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Autore: Aleteia Furue    01/04/2011    5 recensioni
Il corso di Van Hohenheim poteva essere considerato interessante dai più -Storia dell'Alchimia e i suoi collegamenti con la chimica moderna non era qualcosa che si insegnava ovunque- ma, ovviamente, non per lui: aveva scelto quel corso solo ed esclusivamente perché l'esame sembrava, tra quelli a scelta, il meno impegnativo. Inoltre, punto da non sottovalutare, il carisma che l'insegnante aveva dimostrato il semestre precedente sembrava aver attirato molte giovani studentesse del primo anno. Il nome del professore, richiamando -paradossalmente- Paracelso, aveva fatto il resto. “Esame facile e belle ragazze.” fu il prepotente pensiero che, ricordava, si insinuò in lui mentre distrattamente segnava il codice dell'esame da trascrivere sul piano di studi. Non sapeva ancora che, proprio a causa di quel corso, sarebba stato coinvolto in un'avventura più grande di lui.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Hohemheim Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 35

 

Lei non chiederà mio fratello, vero?” chiese il biondino, per l'ennesima volta.

Ti ho già detto che non considero Acciaio un oggetto o un premio in palio, abbiamo fatto entrambi le nostre scelte.” Elric la conosceva a memoria questa risposta.

Ma conosceva altrettanto bene l'incostanza degli esseri umani.

 

Dire che non ci aveva pensato neanche per un attimo, alla possibilità di fare suo Acciaio, avrebbe significato mentire; e farlo per mesi, visto da quanto quella guerra stava durando.

Poteva farlo, nulla gli impediva una cosa simile: poteva dire fesserie ad Alphonse, a Riza, a chiunque altro, ma non poteva imbrogliare sé stesso o il Metafisico. La possibilità di tornare indietro, aspettare Edward senza commettere l'errore di arrendersi; significava avere una seconda opportunità, ma anche perdere qualcosa: sua figlia, prima ancora della stessa Riza.

A lei avrebbe potuto parlare, spiegare al meglio una situazione che già conosceva e probabilmente accettava ma no, abbandonare sua figlia non era immaginabile e sapeva, con certezza assoluta, che se avesse anche solo tentato una cosa simile Edward lo avrebbe ucciso, considerando quanto fosse sensibile all'argomento. Questo, assieme ad altre svariate ragioni, gli avevano permesso di prendere la decisione definitiva: l'unica cosa che voleva in cambio del proprio operato era che lo stesso Acciaio evitasse di partecipare a quella guerra e infine voleva riabbracciare sua figlia, vivere una vita tranquilla una volta che tutto fosse finito.

Avrebbe avuto rimpianti, la sua mente di certo sarebbe spesso volata ad un mondo strano, dove l'alchimia era sconosciuta e dove un piccolo genio irascibile spendeva il suo tempo facendo ricerche, assieme ad un ragazzo simile a sé stesso, ma che non era affatto lui.

Paradossale, forse una sorta di punizione del fato alla propria resa.

Aveva fatto soffrire Edward più volte di quante neanche immaginasse – o così credeva, visto quanto Alphonse tentasse di sondare le proprie intenzioni, irritato all'idea del moro e del fratello assieme -, renderlo una merce di scambio voleva dire distaccarsi definitivamente da lui, fargli vivere una situazione illusoria, momentanea; molto probabilmente avrebbe finito con il sentirsi prigioniero, perché la sua scelta non era stata rispettata. Perché aveva deciso da solo.

Acciaio non sarebbe mai potuto essere suo, di quella sua giovane copia o di chiunque; il giovane alchimista apparteneva solo alla sua stessa persona.

Aveva sempre vissuto senza dare conto ad alcuno, non conosceva dipendenze.

E nonostante avesse visto egli stesso lo sguardo triste e mortificato del ragazzo, immaginava comunque che non fosse tipo da arrendersi o da sfruttare gli altri come rimpiazzo: se aveva scelto l'altro non era per sostituirlo, affatto. Era perché davvero qualcosa lo aveva attirato e allontanato dal ricordo del superiore.

Lo aveva perso, arrendendosi per primo.

No, non avrebbe riportato il ragazzo a condurre una vita fatta di puro rancore; perché, nonostante quanto si andasse ripetendo in quella città, lui non credeva affatto che stesse per avere inizio la pace perfetta.

Roy Mustang infilò i propri guanti, sentendo una familiare sensazione – come un déjà vu - farsi strada nella sua mente.

Sperò vivamente che oltre quelle mura vi fossero pochissimi uomini, una manciata di militari che resistevano strenuamente, e che questi si arrendessero alla prima dimostrazione, scegliendo la vita all'onore; di una cosa, però, era certo e ne era lieto, non vi erano civili, donne, bambini... innocenti: solo gli ultimi, pochi soldati delle fazioni nemiche a non essersi arresi, alla quale avrebbe dovuto dimostrare quale fosse il loro potere, per permettergli di scegliere tra la resa e la morte.

