Fanfic su attori > Robert Pattinson
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Autore: Frytty    30/03/2011    3 recensioni
Lei, Cailin, modella affermata.
Lui, Robert, attore.
Si sono amati, ma poi qualcosa è andato storto ed ora non stanno più insieme da sei mesi.
Cosa succederebbe se si incontrassero di nuovo per puro caso e capissero che non si sarebbero mai dovuti separare?
E cosa c'entrano due strani anelli che Cailin ha ricevuto in regalo da una strana maga?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non vedevo l'ora di passare all'università e adesso mi ritrovo ad implorare di ritornare alle elementari, ma si può?!? Ed io che pensavo che sarebbe stato tutto più semplice... -.-

Ok, la smetto di tediarvi xD Avrei voluto aggiornare lunedì per festeggiare il mio 28 all'esame di linguistica, ma avevo un mal di testa tremendo e non sono riuscita a fare molto a parte stendermi sul divano e cercare di concentrarmi su qualche programma idiota alla tv, perciò aggiorno oggi e perdonatemi del ritardo *implora*

Vi rendete conto che mancano pochissimi capitoli alla fine? ç.ç

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

Calò un silenzio piuttosto imbarazzante tra loro quando Tom decise che era arrivato il momento di andare a sistemare i bagagli in albergo.

Magari, se nessuno li avesse interrotti durante quel momento di totale e incondizionata confessione, adesso non avrebbero avuto tutti questi problemi, eppure, Cailin ricordava bene i silenzi con Robert. Non erano pesanti e non erano dettati da mancanza di argomenti. Erano leggeri, soffici, come uno strato di ovatta su cui potevi adagiarti e che prendeva la forma del tuo corpo. Forse lui non aveva mai compreso i suoi silenzi, ma Cailin era riuscita a leggere gli occhi di Robert moltissime volte e niente di quello che vi aveva letto poteva, in qualche modo, averla resa indifferente alle sue attenzioni. In fondo, aveva pianto per lei poco prima e le aveva chiesto scusa, quindi poteva dedurne che provava nei suoi confronti ancora un minimo di affetto.

Eppure c'era qualcosa di incompleto in quel discorso, qualcosa che Robert non aveva avuto ancora modo di dirle.

Aprì la bocca come per dire qualcosa, indecisa, ma lui fu più lesto e la precedette.

< Ho bisogno di una doccia. > Si alzò, avviandosi verso la porta e poi nel corridoio.

Non voleva parlarne, era chiaro.

Lo sentì armeggiare in bagno con il flacone del bagnoschiuma e poi con l'acqua, in cerca, forse, della temperatura ottimale; sentì il fruscio dei vestiti che venivano sfilati e lo sportello del mobile sotto il lavabo, da cui probabilmente aveva afferrato un asciugamano, che si richiudeva. E fu in quell'istante che il suo cellulare squillò.

Cailin lo estrasse dalla borsa e lesse mamma, il che bastò a farla entrare nel panico.

Corse verso il bagno e allungò verso Robert la mano che reggeva il cellulare.

< Non dirmi che è... > L'espressione di Cailin era chiara: puro terrore.

< Devi rispondere. > Gli ordinò debolmente.

Robert con un sospiro chiuse il rubinetto della doccia e si preparò mentalmente alla conversazione più stressante della sua vita.

< Ciao, mamma! > Finse un tono allegro e sorpreso.

< Cailin! Ma possibile che tu ti sia dimenticata dell'unico pranzo che avevamo organizzato insieme pur di non farti assentare?!? Insomma, siamo o no i tuoi genitori? > La voce ancora gioviale della signora Susan l'accolse.

< Certo che siete i miei genitori, che domande! > Rise appena.

< E allora non pretenderai che fissiamo un appuntamento con la tua manager, vero? E' passato così tanto tempo dall'ultima volta che ti abbiamo vista! > Robert avvertì chiaramente un sospiro e la voce di un uomo borbottare qualcosa.

< E' che sono stata molto impegnata e poi è periodo di nuovi servizi fotografici e non ho avuto un momento libero... > Improvvisò, lanciando un'occhiata a Cailin che gli fece un cenno affermativo con la testa.

< D'accordo, ma esigo che tu venga a pranzo domani e bada che non accetterò un no come risposta. > Lo minacciò bonariamente.

