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Autore: Ninfea Blu    27/03/2011    5 recensioni
Un piccolo scritto in memoria di una donna.
Una casa piccola e vecchia che contiene i ricordi di una vita fatta di poco, ma felice.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una casa fatta di due stanze

Una casa fatta di due stanze

 

 

 

È forse il ricordo più dolce della mia infanzia.

 

Partivamo per andare al mare, e nel tragitto, passavamo sempre da Cremona.

Era una tappa fondamentale, perché oltre ad essere la città natale, era il luogo di villeggiatura della mia nonna materna.

Noi andavamo in vacanza per due settimane ad agosto, e lei si fermava lì, nella sua casa, un piccolo appartamentino fatto di due stanze, una cucina, e la stanza da letto, separate da un pianerottolo comune che si apriva sulla rampa delle scale che portavano al piano superiore.

Il bagno era una latrina, posta all’esterno, alla fine del balcone in cemento, scura e maleodorante.

 

Era una casa piccola e vecchia, ma chissà perché, a me piaceva quasi più del mio grande e comodo appartamento moderno dove vivevo con la mia famiglia, in un'altra città. Mi dava un profondo senso d’intimità, di cose vissute, di calore; ricordo quella volta che ho dormito lì, con mia nonna e mia sorella, nel lettone alto che fu di mia madre. Era come sentirsi al sicuro, dietro a vecchie porte bianche di legno un po’ gonfie per l’umidità.

 

Mi piaceva il suono lievemente ovattato, un po’ sordo delle mie scarpe su quel vecchio pavimento, su quelle strane piastrelle bombate e irregolari, segnate da buchi qua e là, colorate di uno strano rosso che ricorda il porfido. Ci camminavi sopra e sentivi sotto i piedi le lievi sporgenze, i piccoli morbidi dossi; non era noioso come camminare su un pavimento di piastrelle lisce e perfette.

 

Che cosa strana…

 

Ma mi piaceva.

 

Mi ricordo mia nonna in quelle due stanze; serena, rilassata.

 

Tranquilla.

 

Felice.

 

Mi sembrava felice.

 

Con poco.

 

Me la ricordo, sul portone ad arco che dava sul cortile interno della vecchia casa di via Manin, con il suo vestito leggero blu a pois bianchi, che ci salutava con un sorriso, mentre noi andavamo via.

Io avevo la sensazione assurda che la abbandonassimo, e piangevo per questo.  Ma non era così.

 

In quelle due settimane, lei ritrovava la vicina dirimpettaia, le chiacchiere con le amiche, il gatto che passava dal balcone affacciato sul cortile e l’andava a trovare; ricordo di aver visto il simpatico micio saltellare dietro una palla su quello stesso pavimento, salire sul divano posto davanti al tavolo della cucina, dove mia nonna stava seduta, e salirle su una spalla, per scendere poi, dall’altra.

 

E mia nonna, ferma che lo lasciava fare. E io ridevo.

 

Alla fine delle due settimane saremmo tornati a prenderla per riportarla a casa con noi. E avremmo mangiato da lei, in quella cucina intima bianca, con la vecchia credenza alla parete, prima di rimetterci in viaggio per tornare ai luoghi invernali.

 

Poi, un giorno è arrivato lo sfratto del padrone.

E mia nonna, nella sua casa non è più tornata.

 

Non è più tornata a Cremona. Non è più andata da nessuna parte; restava ad aspettarci in città, quando si andava in ferie.

E io non ho più rivisto quelle due stanze, che avevano custodito tanta felicità.

 

 

Fine

 

   
 
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