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Autore: Aching4perfection    27/03/2011    4 recensioni
L'ex marito odioso che, nonostante la nuova fiamma, non riesce a smettere di pensarti;
il nuovo capo disposto a tutto per averti nel suo letto ancora una volta;
il migliore amico che ti ha sempre offerto una spalla su cui sfogarti;
il ragazzo della porta accanto che, degli altri uomini, non sa niente.
Quali sono i segreti per gettare solide fondamenta in una relazione con un uomo?
E come fare quando, di uomini da gestire, ce ne sono ben quattro?
E se uno di loro custodisse un segreto che, se rivelato, sconvolgerebbe tutto e tutti, senza eccezioni?
Forse, le donne hanno davvero bisogno di un promemoria per ricordarsi che il romanticismo non è morto e che, a volte, si è talmente fortunate da incontrare un uomo che sappia ancora cosa sia o come lo si crei. Ma quand'è che abbiamo smesso di credere nel gesto romantico del regalare una rosa al primo appuntamento o nell'accettare un conto già pagato, quando siamo diventate così ciniche?
Io ho sempre avuto una sola convinzione sui film romantici, che non sono mai belli quanto i loro trailer.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Satisfaction'
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Coward

Era da due mesi che andava avanti così. E quella mattina non faceva eccezione.
Alle sette meno un quarto mi alzavo, senza nessuna voglia di farlo, e mi vestivo con una lentezza che qualcun altro avrebbe definito esasperante, alle sette e mezza svegliavo Andrew e, dopo avergli fatto fare colazione, lo accompagnavo a scuola, riuscendo a tornare a casa per le otto e un quarto circa e sfruttando il tempo in cui viaggiavo in macchina per far addormentare mia figlia.
Viaggiare in macchina faceva a Lidia lo stesso effetto che faceva a me guardare il Grande Fratello, coma profondo, e quando si svegliò (più o meno nel momento in cui spensi la macchina) reclamò giustamente la sua poppata del mattino che, di solito, terminava in meno di dieci minuti.
Ecco, quell'ultimo atto dichiarava la fine delle mie attività da mamma, facendo invece partire quelle da disoccupata sull'orlo del lastrico.


Non ne avevo voglia, non ne avevo voglia proprio per niente, ma le buste ancora intatte delle bollette da pagare mi fissavano in maniera alquanto minacciosa e potevo solo limitarmi a sospirare e ad aprire il giornale sulla pagina degli annunci di lavoro. Lidia, comodamente sdraiata nella poltroncina a dondolo che avevo appoggiato sul tavolo, emetteva ogni tanto dei versetti: era l'unica in quella stanza ad essere felice e, sinceramente, avrei dato qualunque cosa per essere al suo posto.

Il giornale di quel giorno aveva ben due pagine dedicate alle offerte di lavoro, un'autentica benedizione, e così, munita di pennarello e telefono, cominciai a cerchiarne qualcuno. Sembrava facile, e invece no, per niente.
Trovare lavoro nella Westside di Los Angeles o, dove vivevo io, Beverly Hills, era facile come scegliere di farsi operare di trombosi senza anestesia, oppure scegliere di farti fare un'epidurale quando sei agofobica a livelli patologici... esperienza che non ripeterò mai più.
La maggior parte dei cerchi rossi li avevo fatti a caso non appena leggevo “non necessariamente con esperienza”, ma poi vedevo che si trattava quasi sempre di un lavoro come assistente in linea per le compagnie di Internet e telefonia mobile, il che implicava orari di lavoro assurdi e una paga da schiavi, quindi li scartai subito.
Ma tutti quegli annunci da “non necessariamente con esperienza” mentivano, verità constatata e arci risaputa. Vogliono esperti in computer, esperti in lingue, esperti di speakeraggio, esperti di dattilografia eccetera eccetera; persino i negozi di abbigliamento cercano solo commesse con esperienza. Ma se nessuno dà lavoro, come facciamo noi a fare esperienza? E poi, cosa ancora più importante, le commesse dei negozi di abbigliamento non dovrebbero avere unicamente buon gusto e una spiccata capacità di rifilare al cliente sprovveduto qualsiasi cosa? Ma vabbè...


Quante ore avrò passato china sui giornali nelle ultime settimane? Almeno una trentina. Era sempre la stessa storia, da due mesi mi sembrava di seguire un percorso prestabilito e, diciamocela tutta, piuttosto bastardo: trovo un annuncio perfetto, chiamo, mi presento al colloquio, mi scartano entro i primi venti minuti e il ciclo ricominciava. Sempre che non mi scartassero direttamente al telefono. Evidentemente la mia dose di sfiga non si era ancora conclusa.

