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Autore: Ely79    03/04/2011    5 recensioni
Siamo al sesto anno, un giorno come gli altri. Ma cosa fanno Harry e Draco, rinchiusi in uno degli innumerevoli ripostigli di Hogwrarts? Quali segreti stanno cercando di nascondere?
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Nel ripostiglio
La porta si aprì e chiuse con tanta rapidità che la luce non ebbe quasi il tempo di entrare nell’angusto spazio.
Appoggiò l’orecchio al legno e tese l’orecchio. Silenzio. Dal corridoio non arrivava alcun suono.
Sollevato, si puntellò contro la porta, sospirando. Non sapeva quale mago o strega ringraziare per non aver incrociato nessuno. Se l’avessero visto in quello stato sarebbe stato… non sapeva neppure lui, come. Terribile era solo un eufemismo.
Stava meditando sul da farsi quando qualcosa fece rumore poco più in là.
«Chi c’è?» chiese allarmato.
Per lunghi attimi, il buio del ripostiglio tacque. Poi, di nuovo quel suono. Rumore di stoffa che strisciava sul muro, uno stridio metallico che ricordava quello di un secchio per terra.
«Ti ho sentito, è inutile che ti nascondi!» tuonò, afferrando la bacchetta e puntandola avanti, nel nulla.
«Io mi nascondo? E tu?» rispose una voce.
Impossibile non riconoscere il tono piccato e imbarazzato.
«Potter?!» esclamò, sgranando sconvolto gli occhi.
Di tutte le persone che potevano trovarsi nel suo ripostiglio, proprio lui doveva esserci? In tutta Hogwarts, come diamine aveva fatto a trovarsi nel suo sgabuzzino?
«Sì, Malfoy, sono io. E ora levati di torno. Lasciami in pace!» replicò Harry, la cui voce sembrava essersi allontanata un poco, verso il fondo dello stanzino.
Draco cercò di dominare l’impulso di andarsene seduta stante. Lui aveva bisogno di quel posto, doveva restarci fino a quando avesse risolto il problema. Potter doveva levarsi di torno, non aveva alcun diritto di occupare il suo spazio.
«Se qui c’è qualcuno che deve andarsene sei tu! Questo posto è mio!» sbottò innervosito.
«Ma senti un po’… ero qui prima di te»
Di nuovo Potter si era mosso un poco. Draco aveva l’impressione che fra di loro ci fosse qualcosa, qualcosa che schermava la sgradevole vocetta del Grifondoro.
«Esatto! Quindi ora lasciami solo nel mio ripostiglio!» gridò.
«Scordatelo, Malfoy, non è una tua proprietà. Vattene!» ribatté, altrettanto alterato.
«Esci tu!»
«Sparisci, serpe!»
«Credi forse di potermi dare ordini? Tu?! Un Grifondoro?! Chi credi di… Lumos!»
L’immagine che si presentò a Draco era di quelle che difficilmente avrebbe scordato in vita sua. Trasecolò nel vedere il suo peggior nemico che teneva sollevata la veste scolastica con un braccio, mentre l’altro scendeva giù, dritto all’inguine. E lì era concentrata la parte più sconvolgente della scena, che Potter tentava miseramente di nascondere goffamente tra le pieghe della stoffa.
Malfoy distolse lo sguardo, schifato. Ora capiva: fino a poco prima Potter doveva avergli dato le spalle, per quel motivo gli era parso che tra di loro ci fosse un oggetto.
«Senti, Sfregiato, mettiamo in chiaro le cose. Se c’entri in qualche modo con il mio ingresso qui dentro, sappi che non sono della tua sponda!»
Harry provò l’immenso desiderio di Schiantarlo, ma per poterlo fare avrebbe dovuto recuperare la bacchetta dalla tasca dell’uniforme. Questo avrebbe implicato il lasciar andare pantaloni e veste scolastica, col risultato di rendere solo più evidente lo stato pietoso in cui versava. Essere scoperto con la propria, vergognosa erezione stretta nel pugno era al secondo posto nella lista dei suoi incubi peggiori. Al primo c’era quello dove si svegliava, scoprendo che lui e Voldemort erano la stessa persona. Ora però, il Signore Oscuro era una questione di poco conto. Doveva far sloggiare l’intruso, non prima di essersi assicurato il suo silenzio. Ma come?
