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Autore: Natalja_Aljona    03/04/2011    5 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Nove - L'Egiziano


Bello, bello e impossibile

Con gli occhi neri e il tuo sapor mediorientale

Bello e irraggiungibile

Con gli occhi neri e il tuo gioco micidiale

(Bello e Impossibile, Gianna Nannini)



Era corsa fuori, velocissima, era corsa con il vento, sulla grigia sua strada.

Piangeva, scendendo le scale, maledicendosi perchè, se si piange per una persona, vuol dire che quella persona è dannatamente importante.

Perché sono le persone a cui si tiene di più, che fanno più male, quando deludono.

Certe delusioni spezzano le ossa come le mani di un sicario.

Ora lo sapeva, Natal'ja.

Aveva incontrato Cathie, Diane Catherine Snow, la sua dirimpettaia, che la chiamava.

Le era volata addosso, agitata come poche volte.

-Natal'ja, io lo so, chi è stato!-

L'aveva guardata, Natal'ja, lo sguardo vacuo, i battiti lenti, troppo.

Lei le aveva stretto la mano, guardandola negli occhi.

Con dolcezza, pietà. Sapeva più di quello che avrebbe dovuto sapere, Cathie.

-Brian George, l'Egiziano-

No, non aveva resistito.


Liverpool, 27 Novembre 1832


Aisling Willow e Brianne Beckett , rispettivamente otto e nove anni, erano sedute a gambe incrociate sui gradini di Casa Morrison.

Aisling s'intrecciava i folti riccioli biondi con nastri colorati, Brianne sorseggiava una spremuta.

Natal'ja, come era solita fare dalla notte dei tempi, si consumava i begli occhi grigi su massicci saggi di filosofia di cui capiva si e no qualche parola, parole che però riscattavano ampiamente la difficile comprensione.

La prima a rompere il silenzio fu Aisling, la quale, soddisfatta della treccia ottenuta, aveva lasciato andare i restanti nastrini ai suoi piedi, pensando bene di andare a pungolare il vulnerabile orgoglio dell’amica più giovane.

-E’ un ragazzo di incantevole bellezza, parola mia- esordì, portandosi una mano al cuore.

Brianne seguì con attenzione i movimenti languidi delle ciglia di Aisling -su e giù, su e giù, con un ritmo quasi studiato- e per poco non le scoppiò a ridere in faccia.

Per sicurezza posò il bicchiere sul gradino sopra di lei, alzando i vispi occhi verdi sulla giovane Willow.

-Chi sarebbe costui?-

Brianne conosceva bene Aisling e le sue, per così dire, trovate, puntualmente finalizzate a strappare qualche sconvolgente rivelazione alla loro amica più misteriosa.

-Brian George, il figlio del Capitano. Natal'ja, sono sicura che tu sai di cosa sto parlando-

Luce sussultò. Sussultò, ma più o meno subitaneamente riprese la lettura del suo prezioso Candide, sforzandosi di non sembrare turbata.

-Di Brian George, il figlio del Capitano- rispose distrattamente, senza alzare gli occhi dal libro.

-Natal'ja!-

Luce fece un’orecchia alla pagina che stava leggendo, alzando gli occhi smarrita.

-Aisling?-

Aisling la sfidò con lo sguardo.

-Cosa sai di lui, Natal’ja Eileen?-

-Ha trentadue anni, è sposato da dieci. Ha una nave mercantile, la Magna Graecia, ha due figli, una moglie e un gatto Turco Van-

-Ma io non mi riferivo certo al Capitano, Natalys-

-Il gatto si chiama Ettore- aggiunse quest'ultima, con un sorriso.

-Il figlio!- gridò Aisling, schizzando in piedi. -Il figlio! Hai scritto il suo nome -o meglio, metà del suo nome- sulla copertina del Candide, accanto al nome di Voltaire-

In effetti, sulla copertina del Candide, nella posizione indicata da Aisling, compariva l’ambigua scritta “Geor”.

-Lui?- mormorò Natal'ja, con un fil di voce e le gote pallide.