-Ehm, sì chiamo per quell'annuncio di lavoro sul giornale...

-Sì, chiamo per l'annuncio di lavoro sul giornale...

-...quello “spiccata personalità, bella voce... “

-...non ho una vera esperienza nel ramo vendite...

-...ecco, io non sono esperta di computer, ma...

-Ah, ma credevo, credevo che fosse il negozio di zona...

-Ah, va bene, grazie lo stesso...

Lo squillo del telefono mi svegliò di soprassalto, facendomi venire un coccolone degno dell'ultimo film di Saw, e quando sollevai la testa mi accorsi di avere la pagina del giornale sul quale stavo diligentemente cercando un annuncio attaccata al viso. Schiacciai subito il pulsante per l'apertura della chiamata prima che svegliasse Lidia, se avesse cominciato a piangere proprio in quel momento... penso che avrei rischiato un crollo nervoso.

-Pronto?

-Eva, sono Melanie.- non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, finalmente una voce amica che non mi avrebbe mandata a quel paese... no, un momento, Mel lo faceva senza problemi.

-Ehi, come va?- domandai, sinceramente felice di sentirla.

-Ho finito di lavorare alle tre del mattino e, indovina, sono appena entrata al locale per ricominciare un nuovo turno. Tu invece?

-Sarò sincera, sono disperata e a tanto così dal tornare al 232. A costo di dover pregare Nicole in ginocchio sui ceci surgelati.

-Tesoro, se non avessi il terrore che ci ammazzasse tutte e due ti aiuterei anche... ma temo che Nicky non abbia ancora digerito la scenata di Daniel...

-Daniel mi ha lasciata, se ne è andato proprio quella sera. Ma immagino che non gliene freghi proprio niente.

-Comunque, come mai hai chiamato?

-Mi serve un favore.

-Dimmi.

-Ho un problema con Darren Reynolds. La sua agenzia ha smesso di inviarci le bariste, è da una settimana che il 232 serve dei cocktail a dir poco disgustosi. Ho provato più volte a chiamarlo ma non mi risponde al telefono, così ho pensato: visto che tu hai una sorta di legame con lui... che avresti potuto pensarci tu.- mi sentivo insultata e, in un attimo, tutto il sangue che avevo in corpo affluì al cervello, annebbiando tutti i miei pensieri più razionali e meno carichi di imprecazioni.

-Sei andata fuori di testa?! Non ci penso neanche morta! È anche colpa di quel pezzo di merda se sono disoccupata e single.- neanche sotto tortura sarei andata a parlare con Darren, quello stronzo mi aveva rovinato il matrimonio e la carriera in un colpo solo.

-Ti prego! Io degli incarichi alla reception non so nulla, questo era il tuo campo e lui era un tuo cliente! Quando Nicole ti ha buttata fuori ha piazzato me all'assistenza e ha cancellato quasi tutti gli appuntamenti che avevo con la scusa di avere fin troppe ragazze e che la reception era gestita da cani!

-Che stronza!- ma in fondo la capivo. Offesa a parte, Nicole Lenwood era il mio capo e, insieme a suo padre, aveva creato dal nulla il 232, facendolo diventare in poco tempo uno dei locali più rinomati del suo campo. Circa il settanta per cento dei politici, degli avvocati e dei manager della città degli angeli erano degli abituè del 232 quasi dal giorno dell'apertura. La rissa che avevano messo in piedi Darren e Daniel quella notte di due mesi fa fece scappare a gambe levate alcuni dei clienti più facoltosi. Nicole andò su tutte le furie ed fu costretta a chiamare per la prima volta la polizia, cosa che la innervosiva parecchio perché infastidivano i clienti. Il tutto si concluse in centrale, dove io dichiaravo che né Darren né mio marito erano dei pazzi assassini e che il loro scontro è avvenuto perché quest'ultimo si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Nicole era una stronza coi controcazzi, ma sapeva come badare ai suoi affari meglio di suo padre e ci teneva al loro locale, anzi... ci teneva ai loro soldi.

-Ti giuro che lei non ne sa niente, è un favore che ti chiedo io, odio stare chiusa qui dentro... tu lo sai meglio di chiunque altro, ti preeeego!- il suo tono supplichevole mi fece traballare, non ero mai stata in grado di dirle di no. Era un po' come avere un'altra sorella minore, come se una non fosse già sufficiente.

-Mel, sto ancora cercando lavoro, non posso occuparmi anche di qualcos'altro...- tentai di svicolare, anche se sapevo bene che con lei non ci sarei mai riuscita.