«Ci sei entrato da solo qui. Ho altro a cui pensare che alla tua compagnia!»
«Lo vedo» sogghignò Malfoy, indeciso sul quanto essere disgustato e quanto divertito. «E io che ti facevo un asessuato… a quanto pare sai a cosa serve. Anche se, a quel che avrei preferito non vedere, ti dai alle pratiche in solitaria. Non sto a chiederti perché» insinuò malevolo.
Svilirlo aveva un sapore piacevole, specie in quel momento, mentre tutto andava storto e suo padre era in cella ad Azkaban. Poter sfogare le proprie frustrazioni sul suo bersaglio preferito era liberatorio.
«Cosa ti è successo?» ridacchiò Potter, indicando la testa dell’altro con un cenno del capo.
Ora le parti erano invertite e chi rideva era Harry. Il biondo rompiscatole ora sfoggiava una chioma decisamente inusuale. Alla luce della sua bacchetta sembrava avere un’allegra tonalità ciclamino, davvero poco adatta ad un Serpeverde. E molto poco virile.
«Non ti riguarda» sibilò, passando una mano fra i capelli.
«Direi di sì, visto quello che hai combinato» e puntò lo sguardo sulla maniglia che giaceva a terra fra di loro.

***

Chiuso nel ripostiglio con Malfoy da due ore. Perché non Piton ed il suo odio allora? O la Cooman e i suoi presagi di morte? O Gazza e le sue tiritere? Odioso per odioso, non ci sarebbe stata differenza. Forse tra di loro avrebbe trovato almeno uno in grado di riaprire quella porta. Entrando nel ripostiglio, Harry si era accorto che la porta era scomparsa alle sue spalle: l’accesso era possibile solo dall’esterno. Ergo, nessun Alohomora avrebbe funzionato. Non aveva prestato troppa attenzione al come uscire, preso dall’agitarsi dei suoi bassi istinti. Quando però Malfoy era entrato come una furia, il problema si era fatto decisamente più impellente. Avevano tentato con incantesimi, cercando serrature nascoste, punti dove far leva, inutilmente. Sarebbero rimasti rinchiusi lì dentro, finché non avessero trovato un modo per uscire.
Gettò un rapido sguardo a Malfoy. Era sempre più smunto, emaciato. Eppure, anche accasciato in un angolo in quello stanzino minuscolo e senza finestre, riusciva a conservare la solita alterigia. Stava seduto con la schiena dritta, le braccia che poggiavano sulle ginocchia, fingendo di non vederlo.
Continuando su quella strada, la porta sarebbe rimasta chiusa per sempre.
«Segreto mio, segreto tuo» tagliò corto Potter, aggiustando per l’ennesima volta la divisa.
Si era ricomposto da un pezzo e si era seduto con le ginocchia al petto, e nonostante ciò, aveva costantemente la bruttissima sensazione di avere ancora le braghe calate.
Draco non lo degnò d’uno sguardo, nonostante la proposta l’avesse risvegliato dal torpore.
«Cosa intendi?» mormorò svogliatamente.
«È un gioco Babbano che facevamo a scuola, quando ero piccolo. Visto che entrambi ci siamo infilati qui per nascondere qualcosa, diciamo il perché, così l’altro sarà obbligato a tacere, se non vuole che il suo segreto venga raccontato a tutti».
Si sentì incredibilmente stupido nel fare quella proposta. Malfoy non avrebbe accettato e anche se l’avesse fatto, poteva star sicuro che non avrebbe mantenuto la parola data. Avrebbe trovato il mondo di convincere chi gli aveva tirato quello scherzo a tacere e lui si sarebbe trovato nella scomoda posizione di vedersi sommerso da nuove prese in giro. Questa volta non poteva permetterselo, la posta in gioco era troppo alta.