-Lui, prima di tutto, ha undici anni- Aisling fece oscillare lo sguardo da Natal'ja a Brianne, come per leggere l’effetto sortito dalla sua “rivelazione” negli occhi delle amiche.

Natal'ja continuava a leggere il Candide.

Brianne aveva alzato le spalle, come se la cosa non la riguardasse.

A lei, di anni, ne bastavano nove. Se quel fantomatico Brian George ne aveva undici, buon per lui.

Eppure fu proprio a lei che Aisling si rivolse -gesto probabilmente dovuto ad un piano ben studiato- per il suo monologo sul figlio del Capitano Gibson.

-Ha i capelli talmente neri, Bee, dovresti vederlo! Ha uno sguardo terribile, come il fuoco degli incendi, sembra un criminale. La sua voce è come quella dei morti in battaglia, come quella del fantasma del padre di Amleto…da piangere dalla paura. Ha un dente spezzato -proprio davanti, come un pirata- e la sua pelle è talmente scura! Sembra un egiziano, un arabo, e invece è greco, greco come Achille, come Menelao! E’ terrificante…e bellissimo- Aisling sospirò languidamente -Io lo sposerei!-

-Mi fai girare la testa, Lilì! - rise Brianne, scuotendo la testa.

Aisling, però, si era accorta della reazione che il suo monologo aveva sortito sulla “piccola filosofa” di Wavertree.

Natal'ja aveva lasciato andare il Candide, che si trovava abbandonato due gradini più in basso di lei, esanime.

Lei si guardava l’orlo del vestito, immobile, gli occhi come pietre.

-Natalys? Cosa dice Voltaire?-

-A proposito niente. Ma hai ragione tu, Lilì. George è bello, bello davvero. E ha dieci anni. Ed è greco. Ed è appena tornato da Sparta, anche se non si fermerà a lungo, e abita qui vicino… E a te piace tanto…-

Aisling fece un bel respiro,

-Ma tu sei l’unica che George chiama “zoí “. Sai cosa significa “zoí “ in greco, Natal'ja? Significa “vita”. Perché tu sorridi sempre, quando c’è lui. Quando torna dal mare ed entra in camera sua, si prepara per andare a dormire, ma prima guarda fuori dalla finestra, e tu sei lì…che sorridi. Anche se poi, magari, non ci sei veramente. Anche se poi, magari, non sai che lui è lì. Sei come la vita, che scoppia dentro…George se lo vorrebbe portare in Grecia, il tuo sorriso. Me l’ha detto lui. Ed era bellissimo, mentre lo diceva-

-Ma va, Lilì-

-Giuro sui miei capelli ch'è vero-

-Tanto poi ricrescono-

Brianne rideva, rideva fino alle lacrime, con i capelli rossi che le andavano sugli occhi e la spremuta rovinosamente rovesciata sul vestito.

Quando riprese il controllo, Aisling e Natal'ja la guardavano immobili, ad occhi sbarrati.

-Natalys è particolarmente antipatica, oggi- fu l’uscita della giovane Beckett, finalmente ricomposta.

-Eccome- le diede man forte Aisling, lanciando uno sguardo obliquo a Natal'ja, silente sul bordo del suo gradino.


Improvvisamente, udirono un rumore.

I capelli arruffati come le penne di un barbagianni, gli occhi neri e quel caldo sorriso mediorientale.

Se l'erano trovato davanti, Brian George.

Le aveva guardate a lungo, poi se n'era andato.

Rimanendo nell'ombra, aspettò che le tre ragazzine finissero di parlare.

Quando Aisling gli passò davanti, alzò lo sguardo.

-Hello- salutò, accennando un sorriso.

-Brian George Gibson- scandì invece Aisling, scrutando con attenzione il bel viso abbronzato del ragazzino.

-Dalla Grecia, giusto?-

George le offrì la mano.

-Da Sparta-

Aisling ignorò la sua mano testa, guardandolo dritto negli occhi.

-Bene, George da Sparta- iniziò, le mani sui fianchi, lo sguardo attento.

-Cosa cerchi qui, dal momento che non ci conosci?-

-Certo che vi conosco-

George fece un passo avanti.

