si chinava ad analizzare il terreno. Non se ne era resa conto prima, perché le ali le tormentavano le scapole rigide, ma tutto il terreno era disseminato, qua e là, di piccole gocce luminose.
« Ce ne sono un sacco… » -Disse Psyché, muovendosi intorno- « Ma da dove vengono, Voluntas? »
Voluntas aveva cominciato a muoversi con circospezione, e appena Psyché fece un passo verso di lei, diventò di un paonazzo che le fece paura, e gridò con il panico che le incrinava la voce.
« Dispersione, accidenti! Non calpestatela, non calpestatela... Il sovraccarico deve averla rispedita indietro... »
Psyché si immobilizzò- « Voluntas, è impossibile. Sono troppi » -Mentre lo diceva, uno si spezzò sotto un piede. Voluntas imprecò, proprio mentre lo squittio acuto di Sophìa che, arrivata in cima alla collina, si diffondeva per tutta la zona lanciando l’allarme. Immediatamente tutte e tre si alzarono in volo, e in poco meno di qualche secondo furono in cima alla collina. C’era una conca, una piccola conca. Sophìa s’era girata e sembrava in preda a conati di vomito, Areté respirava lentamente e costantemente senza riuscire a dire una parola. Voluntas s’affacciò sulla conca, e voleva quasi gridare verso le altre due no, non guardate, non guardiamo, ma la voce le morì in gola e i suoi piedi si mossero da soli. e quasi pianse. Kalìa scostò Psyché e guardò anche lei.
« Oh, Dio » -Fece subito- « Non è possibile »
Tutta la conca traboccava di luce. Piena di frammenti luminosi di stella, piena di pezzi di sogni. Piena zeppa di dispersione. Di scarti. Psyché arricciò le sopracciglia e le labbra, e si rivolse a Voluntas immediatamente.
« Che significa? Voluntas, cos'è questa... cosa...? »
« Sono i nostri cadaveri » -Disse lei, senza riuscire a distogliere lo sguardo lucido dalla conca, che quasi illuminava a giorno il suo viso; Psyché se ne accorse, e non glielo disse, ma in quella luce bianca, con quella pelle, e gli occhi traboccanti di luce di lacrime, la trovò davvero bellissima.
« Cadaveri…? » -Areté arretrò di un passo mentre Voluntas riprendeva a parlare.
« Sì, è quello che ci è sfuggito. Quello che non siamo riuscite ad assorbire » -Spiegò in pochi termini Sophìa, che ancora non riusciva a guardare; Kalìa sbuffò.
« Siamo delle schiappone, come Nemesi » -Ridacchiò, e per un attimo Voluntas la seguì in quel leggero tentativo di riportare la serenità nel gruppo. Nessun’altra rise.
« E’ solo colpa del sovraccarico, non siamo riusciti ad assorbire tutto… Siamo troppo piene... » -Spiegò di nuovo Sophìa in un tono che Kalìa trovò abbastanza antipatico e saccente- « Dobbiamo sbrigarci, o ne perderemo ancora e ancora… E non possiamo abbandonarla » -Accarezzò un frammento di luce, e quello rientrò per metà nella sua mano. Poi si rigettò fuori, come se non ci fosse spazio per lui.
« Vedete? Non riesco ad assorbirlo, sono piena » -Sussurrò. Era un suo frammento, un rimpianto di Ami, o forse un suo ricordo. Lo guardò con intensità, era suo, e non era riuscita a custodirlo. Non era stata abbastanza forte da prendere tutto con sé, il peso era stato troppo. Si vergognò enormemente, nel vedere quanto si erano lasciate sfuggire. Quanto avevano da recuperare. Quanti errori, quanti sbagli. Scoppiò in lacrime lucenti e si gettò nella conca correndo.
« No, Sophìa, no! » -Le gridò subito Voluntas, ma quella stava volando praticamente- « Lasciali, siamo sovraccariche! »
Affondava le mani nei frammenti e cercava i suoi con disperazione, assorbendoli uno per uno e poi vomitandoli fuori dal corpo- « Sono suoi! Sono di Ami! Non lo capite, non lo capite? »
Singhiozzava disperata e affondava le mani ancora, e ancora- « Vi prego, entrate, forza! Devo salvarvi, devo custodirvi. Sono una Nemesi, sono la vostra Nemesi! » -La voce era rotta dalle lacrime di luce- « No, no, era il nostro compito, guardate quanta ce n'è, sono i loro sogni! Non possiamo lasciarli qui, non possiamo lasciarli qui! » -Infilava la luce dovunque ci fosse spazio. Nelle tasche, nella tunica, nei capelli. Ma quella ostinata scivolava giù come l'acqua. Sophìa si abbandonò in ginocchio.