«Puoi scordartelo. Come osi anche solo propormi una scemenza del genere? A me! Un gioco Babbano… puah!» fece schifato Draco.
La faccia di Potter era un chiaro invito a dargli retta. O meglio, una pretesa ad aderire a quel ridicolo passatempo.
«Non ho intenzione di sottostare alle richieste di uno che si… fa… quelle… cose!» esclamò, additandolo inorridito.
Alla luce della bacchetta, il suo volto aveva una smorfia di disagio, che Harry non poté non notare: somigliava tremendamente alla sua ogni volta che si parlava di quelle cose, su, in sala comune.
«Piantala di fare il moralista, Malfoy! Non vorrai farmi credere che non ti sei… mai… ehm… toccato?»
La voce gli era venuta meno nel ricordare la sua precedente occupazione. E dire che non aveva mai fatto certi discorsi neppure con Ron, che era il suo migliore amico! Come avrebbe potuto dirgli che faceva quelle cose pensando a Ginny? Come minimo lo avrebbe ucciso. Ed ora ne parlava con quel damerino leccato di Malfoy. Assurdo.
«Sono un signore, non mi intrattengo nei ripostigli col rischio di farmi scoprire da chicchessia! Se proprio devo fare certe cose, ho la decenza di tutelare il mio nome!»
La frase riportò alla mente di Harry quello che aveva visto da Magie Sinister. Forse poteva smentire Hermione e le sue accuse di paranoia, scoprire in qualche modo se Draco era diventato davvero un Mangiamorte.
«Si trattava di un’emergenza e… i bagni erano troppo lontani» si giustificò, tentando di atteggiarsi a vittima. «È stato il primo posto che mi è venuto in mente per nascondermi. E per non far vedere… questo».
Sapeva che l’altro non avrebbe resistito all’idea di rincarare la dose.
«Certo, avevi paura di mostrare a tutti quanto sei scarsamente dotato…» sogghignò. «D’altra parte, non tutti possono vantare genitori come i miei».
«Meglio morti che ingabbiati ad Azkaban» pensò Harry, ma si astenne dal dirlo.
Doveva tentare di scoprire la verità sul Marchio Nero, non cercare di farsi ammazzare per una parola di troppo. Ammesso che uno come Malfoy fosse capace di uccidere qualcuno. Era talmente abituato a correre a nascondersi dietro il mantello del caro paparino, che dubitava possedesse un briciolo di autentica crudeltà.
«Allora?» insisté.
«Cosa?»
«Chi ti ha fatto quello?»
«Fatti miei» si schermì.
«Posso ridurti molto peggio di così» minacciò.
«Tu? Un incapace?» lo sbeffeggiò, squadrandolo con sufficienza.
«Ho per amici i gemelli Weasley» rimarcò.
A Grifondoro tutti sapevano di Milly Townsed ed i suoi capelli arcobaleno, dovuti allo shampoo SmilingHair messo in commercio quell’estate ai Tiri Vispi. Il preparato aveva perso efficacia solo da qualche giorno, ma ciocche multicolori continuavano a comparire a casaccio nella chioma castana della ragazzina, scatenando eccessi di risa ad ogni ora.
Draco sbuffò, arrendendosi al fatto che, se non l’avesse accontentato, San Potter avrebbe reso la loro permanenza lì dentro un autentico strazio.
«Pansy. Se l’è presa perché dice che ho dimenticato il suo compleanno e non le ho fatto un regalo come si aspettava. Sarebbe meglio dire come pretendeva. Così ha deciso che meritavo un castigo! Io! Il Prefetto di Serpeverde! Stupida oca che non è altro».
«Ed è vero?»
«Che è un’oca? Sì, eccome» ammise, soprapensiero.
«Che avevi dimenticato il suo compleanno» specificò Harry.
