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Autore: Coccolotti_spray    02/04/2011    1 recensioni
«Papà verresti a cucinare con me? » io scossi il capo, cercando di trattenere un sorriso e le scompigliai i capelli scuri.
«Naturalmente, ma princesse»
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sollevai un lembo della carta argentea che soavemente mi carezzò i polpastrelli delle dita, presi con coraggio una parte di quel massiccio biglietto marrone, che sapevo mi avrebbe condotto in quel mondo che tanto amavo e contemporaneamente temevo. Lo guardai. Fu come assistere a qualcosa di magnifico e mi sentii sommergere dalla potenza di quella dolcezza, che talvolta affascina. Chiusi gli occhi. Dalla cucina mi sfiorò un profumo di menta, che mi si insinuò nelle narici fino a raggiungere il cuore; scivolò lungo le pareti dei sogni, si introdusse fra i canali delle aspirazioni e dei desideri, raggiunse la fantasia e, con il tocco delicato di una farfalla in primavera, si posò su una cima in disparte, soffiò forte e quel vento caldo e dolce che riempiva i pensieri si tinse del fresco profumo di montagna. Un vigoroso aroma che rese tutto più nitido, più reale e fantastico allo stesso tempo. Possibile e impossibile si mescolarono, lasciando sulla mia lingua un sapore piacevole.
«Ecco chi aveva preso la barretta di cioccolata! Dovevo aspettarmelo» aprii gli occhi ed incontrai quelli cerulei di mia figlia Hachi, la quale mi sottrasse con un sol colpo la cioccolata dalle mani.
«Tu non dovresti fare i compiti? » osservai alzandomi dalla poltrona.
«Li farò fra qualche minuto» replicò lei sfoderando il migliore dei sorrisi, mentre io diffidente incrociai le braccia contro il petto.
«Sei sicura? » lei allargò ancora di più quel sorriso e mettendosi una mano sul cuore esclamò:
«Parola di scout» dopo aver sigillato con quel gesto la sua promessa mi abbracciò e allora capii che voleva qualcosa; quando i figli sono così dolci che potrebbero farti venire il diabete, hanno quasi sempre un secondo fine! «Papà verresti a cucinare con me? » io scossi il capo, cercando di trattenere un sorriso e le scompigliai i capelli scuri.
«Naturalmente, ma princesse» conoscevo discretamente il francese, lo avevo studiato liceo; Hachi lo amava, affermava con determinazione che fosse una lingua poetica, il cui suono possedeva poteri straordinari ed io stavo cercando di insegnarglielo, per quanto mi fosse possibile, in modo tale che  riuscisse a comprendere, almeno qualche parola, delle storie che mi pregava di le leggerle prima di addormentarsi.
«Bene, allora mettiamoci al lavoro! » io la seguii mentre correva con quel suo grembiulino vivace, che la faceva sembrare una donna in miniatura; misi anch’io il mio con gli addominali da macho, così da impedire di sporcarmi.
«Sei pronta tesoro? » annuì applaudendo.
«E’ l’ora della magia! »
«Esatto, quindi adesso lo sai no come funziona, no? Devi restare seria o l’incantesimo non funzionerà» esclamai con una voce tenebrosa.
«Apriamo il nostro ricettario» dichiarò con estrema pacatezza, cercando anche lei di incupire la sua voce il più possibile, così da nascondere quella gioia che le stava ribollendo dentro.
«Chiudi gli occhi e dammi la mano» lei obbedì senza proferire parola, teneva troppo a quel rito che avrebbe dato inizio a tutto.
Come prima lessi gli ingredienti a gran voce, dopodiché li sistemammo tutti sopra il tavolo; iniziammo con il separare le uova, per poi unire i tre tuorli con 140g. di zucchero semolato, che Hachi mescolò insieme, mentre io mi accinsi a far sciogliere 140g. di burro a bagnomaria.
«Canzone Grease » Hachi iniziò a canticchiare la canzone che più amava del musical di Grease, mentre io la seguii imitando i passi di danza, che conoscevo quasi a memoria. Fui costretto a fermarmi, poiché rischiai di rovesciare il burro,  siccome non ero poi così agile ed in più ero alquanto impacciato, quindi lasciai che lei continuasse il suo canto, mentre io mi limitai a battere il piede a ritmo.