< D'accordo, d'accordo, non mancherò. Promesso. > Tutto, pur di finire quella conversazione.

Cailin, rimasta per tutto il tempo con il fiato sospeso, imprecò sottovoce quando si vide sgusciare fra le gambe la gattina di casa, miagolando. Non riusciva ancora a capire come gli animali riuscissero a riconoscere il loro padrone anche se sotto sembianze diverse.

< Piccola, non è decisamente il momento... > Bisbigliò, facendo ampi gesti con le mani affinché si allontanasse.

< Ma... sbaglio o sento la voce di un ragazzo? > Susan era una donna curiosa, come tutte le madri d'altronde e non perdeva occasione, durante i pranzi ai quali invitava Cailin, di farle notare come si fosse lasciata scappare Robert, uno dei ragazzi più cortesi che aveva mai conosciuto.

Robert lanciò un'occhiata inceneritrice a Cailin, chiedendole di smetterla.

< Ehm... è solo Robert. E' qui per un film e ha pensato di passare a salutarmi. > Non poteva mentire ad una donna come la madre di Cailin.

< Oh, ma che splendida notizia! Perché non estendi l'invito di domani anche a lui? Mi farebbe molto piacere rivederlo. > Esclamò, entusiasta.

< Ma magari ha i suoi impegni, deve girare... > D'altronde era come si sarebbe comportata Cailin, no?

< Sciocchezze, se ha trovato il tempo di venire a trovarti, troverà anche quello necessario per un pranzo in famiglia. Vi aspetto domani allora, buona notte! > Non gli diede nemmeno la possibilità di replicare, che aveva già agganciato.

< Ok, ora sì che siamo in un bel guaio! Come faremo a imbrogliare i tuoi? > Posò il cellulare sulla mensola dove giacevano le spazzole per capelli e osservò Cailin con occhio critico che, nel frattempo, era riuscita a far zittire il gatto prendendolo in braccio e grattandogli il muso con fare affettuoso.

< Ti dirò cosa fare, non preoccuparti. > Rispose, sorridendogli.

 

La mattina dopo fu decisamente la più caotica dell'intera settimana. Robert, che non aveva dormito affatto nell'ansia del pranzo a casa dei genitori di Cailin, aveva cominciato a mettere sottosopra l'armadio fin dalle prime luci dell'alba, in un tentativo, alquanto inutile, di trovare qualcosa di decente da indossare. Si rendeva perfettamente conto di essere diventato peggio di una qualsiasi donna, ma era troppo agitato e doveva tenere le mani occupate, altrimenti avrebbe cominciato a strapparsi i capelli. I pranzi a casa di Cailin l'avevano sempre messo in soggezione. I genitori di lei erano persone semplici, modeste e lo avevano sempre trattato come qualcuno della famiglia, quasi un figlio, ma la signora Susan era una delle madri più impiccione che aveva avuto modo di conoscere e alla prima occasione, qualche anno prima, non aveva mancato di chiedergli quali erano le sue reali intenzioni con sua figlia, cosa che, di norma, avrebbe dovuto domandare il marito. Lui era rimasto basito per qualche istante e poi aveva risposto, timidamente, che erano solo pochi mesi che si frequentavano e non se la sentiva di mettere sotto giudizio il loro rapporto così in fretta e la signora Susan aveva sorriso cordiale e l'aveva invitato a prendere un altro biscotto dal piatto a centro tavola.

Cailin, d'altro canto, conosceva bene la madre e, il più delle volte, preferiva inventare di sana pianta le scuse più assurde per sottrarsi dalle sue grinfie e per non far esplodere Robert, perciò, erano sulla stessa barca, anche se seduti in parti opposte e dalla sua, di parte, stava entrando acqua.

< Ma si può sapere cosa combini a quest'ora del mattino? > Cailin, svegliata dal trambusto, si era sollevata sui gomiti per dare una sbirciata a Robert, gli occhi gonfi di sonno e la voglia di sotterrarsi da qualche parte pur di venire fuori da tutta quell'assurda storia.

< Sto prendendo in esame il tuo guardaroba. > Rispose lui con noncuranza.

< E da quando in qua ti interessano i vestiti? > Borbottò, ricadendo con la testa sul cuscino.

< Da quando ho bisogno di tenere la mente e le mani occupate. > Rispose, rovistando nel cassetto della biancheria intima.

