4-Oh
capitano, mio capitano…
Il professor Vitious era
evidentemente ben informato sulla
disgrazia: entrò in classe lanciando solo
un’occhiata distratta a James ed
attaccò subito con l’argomento di quel giorno.
“Geminio,
ragazzi!” squittì, colpendo la matita di Peter con
la bacchetta e
creandone una copia identica, compresi i segni di masticatura intorno
alla
gomma. “Un utile incantesimo, quando si tratta di duplicare
qualcosa che non
sia un compito in classe… perché, mi duole dirlo,
non avreste alcuna
possibilità di farla franca. Produce una copia identica
all’oggetto in
questione, fin nei minimi particolari come macchie
d’inchiostro” e toccò il
fazzoletto di Mary, “strappi sui bordi” e fece
apparire un secondo libro sul
banco di Katie Lou, “e calligrafia sui bigliettini di
pettegolezzi… che,
signorina Doolin, non andrebbero condivisi in classe!”
concluse, gettando
nell’imbarazzo una Corvonero al penultimo banco.
“L’incantesimo funziona solo
con oggetti inanimati, dunque vi sconsiglio di sperimentarlo sul
compagno di
banco o sul vostro animale domestico. Chi vuol provare a descrivere gli
altri
limiti di questa formula? Dimmi, Black!”
Sirius,
che in
realtà si stava stiracchiando, rimase di sasso.
“Ehm, forse… che riproduce solo
l’aspetto e non quello che c’è dentro?
Come la Pozione Polisucco?” tentò.
“Avresti
potuto
formularla meglio, Black, ma la risposta è esatta”
approvò il professore. “L’incantesimo
non riproduce le proprietà magiche di un oggetto, bacchette
comprese, e non è
una buona idea neppure usarlo per duplicare il denaro: ciò
che otterreste
sarebbero due monete con lo stesso numero di serie, e quindi
inutilizzabili. Ma
ora basta con le parole: fuori le bacchette e facciamo un
po’di esercizio”
“Mi
dai la mia,
Remus?” pigolò James.
“Fai
attenzione, hai
sentito cosa ha detto Lumacorno” raccomandò il
ragazzo, prendendo la bacchetta
di James dalla propria borsa.
“I
professori si
aspettano sempre disastri da me!” si lagnò il
giovane Potter.
“Già,
chissà
perché…” commentò la Evans,
seduta al banco dietro il suo. Scoprire che quella
non era una povera creatura indemoniata non l’aveva affatto
rassicurata; anzi,
continuava a tormentarsi la gonna della divisa come se temesse che un
topo (o
una bimba?) le zampettasse su per la gamba.
“La nostra prima
cavia” stava spiegando intanto il
professore, “sarà un pezzo di pergamena. Ne avrete
tutti uno, suppongo… no,
Caldwell, non serve un foglio intero, per oggi un pezzettino
basterà. Posatelo
sul banco, prendete la bacchetta e compiendo questo semplice
movimento” e mosse
lentamente la bacchetta perché tutti vedessero,
“dovreste ottenerne un altro
identico, macchie incluse. Forza, cominciate”
Tutta la classe si mise al lavoro:
per i primi dieci minuti,
gli unici eventi degni di nota furono piccoli incendi o fughe
improvvise delle
pergamene causate da colpi di tosse dei proprietari. Man mano che la
lezione
proseguiva, gli studenti più svegli cominciarono a
padroneggiare l’incantesimo
e produrre inizialmente pallidi fantasmi di pergamena che svanivano
subito, poi
copie via via più consistenti; normalmente James Potter
sarebbe stato uno dei
primi a riuscirci, ma quel giorno dalla sua bacchetta non usciva
neppure una
scintilla.
“Geminio!
Geminio! Accidenti a te, stupida
bacchetta!”
“Non occorre urlare, James:
la bacchetta ci sente benissimo”
disse Sirius, il cui banco era ormai coperto da frammenti di appunti
sulla
storia dei troll. Un ottimo lavoro, considerando che, oltre ad
esercitarsi
nell’incantesimo, doveva anche sorvegliare una bimbetta in
piedi sulla sedia
che agitava un bastoncino di mogano con frustrazione crescente.
“La magia
c’è, devi solo riuscire a incanalarla”
disse Remus
da dietro la propria pila di foglietti. “Concentrati, sentila
nella tua mano… Geminio!”
“D’accordo,
adesso ci riprovo” sospirò James chiudendo gli
occhi per concentrarsi. “Geminio!”