«Hachi fai attenzione, ora aggiungo il burro» lei annuì semplicemente, ma non smise di rallegrare quell’ambiente con la sua voce, che era qualcosa di indescrivibile! Detto da un padre non conta, lo posso capire, ma mia figlia era una forza della natura, sul serio! Aveva quel tanto che bastava per colpire chi le stava accanto: due occhi limpidi, espressivi, che riuscivano a catturati e trascinarti nel bel mezzo di quelle note.
«Papà, lo vuoi aprire o no quel lievito? » scossi il capo, ero rimasto con la bustina di lievito fra le mani. «Che sciocco! » Hachi rise.
«A si? » io immersi una mano nella farina e gliela spruzzai sul volto; lei mi fece la linguaccia, poi con quel sorriso soddisfatto si rituffò nel suo lavoro. Io intanto aprii la bustina di lievito e lo feci sprofondare in 250g. di farina bianca a cui poi amalgamai anche il composto che aveva ottenuto Hachi.
«Prendi il latte per favore tesoro» lei annuì e di corsa, mentre io la sostituivo per impastare nostra creatura, saltellando prese ciò che le avevo chiesto.
«Quanto te ne serve papà? »
«Tu versalo, ti dico io quando basta» il latte fresco iniziò a scivolarmi sulle mani ed andò ad unirsi al tutto.
«Basta così» lei chiuse il latte e lo mise in frigo. «Leggimi la ricetta tesoro, per favore» Hachi si precipitò a prendere il grande ricettario rosso e con un dito scorse i vari punti della preparazione:
«Bisogna montare a neve gli albumi dell’uovo» io mi pulii le mani. «Mi cedi il posto? » io annuii, così lei immerse nuovamente le mani in quella sostanza molliccia ed iniziò a farla rotolare.
Intanto presi gli albumi e con il frullatore li feci volteggiare aggraziatamente fino a che non divennero una distesa spumosa, che di seguito unii a ciò che stava impastando Hachi. Una volta che fu tutto amalgamato perfettamente, il mio tesoro si sciacquò le mani e mi timorosa porse la bottiglia di sciroppo.
«Qualsiasi cosa accada non smettere di mescolare» avvertii.
«Certamente, ma siamo sicuri che verrà bene? » domandò speranzosa.
«Stiamo a vedere…»  io versai cinque cucchiai di sciroppo alla menta nel composto, che subito a contatto con la prima goccia si colorò di un verde smeraldo. «Ora mettiamo il tutto nello stampo» presi lo stampo rettangolare e vi feci scivolare del burro, dopodiché ci rovesciai l’impasto.
«Inforniamolo per 40-45 minuti a 180° e poi prepareremo la copertura» mentre aspettavamo che il dolce si cuocesse ci sedemmo accanto al forno per ammirare la crescita di quella creatura.
«Ce l’abbiamo fatta! » esclamò orgoglioso il mio pulcino, che riusciva a stupirsi anche per le più piccole cose e mi faceva una grande tenerezza, perché non le bastava solo introdurre l’impegno in quella ricetta, ma doveva per forza fondere anche il cuore fra la farina e le uova.
Inizialmente non amava cucinare, si annoiava vedere me e sua madre indaffarati in qualche ricetta, spesso e volentieri rimaneva con noi solo perché la pregavamo; poi però sua madre, vedendo l’interesse del nostro fiore per la magia e le storie di streghe e maghi, creò un gioco, si chiamava: Benvenuti nella foresta di Camelot. Il gioco consisteva nell’immaginare che la nostra cucina fosse una perigliosa foresta nella quale la madre di Hachi, Roselyn, era Merlino, mentre Hachi ed io eravamo i suoi più fidati assistenti, che lo aiutavano a creare le più impensate pozioni. Hachi amò quel gioco, ma amò ancora di più chi l’aveva congegnato solo per lei.
Quella foresta, come le nostre vite, andò in frantumi il giorno in cui Merlino si accasciò al suolo, colpito da una freccia, che nessuna pozione magica fu in grado di curare. Roselyn morì. Fu per me un colpo troppo duro da sopportare, come sarei riuscito da solo a crescere Hachi? Non ne ero in grado, come potevo farcela? Era lei l’esperta, era lei che mi insegnava il modo migliore per essere genitore, io non ne ero capace. Hachi mi avrebbe odiato. Quella consapevolezza mi terrorizzò.
