Never Again
Era tutto un susseguirsi di immagini, volti felici,
urla ed abbracci. Volti e voci che l’avevano seguito fino alla macchina, di
ritorno dalle Regionali. Avevano vinto, non riusciva ancora a crederci. E dovevano
tutto a lei.
“Stop! Rallenta, respira…e non grattarti la testa come un’ebete!” Ok, adesso
era tutto sotto controllo.
Regionali, si. Quello doveva diventare un campo neutro. E di nuovo si ritrovò a
vagare con la mente a soltanto un paio d’ore prima. Aggrottò la fronte,
strizzando un poco gli occhi, in quel suo tipico cipiglio che, come Quinn non
si stancava di ricordargli, lo faceva sembrare “scemo”. In fin dei conti era
stato un momento bellissimo. Neanche l’inaspettata scenetta del pugno della
Sylvester aveva potuto fermarli dal festeggiare. L’unico punto buio in tutta
quell’allegria era il faccino di Kurt che ogni tanto tornava ad affacciarsi nei
suoi pensieri confusi. Di primo acchito gli era sembrato persino buffo, con
quell’espressione a metà tra gioia e fastidio. Cercava di farsi vedere
orgoglioso del suo vecchio Glee Club, ma girandosi verso quel damerino che
sembrava tanto piacergli, il sorriso forzato che gli aveva rivolto era valso
più di mille parole. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui, anche solo per posargli
una mano sulla quella spallina, che a volte sembrava portare il peso di un
mondo…
-Finn? Finn! Ma mi stai ascoltando?- una Quinn esasperata, a braccia conserte,
lo stava fissando impaziente.
-La accendi questa macchina, si o no? Sai che ho promesso a mia madre di non
fare troppo tardi. E smettila di guardarmi come se fossi un alieno!- anche quando era arrabbiata, la
sua voce era profonda e sensuale, ferma e precisa nello scandire le parole.
Oddio, era ancora a bocca aperta? Quando cavolo era salita? Non si era
minimamente accorto della sua presenza. Si sbrigò ad annuire convinto, facendo
girare la chiave nell’accensione della macchina e preparandosi a fare marcia
indietro. Piccole gocce di pioggia andavano infittendosi sul vetro, riempiendo
l’abitacolo di un rumore ovattato,
mentre il silenzio si faceva più imbarazzante. Lo specchietto retrovisore gli
rendeva una perfetta visuale della scena che si stava svolgendo a pochi metri
di distanza. Il parcheggio sembrava deserto, solo una figuretta dai lunghi e
morbidi capelli castani aspettava tra gli spazi adibiti alla sosta. Rachel, che
fino a poco prima era intenta a strillare nel minuscolo cellulare rosa che
teneva tra le mani, ora sembrava arrabbiata. Frustrata. Sbuffava, batteva il
piedino sull’asfalto, ancora con il vestito di scena. Le braccia scoperte
strette alla vita, le dita delle mani tamburellavano nervosamente a ritmo col
piede. La pioggerellina cominciava ad arricciarle le punte dei capelli, chiazzando
di scuro il vestitino celeste e l’asfalto intorno a lei. Poi un’ombra le arrivò
alle spalle. Ancora lui. C’era sempre lui. Non poteva lasciarla in pace?
Lasciarli entrambi in pace? Con un gesto fluido aveva lasciato cadere la sua
felpa enorme sulle spalle della ragazza, coprendola nello stesso momento con
l’ombrello nero. Aveva visto quello sguardo sorpreso nascerle sul volto, mentre
sbatteva più volte le lunghe ciglia da cerbiatta. Poi si era aperta in un
sorriso che era sempre e solo destinato a lui, dolce ed affettuoso. Come
diamine si può essere dolci ed affettuosi con Noah Puckerman?
Una mano l’aveva scosso dal fissare la scenetta, scrollandolo neanche fosse uno
straccio. –Allora?- era stata capace di dirgli solo questo e lui si era aperto
in un sorriso stiracchiato, continuando la retromarcia e facendo stridere le gomme
durante la sterzata per immettersi nel senso di marcia. Un piccolo espediente
per far girare Rachel verso di lui, per incontrare i suoi occhi. La brunetta
però non ci fece caso. Stava ridendo ad una battuta del bell’imbusto di fronte
a lei, che ora le offriva il braccio ed ad un suo cenno affermativo l’aveva
scortata fino al pick up.