-Ma ti pago! Ti do il compenso di una giornata di lavoro qui.- propose senza esitare. A quel punto non potevo rifiutarmi, una giornata di lavoro al 232 mi avrebbe consentito di tirare avanti un'altra settimana senza troppi problemi. Anche se il prezzo da pagare era trovarmi davanti a Darren Reynolds.

-E va bene, lo farò... ma solo per questa volta!

-Grazie, grazie, mi hai salvato il culo!- esclamò tutta esaltata, evidentemente era davvero in difficoltà con tutta quella storia della reception.

-Penso che per il tuo culo sia un po' tardi...- commentai, sperando di stuzzicarla un po'.

-...spiritosa. Dai un bacio ad Andrew e Lidia da parte mia!

-Senz'altro, ciao.


Tenendo i gomiti pigramente appoggiati al tavolo riaprii nuovamente la linea, premendo leggermente i tasti di gomma sul telefono, e me lo appoggiai all'orecchio incastrandolo tra esso e la spalla. L'avevo usato talmente tanto che ormai era andato in equilibrio termico col mio corpo. Rimasi in attesa per qualche secondo poi, dall'altra parte della linea, rispose un'annoiata voce femminile che rischiai sinceramente di scambiare per un messaggio preregistrato della segreteria. Per non dire a che livelli di nervoso ero arrivata...

Mi venne una leggera fitta allo stomaco, forse non era una buona idea chiamare... e se poi non mi avesse risposto? O peggio, e se mi avesse risposto? Che cosa avrei potuto dirgli dopo il modo in cui ci eravamo lasciati l'ultima volta?

-Buongiorno, avete chiamato la Reynolds' catering& public relationships. Sono Kate, come posso esservi utile?

-Salve, chiamo per conto di una cliente e dovrei parlare con Darren Reynolds.- borbottai passandomi una mano nei capelli, il suo nome mi faceva ancora un certo effetto. Una perfetta metà tra la rabbia più nera e il rimorso represso... e no, non ho invertito l'ordine.

-Attenda prego.

-Grazie.- poi partì una di quelle odiose melodie polifoniche degne di una pubblicità per compagnie di telefonia mobile. Cominciai a picchiettare le unghie sul tavolo, giusto per resistere alla voglia di riattaccare. Rimasi in attesa per un paio di minuti almeno, nel frattempo avrei potuto scaldarmi al microonde una brioche o mangiare un vasetto di yogurt, il mio stomaco si stava letteralmente contorcendo su se stesso emettendo delle piccole bolle d'aria facilmente scambiabili per rutti da coca-cola, solo che erano dovuti alla fame e non all'anidride carbonica.

-Spiacente, il signor Reynolds non può rispondere, vuole lasciare un messaggio?
-Sì, grazie. Eva Van DeMason del 232, avrei bisogno che mi richiamasse al più presto.


Un'ora dopo riprovai a chiamare e, per un attimo, mi sembrò di aver avuto un dejavu. Stesso identico copione, stavolta l'impiegato si chiamava Russell.
A mezzogiorno la solfa non era cambiata, l'impiegata di questo turno era Patricia.

-Darren Reynolds per favore.

-...ma, lavora ancora lì?

Senza nemmeno avere il tempo di accorgermene si era fatta l'una e dovetti andare a prendere Andrew a scuola. Cavolo, se ero già priva di forze a quest'ora... stasera sarei stata una mummia vivente. Meglio lasciar perdere i colloqui di lavoro per questo pomeriggio. Ne avrei approfittato per stare più tempo con Andrew e Lidia. Da quando erano iniziate le pratiche per il divorzio non riuscivo a passare molto tempo a casa e non volevo che per nessun motivo si sentissero trascurati. Lidia a stento se ne sarebbe accorta, ma Andrew era piuttosto sensibile al fattore “presenza”e, del resto, i bambini di sei anni cominciano già a capire che cosa gli accade intorno. Il mio compito era quello di creare un ambiente familiare il più confortevole e tranquillo possibile, anche se l'assenza di una figura paterna mi aggravava il compito. Ma ce l'avrei fatta, avrei superato anche questa e stavolta senza l'aiuto di mia sorella Angie.