< Sei nervoso per il pranzo da mia madre? > Gli domandò, sedendosi di nuovo a mezzo busto e individuando il suo profilo nell'ombra arancione della stanza.

< Nervoso?!? No! Perché dovrei. > Rise, teso come una corda di violino (o di chitarra, visto che era il suo strumento preferito).

< Adesso tu sei me, no? Non hai niente da temere. > Fece spallucce.

< Oh, certo! E se dovesse accorgersi di qualcosa? Come glielo spiegheresti tutto questo disastro?!? > Si rialzò, avvicinandosi al letto con aria minacciosa.

< Non se ne accorgerà, vedrai e poi è solo un pranzo. Per fortuna. > Aggiunse a bassa voce, anche se Robert la sentì lo stesso.

< Posso inventarmi che sono malato, che ho la febbre, il morbillo, un virus australiano... > Si mise in ginocchio di fronte a lei, lo sguardo spaventato.

< Sai meglio di me che sarebbe capace di precipitarsi a casa per vedere come sto davvero. > Cailin prese a giocare con il risvolto del lenzuolo, abbassando lo sguardo.

Era arrossita e non le succedeva più da... beh, da molto tempo ed una strana paura cominciò a prendere possesso di lei, la paura della consapevolezza che non era affatto indifferente a Robert e, anche se l'aveva sempre riconosciuto ed ammesso, constatarlo era tutta un'altra cosa.

< Non se la convinco che Robert sta già facendo il possibile. > Ammiccò in modo malizioso e si avvicinò ancora di più al suo viso, costringendola a deglutire a vuoto.

Erano i suoi occhi quelli che la scrutavano in quel modo, eppure lei continuava a vederci quelli di Robert, il suo sguardo.

< Non funzionerà. > Bisbigliò, non riuscendo ad allontanarsi da quegli occhi.

< Ma possiamo provarci. > Erano a meno di un centimetro di distanza e Cailin sentiva il cuore nel corpo di Robert che lei aveva preso in prestito, rimbombarle forte nelle orecchie.

Aveva voglia di baciarlo. Sarebbe bastato avvicinarsi un tantino di più per sfiorarlo.

Cailin socchiuse gli occhi e restò in attesa e, proprio quando credette che Robert l'avrebbe baciata, lui deviò la traiettoria, spostandosi sulla sua guancia, accarezzando dolcemente la pelle con le labbra, un lieve tocco.

Riprese a respirare velocemente, come se fosse rimasta in apnea, ma non ebbe la forza di allontanarsi e si rintanò con il viso nell'incavo tra il collo e la spalla di lui, arpionando tra le dita la maglietta che usava come pigiama.

Il primo quasi-abbraccio dopo sei mesi di lontananza.

< Tutto bene? > Le mormorò, carezzandole la schiena.

Lei annuì soltanto, gli occhi chiusi e la bocca secca.

< Non sembra, però. > Le fece notare.

< E' che... > Non ebbe la forza di continuare, perché essere sincera le costava un grande sforzo. Lui l'aveva fatto e, anche se non si sentiva in dovere di ricambiare, sapeva che lo meritava e, comunque, era sempre la verità.

< ...mi sei mancato, sai? > Arrossì ancora.

< Mi sei mancata anche tu. Mi manchi ancora. > Confessò lui, stringendola a sé definitivamente. Non importava più chi fosse nel corpo di chi. Erano solo Cailin e Robert, solo... un po' diversi.

Rimasero abbracciati per un tempo che parve infinito ad entrambi, poi, quando si resero conto che il sole stava prendendo possesso dell'intera stanza, si separarono, optando per alzarsi.

< Ok, senti, voglio liberarmi del tuo corpo prima che passi un altro mese, sei d'accordo? > Pensare che Robert aveva imparato ad indossare un assorbente in maniera corretta era già drammatico di suo, ma sapere che voleva sbarazzarsi del tuo corpo, era decisamente raccapricciante. Si sarebbe meritato un cazzotto, ma Cailin era fin troppo abituata alle sue stranezze e sgranò soltanto gli occhi, sorpresa.

< Perché? Cos'è, un ultimatum? > Quasi sorrise, mentre si spazzolava i denti.