« Non possiamo lasciarla qui... » -Ma era colma. Non ne aveva raccolto nemmeno un centesimo.
Psyché lasciò perdere tutto, allora, e le si avvicinò correndo, in lacrime anche lei, e le sue ali sembrarono di due misure più grandi. Le avvolse tutto il corpo con le piume, e lentamente il respiro di Sophìa si placò, si regolarizzò. Le vene nere ricominciarono a pulsare nelle ali di Psyché, ma lei non sembrò curarsene. Continuò a cullare Sophìa finché non smise del tutto di fare quegli sbuffi e si asciugò tutte le lacrime. Il dolore così simile a un senso di nausea per aver cercato di prendere con sé i frammenti andò scemando, passo a passo. Si aggrappò alle ali di Psyché mentre quelle si ingrigivano. Kalìa la vide serrare i denti. Poi la vide alzarsi e prendere per mano la compagna, e risalire la conca fino alla cima della collina. C'era uno sguardo duro e doloroso nei suoi occhi, e Kalìa non glielo aveva mai visto. Le ali stavano tornando bianche a fatica. Guardò la vena rossa che poco prima era stato il dolore alla sua scapola e fece una smorfia distogliendo lo sguardo.
Psyché la guardò fissa, poi fissò gli occhi in quelli di ciascuna di loro. Infine, si fermò su Voluntas. Aveva ancora le ali avvolte intorno a Sophìa e l'espressione dura e dolorosa di prima.
« Dobbiamo sbrigarci » -Sentenziò, e svolse l'abbraccio.

~

Volarono con le grandi ali piumate per quasi un'ora prima di arrivare alla periferia di quella che doveva essere Tokyo all'epoca. Una città quasi priva di interesse a guardarla da fuori. Nel buio, una luce rossa che lancia i suoi segnali di vita. Unico segno che lì c'è qualcosa di più che solo un ammasso di cemento e metallo. Vita. Voluntas sbatté le ali con potenza, planando verso il basso. Le altre la seguirono velocemente. Kalìa volteggiava dolcemente, e sembrava davvero un angelo così, avvolta di luce e capovoltandosi nell'aria come fosse acqua. Sophìa tremava ancora, e Psyché era di cattivo umore; le ali da grigie stavano lentamente tornando di un bianco sporco, e così il suo dolore si stava alleviando. Il braccio era guarito quasi del tutto, solo un graffio testimoniava il nero serpente di poco prima. Areté non aveva parlato fino a quel momento, ma soppesando le parole decise di schiarirsi la gola e affiancarsi alla compagna.
« Tutto ok? » -Le chiese dolcemente.
« Sì, rientrerà. È sempre così... » -Rispose lei con una punta di tenerezza nella voce- « Sophìa sta meglio, questo importa. Kalìa vola come prima. È tutto a posto. Rientrerà »
Areté l'accarezzò con la punta di un'ala.
« Non devi sempre fartene carico, non è certo un dovere per te » -Le disse. Ma in quel momento lo strillo eccitato di Kalìa la fece volgere verso il basso, e anche Psyché si sentì pervadere dall'entusiasmo della stella bionda.
Luci. Luci ovunque. Sembravano altri scarti, altra dispersione, ma brillavano di diverso, di quasi... Di finto. Eppure riscaldavano molto, moltissimo. Aprì la bocca e voleva quasi lasciarsi volteggiare anche lei in quel turbinio di luci. Forse era così che gli esseri umani rimediavano alla mancanza di luce nei cuori? Creavano luci artificiali, e poi se le impiantavano? Areté aveva la bocca completamente spalancata.
« Si chiama elettricità » -Spiegò Sophìa vedendole così sorprese- « Si tratta di luce fatta in casa »
Luce fatta in casa... Meraviglioso. Guardando giù, vedevano accendersi sempre più lumini, sempre più molecole in movimento, sempre di più, sempre di più. Le colonne delle luci nei cuori salivano vorticando impazzite; un litigio fra amanti, una tristezza improvvisa, un lavoro non ottenuto, un votaccio, una lunga discussione con i genitori. Tornadi di luce, eppure la città era ancora così luminosa.
« Oh, è magico! » -Gridò Kalìa e volteggiò ancora, scendendo più in basso- « Fa più luce della luna, più luce di tutto! »
Era vero. L'elettricità, come l'aveva chiamata Sophìa, era il più alto degli obiettivi immaginabili. Avere luce portatile, da infilarsi nel cuore quando volevano. Da darsi speranza, forse, di recuperare quella vera. Volando in formazione compatta, sorvolavano quel mare di scintillii, di candele, di fuochi ardenti, di speranze vive.