Sbuffando contro un mondo che pareva muoversi all’incontrario, Finn Hudson si
dirigeva verso casa della sua fidanzata, sperando di poi poter fare quattro
chiacchiere con Burt davanti ad una partita qualsiasi.
****
Durante l’ora del Glee tutti parevano eccitati, il chiacchiericcio e le
risatine arrivavano alle sue orecchie ma lui non ci fece troppo caso. Sapeva
quello che si stavano mormorando i ragazzi. MVP. Ed ecco arrivare il professor
Schue, con un sorriso raggiante stampato in faccia. Aveva un non so che
di…inquietante? Subito cominciò a congratularsi con loro, prima di voltarsi e
prendere una statuetta da sopra al pianoforte. Chiamò accanto a lui una Rachel
Berry confusa e visibilmente soddisfatta, all’annuncio che per la gara delle
Regionali era stata scelta all’unanimità come MVP del Glee Club. Il breve
discorso uscì genuino da quelle labbra piene, commuovendola e facendo
commuovere anche i loro compagni. Tutti le si accalcarono addosso, la strinsero
in un abbraccio collettivo per farle sentire quanto le erano vicino. E lei che
pensava di non piacere a nessuno! Finn si mosse per ultimo, insieme a Quinn, quasi
avesse aspettato un suo segnale. La Spaventosa Quinn poteva rifarsi viva da un
momento all’altro, e non voleva che il momento di Rachel fosse rovinato da una
delle solite discussioni che portavano avanti ormai da giorni. Quel maledetto
ballo di fine anno stava mandando in tilt la sua ragazza, che non perdeva
occasione di fargli notare quanto le sue smorfie, i suoi ragionamenti, le sue
movenze fossero poco indicate per il futuro re del ballo. – Dobbiamo vincere
Finn! Io voglio vincere! E’ l’unico modo per far vedere a tutti che i migliori
in questa scuola siamo ancora noi. Quella coroncina deve essere mia, e non me
la farò portar via solo perché tu sembri il figlio di Frankenstein! – il succo
del discorso era sempre questo. Lui non andava mai bene, non era mai
abbastanza. Ma pendeva dalle sue labbra, era innamorato di lei, per quanto ogni
tanto si ritrovasse a pensare alla sua storia con Rachel. Mentre una tendeva
sempre a fargli notare i suoi errori, l’altra lo metteva sempre di fronte a
scelte difficili. Una troppo sicura, l’altra troppo poco. Camminava per i
corridoi ormai deserti, pensando a quanto fosse difficile la sua vita da
teenager con un ruolo importante e senza neanche rendersene conto si ritrovò di
fronte alla porta dell’auditorium. Perfetto, proprio dove voleva essere. Aveva
deciso di parlarle alla fine delle lezioni, di congratularsi a modo suo, di
farle sentire che c’era ancora e che aveva sempre creduto in lei. E sapeva che
l’avrebbe trovata lì, intenta a provare qualche romantica canzone che mettesse
in risalto la sua voce. Qualcosa della sua adorata Barbra, magari.
****
Già le prime note si diffondevano nell’aria, e lui, nascosto dietro l’uscio, si
preparò ad un nuovo colpo al cuore. Cavolo, persino quelle stupide canzoni sui
cerchietti o sui figli unici erano in grado di trasmettergli più di ogni suo
cantante preferito, di fargli scendere brividi giù per tutta la schiena!
Sbirciò dentro, sicuro che lei non avrebbe minimamente notato la sua presenza.
Era seduta su uno sgabello al centro del palco, un piede a terra, il microfono
rosa nella mano sinistra. Aveva raccolto i capelli in una coda alta, spostando
la frangia di lato e continuando a levarsela dagli occhi ogni volta che qualche
ciuffo troppo corto le carezzava il viso. Cos’era quella melodia? Era sicuro di
non averla mai sentita, nelle varie serate passate a casa di Rachel, sdraiati
sul letto con i vari sottofondi che la ragazza sceglieva con cura, in base
all’umore e a quanto avanti voleva che i due si “spingessero”. La chitarra
elettrica dava un tocco rock, quasi da cattiva ragazza, ed accompagnava parole
che lui sapeva essere dirette alla sua persona.
I hope when you’re in bed with her
You think of me.
I would never wish bad things
but I don’t wish you well.