Il suo sforzo fu premiato: quando
guardò di nuovo, un
secondo quadrato di pergamena spiccava sul legno del banco.
“Sirius, guarda, ce
l’ho…”
“Ehm…
è la mia” intervenne Peter arrossendo.
“Mi è volata
via, scusa”
“Le pietose bugie non si
usano più?” sbuffò James.
“Uffa… geminio!”
“Non ti preoccupare,
Potter: è normale che tu faccia fatica”
lo rassicurò Vitious. “Non scuotere la bacchetta,
concentrati e mantieni la
calma; magari prova prima con qualcosa di più semplice, va
bene?”
James inspirò
profondamente, puntò la bacchetta verso la
pergamena e disse: “Wingardium
leviosa”
Non accadde nulla.
“Wingardium
leviosa!”
strillò di nuovo, battendo il piedino sulla sedia con le
guance paonazze, e
questa volta ebbe successo: tutti i banchi e le sedie
dell’aula decollarono
verso l’alto con gli studenti sopra, e Vitious fece appena in
tempo a
trasformare il soffitto in un materasso prima che l’intera
classe, lui
compreso, prendesse una zuccata colossale. Ci vollero due Finite
incantatem per riportare i giovani
maghi con i piedi per
terra, e un terzo per spegnere un principio d’incendio
causato da un movimento
scomposto di James; seguì l’immediato sequestro
della bacchetta colpevole, con
relative proteste del proprietario, che non voleva rassegnarsi a
lasciarla alla
custodia di Gazza (“Ma professore… lui mi odia,
prenderà la mia adorata in
ostaggio e la torturerà per vendicarsi!”).
Il giovane Potter passò il
resto della lezione a dondolare
stizzosamente la gambetta paffuta, guardando i compagni che si
esercitavano, e
neppure l’offerta di pace di Vitious, che decise ‘in
via del tutto eccezionale’
di incantare la sua piuma perché
prendesse appunti da sola, riuscì a migliorarne
l’umore.
“Come faccio senza la mia
bacchetta?” si lamentò James
attraversando il parco verso il campo da Quidditch. “Sono
come un Boccino senza
ali, una piuma senza inchiostro, un… una crostata senza
marmellata!”
“A me basta essere un
Sirius senza bernoccolo” rispose
l’amico, passandosi un braccio sulla fronte. “Mi
è arrivato il banco in testa,
accidenti a te!”
“Non capisco proprio
perché non volete ridarmela!”
insistette James. “Non serve che Minnie lo sappia, potete
dire che l’ho rubata
mentre dormivate!”
“Ti ho detto che non ce
l’abbiamo!” sbottò Sirius
esasperato. “Vitious l’ha data a Remus e Remus
l’ha portata a Minnie, quindi
dacci un taglio. E poi, cosa te ne fai di una bacchetta che non riesci
a
controllare?”
“E me lo chiedi?”
si stupì il giovane (piccolo, in verità)
Potter. “Sirius, non hai proprio fantasia? Potrei scagliare
una maledizione su
Mocciosus e farlo sembrare un incidente!”
“Tu hai
un’ossessione per quel ragazzo, James”
replicò
Sirius con un sorrisetto. “Beh, adesso che sei donna puoi
farti avanti, no?”
L’interessato non lo
pestò solo per non provocare il crollo
della massa di bagagli trasportati dall’amico, che aveva due
scope in spalla e
un sacca per mano, dato che James era troppo debole e Remus e Peter si
erano
rifiutati di farsi schiavizzare. Fortunatamente il campo era ancora
deserto,
così nessuno assistette all’entrata trionfale
della strana coppia; Sirius passò
dagli spogliatoi per cambiarsi e James rimase solo in compagnia della
sua Comet
da corsa.
Il giovane Potter amava dire che lui
e la sua scopa erano
praticamente una cosa sola, ma a quanto pareva le cose erano cambiate:
invece
di galleggiare a mezz’aria pronta a ricevere il pilota, la
Comet resistette a
tutti i tentativi di alzarla da terra e quando Sirius uscì
sul campo di gioco
il manico lucido era ancora immobile sotto la manina di bimba che lo
chiamava.
“Ti aiuto io, James: su!”
ordinò il ragazzo, e il manico di scopa schizzò
in alto rischiando di staccare
il naso al legittimo proprietario. “Riesci a
salire?”