-Tu sei Lilì Willow, quella che parla sempre troppo, la tua amica è Bee Beckett, quella con i capelli rossi che beve sempre spremuta di arance. E poi c'è Luce Morrison, quella con il sorriso che guardo sempre dalla finestra, prima di andare a dormire-

-Luce? Che significa Luce?-

George le aveva sorriso, le aveva scompigliato i capelli ed era sparito oltre il portone di casa sua, saltellando e fischiettando allegramente.


Ci era rimasta male, un po'.

Non voleva darlo a vedere.

Era tornata a casa facendo finta di niente, come tutti i pomeriggi.

Poi le era passato.

Forse i ragazzi di undici anni erano tutti così, enigmatici e incomprensibili.

Affascinanti, come Brian George.

Non facevano per lei.



Regan e Lavinia, rispettivamente la madre di Aisling e quella di Bee, tornavano in quel momento dal mercato, con le borse della spesa strette tra le mani.

-Quanto sono dolci le nostre fanciulle!- esclamò Regan Willow con occhi scintillanti.

Lavinia Beckett sorrise in risposta, procedendo a passo spedito verso il suo portone.

-L’unica disgrazia è quel mascalzone della casa accanto. L‘Egiziano. E‘ arrivato oggi dal suo paese…e vedessi come guarda mia figlia!-

Lavinia si fermò.

-A me risulta che sia greco, e che suo padre sia una brava persona-

-E’ un uomo di mare!- Regan scosse la testa , lo sguardo duro e severo fisso sul portone della casa rossiccia -da sempre abitata il Capitano Gibson e, per qualche volta all'anno, anche dal suo primogenito dagli occhi neri-

-Marinai! Gente inaffidabile, Lavinia, credi a me-

Poi aggiunse, non prima di essersi guardata intorno circospetta:

-Che non gli venga in mente d’avvicinarsi a Lilì. Nemmeno con lo sguardo la deve toccare! Che se ne torni a Babilonia!-

-Regan, la Babilonia non è…oh, non ha importanza. Andiamo?- Lavinia porse educatamente il braccio all’amica, sebbene quello fosse uno dei momenti del giorno in cui gli avrebbe volentieri lasciato cadere la borsa del mercato su un piede.

-Andiamo- assentì Regan

Regan ha tanti pregiudizi, ma non è cattiva”, si disse Lavinia Beckett, forse per far passare il fastidio causato dalle insinuazioni di Regan. “Probabilmente il fatto che suo marito -un turco- le abbia preferito la cugina di secondo grado ha influito sulle sue idee. Probabilmente anche la sua scarsa attitudine per la geografia”.


Rajit Willow, anglo-turco dagli occhi azzurri e dal sorriso ingannatore, era tornato ad Ankara nel 1831, e Regan Amelie Wilson non l’aveva più visto.

Del suo passaggio aveva lasciato un gatto zoppo e un paio di scarpe dalla suola consumata.

Aisling, la sua unica figlia, ogni sera abbracciava il gatto, Sbam -Regan aveva provato tante volte a spiegarle che non era un nome turco, ma la bambina non l’aveva voluta ascoltare- e quando usciva insisteva sempre per indossare le sue scarpe, che lei affettuosamente chiamava “le vecchie scarpe di papà”.

Raijt parlava il turco di Ankara, ma era stato per anni al servizio dell'Impero Ottomano, conosceva anche l'arabo e il greco.

Ad Aisling, in Turchia, erano rimasti i nonni, oltre a quel padre ormai non più rintracciabile.

Questi ultimi le stavano insegnando, poco a poco, quelle polverose, passionali lingue mediorientali.

Era stato proprio grazie a quelle poche parole che sapeva, che Aisling era riuscita ad intrattenere un breve discorso con George, il figlio del Capitano, il ragazzo della casa vicina, il terrore di sua madre.



Un giorno, però Raijt era tornato a Liverpool.

"Si è accorto di aver dimenticato le scarpe", dicevano malignamente i Liverpooliani, ricordando i giorni in cui avevano dovuto consolare Regan, singhiozzante per le strade di Wavertree.