« Quest'umanità non è morta... » -Sussurrò Psyché- « ...Quest'umanità non può morire »
Si poggiarono tutte e tre sulla torre di Tokyo quando cominciarono a sentire i fili tirare.
« Tira » -Kalìa fu la prima a notarlo. Il filo d'argento stava tirando.
Il filo d'argento, per chi non lo sapesse, è il legame con la Nemesi. Se questa scende sulla terra, è difficile che riesca a stare lontana dalla sua protetta o dal protetto per più di qualche ora di tempo. Perché c'è un legame indissolubile che li lega, e cercare di opporvisi è inutile. Significa morte certa per entrambi. Le Nemesi lo sentono nelle ali, mentre gli uomini avvertono fitte alla testa o leggeri malesseri che non riescono a spiegarsi. A volte svengono.
« Vola » -Le disse Voluntas- « Devo andare anche io » -Aggiunse. Lo sentiva in mezzo alle scapole e stava cominciando a fare male.
« Sì, sì, ci troviamo nel Limbo » -Sussurrò Sophìa alzandosi in volo.
Il tacito consenso delle altre fu il loro allontanarsi in cinque direzioni diverse. Correre. Correre. Correre. Non c'è molto tempo.

~

Sophìa arrivò proprio nel momento in cui la gomma del Destino stava cancellando i ricordi ad Ami. La scacciò con un gesto solo, creando attorno a lei uno schermo di luce. « Non se ne parla » -ringhiò- « Ne ho già persi fin troppi, di ricordi » Abbracciò dolcemente Ami, e si volatilizzò nel limbo.
Psyché trovò Rei addormentata in una pozza di sangue. La ripulì e toccò i suoi polsi. Le cicatrici si rimarginarono mentre i serpenti neri si inerpicavano sulle sue dita. Gemette di dolore, ma non si scompose. Prese in braccio Rei, e corse al limbo.
Areté invece, entrò in casa mentre Makoto stava guardando la tv. Un programma di cucina della una di notte. Si soffermò a guardarlo per qualche minuto con lei, accarezzandole la testa e regalandole una dolce sensazione di sollievo. Poi, si riunì alle altre nel limbo.
Kalìa ebbe problemi a tirare su Minako dal cesso. Continuava a sboccare l'anima e non riusciva a fermarla. Il filo d'argento era stato tirato abbastanza, e probabilmente la propensione per la ragazza a vomitare le aveva fatto assecondare la nausea. Alla fine l'afferrò per la collottola, la tirò su e se la portò via.
Voluntas restò ferma quasi mezz'ora a osservare se stessa abbracciata a Mamoru e con il viso solcato di lacrime. Pianse anche lei, per quello che le sembrò un anno, o due forse. Si chiuse a uovo nelle sue ali cercando di afferrare la tristezza che lentamente si diramava dal suo petto e dal Silver Crystal.
« No, basta... Smettila... » -Era sovraccarica anche lei. Per quanto tentasse di evitare quel pensiero, non ne poteva più.
L'immagine della conca piena di dispersione le tornava in mente prepotente. Era così tanta la tristezza di quelle ragazze? Come aveva potuto superare addirittura il carico di una stella? Brillavano così tanto, viste dalla terra? Sfiorò con gentilezza la testa di Usagi.
Quanto hai sofferto, amica mia. Quanto mi dispiace. Cantò, togliendole dalla testa l'incubo in cui il mondo finiva e la sollevò dal giaciglio d'amore. Mamoru, perdonami, pensò.

~

Aprire gli occhi fu una sofferenza per tutte e cinque. Mugolarono tutte di dolore, e condivisero il pensiero che, in quel posto, di luce ce n'era veramente troppa. Rei si sollevò su un gomito e subito pensò che doveva trattarsi di un sogno. C'era un angelo, o qualcosa di simile accanto a lei. Più di uno. Che cos'erano...? Era sicuramente un sogno. Psyché si coprì la bocca con due mani vedendola svegliare. Aveva creduto d'essere forte. Aveva creduto che non avrebbe ceduto a quella debolezza. Aveva creduto di poterla affrontare, invece appena la guardò negli occhi e si specchiò nella cattiveria, nello stress, nel pallore di quella ragazza, scoppiò in pianto e si inginocchiò di fronte a lei. Quando aspetti un incontro così tanto che il tempo non lo conti più, quando succede non è come lo immagini. Lo hai programmato mille volte, e mille ancora nella tua immaginazione, quasi che ti sembra di ricordarlo. Ma Psyché, come tutte le altre, non aveva guardato Rei negli occhi nemmeno una volta. E farlo in quel momento terribile le parve quasi un insulto.