James guardò la Comet,
sospesa più o meno all’altezza delle
sue ascelle, e gratificò Sirius con un sorriso ottimista.
“Certo che sì,
Felpato: stai a vedere!”. Afferrato il manico, si
issò bocconi sulla scopa con
un goffo saltello e cercò di mettersi a cavalcioni come al
solito, ma prese
troppo slancio e ruzzolò giù dall’altra
parte proprio mentre Oliver Becker
usciva dagli spogliatoi.
“’Sera,
capitano!” salutò il nuovo arrivato.
“Ehi, quelli
erano orsetti?”
“Le mutande del capitano
non c’entrano con gli allenamenti!”
dichiarò Sirius, riuscendo eroicamente a restare serio.
“E comunque erano
coniglietti, quelle con gli orsetti sono ver...”
“Siiiirius!”
ringhiò James, con il viso verde di rabbia e di
erba.
Il Portiere accorse a rialzarlo e lo
installò premurosamente
sulla scopa, benché James insistesse che ce
l’avrebbe fatta benissimo da solo;
dopodiché, con Oliver che lo sosteneva da una parte e Sirius
che lo sorreggeva
dall’altra, il capitano di Grifondoro poté
accogliere il resto della squadra in
sella al suo bolide come si conveniva ad un campione, effetto solo in
parte
guastato dalle chiazze di terra che aveva ancora sulla fronte.
Quando anche Sabrina, la ritardataria
per eccellenza, si fu
presentata a centrocampo, James si schiarì la voce per
ottenere l’attenzione di
tutti. “Bene!” cominciò con aria
solenne. “La partita si avvicina e sarà meglio
che...”
“Ehi,
è il capitano,
un po’ di rispetto, gente!” lo interruppe Oliver,
scoccando un’occhiataccia a
Louis e Sabrina che ridacchiavano nelle retrovie.
“Scusa, capitano, ma quelle
calzette sono deliziose!” si
giustificò la Battitrice. “Cosa stavi
dicendo?”
“Oh, al diavolo!”
sbottò James indispettito. “Cosa parlo a
fare se voi teste di legno… In sella alle scope,
muovetevi!”
“James…”
obiettò Oliver esitante. “Tu… ce la
fai?”
“Naturale,
Oliver!” rispose James. “Fate largo,
truppa!”
Tutti si affrettarono a fare spazio e
la Comet decollò con
la sua leggendaria rapidità, ma lo scatto
disarcionò il povero James, che finì
ancora una volta a fare compagnia alle cicorie.
“Sei troppo leggero,
James” valutò Melanie afferrando al
volo la scopa. “Sara meglio legarti, a quel manico, se vuoi
restare in sella”
Tutta la squadra collaborò
con entusiasmo: dieci minuti dopo
James, incastrato in una complicata imbragatura di sciarpe, cinture,
cravatte e
fazzoletti, riuscì finalmente a prendere quota e dare il via
all’allenamento.
“Cominciamo dai passaggi!” esclamò.
“Kats, la Pluffa! Sabrina, Louis, venite
anche voi!”
“Al volo,
capitano!” strillò allegramente Katie Lou, e
neanche a farlo apposta la Pluffa che lanciò finì
dritta sulla fronte di James.
“Cavolo, questo
sì che è un passaggio!”
commentò Louis
prendendo al volo il rimbalzo. “Sabri, è
tua!”
“Cosa aspetto a uccidervi
tutti?” grugnì James tastandosi un
altro bernoccolo.
I successivi dieci minuti
procedettero più o meno allo
stesso modo: James riusciva a prendere la Pluffa con due manine, anche
se
faticava a lanciarla più lontano di un metro, ma i compagni
di squadra, Sirius
compreso, sembravano trovare molto più comodo bersagliarlo
con la palla in modo
che rimbalzasse verso gli altri giocatori, con la scusa (era sicuro
che fosse una scusa) che i loro
passaggi erano calibrati su una persona più alta. Quando i
due Battitori
svolazzarono via per esercitarsi in quello che Louis definiva trattamento
Bolidi, anche le due pesanti
sfere mostrarono una certa propensione a bersagliare il più
piccolo componente
della squadra, e dopo mezz’ora di allenamento James si
ritrovò a sperare che
almeno Melanie e il Boccino non ce l’avessero con lui.
