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Autore: PettyMoth    27/01/2006    5 recensioni
27 gennaio, giornata della memoria. E devo dedicare qualcosa a chi mi ha insegnato tanto. Così, ecco quel qualcosa senza troppe pretese.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto
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15135.
E’ il mio nome.
15135.
Sono costretto a ripeterlo, in tutte le lingue che ho imparato a conoscere, per evitare di dimenticarlo.
Per evitare di dimenticare, com’è già successo con tutto il resto.
Sono poche le cose che ricordo.
Ricordo un quadro appeso ad un muro, una fotografia incorniciata su un mobile di legno scuro. Ricordo la minestra di mia madre, e ricordo l’odore del tabacco della pipa di mio padre.
Ma mia madre e mio padre, non li ricordo più.

Sono poche le cose che so.
So quante sono le mie ossa. Le ho contate.
So che quando nevica, la neve rende il fango una melma densa e profonda.
So che la minestra è sempre di meno, e sempre più liquida.
So che ogni giorno trasporto sulle spalle -quello che ne resta- travi. Su, in cima ad una scala. Poi prendo fiato, e torno giù. Trasportando la trave sulle spalle.
So quante sono le mie ossa. Le ho contate.

Sono poche le cose che ho imparato.
Sono poche, ma essenziali.
Ho imparato che devo alzarmi e trascinarmi fino agli ufficiali quando chiamano il pezzo 15135. Sono io, il pezzo 15135.
Ho imparato che devo seguire le tracce di chi è passato prima di me nel fango, affondando i piedi in quei solchi già tracciati, per evitare di sprecare energia inutile.
Ho imparato a rubare le scarpe incustodite, a barattare quelle troppo strette, a tenere con me quelle che potrebbero servirmi.

Sono poche le cose che ricordo.
Ricordo un viaggio durato sessanta giorni.
Ricordo un treno che non si fermava mai, e i portelloni sempre sbarrati.
Ricordo Eugenia e i suoi otto anni, seduta in un angolo del vagone merci, a guardare un punto distante nella sua mente. Ricordo che non piangeva.

Sono poche le cose che so.
So che la primavera da queste parti sembra non arrivare mai. So cosa significa morire di fame.
So che non rivedrò mai più Eugenia e i suoi otto anni.
So che quel fumo nero che ora si alza in lontananza è l’addio di qualcuno che conoscevo. Di qualcuno che ho conosciuto quando già aveva perso se stesso. So che quel fumo nero è l’addio di un uomo che non viveva più.

Sono poche le cose che ho imparato.
Ho imparato a ripetere ossessivamente frasi che sono dettagli. E’ l’unico modo che ho di continuare a vivere.
Ho imparato che presto tutti, e presto anche io, lasciamo che la nostra vita ci scivoli via dalle mani. Che presto smettiamo di vivere, ed esistiamo. Ho imparato che esistiamo perché non riusciamo a morire. E’ troppo faticoso.
Sono poche le cose che ricordo.
Ricordo la manina di mio fratello stretta nella mia, mentre scendevamo dal treno.

Sono poche le cose che so.
So che io non volevo lasciarla, quella mano.

Sono poche le cose che ho imparato.
Ho imparato che io non posso nulla.

Sono poche le cose che ricordo.
La sua mano che scivola mia. Le braccia di quell’uomo che lo trascinano via. La mia voce, la mia che chiama il suo nome. Shlomo, Shlomo. Quelle braccia. Quelle dita che scivolano via. I suoi occhi. Mio fratello, i suoi occhi, le sue lacrime, la mia voce, le SS, il fumo che si alzava alle mie spalle, le grida e il sudore e le lacrime e le bestemmie e gli ordini e il calcio del fucile contro il mio naso e il sangue.
E ricordo mio fratello e i suoi cinque anni scivolati via delle mie mani.

Sono poche le cose che so.
Mio fratello, non lo vedrò mai più. I suoi cinque anni, rimarranno tali per sempre. I suoi occhi, gli occhi di un bambino che mi guardava e piangeva mentre veniva trascinato via.
So che presto ci ritroveremo.

Sono poche le cose che ho imparato.

Sono poche le cose che ricordo. Una è quel pezzo di carta che quell’uomo leggeva. 15135, il mio nome su quelle labbra.

Sono poche le cose che so. Una è che ora dovrò seguire le tracce nel fango, e muovermi fino a quel punto che quasi fatico a vedere, cieco dalla fatica.

Sono poche le cose che ho imparato.
Una è che c’è solo un modo per uscire da qui. Dico uscire davvero. Nessuno lo dice a voce alta, ma tutti sanno cosa accade.


Quell’uomo ha letto, 15135, il mio nome. E ora mi alzerò, seguirò le orme nel fango, ed uscirò di qui. E il mio addio sarà per tutto ciò che sono stato, per quel mio nome che neppure ricordo, e che non era 15135. Sarà per Eugenia, che non piangeva. Sarà per Shlomo e i suoi cinque anni. Sarà per me.
E’ il 26 gennaio 1945.
  
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