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Autore: Unsub    04/04/2011    2 recensioni
Il primo giorno all'Unità di Sarah Collins. Un segreto custodito gelosamente e qualcuno che sa quello che non dovrebbe sapere... A volte è la vita a scegliere per noi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Penelope Garcia, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sarah Collins '
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dirty little secret AUTORE: Unsub
TITOLO: Dirty little secret
RATING: Verde
GENERE:  introspettivo.
AVVERTIMENTI: One-shot
PERSONAGGI: Sarah Collins, un po’ tutti
DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono(tranne quelli da me inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
NOTE: il primo giorno all’unità per Sarah, un piccolo segreto costudito gelosamente.

Il motivo del suo ingresso nella squadra era il suo piccolo sporco segreto.
Sedeva, disinteressata, nella sala riunioni. Aveva gli occhi chiusi e le braccia abbandonate sui braccioli, la mente altrove, ansiosa di indagare su un nuovo caso per non dovere pensare a tutto quello che le stava succedendo intorno. Aveva imbrogliato con Morgan, ne era ben consapevole, il fatto che il suo collega non potesse sapere che non tutto quello che aveva scritto sul suo profilo era il risultato delle sue osservazione era una magra consolazione.
Si era resa conto che la consideravano solo una ragazzina spocchiosa ed aveva deciso che doveva dimostrarsi all’altezza, non permetteva a nessuno di prenderla sottogamba. Quando aveva saputo di quale squadra avrebbe fatto parte, aveva preso provvedimenti per studiare a fondo le persone che avrebbe dovuto tenere sott’occhio. Oltre a farsi consegnare dalla Strauss i loro dossier personali, si era introdotto nel database dell’F.B.I., naturalmente era un hacker abbastanza brava da non lasciare traccia delle sua piccola incursione.
Aveva scaricato anche quello che non era stato messo sul cartaceo e, per giocare sul sicuro, si era impossessata di tutti i fascicoli relativi ai casi che avevano affrontato fino a quel momento. Certo la caposezione le aveva dato tutte le armi che le servivano per portare a termine l’incarico che le era stato affidato, ma c’era qualcos’altro.
Sorrise soddisfatta, nessuno poteva immaginare che aveva ricevuto un’altra richiesta relativa all’unità. Qualcuno aveva saputo che sarebbe stata trasferita lì ed aveva fatto di tutto per mettersi in contatto con lei prima che prendesse servizio, qualcuno che le aveva fatto una richiesta specifica. Non sapeva chi dei due accontentare, non conosceva abbastanza quelle persone per decidere se affossarle o proteggerle.
Non le piaceva lo sguardo insistente di Rossi, era qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Non la guardava come Hotch, tutto preso dal suo corpo per rendersi conto che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. Non la fissava come Morgan, che ora provava soggezione di lei e la vedeva come un’agente preparata e una collega che sapeva il fatto suo. Il modo in cui la guardava non aveva niente a che fare neanche con il dottor Reid, che la guardava con un misto di curiosità e aspettativa.
Aveva avuto la sgradevole sensazione che l’agente supervisore Rossi sapesse perfettamente perché si trovava lì, peggio, sembrava quasi che conoscesse il suo segreto e quello che c’era in ballo. Come se sapesse qualcosa che avrebbe dovuto ignorare, come lo ignoravano tutti. Eppure quello sguardo paterno, come se volesse consolarla… no, impossibile! Era qualcosa che non risultava dal suo curriculum e sicuramente neanche Garcia sarebbe riuscita a trovare il collegamento, nonostante questo aveva la sgradevole sensazione che lui sapesse.
Doveva partire, quindi si affrettò verso la sua postazione per prendere la borsa da viaggio. Dave la chiamò con un cenno, mentre gli altri si dirigevano a passo spedito verso l’ascensore. Sicuramente avrebbero consolato JJ, dopo il loro scontro durante l’esposizione del caso. Si accigliò contrariata, da quando si permetteva ad un agente di collegamento di essere così approssimativa nel suo lavoro? Forse la Strauss non aveva tutti i torti a voler far fuori Hotchner e mettere al suo posto qualcuno con il pugno di ferro che sapesse tenere a bada quegli agenti che si comportavano più come amici che come colleghi.
Era qualcosa che in cinque anni non aveva mai visto, rapporti così stretti e poco professionali da far rizzare i capelli in testa ad un tipo così ligio al protocollo come Battemberg, il suo ex caposezione.  Si diresse verso l’ufficio di Rossi, notando lo sguardo interrogativo di Hotch che la fissava, stupito di quel colloquio privato a pochi attimi dalla partenza.
Decisamente non le piaceva che il suo capo la trovasse fisicamente attraente, non voleva quel genere di relazione. Mark era stata una lezione difficile da dimenticare, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro maschio alfa con la mania del controllo che la sorvegliasse da vicino. Preferiva passare la mano a qualcuna che fosse abbastanza stupida da ritenere che quel tipo di uomo potesse trovare il modo di essere anche un buon marito, oltre che un bravo agente.
Entrò e chiuse piano la porta dietro di sé, mentre Dave le indicava una sedia davanti alla sua scrivania. Sorrideva ed era seduto con una gamba sul bordo del tavolo, sembrava una chiacchierata informale e questo la metteva ancora più in apprensione. Cosa diavolo voleva da lei? Durante il colloquio di quella mattina, nell’ufficio del capo dell’unità, aveva già risposto a tutte le domande possibili ed immaginabili sul suo passato lavorativo. Non le veniva in mente nient’altro che potessero chiederle, visto che avevano spulciato fino all’ultima riga di quel dossier.
-    Agente Collins – esordì con tono conciliante – Volevo parlarle in privato.
-    Di cosa, signore? – usò il tono più professionale che aveva.
-    Lei è la figlia di Mary Elizabeth, vero?
-    Conosce mia madre? – la ragazza era stupita, nessuno dei due l’aveva messa in guardia.
-    Sì, anche se sono molti anni che non la vedo. Spero stia bene.
-    E’ attaccata ad un respiratore da otto anni – rispose la ragazza con tono indifferente – Ormai è solo un vegetale.
-    Sono mortificato – Dave sembrava estremamente partecipe – Come? Se posso…
-    Un incidente. Un guidatore ubriaco a preso in pieno la macchina dei miei genitori, mio padre è morto sul colpo.
-    Mi dispiace molto, Collins. Le mie più sentite condoglianze.
-    E’ passato molto tempo, ormai. Non si preoccupi, l’ho superato – era diventata una bugia standard, non aveva superato un bel niente.
Sentiva ancora la rabbia nei confronti di quell’uomo, che aveva riportato solo lievi ferite nell’impatto e che l’aveva privata di entrambi i genitori all’età di diciassette anni. Ma aveva imparato che a nessuno importava veramente, perché mostrare un dolore di cui nessuno sarebbe stato partecipe se non per mera cortesia?
-    Sua madre era una donna eccezionale, mi dispiace moltissimo… Era anche estremamente bella ed intelligente.
-    La conosceva molto bene, dunque.
-    Sì, uscì con noi dell’unità per un periodo. Se non erro i suoi si erano separati.
-    Sono tornati insieme e poi sono nata io, come vede a volte le crisi matrimoniali vengono superate – altra bugia, ma in fin dei conti cosa ne poteva sapere quell’uomo?
-    Certo certo – sospirò alzandosi, prontamente seguito da lei – Per qualsiasi cosa il mio ufficio è sempre aperto. Anche solo per fare due chiacchiere.
-    Lo terrò presente, signore.
Rossi parve ripensarci mentre lei era già sulla porta.
-    Il suo istruttore in accademia è stato Jason Gideon, vero?
Sarah si girò ad osservarlo, mascherando il suo stupore dietro la facciata di indifferenza che ostentava sempre.
-    Sì, signore.
-    Credo sia molto orgoglioso di lei, Collins.
-    Non saprei, signore. Sono anni che non lo vedo – piccola omissione, non proprio un’altra bugia.
-    Ci vediamo sul jet.
-    Certo.