Una manciata di lividi più
tardi, un capitano visibilmente
provato suggerì una partitella per ripassare gli schemi di
gioco in vista
dell’incontro; tutti i giocatori, meno Melanie che continuava
a svolazzare
dietro al Boccino, si riunirono nella metà campo presidiata
da Oliver per fare
ciò che il loro ruolo richiedeva. Il divertente esercizio
terminò bruscamente
un quarto d’ora prima del previsto: nel corso di
un’azione concitata,
l’orologio di Oliver si impigliò nella sciarpa di
Katie, che si trovava
ovviamente intorno alla vita di James, e cercando di liberarsi il
giovane
Potter sciolse accidentalmente il nodo sbagliato.
Non finì in tragedia solo
perché James fu lesto nel
ripararsi il cranio con un braccio, slogandosi la spalla invece di
fracassarsi
l’osso frontale nell’impatto con il suolo, ma
l’infortunio fu sufficiente a
creare scompiglio tra i Grifondoro; madama Chips arrivò di corsa,
chiamata
dalla fenice Fanny che in quelle occasioni stazionava sempre nei pressi
del
campo, e spese altri dieci minuti litigando con James per convincerlo a
farsi
dare un’occhiata (“Non è niente,
razza di troll! Sei appena caduto da dieci metri!”) e
scoraggiando Sabrina dal
tentare un incantesimo di guarigione che aveva imparato guardando sua
nonna.
Tra una cosa e l’altra il tempo passò; ben presto
giunsero le sei, calò il buio
e i Grifondoro dovettero sgombrare il campo.
“Stai bene,
James?” chiese Melanie prima di entrare nello
spogliatoio.
“Come nuovo, Mel, ma starei
meglio con un altro po’di
allenamento” mugugnò James. “Quasi quasi
domani all’alba…”
“Oh, James,
ti prego!”
supplicò Sabrina. “Siamo fortissimi, siamo
preparati e Corvonero non ha una
sola possibilità, perché non pensi
positivo?”
“È vero, James,
dacci fiducia per una volta!” la appoggiò
Sirius. “Vieni a cambiarti, ti prenderai qualche malanno a
uscire così sudato”
“Non ho una divisa di
ricambio, genio” gli ricordò James
glaciale.
“Lo so,
zuccherino… per fortuna c’è il tuo
Sirius che pensa
a tutto!” gongolò l’amico scortandolo
nello spogliatoio maschile; prese la
sacca di James dall’armadietto e ne estrasse una
salvietta… “…e il pigiamino!”
esclamò trionfante. “Così vedranno
tutti come sei adorabile, Jamie!”
James fissò il migliore
amico come se volesse incenerirlo, e
fu una fortuna che Louis riuscisse a fiondarsi nella doccia e aprire
l’acqua
prima di sghignazzare in modo incontrollabile.
Il Cacciatore in miniatura
assicurò che era perfettamente in
grado di svestirsi, così Sirius lo lasciò solo e
si godette l’acqua calda senza
i consueti richiami dell’amico che lo esortavano a sloggiare
e fargli posto; quando,
in maniche di camicia e con i capelli umidi, tornò a vedere
come se la stava
cavando, lo trovò seduto sulla panca ancora vestito di tutto
punto, che lottava
con il cinturino della scarpa che non voleva slacciarsi. Sospirando con
rassegnazione, si inginocchiò di fronte a lui e lo
aiutò a liberarsi della
divisa, armeggiando con mani goffe e inesperte con lacci, bottoni e
maniche
lunghe e cercando di toccarlo il meno possibile, mentre Oliver e Louis
fingevano di essere impegnatissimi ad asciugarsi i capelli.
Quando anche la camicia fu piegata
alla bell’e meglio e
buttata sopra gli altri indumenti, Sirius tese di nuovo la mano ma
James lo
respinse. “Basta così, faccio da solo”
dichiarò, chinando la testolina in
un’adorabile manifestazione di timidezza.
“James, la gente normale
non si fa la doccia in mutande e
canottiera” sbuffò Sirius afferrando
l’orlo della maglia di cotone. “Dai, alza
le braccia, cercherò di non tirarti i capelli”
James si strinse le ginocchia al
petto, nascondendo le
guance che avevano assunto una delicata sfumatura color pesca.
“Neanche per
sogno! Io non mi spoglio davanti a te!”
“Resistere alle tue curve
mozzafiato sarà una vera tortura,
ma farò uno sforzo” ribatté il giovane
Black cercando di mantenere la calma.