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale il ragazzo fissò il nemico. Cosa poteva dire al tirapiedi di Silente?  La verità? Era fuori questione.
«Assolutamente no. Avevo deciso che non mi andava di festeggiarla. Non lo ritenevo un evento degno d’importanza» mentì spudoratamente. «Ho cose più importanti a cui pensare» soggiunse tra sé e sé.
In realtà se l’era scordato davvero, nonostante la profusione di promemoria e le moine della ragazza. Gli ordini del Signore Oscuro, gli occhi dei Mangiamorte puntati su di lui, l’ansia di sua madre. L’Armadio Svanitore da riparare. La morte di Silente da pianificare e mettere in atto. I piagnistei di Pansy erano solo inutili perdite di tempo. O lo erano stati, fino ad un attimo prima che i suoi splendidi capelli, l’emblema dei Malfoy,  fossero ridotti ad una macchia indecorosa di colore.
«E sentiamo, ora. Tu perché ti… facevi… quello?» balbettò.
«Non sei capace di dirlo da persona normale?» ridacchiò Harry, felice di notare quanto i discorsi a sfondo sessuale mettessero in difficoltà anche lui.
Era paradossale che condividessero la stessa debolezza. Lo rendeva quasi un ragazzo qualunque. Non meno antipatico, ma di sicuro più accettabile.
«Neppure tu l’hai chiamato col suo nome» osservò laconico il Serpeverde. «E comunque, lo chiamo come mi pare. La mia educazione non lascia a desiderare quanto la tua» obbiettò.
«Educazione o no, siamo messi allo stesso modo».
L’affermazione gli costò un’occhiataccia dal nobilissimo Purosangue.
«Ti rendi conto della mole di idiozie riesci a dire in sole quattro parole? Osi paragonarti a me!»
«Ah, sì? Allora dimmi cosa stavo facendo, Signorino Re-del-Bon-Ton. Fammi sentire la tua… definizione» lo stuzzicò.
La faccia di Malfoy divenne dello stesso colore dei capelli. Voltò il capo e riprese ad ignorarlo per qualche istante.
«Non mi abbasso ai tuoi giochetti, Sfregiato» sibilò.
«Però il tuo segreto me l’hai confessato» gli fece notare divertito.
L’osservazione lo avrebbe mandato su tutte le furie, se non fosse stato troppo stanco. Ormai passava le notti a tentare ogni genere di incantesimi sull’Armadio Svanitore, impazziva nella ricerca di spunti per portare a termine il suo compito - uccidere Silente -. Ed erano passati solo un paio di mesi dall’inizio della scuola. Se non riusciva a tener testa a quel mentecatto di Potter in un situazione talmente ridicola, come poteva sperare di riuscire nel suo intento?
«Bene. Se è così, ora è il tuo turno, anche se dubito di poter ascoltare qualcosa di interessante» sputò, allungando le gambe e incrociando le braccia in segno di sfida.
Il brusco cambiamento prese Harry in contropiede.
«Ho… ho visto una persona» balbettò.
«Ti ecciti con poco» sghignazzò.
«È la ragazza che mi piace» disse, poggiando la fronte sulle ginocchia. «Ma sta con un altro e… non sa niente. Non mi calcola proprio».
Era la rivelazione più sciocca che potesse immaginare. Draco aggrottò la fronte, perplesso.
«E sei venuto qui per far finta di stare con lei? Merlino, sei peggio di Goyle. Lui almeno allunga le mani sulla bella di turno, che lei voglia o no».
«È l’unico modo che ho per sentirla un po’ mia. Per non perderla» ammise sottovoce.
Perdere qualcuno. Perdere qualcosa. Dietro la solita maschera di indolenza e sberleffo nei confronti di Potter, Draco si stupì. Possibile che entrambi temessero l’idea della perdita? Il Grifondoro aveva paura di perdere una ragazzina che neppure lo guardava. Lui, invece, aveva paura di perdere qualcosa di molto più grande. Il prestigio della famiglia, gli onori, l’autorità. Il loro nome era sempre stato sinonimo di rispetto e timore, di ossequio. Aveva un impero ai suoi piedi, ma per entrarne pienamente in possesso doveva mostrarsi un degno servitore di Voldemort, anche se non stava muovendo un dito per salvare suo padre. L’avrebbe aiutato comunque, avrebbe obbedito, se questo significava essere i vincitori, essere forti.