Era stata una giornata lunga e snervante, quell’indagine sul capo era qualcosa che lei non aveva mai fatto. Oltretutto ripensava in continuazione a quello strano colloquio con l’agente Rossi, le era sembrato che le parole dell’uomo nascondessero dei sottintesi, come se lui sapesse la verità sul suo passato. Scosse la testa e cercò di chiarirsi le idee.
Decise che era solo una sua impressione, lui non poteva sapere la verità ne intuire i due motivi che l’avevano spinta a tornare a Quantico. Due richieste diverse, fatte da due persone agli antipodi. Eppure erano tutto quello che le rimaneva della sua famiglia, anche se nessuno dei due pareva preoccuparsi di lei, si limitavano ad usarla come un’arma.
Il cellulare squillò, il display diceva “numero riservato” e lei rispose stizzita. Probabile che fosse la Strauss che le chiedeva già aggiornamenti sul suo piano per distruggere Hotchner. La voce che sentì dall’altro capo le fece venire un groppo un gola.
-    Sarah, sono Jason.
-    Dimmi.
-    Ha pensato a quello che ti ho detto?
-    Vuoi sapere se proteggerò la tua adorata squadra dalla zia Erin? – il tono era acido, tradiva tutto il suo risentimento.
-    Sarah… sono brave persone, non si meritano il risentimento di tua zia.
-    Ti ho promesso di tenerli d’occhio, beh è quello che farò. Stanno tutti bene, compreso il tuo prezioso Reid.
-    Sarah…
-    Vai al diavolo!
Riattaccò stizzita. Sua zia l’usava contro Hotchner, suo padre le aveva chiesto di vegliare sulla squadra. Le aveva raccomandato in particolar modo il giovane dottor Reid, il suo pupillo. Si chiese cosa ci fosse di speciale in quel ragazzo, decidendo che l’avrebbe scoperto in un modo o nell’altro.

Fine
   
 
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