< Odio, e lo dico in senso letterale, odio questo dannatissimo ciclo. Come... diavolo fate voi donne a sopportarlo? Insomma, io non riesco a sopportare nemmeno un misero taglietto sul dito che sanguina, e voi, ogni mese, per una settimana, perdete sangue dal vostro organo riproduttivo! E'... inquietante! > Spiegò, spazzolandosi i capelli.

< E' solo questione di abitudine, Rob e poi non è così tragico. > Rise, scuotendo la testa e sciacquandosi la bocca dal dentifricio.

< Considera che io sono soltanto un principiante. > Alzò gli occhi al cielo e le fece la linguaccia dallo specchio, facendola scoppiare a ridere.

< Tornando alle cose serie, non credo mia madre si accorgerà di qualcosa, ma la conosco e non ha memoria di niente, perciò nei piatti mi rifila sempre qualcosa che non mangio, come le cipolle, i peperoni sotto spirito e quell'odiosa salsa al pepe nero davvero vomitevole, senza contare... > Ma fu interrotta.

< Senza contare le costolette di agnello, il purè di carote, la cheesecake di tua cugina, i piselli, gli odiosi pasticcini al cioccolato e mandorle e il liquore alle noci. > Terminò Robert per lei.

< Questa è la seconda volta che mi stupisci: devo cominciare a preoccuparmi? > Aggrottò la fronte e lo scrutò attenta.

Lui fece spallucce con disinvoltura.

< Siamo stati insieme due anni e mezzo, Cailin. Le persone a cui vuoi bene non si dimenticano così facilmente. > Chiarì.

Ricordava ancora tutte quelle cose di lei e, oltretutto, era come se tra loro non fosse cambiato assolutamente nulla dopo la confessione di Robert e la sua arresa solo qualche minuto prima. C'era voluto un po', ma aveva buttato giù i muri che li separavano e ora condividevano lo stesso spazio spirituale oltre che materiale.

< Già... non si dimenticano. > Rispose, pensierosa, uscendo dalla stanza.

 

La signora Susan e suo marito Ray avevano acquistato quella bellissima villetta nel New Jersey quando Cailin aveva appena un anno. Lei ci era cresciuta, ma non l'aveva mai definita davvero casa sua, forse perché sognava, un giorno, di poter rivendicare il territorio di New York, città che aveva sempre adorato.

In ogni caso, Cailin aveva ereditato da sua madre la passione per i gatti e anche se adesso sua madre non aveva più la pazienza di prendersene cura (tanto che l'unico sopravvissuto della famiglia, Flurry, Cailin aveva deciso di tenerlo con sé), quando trovava un gattino abbandonato sulla strada, faceva del suo meglio per accudirlo fin quando qualcuno non fosse venuto a reclamarlo.

< Facciamo ancora in tempo a scappare, secondo me. > Le mormorò Robert, mentre camminavano per raggiungere la villetta.

< Calmati, Robert e fa' il disinvolto. Sei nel mio corpo e non posso essere così tesa quando vado a mangiare dai miei. > Sbuffò con un sorriso.

Si sentiva in colpa. Avrebbe potuto rifiutare la chiamata la sera prima, ma Dio solo sa cosa avrebbe combinato sua madre e, anche nell'ipotesi che non si sarebbe allarmata, non sapevano quando sarebbero riusciti a risolvere quella situazione, perciò, era meglio abituarsi a quella tortura.

Cailin/Robert suonò il campanello e attese che qualcuno corresse ad aprire, presumibilmente suo padre. Solitamente, durante questi pranzi, sua madre era sempre troppo impegnata in cucina per poter pensare anche alla porta o al telefono.

< Ma guarda chi si rivede! Cailin! E' un sacco di tempo che non ti vedo, sai? > Ray, un uomo gioviale dai capelli bianchi e dai baffi grigi, sorrise a Robert che fu costretto ad abbracciarlo, come era solita fare Cailin tutte le volte. Non l'avrebbe fatto se non fosse stato per una spinta della diretta interessata che l'attimo dopo aveva sorriso spudorata.

< Robert! E' un piacere rivederti! Venite, entrate pure. > Continuò l'uomo. < Tua madre è impegnata con l'arrosto. > Sorrise, prendendo i loro cappotti e sistemandoli nell'armadio nell'ingresso.