Diavolo!
La brunetta era inviperita. Lo sguardo fisso di fronte a sé, una mano a
stringere il tessuto della gonna corta, quasi volesse stracciarlo. Le movenze
da prima donna che l’avevano sempre contraddistinta sul palcoscenico perse
chissà quando, lasciavano il passo ad una donna arrabbiata, tesa, pronta a
sputare ogni parola con un sorrisetto saccente sul volto attaccando con la
strofa successiva.
Does it hurt
To know I’ll never be there?
Bet it sucks
To see my face everywhere.
It was YOU
Who chose to end it like you did.
I was the last to know.
You knew
Exactly what you would do,
Don't say
You simply lost your way.
She may believe you.
But I never will.
Never again.
Ogni colpo andava a
segno. Ogni accento era come un pugno nello stomaco pronto a colpirlo e a
togliergli l’aria. Fece qualche passo ancora verso la scalinata, avvicinandosi
alla prima poltrona ed aggrappandovisi con la mano. Cos’era cambiato? Da quando
Rachel covava tutto quel rancore? Era davvero così che si sentiva, dietro
quella maschera di risolutezza e quel sorriso da star per cui tanto si
allenava? La vide riprendere fiato, e
per quanto quelle parole gli facessero male, bramava di sentirla cantare
ancora.
Never again will I hear you.
Never again will I miss you.
Never again will I fall to you.
Never.
Never again will I kiss you.
Never again will I want to.
Never again will I love you.
Never.
La sua decisione sembrava essere presa. Stava
chiaramente dicendo che si sarebbe lasciata il ragazzo alle spalle, non voleva
più tornare indietro. Non sarebbe più tornata indietro. Neanche il tempo di
assimilare il pensiero che la canzone era finita, lasciandola spossata. Ed era
cominciato l’applauso. Lo sguardo di Finn era subito scivolato sulla platea,
dove riconobbe subito la mohawk di Puck. Maledizione! Avrebbe tanto voluto
spaccargli la faccia a pugni, anche se era il suo migliore amico, anche se lei
non era più sua. Che rabbia. Lo vide avvicinarsi a lei, continuando ad
applaudire, mettendo poi le mani sulle ginocchia di Rachel, andata a sedersi sul
bordo del palco.
-Allora è così…finalmente posso portarti a cena fuori, eh?- aveva usato il suo
miglior tono da macho, ed anche se gli dava le spalle, sapeva che stava usando
tutto il suo fascino per irretire la ragazza. La sentì ridacchiare, negli occhi
stavano pian piano scivolando via le emozioni portate a galla da quel pezzo,
facendo spazio ad uno sguardo smaliziato.
-E cosa vorresti fare, dopo cena?- ammiccando gli si era avvicinata, in attesa
della risposta.
-Ho una proposta per te. Voglio darti la possibilità di cantare con la band del
mitico Puckzilla. Abbiamo bisogno di una voce femminile, e, sebbene avessi i
miei dubbi, dopo questa canzone non posso far altro che chiederti di unirti a
noi. In ginocchio, se dovesse essere necessario.- sospirò, come se l’ultima
parte del discorso fosse stata la più difficile da pronunciare. E poi successe.
Lei si sporse ancora un po’, lasciando che le loro labbra si unissero.
-Mmm…uva?- aveva mormorato Rachel, leccandosi le labbra ed aprendosi in un
sorriso splendente. Finn aveva visto abbastanza. Si voltò ed uscì
dall’auditorium, non senza lanciarsi un’occhiata alle spalle mentre il suono
delle loro risate gli rimbombava nella testa.
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Eccola qua. Finalmente l’ho pubblicata. Ero indecisa fino all’ultimo, ma le
parole di Tem_93 e DreamGirl91 (a cui ovviamente voglio dedicare questo
capitolo, siete state la mia ispirazione!) mi hanno spronata ad andare avanti.
Se vi annoiate, se vi schifate, se vi vien voglia di scovarmi ed uccidermi,
fermatevi un attimo a pensare…che questa è la mia prima ficcy! Q_Q
Ho già qualche altra ideuzza in mente, ma se non dovesse piacere, la lascerò
come one-shot in ricordo della mia breve carriera da semi-quasi-vorrei ma non
posso scrittrice.
Chiedo scusa per eventuali errori di grammatica e di battitura.
Un bacio
Veronica/Vevve