“Smettila di fare la damigella timida, Ramoso”
“Puoi togliermi
questa” concesse James senza guardarlo, “e
poi aprirmi l’acqua e lasciarmi lavare da solo. Non sono una
neonata, Felpato”
“Affare fatto”
annuì il ragazzo.
“Non così,
però!” puntualizzò James, strappandogli
la
canottiera dalle mani e voltandogli le spalle. “Ecco, adesso
puoi”
“D’accordo. Su le
braccia, adesso” sospirò Sirius.
“E non guardare!”
“Va bene”
Finalmente il capo in questione
finì nel mucchio insieme
agli altri e James, rosso in viso e con le braccia magre strette al
petto, lasciò
che un Sirius altrettanto imbarazzato – e grato a Louis ed
Oliver che gli
risparmiavano commenti salaci e prese in giro – lo prendesse
in braccio e lo
depositasse vicino alla doccia, dove Oliver aveva steso una salvietta
perché il
capitano non posasse i piedini scalzi sul pavimento. “Puoi
andare, Sirius. Farò
in fretta” assicurò.
“Solo un attimo,
James” rispose l’amico; si sporse per
aprire il rubinetto, poi afferrò di nuovo la bimba per le
ascelle e la piazzò con
decisione sotto il getto d’acqua.
La veemente protesta di James fu
soffocata dai litri di
liquido che gli si riversarono addosso, togliendogli vista, udito e
parola;
Sirius rimase impassibile di fronte ai suoi tentativi di divincolarsi e
lo
tenne sotto l’acqua finché non giudicò
che fosse fradicio a sufficienza,
dopodiché lo sorresse con un braccio e si dedicò
a strofinarlo vigorosamente
con la saponetta.
“Questa…
sput… me la paghi, Felpato!” sputacchiò
James
inviperito.
“Resisti, coniglietto: un
po’di pazienza e sarà tutto
finito” replicò Sirius serafico, versando una
manata di shampoo sulla chioma di
James e spedendogliene un bel po’ in bocca.
Ci vollero quattro risciacqui e
un’altra passata di sapone
prima che James fosse pulito e profumato come voleva Sirius;
finalmente, il
Malandrino dichiarò che poteva bastare e riportò
trionfalmente l’amico
furibondo alla panca, avvolgendolo in una salvietta gigantesca,
apparentemente
senza notare la propria camicia fradicia e lo sbaffo di schiuma che
decorava i
propri capelli. Temendo che la situazione gli sfuggisse di mano, Oliver
si fece
avanti per assistere il compagno di squadra e riuscì a
produrre un Incantesimo
Asciugante abbastanza ben fatto da togliere un po’di
umidità dalla buffa
biancheria intima del capitano. “Lascia che lo vesta io,
Sirius” si offrì. “Do
sempre una mano alla mia sorellina”
Il ragazzo accettò, con
grande sollievo di James, che
cercava ancora di nascondersi allo sguardo impertinente del suo
migliore amico;
in poco tempo canottiera, pigiama e scarpine furono indossati, e Louis
completò
l’opera raccogliendo in due graziose treccine i capelli
corvini del compagno.
Usciti dallo spogliatoio, i giovanotti trovarono ad attenderli le
compagne di
squadra, curiose di vedere come se la fossero cavata; naturalmente si
produssero in gridolini estasiati nel vedere James con quel curioso
abbigliamento, e si contesero l’onore di tenerlo in braccio
nel tragitto fino
alla scuola.
“Forse non è poi
così male essere una bambina” mormorò
più
tardi il giovane
Potter, varcando
l’ingresso sulle robuste spalle di Sabrina (che
l’aveva preso in consegna da
una riluttante Katie Lou più o meno a metà
strada).
“Cosa hai detto che
c’era in quella pozione?” indagò Louis
scoccandogli uno sguardo invidioso.
Ieri ero particolarmente pessimista sulla sorte
dell'umanità
(il mio paese ospita certi adolescenti talmente maleducati, sboccati e
fondamentalmente inutili che perfino Attila esiterebbe a riconoscerli
come figli) e ho sentito la necessità di comunicare con
persone di maggiore e più profonda intelligenza. Ho
così trovato lo stimolo per collegare l'inizio e la fine
degli allenamenti, già chiari nella mia mente contorta, con
qualche scenetta di colore locale e aggiungere finalmente il quarto
capitolo.
Ringraziando lettori e recensori, auguro a tutti buona lettura, e agli
idioti della panchina di imbattersi in un Piton di pessimo umore e in
un Macnair particolarmente sadico.