< Cailin! Per fortuna non te ne sei dimenticata, questa volta! Avevo preparato una ciambella buonissima la scorsa volta, peccato tu non abbia potuto assaggiarla. > Abbracciò Robert, rischiando di strozzarlo e poi si voltò verso Cailin, sorridente e raggiante.

< Robert! Che bello vederti! Mi chiedevo quando saresti passato a farci una visita, sai? Ti trovo in forma. > Continuò, ritornando ai fornelli e facendo cenno ad entrambi di sedersi.

< Grazie, anche lei sta benissimo, Susan. > Sua madre adorava essere chiamata per nome da Robert. La faceva sentire importante.

< Oh, troppo gentile. Allora, come mai questa visita improvvisa? > Robert rischiò di strozzarsi con il succo d'arancia che gli era appena stato messo davanti.

< Lavoro. Giriamo un nuovo film a New York e ho pensato di passare a fare una visita a Cailin. > Rispose lei, lanciando un'occhiata in tralice a Robert.

Strano che sua madre non si fosse accorta che era rimasta in silenzio tutto il tempo.

< Mi auguro che non sia stata scortese come suo solito. > Accarezzò brevemente la testa di Robert, mentre lui non avrebbe voluto far altro che sotterrarsi.

< Mamma! Ma come ti viene in mente?!? > Rispose risoluto, tentando di difendersi e di difendere Cailin.

< Eravate così belli insieme, non capisco come abbiate potuto separarvi! > Obiettò con un sospiro nostalgico, ritornando alla terrina con le uova da sbattere.

< Non cominciare... > Borbottò Robert a volto basso. C'era una cosa positiva dell'essere intrappolato nel corpo di Cailin: poteva dire quello che voleva a Susan senza preoccuparsi di risultare scortese o maleducato.

< Era solo un'affermazione, non volevo insinuare niente, certo... > Si difese lei con una risata.

< Beh, potete preparare la tavola insieme, no? > Continuò, esortandoli verso la sala da pranzo.

Cominciarono a disporre tovaglioli, posate, bicchieri e piatti in assoluto silenzio.

< Voglio andare via, sul serio. > Si lamentò lui, mettendo su la sua migliore espressione da cucciolo bastonato.

< Come devo dirtelo?!? Ormai siamo qui. Dobbiamo solo pranzare, poi con una scusa ci defiliamo. > Rispose, sistemando le sedie.

Robert sbuffò, ma sapeva che andarsene sarebbe stato oltremodo scortese e anche i genitori avevano una pazienza di cui non bisognava approfittare.

Si sedettero tutti a tavola quando Susan fece il suo ingresso con una zuppiera da cui proveniva un ottimo odore, speziato e deciso.

Versò una generosa cucchiaiata di zuppa di verdure nel piatto di ognuno, ritornando in cucina per mettere da parte la zuppiera e recuperando una teglia di alluminio ancora tiepida dove era stato abbrustolito del pane da immergere direttamente nella zuppa fumante.

Ray versò del vino sia a Robert che a Cailin che non batterono ciglio, continuando a masticare in silenzio.

< Ti piace ancora la mia zuppa, vero Robert? Appena ho saputo che ti aggregavi a noi, ho deciso all'istante quale sarebbe stato il piatto da servire. > Sorrise Susan, osservando Robert con occhi maliziosi.

< Squisita davvero, è sicuramente il mio piatto preferito! > Rispose Cailin/Robert.

Si era dimenticata che la zuppa, oltre ad essere un piatto forte della madre, era anche il piatto preferito di Robert quando pranzava con loro.

Robert trangugiò tutto d'un sorso il suo bicchiere di vino, costringendo Ray a riempirgliene un secondo con un'occhiata piuttosto scettica.

Sua figlia non amava particolarmente le bevande alcoliche e meno che mai il vino. Faceva un'eccezione solo quando pranzava lì, con loro.

Altri due bicchieri di vino scomparvero durante il secondo e un quarto prima del dolce.

< Cailin, non starai esagerando con quel vino? > Le fece notare la madre, preoccupata.

< Ma no, mamma, sto benissimo! > Sorrise, gli occhi liquidi e non perché stava per mettersi a piangere.

Cailin gli fece anche segno di stare attento a come si comportava, perché non era più nel suo corpo, ma lui si limitò a fare spallucce e a sorseggiare dal suo bicchiere.