Vedevo mia figlia soccombere sotto il macigno del dolore senza riuscire ad aiutarla, mi sentivo impotente; le offrivo una mano e le la rifiutava, lasciando che le lacrime stremassero il suo esile corpicino. Avrei dato la mia vita per cancellare quella tristezza, ma forse fu questo il problema, pretendevo che guarisse, volevo salvaguardarla dal sofferenza, dai dispiaceri e fu uno sbaglio, poiché quelle emozioni facevano parte della vita ed era ingiusto, che io cercassi di strappargliele via egoisticamente per vederla felice. Lei aveva bisogno di sfogarsi e non di dimenticare.
Un giorno però, tornando a casa, vidi che la porta che conduceva in quel luogo ricco di magia, che era rimasta chiusa per diverso tempo, era di nuovo aperta e la mia bambina era lì, sommersa di farina e cioccolato. Fu una gioia immensa, perché capii che con determinazione e attesa avremmo potuto ricomporre quella che era la nostra vita senza abbandonare Roselyn, affrontando la sofferenza insieme. Ogni tassello avrebbe ripreso il proprio posto, tutti tranne uno, il cui  ricordo avrebbe continuato per sempre a vivere in quel luogo incantato.
«Papà è pronta! Papà guarda! » Hachi mi scosse un braccio e controllando, vidi che aveva ragione, così estrassi il dolce e lo posai sopra il tavolo, era venuto davvero bene!  «Prendo il cioccolato»
«Intanto preparo il recipiente per metterlo a sciogliere» Hachi fece cadere 200gr. di cioccolato nel pentolino e subito iniziò a sciogliersi. Era uno spettacolo imperdibile, qualcosa di veramente sublime, per il quale non esistono parole, si deve soltanto restare in silenzio e osservare quella meraviglia.
Quando il cioccolato si trasformò in una distesa liquida lo versammo sopra alla torta, che poi sistemammo accuratamente in frigorifero per un paio d’ore; la estraemmo solo quando il cioccolato divenne un’impenetrabile corazza, dopodiché ne tagliammo una fetta per ciascuno, pronti a gustare il sapore del nostro lavoro.
«Complimenti ma princesse, complimenti » esclamai alzando la torta a mo’ di brindisi.
«Complimenti anche a te mon ourson! » replicò Hachi avvicinando la sua fetta alla mia.
Sorridendo addentammo quella squisitezza. Il dolce sapore del cioccolato fu la prima cosa che si sciolse delicatamente in bocca, che poi fu sovrastato dal fresco sapore della menta.
Chiusi gli occhi e l’assaporai come se fra quegli ingrediente potessi scorgere l’affetto di Roselyn; una lacrima segnò il mio viso.
«Che hai papà? » io non l’allontanai, ma lasciai che mi scendesse lungo la gota, fu Hachi ad asciugarla con dolcezza. «Papà? » io le carezzai i capelli e sorrisi riaprendo gli occhi.
«Sto bene tesoro, ma ho capito solo ora che la tua mamma ci ha lasciato in custodia un grande segreto» Hachi mi guardò strabuzzando gli occhi.
«Quale sarebbe? » io addentai di nuovo il dolce «Quale? » insistette lei.
«La ricetta della felicità» Hachi mi guardò un istante, poi osservò il ricettario e lo chiuse quasi gelosamente, stringendolo al petto con fermezza.
«Sarà il nostro segreto» annuii baciandole la fronte.
«Oui, ma princesse».
 
Note: Per scrivere questa storia mi sono ispirata al mio più grande eroe: un uomo abbastanza adulto, che nell’aspetto, però, di eroico non ha più niente; gli addominali scolpiti sono scomparsi o come direbbe lui: “La tartaruga ha avuto un grave incidente e si è capovolta”, mentre il ciuffo ribelle ha lasciato che il tempo portasse con sé parte di quel vivido colore, diventando una cortissima distesa di riccioli cinerei. Nonostante il fisico si sia modificato, nell’animo qualcosa combatte tutt’ora e non si arrende. Il lavoro lo stanca, i problemi talvolta lo travolgono…ma anche quando il mondo perde i suoi colori, lui mantiene il suo sorriso inalterato e lo tinge di nuovo di una moltitudine infinta di sfumature; una speranza brilla sempre in quegli occhi smeraldo!
Allora meravigliandomi penso: “Cavolo, lui è il mio papà!” e mi sento onorata nel solo poterlo pensare, poiché in fin dei conti so che, qualche volta, quel sorriso contagioso brilla anche per me.
N.B.La ricetta contenuta in questo racconto è davvero formidabile, provatela e non ve ne pentirete! : D
  
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