« Sei tu... » -Le sussurrò con un filo di voce- « Oh, sei tu... »
Rei non la riconobbe e se ne rincresceva. Era così bella che pareva uno spirito, o forse era uno sprito diventato angelo.
« Io non... Chi sei...? »
« Sono io, sono io, Rei... » -Si inginocchiò mentre Rei si metteva seduta, e le prese il viso fra le mani. I serpenti corsero subito sulle sue braccia, mentre la ragazza riprendeva colore e si sentiva calda e sollevata- « Sono Psyché, sono il tuo star seed, sono la tua Stella, la tua Nemesi »
« Ah, io... »
« Psyché... » -La voce di Kalìa le arrivò lontana- « Canta, è meglio »
Fu come se fosse tornata in sé. Lasciò il viso di Rei e i serpenti ricaddero sul suo volto. Si guardò intorno. Tutte e quattro le altre nemesi avevano avvolto le loro protette, e stavano cantando tutte. Psyché guardò Rei; lei, diffidente, stava già per correre via. Ma Psyché le disse « Abbi fede » e le tese una mano. E Rei seppe che cosa era giusto, e si adagiò fra le sue ali. Cullandola, dolcemente, cantò per lei più e più volte. Le ricordò cosa una volta credeva. Per lei fu come cadere in un tunnel caldo, e quasi soffocante. Ma non era spiacevole. Quando aprì gli occhi di nuovo, riconobbe subito la sua Nemesi.
« Ce li hai i miei sogni? » -Le chiese con voce impastata.
« Tutti qui » -Rispose Psyché con gli occhi luccicanti, toccandosi il cuore.
« Che posto è questo? » -Chiese invece Makoto più pragmaticamente.
Voluntas sollevò le mani e l'indicò. Era tutto bianco, e luminoso quanto bastava per potersi guardare in faccia senza fatica.
« Questo » -Sentenziò- « È il limbo »
« E che ci facciamo con... » -Smorfia di disappunto e gesto con un dito in direzione di Usagi- «
Lei in questo Limbo? Non è una stupida trovata del tuo Silver Crystal per convincerci a salvare il mondo, vero? »
Ami e Minako si scambiarono un'occhiata significativa. Avevano pensato la stessa identica cosa. E ora che glielo facevano pensare, anche Rei era d'accordo. Si svincolò da Psyché velocemente, e andò ad affiancarsi alle compagne mentre la trincea riprendeva la sua forma. Loro quattro da una parte, e le cinque Nemesi e Usagi dall'altra. Usagi scosse la testa.
« No, non ne so niente, non ho usato il Silver Crystal! » -Gridò disperata- « Non lo so chi sono, non lo so, non ne ho idea! »
Voluntas alzò le sopracciglia in un'espressione che doveva sembrare sconcertata, ma in realtà i suoi lineamenti non si piegarono più di tanto.
« Io
sono il Silver Crystal » -Spiegò. Mugolii di dissenso e un sacco di ve l'avevo detto e lo sapevo dall'altra parte della trincea. Un'altro stupido trucco perché doveva salvare Chibiusa.
« E noi siamo i vostri Star Seed » -Aggiunse Areté fissando Makoto.
« E in effetti questa
è una felice rimpatriata per il salvataggio della terra » -Fece Kalìa al seguito.
« Non mi somiglia per niente. Come fa ad essere il mio star seed? » -Disse Minako in direzione di Rei. Rei ridacchiò, ma Kalìa s'offese e incrociò le braccia in segno di disprezzo.
« Hai ragione, sono parecchio più bella »
« Sei anche più
grassa » -Le fece eco Minako.
Ci vollero sei o sette minuti per districarle e farle smettere di bisticciare. Voluntas si riprese la parola, alla fine.
« Noi siamo solo anime. Non siamo niente, non abbiamo nessun potere e nessuna speranza di salvare la terra da sole. E voi, visti gli ultimi sviluppi della lite, nemmeno. Ma insieme, contiamo di sventare la catastrofe »
« Cosa?! Niente Crystal Tokyo? » -Usagi era sconcertata, boccheggiava. Ami sembrava sul punto di vomitare.
« Non per adesso. Io sono debilitata, Usagi » -Disse Voluntas accarezzandole la guancia- « C'è poca luce nel tuo cuore. L'ho dovuta prendere tutta su di me quando l'hai abbandonata. Sono sovraccarica, mi dispiace... Non ce la faremo a salvare l'umanità se non fermiamo la catastrofe »
Ma Makoto aveva ben chiaro il quadro della situazione, e non voleva partecipare. Lo esplicitò subito e con veemenza.