La pace perfetta non poteva ergersi su una dimostrazione di forza e potenza, c'era un errore di fondo in quel ragionamento. In primis, l'impossibilità di creare l'utopia.

 

“Pronto Mustang?” domandò Alphonse, guardando il generale, alle sue spalle, con la coda dell'occhio. Sembrava ancora meno convinto dello stesso biondino.

Ma c'era poco da fare, in quel frangente: erano gli ordini, anche Mustang – militare più esperto di lui – lo sapeva bene.

L'uomo fece una smorfia infastidita “Certo.” fu comunque la risposta, mentre nascondeva sotto la camicia il ciondolo con la Pietra Filosofale che gli aveva dato il Metafisico “Per i dati?” chiese ancora, freddamente.

Al sapeva che tra loro doveva essersi creata una rottura; il suo legame con il Colonnello non era mai stato forte come con Ed; aveva aiutato anche lui, certo, ma qualcosa lo aveva sempre tenuto a debita distanza, da quell'uomo che era giunto a casa della zia e di Winry come un salvatore.

Aveva salvato sé stesso e suo fratello da una vita probabilmente breve, fatta di rimorsi e incertezze ma, e qui stava l'intoppo, aveva portato suo fratello in un mondo per cui non era ancora pronto: essere adulti, con il peso del titolo di Cane dell'esercito già a 12 anni, era un prezzo alto da pagare per i loro errori.

Aveva già pagato con i suoi arti, con la coscienza che urlava notte e dì, con gli incubi che lo tormentavano; ma sembrava che in quegli anni ancora troppo poco lontani, Ed dovesse dare tutto sé stesso perché lo scambio fosse effettivamente equivalente. Per farlo doveva soffrire.

Gli ultimi due anni erano stati i più felici e tranquilli, il ritorno del Colonnello e la situazione che stavano vivendo, erano già fattori abbastanza grandi da incrinare quel minimo di serenità raggiunta.

No, Mustang non avrebbe rovinato tutto, per puro egoismo.

“Non ci sono state altri attacchi, sembrano essere allo stremo.” si decise a rispondere, il tono decisamente più cordiale rispetto a quello dell'altro.

“Sono passati sei mesi, sarebbe anche l'ora.” commentò acidamente, quasi la colpa fosse dello stesso ragazzo, ma il giovane Pon sbuffò sorridendo, in questo caso certamente concorde: era divenuto tutto molto lungo e, nonostante la città fosse pienamente attiva ed i nemici quasi completamente sconfitti, quei pochi che resistevano erano tenaci.

Avevano trovato un sistema piuttosto efficace per mettere fuori combattimento gli homunculus: non avendo a disposizione le ossa del defunto che l'uomo ora artificiale era stato – come avevano fatto loro malgrado gli stessi Elric, quasi sei anni prima – avevano scelto di fare ricerche, utilizzando l'Alkahestry di Xing come base ed elaborando un cerchio alchemico tale da eliminare all'istante ogni elemento organico, la cui composizione era simile a quella dei loro soldati; le perdite erano state enormi, visto che avevano disseminato l'aria circostante le mura di quelle formule, senza che loro immaginassero minimamente l'andazzo.

Forse avrebbero dovuto, vista la strana quiete degli aggressori.

Il Metafisico - ormai a detta di Al totalmente fuori controllo - si era rifiutato di tenere dentro il loro esercito fino a trovare una soluzione – una fra tutte eliminare i cerchi anti-homunculus, ma nulla: voleva tanto che il loro esercito ormai non più immortale si muovesse, quanto che perisse inesorabilmente. Ovviamente, Al non ne comprendeva i motivi.

Il Metafisico stava diventando debole e, più il tempo passava, più la cosa si faceva palese: perché meno potente era, più i suoi sentimenti – che non avrebbe dovuto neanche provare – venivano a galla. Era preoccupante e deprimente, perché non poteva fare niente, neanche tornare sui propri passi.

Aveva quasi distrutto il suo rapporto con Edward e per cosa?

Non ci sarebbe stata alcuno pace, alcun ritorno di sua madre o di qualunque altro parente perduto.

Ci sarebbe stato solo un dolore immenso, la consapevolezza di aver lasciato tutto, di aver rotto rapporti svariati con il mondo che avevano conosciuto, in cambio di un nulla; a questo avrebbero pensato tutti, una volta che la guerra fosse conclusa: ad un raggiro, nient'altro.

E vi sarebbe stata una rivolta. Tutto gli ricordava Reole e com'era finita in quella città.