Ormai era diventato paonazzo, senza contare che non aveva minimamente preso in considerazione il fatto che Cailin, non essendo abituata a bere, reggeva l'alcol decisamente peggio di lui.

Quando cominciò a ridere sguaiatamente mentre il padre di Cailin si preoccupava di tagliare la torta al limone che la signora Susan aveva preparato quella mattina, Ray si bloccò con il coltello a mezz'aria, gli occhi spalancati, Susan si voltò verso la sua presunta figlia con aria scandalizzata e la vera Cailin, che ancora reggeva in mano il piatto su cui sarebbe dovuta finire la seconda fetta di torta, assunse un'espressione decisamente esasperata. Si erano, in pratica, voltati tutti verso Robert in una maniera altamente inquietante, da film horror, dove lui interpretava la preda di un esorcista assatanato.

< Cielo, mi sono ricordato di quella volta in cui Tom fece rovesciare la torta in faccia al cameriere al matrimonio di sua cugina... > Non smise per un secondo di ridere, facendo persino fatica a respirare.

Cailin gli diede una gomitata nello stomaco per farlo smettere, ma era totalmente su di giri e l'ultima cosa che voleva fare era dimenticarsi il motivo per cui stava ridendo.

< Robert, dovresti accompagnarla a prendere un po' d'aria, no? Ray, non avresti dovuto versarle tutto quel vino! > Susan rimbrottò il marito, assumendo un cipiglio severo, mentre Cailin prendeva sottobraccio Robert e se lo trascinava in giardino, l'aria furibonda.

< Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in testa, eh?!? Ti ubriachi perché credi di non riuscire a sopravvivere ad un fottuto pranzo in famiglia?!? Bella mossa, Robert, dico sul serio! > Aveva incrociato le braccia al petto e camminava avanti e indietro stizzita.

< Oh, senti, non ho ucciso nessuno, no? Ho solo bevuto qualche bicchiere di troppo! Ho dimenticato che il tuo corpo non regge l'alcol come il mio! > Bofonchiò, ridacchiando ancora.

< Solite scuse! Proprio tipico di te! Ogni volta che fai qualcosa di sbagliato cerchi di inventare le scuse più improbabili, come se potesse cambiare qualcosa! Cosa speri di ottenere rovinando questo pranzo? > Gli urlò contro.

< Niente! Niente! Niente! E' proprio tipico di te, invece, pensare che ci sia sempre un secondo fine in quello che faccio, no?!? Sono non-ne-combino-una-giusta-Robert, per te, non è vero? Perché diamine non provi ad ascoltarmi ogni tanto? Mi hai quasi obbligato a venire qui, pur sapendo che non era quello che volevo e che nella situazione in cui ci troviamo non avrebbe avuto senso! > Adesso non sorrideva più.

< Certo! Addossiamo tutta la colpa a Cailin, tanto lei è solo un'insensibile rompipalle, giusto? Sono fredda, glaciale, testarda, orgogliosa, insopportabile, solo perché sono una modella e non una fottutissima rock-star! > Urlò così tanto che le si seccò la gola e le lacrime le scivolarono lungo le guance senza che lei neanche se ne rendesse conto.

Robert, spiazzato da quella visione, anche perché non aveva mai pensato che Cailin fosse di ghiaccio, senza anima e poi perché non aveva idea che ci fosse stato qualcuno che aveva avuto il coraggio di definirla così, non poté fare altro che abbracciarla. Cailin donava tutta se stessa alle persone che amava e lui lo sapeva bene.

< Mi spiace, mi spiace... davvero. Non volevo insinuare che sei un'insensibile, davvero, non lo penso e mai lo penserò. > Cercò di consolarla.

Cailin annuì da sopra la sua spalla e si asciugò le lacrime, rendendosi conto di aver esagerato a prendersela così con lui.

< Vado a dire ai tuoi che andiamo via, ok? > Si offrì Robert, prendendole una mano e stringendola appena, scrutandola per capire come stava.

< Vado io. Sei tu quello sbronzo, no? > Cercò di sorridere e ricambiò la stretta, accarezzandogli appena una guancia.

< Già, è vero! Allora ti aspetto in macchina... > Mormorò, avvicinandosi per lasciarle un bacio sulla guancia.

Cailin arrossì appena e liberò la mano dalla sua presa calda e sicura, osservando se stessa allontanarsi verso il cancello della villetta.

   
 
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