« E se non volessimo partecipare? »
« Ma, Makochan! » -Le gridò Usagi, di nuovo sul punto delle lacrime, di nuovo dall'altra parte del fosso. Makoto scosse la testa.
« Preferisco morire sulla mia sedia a rotelle e non avere il peso di nessuna responsabilità. Se la natura ha deciso, allora la natura deciderà ancora. La Catastrofe ci sarà, non possiamo cambiare il destino » -Arricciò le labbra e fissò la sua Nemesi. Le sembrò di ferro, in quelle ali e con quel viso mascolino. Possibile che quello fosse quello a cui aveva rinunciato?
« Il destino non è scritto! » -Saltellò su Kalìa- « Anche noi lo abbiamo creduto, ma siamo qui per cambiarlo. Non è scritto! Dobbiamo scriverlo noi! »
Minako fece un gesto con la mano, a gran fatica si reggeva in piedi ossuta com'era.
« Non se ne parla. Se anche volessimo, guardateci. Voi senza corpo e noi senza niente. Io mi reggo a malapena in piedi, Makoto nemmeno quello. Rei ha cicatrici ovunque »
Rei sobbalzò a quelle parole, e distolse lo sguardo da Psyché. Quanto doveva averla delusa, quanto stava soffrendo?
« Sì, sì, sì! » -Kalìa sembrava invece sempre più felice mentre squittiva le sue spiegazioni infantili- « Noi vi daremo la forza, e voi il corpo! La volontà è quello che conta, è il quinto elemento, è quello che vi lega! È il vantaggio che abbiamo sulla natura! Il
desiderio di salvare la terra! »
Makoto parve spazientirsi all'improvviso.
« Non c'è nessun desiderio! » -Gridò a gola secca- « Non ci importa più un fico secco della terra, né della nostra vita! Crepate, crepi la terra e noi con voi, e voi con lei! E adesso, rimandami giù a godermi i miei ultimi giorni da Mortale! » -Aveva detto
rimandami, e Areté aveva subito capito che stava parlando con lei. Sollevò la testa, sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Usagi singhiozzava come una bimba di prima elementare senza il gioco, Makoto la fissava negli occhi e non c'era pietà né rancore nei suoi occhi. Niente. Il vuoto. E così, anche tutti gli occhi delle altre erano solo pozzi vacui in cui precipitare, giù, sempre più giù. Capiva il motivo del sovraccarico, e capiva anche le dispersioni. Annuì gravemente.
« Non si può tornare giù dal Limbo »
« Che cosa? » -Per quello che era parso un secolo, Ami non aveva parlato. Ma adesso era scattata in avanti, il terrore dipinto sul viso- « Siamo bloccate qui? »
Subito Sophìa la rassicurò con il suo fare un po' saccente.
« No, no, no, devi stare tranquilla, non siete bloccate. Tornerete giù, naturalmente. Ma ve lo ha spiegato prima Kalìa, qui la volontà è quello che conta. Solo quella. Per tornare giù, quindi, dovrete dimostrare di volerlo sul serio »
« Io voglio! » -Piagnucolò Minako improvvisamente isterica all'idea di restarsene lì l'eternità e oltre- « Voglio voglio e voglio! Ora fammi tornare! » -Anche lei aveva detto
fammi. Kalìa la guardò in viso, deturpata com'era. Una grottesca C dipinta sul viso di una Bulimica. Marchiata per sempre dal vetro di un finestrino. Non sarebbe stata causa di altre sofferenze, per lei. Il sovraccarico era bastato a tutte. Voluntas fece un gesto con la mano.
« Buttatele giù » -Si coprì gli occhi per non far vedere che stava di nuovo per piangere- « Non voglio vederle soffrire di più, non lo sopporterei. Sottoponetele alla
prova e rimandatele giù in fretta »
Ciascuna deglutì in quel momento, quattro sguardi di fuoco puntati su di loro. Makoto non sapeva di che prova stesse parlando, ma si sentiva così determinata a volersene tornare a casa, senza più la preoccupazione del salvataggio del mondo o altre stronzate del genere, che era sicura di superarla in meno di cinque secondi, con esito positivo. Ma la prova non ha esito positivo o negativo. La prova è solo una prova. Non c'è una scelta giusta. Kalìa lo aveva detto, è solo questione di volontà nel Limbo. Quello che vuoi viene da te, automaticamente.
E Makoto, così sicura di sapere cosa volere, questo non l'aveva capito.

   
 
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