Mentre Andrew se ne stava seduto in sala da pranzo a guardare la tv, Lidia era comodamente sdraiata nella sua poltroncina a dondolo all'altezza del tavolo a guardare me che preparavo il pranzo. Aprii il rubinetto del lavandino e lasciai che l'acqua riempisse la pentola. Mi bloccai un attimo a guardare il mio riflesso nell'acqua e mi accorsi, soffermandomi sulla pelle secca e sulle occhiaie che mi contornavano gli occhi come si fossero tatuaggi, di come mi fossi ridotta. Il viso sciupato dalla stanchezza, i capelli scompigliati e bisognosi di uno shampoo come dio comanda, non era la descrizione di una ragazza di ventiquattro anni, era quella di una donna psicologicamente frustrata in menopausa e, sinceramente, mi facevo abbastanza schifo. Se avessi accettato l'aiuto di mia sorella ora non sarei ridotta così. Ma non potevo.
Non potevo obbligarla a sopportare anche questa.

Angelica era la sorella migliore che avessi mai potuto desiderare: dolce, premurosa, affidabile e sempre con una buona parola per tutti. Gli ultimi dieci anni non erano stati facili per nessuna delle due, e lei si meritava più di me di essere felice, dopo quello che aveva sopportato da quando ci eravamo trasferite a Los Angeles.
Se nostro padre fosse stato ancora vivo non sarebbe successo niente di tutto questo. Niente.
Provai costantemente a rimuovere i dettagli più brutti della mia vita, ma più mi sforzavo più essi si imprimevano a fuoco nella mia testa, il dolore raddoppiava la sua intensità e io mi sentivo bruciare dall'interno come se fossi fatta di carta.
Non appena mi accorsi che la pentola stava traboccando acqua, spensi in fretta il rubinetto e la misi sul piano cottura. Lidia, che era stata tranquilla fino a quel momento, iniziò la sua personale sequenza di versi che avrebbero inevitabilmente sfociato in un pianto nervoso finché non le avessi dato da mangiare.
Cominciò coi gorgoglii, poi coi versetti acuti per richiamare la mia attenzione, seguì l'allungamento della durata dei suddetti e infine degli urli da soprano in grado di frantumare vetri e cristalli.


-Sì, sì, ho capito. C'hai ragione.- Come la presi in braccio subito si calmò e mi fece un altro dei suoi sorrisi a tutte gengive, la mia piccola demonietta infernale. Non avevo voglia di sedermi sulle rigide sedie della cucina per darle da mangiare, scomode com'erano mi sarei ritrovata con l'impronta delle nervature del legno sulle chiappe, così raggiunsi Andrew nel salotto e mi sedetti sul morbido divano di fianco a lui che, nel frattempo, guardava i cartoni del primo pomeriggio. Di solito, quando eravamo in compagnia gli parlavo in inglese, ma quando eravamo in casa da soli gli parlo solo in italiano, era giusto che conoscesse entrambe le lingue delle sue origini, e poi si trattava anche di orgoglio personale.
-Tesoro, come è andata a scuola?- gli domandai mentre abbassavo in fretta la spallina del top e mi sistemavo meglio meglio Lidia tra le braccia per darle da mangiare.
Mi scappò una smorfia, man mano che la mia piccoletta cresceva la sua morsa diventava sempre più forte; fra poco sarò costretta a passare definitivamente ai biberon e quella prospettiva non mi piaceva per nulla. Se nella cucina per adulti facevo danni più della tempesta, in quella per neonati ero anche peggio; sbagliavo le dosi della pastina, bruciavo i brodini e l'odore del latte in polvere mi faceva venire da vomitare.
Lo vidi fare spallucce senza emettere un suono di risposta. Gli si chiudevano gli occhi dalla stanchezza e si era appoggiato al bracciolo del divano con una spalla, accoccolandosi sui cuscini, gli accarezzai i capelli con la mano libera per tentare di scioglierlo un pò.
-Che ti succede cucciolo?
-Niente, sono stanco.- bofonchiò debolmente, stropicciandosi un occhio con la manina
-Dopo pranzo ti va di andare a fare un sonnellino?- gli proposi allora io.
E li vidi finalmente sorridere. Lo capivo, erano mesi che non passavo un'intera giornata con loro, era meglio approfittarne quando potevo o i miei figli non mi avrebbero più riconosciuta. Non volevo che finissero col preferire una studentessa di diciassete anni alla loro madre. Mi sentirei tradita, ma la colpa sarebbe interamente mia.
Chinai il viso verso il mio seno e incontrai un paio di occhioni blu che mi fissavano, incantati; la sua manina era sollevata ed appoggiata al centro del mio petto, stringendo piano una balza del top.
-Non ti incantare, peste!- lei rise e continuò a poppare tenendo lo sguardo alzato su di me, in attesa di qualche altra mia faccia buffa.