Guardò Potter, che se ne stava ancora col capo sulle ginocchia. Che derelitto. Si struggeva per una ragazzetta qualunque. Erano questi i suoi problemi? Certo. I problemi di chi non conosceva il potere, di chi non lo possedeva. Avere qualcuno da amare e da cui essere riamati. Che sciocchezza, roba da streghette rosa.
A lui non serviva innamorarsi: erano le ragazze a rincorrerlo; le sue ricchezze, il suo blasone, il suo potere. Era questo che le aveva attirate negli anni precedenti. Ora, sull’onda del momento, tutte guardavano allo Sfregiato, concedendogli tempo per mettere in atto i suoi piani. Una volta superato il momento buio, la moda del Bambino Sopravvissuto sarebbe svanita mentre lui sarebbe tornato al posto che gli competeva, ai vertici del mondo magico, riverito, onorato e temuto. Allora le ragazze sarebbero tornate ad adorarlo. Ne avrebbe avute più di prima, nonostante ora, fosse ben altro ciò che contava per Draco. Bramava solo divenire più grande e potente di suo padre, essere il Malfoy per eccellenza, quello che tutti avrebbero indicato nei libri di storia come esempio di virtù e devozione. Quello che sua madre avrebbe guardato con orgoglio. Quello che suo padre avrebbe additato come un eroe. Quello che maghi e streghe avrebbero invidiato.
Madre.
Padre.
Non poteva perdere il potere.
Con il potere, avrebbe riavuto la sua famiglia.

***

Alla fine della terza ora, finalmente qualcuno udì i colpi di Harry sulla porta. Ad aprire, preoccupati dalla sua assenza, furono i suoi amici. L’avevano cercato nei due cambi d’ora, senza successo.
«Harry, dov’eri finito? Hai saltato le prime ore di lezione e la McGranitt ha detto che non tollererà assenze ingiustificate!» lo redarguì la Granger.
Malfoy rimase ben nascosto dietro la porta, cercando di non sorridere. Sapeva che la reciproca compagnia non era stata affatto piacevole, ma quella tirata, fatta così, su due piedi, era impagabile. E Potter si lasciava bistrattare senza batter ciglio, evidentemente non aveva approntato una scusa decente per loro. Nessuno dei suoi amici si sarebbe azzardato a parlargli a quel modo, avrebbero fatto una brutta fine ora che il Signore Oscuro aveva posato lo sguardo su di lui. Nessuno dei suoi amici si preoccupava delle sue sparizioni: era certo lo ritenessero troppo in gamba per aver bisogno del loro inutile aiuto.
«Silente ti ha…» iniziò Ron a mezza voce.
«No!» lo zittì allarmato. «Mentre venivo in aula mi hanno spinto qui dentro. Uno scherzo, credo. Una volta dentro la porta scompare e l’Alohomora non funziona».
«Harry, sei il solito!» sbottò la ragazza. «Se avessi prestato più attenzione alla lezione sugli Incantesimi Apriporta, avresti saputo che…» ma l’invettiva fu interrotta da Weasley.
«Scommetto che stavi di nuovo seguendo qualcuno…»
I tre si allontanarono parlottando. Nell’andarsene, Harry fece finta di chiudere la porta del ripostiglio, lasciandola accostata. Draco attese qualche istante ed uscì, mescolandosi alla torma di studenti che migrava da una classe all’altra.
«Sei troppo stupido, Potter» bofonchiò tra sé, dirigendosi a Serpeverde con la divisa sollevata fin sopra il capo.
Al suo posto, lui avrebbe richiuso la porta senza pensarci due volte. Segreto o no.
   
 
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