Prima di incontrare la figlia, la moglie, il gatto o chiunque altro in quella città, Raijt aveva incontrato George.

E anche lui, come tutti, aveva sussurrato, gli occhi colmi di stupore, quel nome.

L'Egiziano.



L'Egiziano.

Chissà perché quell'appellativo.

Natal'ja percepiva, ogni volta che qualcuno chiamava George in quel modo, una sensazione a lei sconosciuta.

Era qualcosa che andava ben oltre gli sproloqui di Regan Willow, il modo in cui i liverpooliani pronunciavano quel nome, "l'Egiziano".

Anche Esmeralda, la zingara andalusa di Notre Dame de Paris, veniva chiamata dai parigini "l'Egiziana", pur essendo spagnola.

George era nato e cresciuto a Sparta, in Grecia.

Il Sultanato d'Egitto era alleato con i Turchi Ottomani, durante la Guerra d'Indipendenza.

Forse lo chiamavano così per l'accento, per il colore della pelle. Per l'abitudine, magari.

I suoi dubbi erano cominciati quando, una sera, l'aveva sentito parlare in arabo.


Note

Ed ecco un altro capitolo importante della storia.

Sono stati introdotti nuovi personaggi di spicco, e un nuovo alone di mistero intorno al nostro bel George.
L'arabo è la lingua ufficiale dell'Egitto, e per George, greco di nome e di fatto, costituisce non poche cose da spiegare.
Inoltre, nemmeno il caro Rajit Willow sarà da sottovalutare.
Il Regno Unito, la Russia erano schierate con i rivoltosi Greci, durante la Guerra d'Indipendenza, mentre gli Egiziani con i Turchi Ottomani.
Brian George, per la precisione. Il nome completo del caro anglo-greco ha una storiella piuttosto divertente: qualche tempo fa stavo scrivendo una delle mie varie fanfiction sui Beatles, e mi è saltato in mente di fare un incrocio tra I Beatles e I Rolling Stones. Così, sommando George Harrison e Brian Jones, rispettivamente i chitarristi di queste due grandi band, è venuto fuori Brian George. Che dire, sono rimasta talmente affezionata a questo nome che l'ho usato anche per il protagonista di questa storia ;)

La storia dell'Egiziano, invece, salta fuori dal fatto che mi sono sempre chiesta se l'Esmeralda di Victor Hugo fosse stata invece un ragazzo... Recentemente me lo sono ricordata e ci ho costruito sopra una storia totalmente diversa, appunto la storia che verrà alla luce, piano piano, nei prossimi capitoli.

Vorrei inoltre fare un appunto sul testo della canzone all'inizio del capitolo. Bello e Impossibile di Gianna Nannini, una canzone che per me significa moltissimo.

Era la canzone che mi cantava mio nonno quando ero piccola, in Sicilia.

Bella e impossibile, mi diceva, anche se non avevo gli occhi neri. Ormai non c'è più, il nonno, ma ugualmente gli dedico questo capitolo, anche perché, fin dall'inizio di questa storia, il personaggio di George è ispirato a lui.

George è nato nel 1821, il nonno cento anni dopo, nel 1921.

George è anglo-greco e il nonno era calabrese, con i capelli biondi e gli occhi neri, ma aveva la stessa grinta, lo stesso gran cuore che ho attribuito al mio George.

Inoltre, esiste un aneddoto che da poco mi è tornato in mente, a proposita una storiella che da piccola scrivevo per mio nonno, la storia del ramarro Giorgio, ispiratami da un episodio della sua vita.

Non l'ho mai terminata, ma il caso ha voluto che adesso, all'alba dei miei tredici anni, scrivessi una storia il cui protagonista, ispirato a lui, si chiamasse proprio George.

Quando me ne sono ricordata sono stata felicissima. Lo reputo un giusto ringraziamento per un nonno unico e meraviglioso come è stato lui.

Ecco, anche se è una cosa molto personale, ci tenevo che sapeste quella che si può chiamare la “storia della mia storia” ;)

Grazie per avermi seguita fino a qui e a presto!

Marty



  
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