Dopo aver finito di mangiare, Andrew cadde letteralmente in una fase di abbiocco fulminante che rischiò di farlo addormentare con la faccia nel piatto, povero cucciolo.
-Andiamo a nanna ora?- gli domandai dopo aver messo i piatti in lavastoviglie.
-Mamma, posso dormire nel lettone peffavoe?- non li sopportavo i suoi “peffavoe”, non riuscivo a dirgli di no quando mi inseriva i “peffavoe” nelle sue richieste. Annuii stirando le labbra in un leggero sorriso e lo vidi scappare sulle scale in uno scatto improvviso di energia per dirigersi nella mia camera.
Presi Lidia in braccio, che si era addormentata mentre io e suo fratello mangiavamo, e la portai di sopra con noi, mettendola nel suo lettino che avevo messo accanto al mio letto. Andrew si era già tuffato sul materasso, affondando la faccia nel cuscino dall'altra parte del letto, io invece afferrai il mio de mi sdraiai accanto a lui, stringendo il cuscino tra i polsi e poggiandoci la testa sopra.
-Sogni d'oro cucciolo.- sussurrai prima di chiudere gli occhi.
Sì, decisamente, era meglio approfittarne e trascorrere un po' di tempo con loro finché ne avevo l'occasione. Da domani avrei ricominciato a cercare un impiego, anche se prima avrei dovuto occuparmi di Darren Reynolds.

Passò un giorno ed ero di nuovo punto e a capo. Tentai di nuovo la fortuna col telefono, a cui risposero Will, di nuovo Kate e di nuovo Patricia. Però qualcosa era cambiato, la durata delle conversazioni andava mano a mano diminuendo, fino a sfiorare i quindici secondi di durata totale.
Kate mi riattaccò il telefono in faccia non appena avevo pronunciato il nome. Ormai mi avranno infilata nella loro lista nera.
Cosa non si fa per le amiche! Certo, Melanie mi avrebbe dato duecento dollari in contanti, ma erano dettagli. Accavallai le gambe, poggiandole entrambe sopra il tavolo in una posa che poco avevaa di buona educazione, mi sentivo molto “La vita secondo Jim” stando in quella posizione . Peccato che dopo dieci minuti non mi sentivo più il culo e avevo tutte le vertebre incriccate.
-Sì ehm, sono in attesa per Darren Reynolds.
-...ma ho chiamato almeno una dozzina di volte!
-Sì, vorrei lasciare un altro messaggio...
-Eva Van De Mason. V-a-n D-e M-a-s-o-n
-Chiamo per conto di una vostra cliente, non è complicato.
Non era un caso che continuassi ancora ad usare il mio cognome da sposata nonostante fossi tornata single da un pezzo, questo per due motivi: A) molti membri della famiglia di Daniel appartenevano alla classe politica e lui stesso aveva sfruttato il potere del proprio cognome quando si trovava davanti a qualche ostacolo burocratico; B) da quando mio padre era morto essere conosciuta come Eva Brivio mi faceva tornare alla mente ricordi troppo dolorosi del mio passato, mi sentivo meglio considerando il mio cognome morto con lui.
Quando mai un semplice cognome aveva creato tanto scompiglio nella mente di una persona? Mai, credo. Ma con un passato travagliato come il mio, abbandonando l'Italia avevo voluto lasciare tutto lì.
Ricordi, aspirazioni e Brivio compresi. Solo Eva. Eravamo solo Eva ed Angie.
Strinsi tra le dita il telefono, contando mentalmente fino a dieci per riuscire a sbollire la rabbia che mi stava nascendo nelle viscere. L'unica cosa che mi tratteneva dal lanciare il telefono contro il muro era avere Lily in braccio che giocava con una mia ciocca di capelli, il fracasso che avrebbe prodotto il telefono l'avrebbe fatta scoppiare in un pianto che avrebbe potuto durare delle mezzore e non avevo la forza di gestire anche lei. Era meglio che stessi tranquilla, per fortuna Lidia era una bambina che piangeva solo per dei buoni motivi, sennò era quasi come non averla nemmeno intorno. Sbuffai guardano la mia piccolina stringere tra le ditina sottili ciocche intere dei miei capelli.
-...bene...- sussurrai tra me e me, conscia di aver bisogno di risolvere quella situazione una volta per tutte e per telefono non ce l'avrei mai fatta.

Che vigliacco. Non aveva mai avuto il coraggio di discutere con me neanche faccia a faccia, figurarsi rispondermi al telefono.

Giunta a questo punto mi alzai in piedi e recuperai dal soggiorno il borsone con dentro le cose di Lidia, mi infilai le scarpe ed uscii furente di casa puntando dritta alla macchina, posteggiata all'ombra nel vialetto di fronte al garage. Se volevo uscire il più presto possibile e incolume da questa situazione, avrei dovuto affrontarla di petto.

   
 
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