Avevano una Pietra Filosofale, certo, ma non era assolutamente sicuro che potesse riportare in vita i morti, o comunque tutti quanti i defunti. Nonostante avessero una Pietra, nonostante lui stesso ai tempi – quando era ancora un'armatura - fosse divenuto tale, aveva dovuto sacrificare sé stesso solo per riportare in vita il fratellone.

Una sola persona.

No, non sarebbe mai bastata, non avrebbero concluso nulla.

Lui non voleva, sin dall'inizio, dar loro quanto promesso.

Scosse il capo, tornando alla realtà “Allora cerchi di concludere oggi, Sin.” rispose al moro, battendo le mani e poggiandole contro l'ultimo muro di cinta di Xerses – Agnitio – creando in un turbinio azzurro una porta d'accesso, affinché il Generale - seguito da un numero imprecisato di homunculus a fargli da scorta - potesse uscire. “E voi, evitate il più possibile i cerchi di trasmutazione usati per distruggervi.” ordinò al plotone, sperando di ritrovare la maggior parte di loro sana e salva, alla fine.

Forse, alcune di quelle creature, sarebbero potute essere l'unico ricordo di uno dei cari defunti dei membri dell'Agnitio.

“Farò del mio meglio.” rispose il moro, diplomaticamente.

 

“Dove hai detto che è tuo padre?”

“Convegno, non ricordo dove.” buttò lì Edward, senza staccare gli occhi dal libro.

“Quindi siamo soli in casa...”

“Studia.” fu l'unica risposta che ottenne al tentativo di proporre altro, per passare il tempo. Mise un finto broncio, consapevole che quello sarebbe stato l'unico modo per convincere il ragazzo dai capelli chiari a prestargli attenzione.

Edward era rimasto poco propenso a manifestare il proprio affetto, più per imbarazzo che per reale incapacità o carattere. Per questo gli serviva qualche scusa, qualche variante, perché fosse quello a fare la prima mossa; ovviamente Ed sapeva bene che i suoi capricci erano scuse per catturare qualche coccola fuori programma, eppure ogni volta si alzava, simulando fastidio e volgendo al cielo gli occhi dorati, prima di sedere accanto al castano.

“Con te ci vuole troppa pazienza...” lamentò, mentre Roberto gli scioglieva la coda “Secondo te quando torneranno?” chiese, poggiando la schiena contro il torace dell'altro.

Torneranno.

Era un errore che Edward commetteva spesso, quello di usare il plurale.

Non aveva mai capito a chi, oltre al fratello, si riferisse: razionalmente pensava intendesse dire Alphonse e Mor, forse anche il Metafisico; ma con una punta di panico, temeva che inconsciamente l'alchimista si riferisse a Mustang.

Come ogni volta finse di non farci caso, cercando di non alimentare alcun tipo di dolore. Aveva già avuto le sue rassicurazioni un trilione di volte ed il solo fatto che Ed - l'orgoglio personificato - gli avesse posto una domanda simile doveva appianare ogni dubbio.

Continuò a passare la propria mano tra i capelli dell'altro, senza realmente rispondere “Quando avranno finito.” sempre ammesso che non fosse il suo ragazzo a terminare per primo la ricerca che aveva cominciato.

Non era poi così stupido, sapeva che Edward stava combinando qualcosa: non era un tipo abbastanza quieto perché stesse davvero con le mani in mano.

Il solo fatto che fosse così sereno era indice d'allarme; pur non sapendo esattamente in cosa i suoi studi attuali consistessero era certo che c'entrasse il fratello. Per quanto il suo silenzio in proposito lo ferisse non poteva però biasimarlo: avrebbe provato a fermarlo, per questo il biondino manteneva il segreto. Rob poggiò la fronte sulla spalla dell'altro, sospirando.

“Tutto bene?” si sentì chiedere.

Non sapeva perché, ma non riusciva a rispondere affermativamente.

 

Note: odiatemi. Perché è passata un'eternità ed il capitolo è miserabile. ç_ç

Mi spiace, da quando ho perso il capitolo scorso senza possibilità di recupero non è stato più lo stesso (vista così sembra tragico. Ò-ò) senza contare gli impegni vari e l'altra storia. *impazzirà *

Mi è ancjhe venuta una voglia malsana di imparare a fare skin per forum ò____ò.

Sono pure riuscita a montarne una *implode *

Va beh XD. Passiamo alle cose serie, tipo i ringraziamenti calorosi a lettori e commentatori <3: Chiby Rie_chan, Miss_Fefy e Ciel88, che infinitamente ringrazio. *^*

Alla prossima, ciau <3

P.s.: come sempre, perdono per la pessima formattazione dell'html. X°

  
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